(I Can’t Get No) Satisfaction

circa 2012 | @ bagno dei prefetti | ft. tyler

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  1. habseligkeiten.
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    Adam amava giocare. Con gli altri, con il mondo, con la vita. Per lui, ogni cosa era un grande, immenso gioco. Un gioco molto speciale, dove non c’erano vincitori né vinti, ma solo divertimento. Un gioco infinito, in cui anche i sentimenti e le emozioni negative, come dolore o tristezza, erano in realtà volti a un fine più grande, a quel senso di appagamento e di gioia che tutti meritavano, dalle piante, agli animali, agli esseri umani.
    Anche Tyler faceva parte di quel gioco.
    Anzi, ne componeva la parte più bella e divertente. Era il tassello in grado di fargli provare più piacere, più felicità.
    Sapeva che, se gli avesse detto che quello tra loro era un gioco, l’avrebbe schernito e, assurdamente, forse gli avrebbe persino dato ragione. Avrebbe detto che sì, era un gioco e nulla più, un gioco che portavano avanti da troppo tempo e a cui si era stancato di giocare. Una serie di menzogne, naturalmente, una dopo l’altra. Dopotutto, il Wood era un maestro in quel genere di gioco. Vinceva sempre, nel gioco delle bugie.
    Ma non comprendeva che, nel gioco di Adam, non poteva esserci un perdente. Vincevano tutti, e dunque non vinceva nessuno. Il concetto di sconfitta non aveva senso, per lui, anche perché, altrimenti, avrebbe significato rinunciare alla vita. il suo gioco, al contrario, era bello perché tutti erano sempre allo stesso livello e potevano andare più in alto, ancora e ancora, verso l’infinito, solo tenendosi la mano, solo insieme.
    Adam non voleva cambiare Tyler. Voleva accoglierlo. Ci provava, ogni giorno, tra un insulto e l’altro, tra una battuta e un’occhiataccia, tra un bacio dato di nascosto e l’ennesimo commento tagliente e sprezzante. Eppure non bastava, non bastava mai. Perché il Wood era il primo a non volersi accogliere. Il tassorosso non credeva in quelle cazzate dell’amare prima sé stessi per poter amare ed essere amati dagli altri, semplicemente perché gli risultavano incomprensibili. Come si poteva non amare ogni cosa? La vita, il mondo, gli altri… e sé stessi, appunto?
    Ogni giorno, però, il serpeverde sembrava determinato a dimostrargli il contrario. Certo, apparentemente non c’era nulla che amasse più della sua stessa persona, tanto nella mente quanto nel corpo. Tuttavia, quella era solo la stronzata che raccontava non solo al resto del mondo, ma anche a sé stesso, aggiungendo ogni istante un nuovo strato a quell’armatura apparentemente inscalfibile.
    Avrebbe voluto affondare le dita in quel cervello tanto intelligente da essere così stupido per costringerlo a vedere davvero il mondo. Non necessariamente come lo vedeva lui, anzi, sarebbe stato strano, sbagliato persino; a vederlo e basta, per quello che era. E a vedere, in questo modo, anche sé stesso. Il ragazzo meraviglioso che aveva il terrore di amare, che preferiva nascondersi dietro tutto il resto, lo stronzo egoista cinico insopportabile odioso dito nel culo.
    Certo che Tyler era prevedibile.
    Ma non per questo non sussultò, sorpreso e soddisfatto, quando, questa volta, fu lui a baciarlo. A baciarlo per davvero. Rise nella sua bocca, non volendo neanche accidentalmente interrompere quel contatto tanto sospirato per qualcosa che sì, amava fare, ridere, ma mai quanto quello che stava già facendo, e con Ty. E non perché avesse paura che, facendolo, l’incanto si sarebbe interrotto… Ad ogni modo non aveva né voglia né modo di concentrarsi su altro, adesso che le sue labbra e la sua lingua e le sue mani e la sua tensione lo sfioravano, lo toccavano, lo reclamavano. Partiva già svantaggiato, visto quello che stava facendo ancora prima che Tyler arrivasse, e i movimenti decisi ed esperti della mano di lui acceleravano solo l’inevitabile. Be’, poco male. Sapevano entrambi che i suoi tempi di ripresa erano eccezionali persino per un sedicenne. Evidentemente il suo corpo la sapeva lunga, proprio come Adam stesso. Mentre con una mano continuava a saggiare la tonica morbidezza del suo fondoschiena, quella che solo ore e ore di allenamento, e non solo in palestra, potevano dare, con l’altra scivolò nella scanalatura, carezzandolo sempre più giù, fino a provocarlo nella parte più sensibile. Sì, non vedeva decisamente l’ora di tornare a marcare il territorio con la lingua e i denti e…
