(I Can’t Get No) Satisfaction

circa 2012 | @ bagno dei prefetti | ft. tyler

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  1. habseligkeiten.
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    «No. Sei tu a non capire.»
    Gli insulti di Tyler andavano bene, per non dire che lo eccitavano. Ma questa era un’altra storia. Questa non era una ferita nel suo orgoglio – orgoglio che, tra l’altro, non aveva neppure, trovandolo un retaggio patriarcale e un modo solo un po’ più sottile, e proprio per questo vagamente subdolo, di altri per sottolineare la propria superiorità rispetto al resto del mondo. Eppure Adam era abituato a sentirsi dire che non capiva. O almeno, lo era fin dalla prima volta che aveva messo piede in un’aula scolastica. Sebbene molti insegnanti continuassero a ripetere la solita vecchia storia del suo essere brillante ma incapace di applicarsi, avrebbe preferito sentir loro dire le cose come stavano. Era stupido? Bene! Che problema c’era, in fondo? Essere stupidi era solo una caratteristica come molte altre. Come essere alti, o avere un carattere giocoso. Entrambe caratteristiche, ad esempio, che di certo non facevano di Tyler Wood quello che era. Ad ogni modo, insieme al bravo ma non si applica, Adam si era sentito e si sentiva ancora ripetere allo sfinimento che non capiva.
    Finché si trattava di un’aula scolastica andava bene. Ma con le persone? Con Tyler?
    Proprio come l’orgoglio, anche la falsa modestia era un costrutto inutile di una società fin troppo rigida, almeno per i suoi gusti. Adam sapeva benissimo di essere bravo: non a scuola, ma con le persone. Lui, gli altri, li capiva. Gli bastava una parola, o a volte anche solo uno sguardo, per cogliere ciò che passava loro per la testa e, ancora di più, per il cuore.
    Sentirsi dire dal serpeverde di non capire, di non capirlo, fu una pugnalata in pieno petto.
    «Sì.» Lo fissò, con una serietà che sapeva non appartenergli, senza nemmeno rendersene conto. «Non capisco perché tu non vuoi che io capisca. E non vuoi capire nemmeno te stesso. Perché non lasci entrare nessuno… perché non lasci entrare me
    Ma era pur sempre Adam Cox, e dopo qualche istante, con le proprie parole a rimbombargli nelle orecchie, finì per soffocare una risatina. Non era esattamente vero, anzi, non lo era per niente, il fatto che Tyler non lo lasciasse entrare. Glielo lasciava fare eccome. Ancora e ancora. Esattamente come avrebbe desiderato fare in quel momento. E in qualsiasi altro momento della giornata, in effetti.
    Tuttavia, né le sue riflessioni sentimentali né quelle maniache potevano nulla contro l’enorme fastidiosità del Wood. La definizione ideata da Daisy per rappresentarlo gli calzava in tutto e per tutto a pennello: era un dito in culo. Era lì, perennemente, piccolo ma duro, a ricordare in ogni istante la sua irritante presenza. Inflessibile. Incapace di scivolare in una direzione o nell’altra. Un corpo estraneo che impediva il regolare flusso delle cose.
    Lo lasciò quindi lì, il dito, a rigirarsi in quel pertugio stretto, ma non così stretto, mentre, più che sulle parole, si concentrava sui movimenti del suo corpo. La mascella tirata, i muscoli del collo a guizzare sotto la pelle ambrata, la curva morbida eppure tagliente delle labbra che accompagnava l’arrotolarsi della lingua e…
    «E non hai chiaramente colto il punto, nemmeno stavolta
    Un’altra pugnalata. L’ennesima.
    Anche la mascella di Adam si tese, per un istante, mentre senza poterci fare nulla finiva per digrignare i denti, infastidito ma soprattutto ferito da quelle parole. Su di lui, all’opposto di Tyler, quell’espressione risultava aliena. Il tono freddo del Wood non avrebbe dovuto stupirlo, e in effetti non lo fece, ma non riuscì a non pensare che, sotto a tutti quegli strati di calcolato gelo, si nascondesse una corazza di vero e inscalfibile ghiaccio.
    «Forse.» Sospirò, chiudendo gli occhi per un istante per riprendere fiato e allentare la stretta dei denti. «Ma vorrei solo che smettessi di farti questo.» Sapevano entrambi che in quel semplice pronome si nascondeva un mondo. Questo era tutto ciò che Tyler faceva ogni giorno, ma anche ciò che non faceva. Questo era quello che Adam cercava di tirargli fuori da anni, profondamente convinto com’era che ci fosse molto altro dietro a quella spessa facciata di indifferenza e freddezza.
    Ma era davvero così?
    O era Adam che, da anni, stava forzando Tyler a essere qualcosa che non era e che non sarebbe mai stato? Lui che, quasi ancora prima di iniziare a parlare, già si batteva perché nessuno venisse forzato a fare ciò che non voleva e, ancora peggio, a essere ciò che non era.
