Trovati un lavoro e poi fai la cacciatrice

ft. Shiloh

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    E quindi.
    Thor era una bestia, una somara, per la precisione, una testa calda, una manesca e una menefreghista. Ma era anche un’amica, una giocatrice di quidditch, una sorella e una persona che, per i suoi cari, furie o parenti che fossero, avrebbe fatto di tutto.
    Compreso trovarsi un lavoro.
    Perché sì, per mesi e mesi quella frase pronunciata da Friday una mattina apparentemente qualsiasi nel peggior bar di Caracas di Diagon Alley (non proprio, anzi, ma dettagli) aveva sortito il suo effetto. «Se non vuoi passare i restanti mesi a fare l’elemosina alle tue amiche, o a non offrire neanche un gelato a nessuna di loro… trovati un lavoretto part time. Cercano davvero ovunque. E non iniziare con il “ma le altre non devono farlo boohoo” perché le prendi.» Severa ma… ma niente, in effetti. Severa e basta, nell’ottica di Thor.
    Non c’era niente di giusto nel trovarsi un lavoro.
    Specie se si avevano i soldi dei De Thirteenth.
    E un contratto pronto per essere firmato nei Cannoni di Chudley (VERO PIZ???).
    Ma non c’era stato niente da fare. Per quanto bestia, per quanto stupida, Thor amava sua sorella e avrebbe fatto di tutto per romperle l’anima. E per ottenere la sua approvazione, il suo affetto. Compreso dimostrarle che sì, poteva benissimo trovarsi un lavoro. Perché quella frase, per mesi e mesi, le aveva rimbalzato in testa, andando a colpire tasti che la tassorosso credeva (o più che altro fingeva) di non avere.
    Voleva che Friday fosse orgogliosa di lei.
    E voleva vincere, anche se questo significava spaccarsi la schiena (e le ovaie) per qualcosa che non fosse il quidditch.
    Questo era il suo proposito, ma, come insegna il buon Aristotele, potenza e atto non sempre sono consequenziali in modo così lineare. La ricerca di un lavoro era durata tanti, estenuanti mesi. In parte perché una certa Sara del CNOS non l’aveva aiutata a fare il curriculum e a spammarlo in giro, in parte perché, a differenza di un’altra Sara, non l’aveva mandato a destra e manca, rispondendo anche agli annunci più assurdi e rischiando di essere rapita dai tipelli dei porta a porta e sbattuta a fare la rompicoglioni chissà dove. Il fatto era che Thor, per la prima e forse unica volta nella sua vita, era stata schizzinosa. Aveva scartato tutti i lavori che le sembravano troppo noiosi, così come quelli troppo impegnativi. E anche i troppo faticosi, perché doveva essere in forze, lei, per giocare a qudditch.
    Voleva vincere, sì, ma non nel prossimo futuro.
    Almeno fino a quel pomeriggio.
    Il giorno prima aveva trovato uno strano annuncio, completamente sospetto, su una delle bacheche di Hogwarts. Non si capiva nulla del lavoro in questione, se non che fosse, beh, un lavoro e che non avrebbe preso né troppo tempo né troppe energie.
    Perfetto, insomma.
    Un sogno, forse una favola.
    Aveva condiviso la sua grande scoperta con le altre furie, suscitando l’approvazione di Dylan e Kaz, il germe del sospetto in Joni e l’orgoglio di Livy e Sana. Quattro su cinque, cosa poteva volere di più?
    Così, dopo aver rassicurato la capitana che si sarebbe difesa senza problemi – e la Peetzah, questo, lo sapeva benissimo – quel pomeriggio era partita alla volta di Hogsmeade per recarsi con puntualità (visto, Fray??) nel luogo indicato sul volantino per fare il colloquio.
    «’n che senso??» Sopracciglia aggrottate, labbra piegate in una smorfia, Thor si frugò in tasca alla ricerca del foglietto stropicciato, per controllare di non aver sbagliato indirizzo. No, tutto giusto. Era proprio quello. «Una spa??» Fissò accigliata l’Amortentia. Che volessero farle fare i massaggi? Hhhh, cursed. A meno che, certo, quello non fosse un modo alternativo per prendere a botte la gente………… Ecco, questo sì che le piaceva.
