(I Can’t Get No) Satisfaction

circa 2012 | @ bagno dei prefetti | ft. tyler

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    Continuava ad essere un ballo infinito, ripetuto mille e mille volte, quello tra loro.
    Una solfa continua che non portava mai da nessuna parte, nel bene o nel male.
    Una storia vissuta così tante volte, che Tyler avrebbe saputo descriverne ogni possibile finale — perché li aveva già vissuti tutti; e non importava le sfumature diverse in ciascuno di loro, l’esito era sempre lo stesso.
    Lui se ne andava, Adam restava indietro; qualche volta era il tassorosso ad andarsene, per il suo bene, ma comunque allontanato dallo stesso Tyler.
    Non riusciva a vedere come – né perché – quella volta avrebbe dovuto essere diversa.
    Non lo era.
    E prima il Cox se ne sarebbe reso conto, prima avrebbero potuto tornare entrambi a vivere la propria giornata (la propria vita) come se nulla fosse. Fino al prossimo litigio, ovviamente.
    «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me.»
    Ebbe l’impulso di rispondere perché dovei, puntandogli un dito contro il petto e domandandogli cosa avesse lui di diverso da tutti gli altri — perché lasciar entrare Adam Cox nella sua vita fosse la soluzione a tutti i problemi.
    Non lo era.
    Stava per farlo, stava per riversare sul minore tutti i suoi pensieri più maligni, ma la risata maliziosa e infantile di Adam rovinò il momento. Come al solito. Bastò quella consapevolezza a fargli riprendere il controllo di se stesso, la presa allentata in un singolare e passeggero momento di poca lucidità e debolezza, e farlo sospira in maniera pesante.
    A che pro, combattere contro quella testa dura di un Cox?
    Non sarebbe mai cambiato, così come non sarebbe cambiato nemmeno Tyler; ecco perché tra loro le cose non avrebbero mai funzionato.
    «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.»
    Non gli rispose nemmeno quella volta, ma alzò il mento con aria fiera (fin troppo) dimostrando che non avesse rimpianti di alcun tipo, e che non si trovava affatto d’accordo con Adam: non si stava facendo nulla, perché continuare ad insistere? Piuttosto, sembrava essere il tassorosso quello intenzionato a continuare, a battere a pugni chiusi contro un muro di cemento con la speranza di farlo crollare, e ricevendo solo in cambio silenzio e nocche spaccate. Un masochista.
    «Tyler»
    Almeno quanto lui che, pur professando di essere inscalfibile e distaccato dalla cosa, continuava ad essere lì; continuava a stuzzicare il Cox, a giocare un gioco pericoloso che portavano avanti da troppi anni. Non faceva bene a nessuno dei due, e Tyler odiava ogni cosa.
    Più di tutto, odiava il modo in cui il suo nome suonava quando pronunciato dal tassorosso — come se indicasse una persona completamente diversa, che solo Adam conosceva; che solo Adam poteva amare. Lo odiava, perché sapeva benissimo che non sarebbe mai stato in grado di diventare quella persona lì. Neppure per il Cox. Neppure volendolo.
    Continuò a fissarlo con lo sguardo più scuro e cupo, nulla a che vedere con la tensione ormai palpabile nella stanza che scuriva invece lo sguardo di un eccitato Adam Cox; Tyler era furibondo, perché quella situazione non gli piaceva più, e forse gli piaceva un po’ troppo — e perché i suoi abiti erano fottutamente spariti nel nulla. Quando pronunciò il nome di Adam, lo fece senza la nota calda piena di passione dell’altro; c’era piuttosto una quieta minaccia in quel nome pronunciato con tanta calma.
    Rivoleva i suoi abiti.
    Ma il bacio di Adam bastò a sconvolgere tutti i piani del giornalista in erba. Non lo ricambiò, e rimase impassibile anche dopo aver allontanato il compagno, accusandolo di soffrire di una forma acuta e grave di satiriasi. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto. Il sesso non mi basta mai.»
    Oh, lo sapevano bene entrambi.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?»
    «cosa, prevedibile?» un verso di scherno sfuggì alle sua labbra arrossate, mentre la mano scendeva con lentezza lungo i corpi di entrambi, «dubito.» Anche se c’erano cose peggiori al mondo, tipo il non avere il minimo senso estetico o non sapere mettere due parole sensate una di fila all’altra. Eh Adam.
    Ma esortò comunque l’altro studente a dire di più, aumentando solo per un istante il ritmo con cui massaggiava l'intimità del tassorosso. «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.»
    Provò l’istintivo bisogno di alzare gli occhi al cielo, ma non lo fece: nonostante tutto, era incantato dalle microespressioni che vedeva apparire sul viso di Adam, le labbra dischiuse dal piacere e le palpebre che di tanto in tanto mascheravano l’eccitazione visibile nello sguardo dell’altro.
    Gli conferì persino il permesso di accarezzare il proprio corpo, beandosi di quelle attenzioni che sapeva di meritare; era un narcisista, dopotutto, ed era ben più che felice di essere oggetto di quelle meticolose cure.
    «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi»
    Che impertinente, che faccia tosta.
    Non lo aveva ancora capito? Era davvero così stupido?
    «O magari sto facendo quello che volevo fare io
    Quella volta ricambiò il bacio, e inseguì la lingua di Adam in una danza familiare e nella quale entrambi erano avvezzi, mordendo le labbra e continuando a far lavorare la mano esperta nella maniera che sapeva avrebbe fatto impazzire il Cox entro breve, suo malgrado influenzato egli stesso dagli effetti di quei gesti impudici.
    Poi, d'improvviso, si staccò da Adam e liberò l'erezione del tassorosso dalla presa, lasciandolo annaspare in cerca di aria mentre si divincolava dal suo lascivo abbraccio, e gli sorrideva beffardo. «Io posso smettere quando voglio, Cox.»
    Sapeva di poterlo fare.
    Ma la vera domanda era: voleva farlo?
    Cercò di convincersi che la risposta fosse sì, che volesse, che volesse avere il controllo di quella situazione e accendere o spegnere la propria eccitazione come fosse un interruttore — eppure non funzionava così. Perché Adam aveva il brutto vizio di prendersi qualsiasi libertà con Tyler, e Tyler quello di lasciarlo fare, al punto da scollegare persino il proprio cervello per qualche minuto e bearsi di quel silenzio immacolato di cui si beavano tutti quelli con un QI inferiore al suo; quando era tra le braccia del tassorosso, Tyler Wood diventava argilla pronta ad essere modellata con cura ed esperienza da mani che sapevano esattamente ciò che stavano facendo.
    Odiava sentirsi così.
    Dare tutto quel potere a qualcuno, persino ad Adam, lo faceva sentire debole, una nullità, inaffidabile. Se amare voleva dire dare agli altri la possibilità di esercitare su di lui un tale potere, Tyler non era sicuro di essere disposto a farlo. Neppure con Adam Cox. Non gli piaceva sentirsi privato del controllo su se stesso, sentirsi manipolabile e vano.
    Ma sapeva anche di non avere più possibilità di decidere, non quando si trattava di Adam.
    Era troppo tardi.
    E l'unica cosa che poteva fare era prendere le distanze dal minore — emotivamente, e fisicamente. In quel momento più che mai.
    Raggiunse dunque il bordo della vasca, senza guardare mai neppure per un secondo il tassorosso, e prima di tuffarsi (e sperare così che il silenzio e la calma dell'acqua calda mettessero a tacere tutte le altre voci) ricordò al Cox: «dovresti andare via» per il benessere psicologico di entrambi.
    Di Tyler sicuramente.
     
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