    Boccheggiò, strabuzzando confuso gli occhi come se si fosse appena svegliato da un bel sogno, o come faceva ogni volta che riusciva a mettere il naso fuori dal castello, trovandovi stranamente la luce del sole. Odiava avere così poca resistenza alla luce, anche perché, al contrario, avrebbe dovuto esserci abituato, visto che, se fosse stato per lui, avrebbe passato ogni secondo all’aria aperta.
    Ma ora il problema era un altro.
    Tyler non lo stava più baciando.
    Invece di toccarlo, gli sorrideva con quella faccia da schiaffi che avrebbe voluto demolire con le labbra.
    «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sbatté le palpebre una, due volte. E rise.
    «Puoi, sì.» Perché, perché, perché doveva fare così? Perché dovevano fare così, entrambi? Tyler con il suo allontanarsi, Adam con il suo schernirlo e schernirsi, come se tutto fosse un gioco. E sì, lo era, per lui, un gioco, ma era il gioco più importante, e più bello, di tutti. Quante volte Daisy aveva minacciato di legarli schiena contro schiena e chiuderli in una stanza dove potessero sentirsi ma non vedersi e, ancora di più, non toccarsi? Dove, privati dell’aspetto fisico, sarebbero stati costretti a parlare davvero, una volta per tutte?
    «Ma lo vuoi Perché il punto era sempre quello, e la sua era una domanda retorica. Adam sentiva che era così, ma non lo sapeva. Non lo sapeva perché Tyler non gliel’aveva mai detto. Perché in quella bellissima e intelligente e stupida e durissima testa non voleva entrare il più semplice dei concetti: nell’amore non c’era controllo, né debolezza. Nell’amore c’era solo, semplice, puro amore.
    Si morse la lingua per non ripetere quella domanda, i pugni stretti lungo ai fianchi per impedirsi di scattare nella direzione del serpeverde. Adam era in attesa. Sentiva, e in questo caso sapeva anche, che sarebbe stata un’attesa vana. Ma era stupido, o forse era solo un inguaribile romantico che riusciva a vedere solo il bello e il buono nelle cose e nelle persone, e soprattutto in Tyler Wood, per cui ci sperava.
    E, a proposito di morsi, il suo era ancora lì, ben evidente sulla natica sinistra del moro. Ora poteva vederlo chiaramente. Un sorrisino impertinente gli si dipinse sulle labbra e non se ne andò neanche quando Tyler si voltò per gelarlo con quell’ennesima, e inutile, richiesta: «dovresti andare via».
    Incosciente e menefreghista non prese nemmeno in considerazione l’idea che, scattando, sarebbe potuto scivolare per via dei piedi ancora bagnati. L’unica cosa che voleva era raggiungerlo. E così fece, afferrandolo per i fianchi fino a sfiorargli prima una spalla, poi un orecchio, con le labbra. «No», vi soffiò contro, a voce bassa ma decisa. «Lo sai che sono troppo idiota e… com’è che era? Sprovveduto Ridacchiò facendogli il verso, mentre respirava beato il suo odore. Era inevitabile, data la posizione, che i loro corpi si sfiorassero, ma cercò stranamente di darsi un contegno e di non fargli sentire troppo la propria presenza, anche se il calore emanato dalla sua pelle era irresistibile. Si schiarì la voce e tornò a imitarlo: «Sono troppo idiota e sprovveduto per rispettare le regole, giusto? Anzi, anche solo per capirle…» Gli strinse maggiormente i fianchi, con fare protettivo, quasi avesse paura di vederlo fuggire di nuovo. E ce l’aveva, in effetti. Così come temeva che gli avrebbe piantato un gomito nello stomaco, o peggio. Ma era disposto a rischiare, se la posta in gioco era quella. Gli avvolse il bacino con un braccio, o almeno, ci provò, perché non poteva resistere ancora senza andare a circondargli con le dita l’erezione che, per quanto Tyler fingesse il contrario, aveva visto e soprattutto sentito benissimo crescere contro di sé, solo pochi istanti prima.
    Voleva solo farlo stare bene… Si mosse contro di lui, a un soffio dal perdere il controllo. No. Adam Cox non era di certo un gentleman, e non desiderava nemmeno esserlo, ma doveva finire di esprimere un concetto, adesso. O almeno, doveva provarci. «Non vado da nessuna parte. Sono qui. Con te
    E così dicendo molleggiò le ginocchia e fece cadere entrambi in acqua, senza lasciar andare Tyler.
     
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