    «Lo faccio?» Lo fece. Spinse la porta con ben poca grazia ed entrò, saltellando con il suo solito incedere da folletto incazzoso verso la reception. La strega curatissima dietro al bancone sbiancò, nel vederla avvicinarsi, una mano già posata sull’interfono magico, pronta a chiamare la sicurezza. «Io… umhhh… cerco… sono qui per un colloquio??» Thor si mordicchiò le labbra, tornando a lanciare un’occhiata al volantino spiegazzato. «Con… emh… Brangelina??» Che razza di nome era?
    Bah, poco importava, visto che la receptionist sembrava aver capito: si incamminò nella direzione che le stava indicando, sforzandosi di mostrarsi più sicura e balzandosa di quanto non fosse realmente. Una sfida era una sfida, però.
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    Shiloh si sentiva in una simulazione, non quella terribile dei Durga però, più una alla Black Mirror dove riusciva solo a pensare dude what the fuck is happening. Non riusciva a concepire come l’attenzione mondiale fosse passata dal Titan, al Barbenheimer, fino al divorzio di Ariana e poi quello di Sofia Vergara. Era una donna provata, la Abbot, non poteva reggere quelle emozioni tutte insieme. Pochi giorni prima le era capitato di intravedere un capello bianco, ma aveva fatto finta di non vederlo con tutta la classe che era riuscita a racimolare. Che era: poca. Non lo accettava, l’unica spiegazione era che avesse passato troppo tempo all’aperto e quel capello non fosse altro che un prodotto del sole. Non era nel suo stile gaslightarsi da sola, ma lo faceva per il bene della sua salute mentale. Forse aveva bisogno di qualcuno che sollevasse parte delle responsabilità dalle sue spalle, che non fosse lo sherpa spirituale che aveva già assunto. Qualcosa come un assistente personale, una figura che per qualche assurdo motivo non aveva mai considerato prima di quel momento- e chissà come mai, era geniale. Sarebbe stato come avere una badante, ma in modo precoce e cool. Non si era impegnata granché nella stesura dell’annuncio di lavoro, un po’ perché il caldo le stava dando alla testa, e un po’ perché voleva lasciare quell’aria di mistero che avrebbe permesso solo ai veri intrepidi di abbracciare. Non voleva persone noiose, la Jolie-Pitt, né tanto meno competenti; non se ne faceva niente delle qualificazioni importanti. L’unico requisito fondamentale era ricordarsi il suo ordine abituale a Starwiz, ma anche di farle la spesa perché il solo pensiero la uccideva dentro ogni volta. Ed ecco il motivo per la sua attuale lochescion, che Penn era stata così gentile da metterle a disposizione. Così come un fantastico chiropratico brasiliano, ma quelli erano dettagli. Doveva abituare fin da subito i potenziali candidati alle sue follie, così che fossero ben coscienti di quello a cui stavano sign up for. Ma era stata clemente, Roberto sarebbe sopraggiunto solo in un secondo momento. Shiloh era intenta a guardare lo schermo del cellulare quando la sua vittima apparve dalla porta. La ragazza sollevò lo sguardo dal telefono con tutta la calma del mondo, la schiena reclinata su uno delle poltrone e i piedi poggiati su uno sgabello per fare asciugare lo smalto. Un sorriso assolutamente non unhinged apparve sulle labbra, le mani a battere insieme «ah, benvenuta!» per un attimo provò ad alzarsi, per poi rendersi conto della sua situazione- nevermind «shiloh abbot, piacere. o brangelina, suppongo» porse la mano alla ragazzina, la quale per qualche motivo le ricordava una sua conoscenza. Ma pensa, che strana la vita. «puoi sederti dove vuoi, non preoccuparti» fece un cenno verso le sedute (quali) a disposizione, Shiloh non era mai stata una persona troppo formale e non avrebbe cominciato in quel momento. «immagino tu sia qui per l’annuncio di lavoro, no?» o per farle il resto delle unghie, chi lo sapeva di certo non lei. Oddio, non l'avrebbe mica denunciata per sfruttamento minorile? Eh, poco male, persone peggiori erano sfuggite ad accuse ben più gravi. «prima di entrare nei dettagli ho una domanda importante da farti: andresti a vedere prima barbie o oppenheimer? o solo uno dei due, non giudico» e invece sì che giudicava. C'erano determinate priorità nella vita, e la sua era capire se la sua potenziale PA avesse buon gusto.
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    Se fosse stata un qualunque altro pg di Sara, o, per essere ancora più precisi, in effetti, Sara stessa, Thor avrebbe dovuto sentirsi turbata da tutta quella situazione. E, ancora di più, pensare male. Chi mai combina un appuntamento di lavoro dentro un centro massaggi? Certo, quelli in cui era stata lei (contro la sua volontà, sia chiaro, perché mai e poi mai vi avrebbe messo piede dentro di sua spontanea iniziativa) erano veri centri massaggi, ma non era mica nata ieri. Aver passato sette anni al castello e praticamente tutta la vita con i Freaks le aveva insegnato parecchie cose. Eppure. Eppure, non pensò male.
    Non le passò proprio per la testa.
    Perché mai avrebbe dovuto essere sospetto un appuntamento di lavoro in una spa? Strano, questo sì. Contro i suoi gusti, anche. Ma sospetto? Tipo organizzato da qualcuno di losco e viscido, fatto apposta per adescare giovani innocenti come lei?
    Figuriamoci!!!
    E non perché tutta la sfera anche solo vagamente sessuale la spaventasse così tanto da aver imparato non solo a schifarla, ma proprio a rimuoverla del tutto. (O così era convinta, ecco.)
    Per cui aprì la porta che le aveva indicato la strega alla reception con sicurezza, nonostante la mano le tremasse un po’. Lei agitata? Figuriamoci!! Di quel lavoro le importava poco o niente, non trattandosi di quidditch. Se non l’avessero selezionata, be’… erano loro a rimetterci, non lei!
    Tuttavia, quando un po’ troppi profumi, e troppo dolci, per i suoi gusti, e una musica così rilassante da farle quasi rimpiangere il k-pop urlato a squarciagola da Dylan, le stordirono i sensi, per un attimo rischiò quasi di vacillare. Forse, anzi, sicuramente, se non fosse stata assunta, sarebbe stata solo colpa sua. Perché era inutile. E incapace. (Ecco, questo sì che faceva di lei un pg di Sara, e Sara stessa.)
    «Cia- emh, salve??» Confusa, guardò la ragazza sulla poltrona aggrottando inconsapevolmente le sopracciglia, non capendo perché non si fosse davvero alzata. Forse era quello il lavoro? Portarla in giro? Nel senso letterale del termine, tipo quel film che le aveva fatto vedere Giacomino, quello francese con il tizio in sedia a rotelle. Si trattenne, però, dal fare domande, anche se rimase impalata ad osservarla, i piedi nudi sul pouf. Alla sua presentazione una lucina le si accese nella testa, ma durò solo un secondo, lasciandosi semplicemente dietro una sensazione di familiarità. Mmh, forse Wendy non aveva del tutto torto quando la incoraggiava a prestare appena un po’ più di attenzione a cose che non fossero il quidditch, le furie e il cibo, rigorosamente in quest’ordine. «Sono Thor… cioè, Thursday. Thursday De Thirteenth», si presentò a sua volta, zittendo la voce nella sua testa, anche se, per una volta, l’idea di fare una figuraccia le sfiorò la mente. E, ancora di più, la consapevolezza di non volerne fare una.
    Voleva ottenere quel lavoro. Per dimostrare qualcosa a sua sorella… e a sé stessa, soprattutto.
    Con un accenno di titubanza, se non altro nascosto dalla goffaggine, andò ad appollaiarsi sulla poltroncina accanto a quella della ragazza, Shiloh, e annuì in risposta alla sua domanda sul lavoro. «Lo so che non sembro esattamente», com’è che si diceva?, «ah, umh, affidabile, ma sono… forte?? Resistente? Non mi faccio problemi a usare le mani… Cioè, posso fare di tutto, davvero! Senza lamentarmi!!» L’ultima parte non era completamente vera, ma poteva concedersi una lievissima licenza poetica, no? Solo una!!
    La figuraccia, però, era già dietro l’angolo, che lo volesse o no, perché Shiloh non solo frenò il suo flusso di coscienza rimandando quelle /cose/ a dopo, ma le porse la domanda TM. «prima di entrare nei dettagli ho una domanda importante da farti: andresti a vedere prima barbie o oppenheimer? o solo uno dei due, non giudico»
    Thor deglutì un po’ troppo rumorosamente e, con molta attenzione, si guardò intorno. Solo dopo essersi accertata che non ci fosse nessuno in giro artigliò il bracciolo della poltrona con le mani per sporgersi verso Shiloh e, con voce decisamente bassa e molto, molto seria, decretò: «Barbie, ovviamente».
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    Sapete cosa? Più si guardava alla telecamera del telefono e più contemplava l’idea di fare qualcosa di drastico. Tipo colorarsi i capelli di azzurro, o tagliare i capelli in uno di quei modi che andavano di moda su TikTok. Prima di poter prendere una decisione, tuttavia, aveva ugh noiose questioni di business a cui dedicarsi. «Sono Thor… cioè, Thursday. Thursday De Thirteenth» sollevò appena un sopracciglio, la Abbot, incuriosita dal nome della ragazzina. Dovette mordersi la lingua per fermarsi dal chiederle perché proprio Thor come soprannome, se anche lei andasse in giro con un martello o fosse super muscolosa. Cioè, non le sembrava, ma non si poteva mai essere certi. E non avrebbe controllato perché l’idea di essere arrestata non era particolarmente allettante– si riservava la carta prigione per le volte in cui era ubriaca. Finalmente, dopo fin troppo tempo, si accese una lampadina nella mente di Shiloh. «de thirteenth come friday?» che domande, certo che erano amiche.
    siamo ricche
    americane
    che altro serve it's a thing
    -cit
    Quello che Shiloh non sapeva, tuttavia, era che Friday avesse una sorella. Un po’ come quando Elisa scopre che la gente ha fratelli dopo 5 anni di amicizia. Piegò appena il capo per osservare il volto della ragazzina, ed in effetti: «ma sai che vi somigliate?» erano i capelli rossi e le lentiggini ad accomunarle, ma tale tratto distintivo si sarebbe potuto applicare a una buona parte della popolazione irlandese quindi la Abbot stava effettivamente dando aria alla bocca. Ah, la sua attività preferita. «Lo so che non sembro esattamente ah, umh, affidabile, ma sono… forte?? Resistente? Non mi faccio problemi a usare le mani… Cioè, posso fare di tutto, davvero! Senza lamentarmi!!» Shiloh era impressionata, glielo si leggeva in faccia, finalmente un giovane che avesse voglia di lavorare e di sporcarsi le mani! Anche con una paga da fame! No, quello non era vero, aveva abbastanza soldi per pulirsi il culo quindi non vedeva perché ricorrere allo sfruttamento minorile. «barbie hai detto, eh? mh, ok, interessante…» portò una mano smaltata al mento per strofinarlo, producendo la risposta di quel quiz nella testa. Poteva capire il ragionamento della ragazza, e in parte lo condivideva «quindi dici di vedere prima qualcosa di più leggero per sollevare il mood, per poi affondare il coltello con oppenheimer. sai, penso che rappresenti la dualità della vita, e la scelta di quale film vedere prima dice molto di una persona» duuuh, aveva anche fatto il test online per farsi dire da uno sconosciuto la Verità ™. Osservò la ragazza da dietro le ciglia, uno sguardo pregno di significato che cercava di comunicare qualcosa telepaticamente «penso di aver capito chi sei, thursday de thirteenth» pausa, perché era drammatica like that «e mi piaci molto! prima prova superata, complimenti» si lasciò andare in un piccolo applauso, molto piccolo perché lo smalto era ancora fresco. Decise finalmente di passare agli affari, perché altrimenti rischiava di perdere il filo del discorso «ho bisogno di un’assistente. Una PA, come quello che aveva Fedez hai presente?» e questa, signori miei, era una reference per pochi ma era certa che Thor avrebbe inteso. Dopotutto era giovane. «qualcuno che si ricordi il mio ordine abituale da Starwiz, o che mi faccia la spesa settimanale, insomma niente di troppo impegnativo» said no one ever appena entrati da Carrefour ed essere stati assaliti dalla marea di panettoni e pandori in bella vista e altri mille prodotti «ovviamente il salario è proporzionato alle ore che farai, quindi…sulle 20. i turni potrebbero variare e potrei chiederti di lavorare nel weekend, ma niente di che! non faccio molto nel weekend, in ogni caso» NOOOOIII. Vabbè 20 minuti sono scaduti e pandi mi picchia ok sara ciao.
    shiloh avonlea
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    «de thirteenth come friday?»
    Thor grugnì.
    Ah.
    Ecco.
    La sorte delle sorelle minori. Thursday non era solo una bestia (e non la, anche se su questo ci stava lavorando, e pure tantissimo, tanto che ormai sentiva di avere in pugno quell’articolo determinativo!), ma era, e qui effettivamente si trattava di la, la bestia sorella di. Al castello il primato se lo contendevano Sandy e Wendy, per ovvie ragioni, ma fuori? Fuori era la sorella di Fray.
    E come tutte le sorelle minori, Thor odiava essere per tutti la sorella di. Non era colpa dei suoi fratelli, e infatti a loro non gliene faceva mezza (solo un po’ a Sunday, ma perché tentava di soffiarle il primato di bestia – e perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, la bestia originale TM era lui davvero. Ah, e anche per il fatto che era un uomo derogatory, giusto), però… però aveva tutto il diritto di prendersela con il resto del mondo per quel furto di identità. Voleva essere ricordata perché sé stessa, non (brutta) copia di qualcun altro.
    Perché sì, c’era anche quell’aspetto.
    «ma sai che vi somigliate?»
    Thor grugnì di nuovo.
    Esattamente quell’aspetto. Anche se era sempre la sorella di, la minore dei De Thirteenth sapeva di non essere all’altezza dei suoi fratelli. E non solo per tutti i centimetri grazie ai quali le gemelle e Sandy svettavano su di lui. E neanche per quei – forse – neuroni in più. Sapeva di somigliare alle sue sorelle, e in qualche strano e senza senso modo persino al fratello, ma non abbastanza. Non era, e non sarebbe mai stata, bella.
    Stava per far roteare gli occhi verso l’alto e sbuffare, pronta a sottolineare l’ovvio, ma poi si ricordò dov’era e cos’era quello.
    Si trovava a un colloquio di lavoro, al cospetto della sua potenziale capa.
    Frenò qualche istante troppo tardi gli occhi azzurri che già schizzavano verso l’alto, sforzandosi di ammorbidire la linea dura delle sopracciglia aggrottate. «Già.» Tentò con tutte le sue forze di sorridere, ma quello che le uscì fu più che altro il ghigno di un animale braccato. «Fray, cioè, Friday è mia sorella, umh.»
    Se non si era giocata il posto così, sicuramente lo fece qualche istante dopo, quando, controllato che nessuno fosse in ascolto al di fuori di Shiloh, le rivelò che avrebbe visto prima Barbie di Oppenheimer. «Mi sento che Barbie sarà un vero film da Oscar! E lo sa anche l’Academy… vincerà tutto, lo vedo nel futuro!» Ecco spiegato perché Thor, in divinazione, faceva a dir poco vomitare. Non c’era alcun segno di terzo occhio, in lei. I due che aveva erano puntati solo su pluffe e bolidi.
    Non era solo il suo sguardo a essere fisso sull’eterno e immaginario campo da quidditch che aveva nella sua testa, ma anche la sua mente, perché le sfuggì qualche passaggio del ragionamento di Shiloh sull’ordine di visione dei due film e… «La dualità della vita?» Fece una smorfia, sollevando le spalle mentre faceva pressione con i palmi delle mani sulle ginocchia. Ci rifletté un attimo, poi rilassò le braccia. «Be’, sì, ci sta. Anche se resta il fatto che Oppenheimer sarà telefonatissimo. Un film di uomini per uomini con uomini che parlano della cosa più da uomini di sempre.» Tornò a fare una smorfia, ora più profonda, simulando un piccolo conato di vomito. «Sarebbe anche ora di dire basta a questa… roba.»
    A posto, si era sicuramente scavata la fossa da sola. Ma andava detto!! L’ennesimo film pieno di peni e di nero che voleva solo far saltare per aria il film rosa sbrilluccicante con al centro i problemi delle ovaie munite?
    Eh.
    «penso di aver capito chi sei, thursday de thirteenth»
    Thor trattenne il fiato, sapendo perfettamente di starsi per giocare il suo destino, il suo futuro.
    «e mi piaci molto! prima prova superata, complimenti»
    Aggrottò la fronte, aspettando di sentire il dolore di un metaforico pugno in faccia. Invece la sua bocca non si storse per il male, ma si distese… fino a sorridere. Ancora prima che incredula, era contenta. «Grazie?», sperò di non suonare troppo esitante, mentre la sorpresa le si faceva spazio dentro. Sul serio piaceva a quella ragazza così raffinata? All’amica di sua sorella? «Un momento, però…» Si rabbuiò appena, scrutandola seria. «Non lo stai facendo per nepotismo, vero? Perché… Fray ti ha pagata, o qualcosa del genere? Anzi, forse è più probabile che ti abbia minacciata…» Era stata proprio Friday a dirle di trovarsi un lavoro. Perché mai avrebbe dovuto spianarle la strada? … O perché mai non avrebbe dovuto farlo?
    Si sarebbe arrovellata su quella questione più tardi, però, visto che ora doveva sforzarsi di scavare una buca nel prato verde del suo campo da quidditch mentale per far entrare quello che Shiloh le stava dicendo. Le serviva una assistente. Facile, no? Una PA, sì. Annuì stranamente seria, cogliendo al volo la similitudine (a differenza di Sara). Sapeva chi era un assistente, e persino un PA. Sua madre ne aveva avuti a bizzeffe, negli anni. Non li aveva mai chiamati in quel modo, chiaramente, perché a sentir lei erano solo amici che la aiutavano qua e là, ma anche dall’alto dei suoi tre anni Thor aveva iniziato a capire.
    «qualcuno che si ricordi il mio ordine abituale da Starwiz, o che mi faccia la spesa settimanale, insomma niente di troppo impegnativo»
    Annuì ancora, quasi gravemente, sperando di avere l’aria di una che la sapeva lunga.
    Il fatto è che Thor sapeva davvero cosa faceva un assistente, o meglio, un servo, ma… non aveva mai fatto nessuna di quelle cose.
    In primis fare la spesa, tanto per dirne una. Dal punto di vista prettamente teorico sapeva che esistevano dei supermercati, ma non ne aveva mai visto uno dal vivo. Aveva visitato parecchie botteghe, decine di negozietti a chilometro zero dove i suoi amavano fare acquisti, quei posti in cui si paga anche l’aria che si respira. Ma fare la spesa davvero? Quello era un compito di MamaLama. E degli schiavi assistenti di sua madre.
    Stese le dita delle mani ancora appoggiate alle ginocchia una per una, contando non proprio mentalmente quelle venti ore di cui parlava Shiloh. Erano venti ore di meno in cui allenarsi… «Davvero nel weekend non fai niente?» Una domanda spontanea, quella di Thor. Genuina. La ragazza non sembrava così vecchia, quindi perché chiudersi in casa, nel weekend? O, ancora peggio, in posti come quello in cui si trovavano? «Se non sai cosa fare potresti venire a vedere le nostre partite di quidditch… o gli allenamenti, se non giochiamo!» La sua proposta fu ancora più genuina, gli occhi che le brillavano: non c’era nulla di più bello del quidditch in compagnia delle sue furie. Tutti meritavano quella gioia. Anche la sua nuova capa.
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