    Un brivido lo attraversò, riportandolo al presente e al suo corpo. Quello stesso corpo che pulsava e bruciava, che chiedeva di essere toccato e di toccare. Quel corpo che desiderava solo riempire la poca distanza che lo divideva dal Wood e fare quello che, modestamente, gli veniva meglio.
    Dare e ricevere piacere.
    Forse era stupido, forse aveva un disturbo dell’attenzione o addirittura della personalità, ma i pensieri terribili di poco prima andarono a nascondersi in un angolo della sua mente. O meglio, probabilmente scorrazzavano in libertà, visto l’immenso spazio vuoto, anche e soprattutto perché, ora che Tyler si stava spogliando, nonostante fissasse apposta il soffitto pur di ostentare indifferenza, tutto ciò a cui riusciva a pensare era lui, lui e ancora lui. E tutto il sangue del suo corpo pompava lì, rendendo ancora più dolorosamente piacevole la tensione tra le sue gambe.
    «Sei un dito in culo. E un montato di merda. E uno stronzo», elencò con altrettanta semplicità, stringendosi nelle spalle. Non solo i suoi insulti non erano sofisticati come quelli del serpeverde, ma non erano neanche veri insulti. Erano solo una perfetta descrizione della realtà. «Tyler», si premurò infine di aggiungere, con tono volutamente pomposo, stavolta. In realtà, gli piaceva quel suono. No, non la sua stessa voce, non era un megalomane (e poi non riteneva di avere chissà quale voce, anche se un po’ sperava di avere ancora qualche anno di bonus di pubertà). Il suono, anzi, la musica del nome di lui.
    Tyler.
    «Adam.»
    Il lungo brivido che dai lombi gli risalì fino alle scapole, per poi scavallare le spalle e ridiscendere fin nelle viscere e ancora più giù, fino a diventare un pulsare sordo nella sua erezione, non era dovuto al tono gelido usato dal serpeverde. O meglio, era dovuto anche a quello. Ma se gli piaceva dire il nome dell’altro, impazziva quando sentiva lui pronunciare il proprio. Voleva che Tyler lo chiamasse.
    E voleva che si arrabbiasse davvero, non come aveva fatto fino a quel momento, cosa che di certo, ora che aveva fatto sparire i suoi vestiti di alta sartoria chissà dove – letteralmente – sarebbe successa.
    Ma soprattutto voleva baciarlo.
    E infatti non resistette più. Erano ore, anzi, giorni, troppi, che lo faceva.
    Nessuno era fatto per resistere e di certo non lo era lui, abituato com’era a non mettere mai nessun filtro non solo tra il suo corpo e il mondo, ma anche tra la sua mente e ciò che lo circondava. Adam non era trasparente, bensì cristallino. Si lasciava attraversare e attraversava di buon grado, senza però mai annullarsi. Semplicemente, era parte del mondo, così come il mondo era parte di lui.
    E lo stesso discorso poteva essere applicato al Wood.
    Quel Wood che, per la cronaca, non stava rispondendo al suo bacio. Certo, non lo allontanò, ma non lo baciò neanche di rimando, non davvero. La cosa avrebbe dovuto indispettirlo o addirittura ferirlo, ma Adam scelse di leggerla solo come una spinta a fare di più e di meglio. E sentendo la mano di Tyler tra i capelli pensò di avercela fatta, salvo poi ritrovarsi di nuovo a troppi centimetri di troppo dalle sue labbra, il fiato corto e gli occhi scuri del serpeverde a fissarlo con un’intensità che gli faceva girare la testa.
    «Credevo fossi in sciopero. Che ce l’avessi con me e blablabla
    «Infatti ce l’ho con te.» Mettere una parola dietro l’altra era difficile, quando poteva sentire il respiro del moro sulle labbra, a sua volta ritmato da un che di altezzoso e pieno di sé. Le persone così andavano contro ogni suo principio, ma Tyler… «Specie poi se osi darmi del crumiro di merda.» Arricciò le labbra in una smorfia, per un istante quasi superiore alla vicinanza intossicante del serpeverde in nome dei suoi ideali.
    «Dunque avevo ragione, il sesso con gli altri non ti basta.»
    Non nascose la sorpresa, l’ammirazione e persino la contentezza, però, nel sentirlo aggiungere quel pezzetto. Sapeva che lo stava sfottendo, eppure era comunque emozionante vederlo abbattere almeno una delle sue infinite barriere. «Mi sembra di non averne mai fatto segreto», gli fece notare, cercando di non scivolare con lo sguardo sulle sue labbra. Se quelle non si toccavano, lo stesso non poteva dirsi di altre parti dei loro corpi. Un po’ per necessità, un po’ per provocazione, ruotò il bacino, facendogli percepire ancora di più la propria presenza. «Il sesso non mi basta mai Il che era vero, naturalmente. Aveva appena ignorato il resto della sua provocazione, però?
    Forse.
    Ma non era un fatto di non volergliela dare vinta. Al contrario, era semplicemente un dato di fatto.
    Ad Adam piaceva fare sesso, sempre e comunque, e con chiunque. Tuttavia, se avesse dovuto scegliere una sola e unica persona con cui farlo per tutto il resto della vita, e forse anche oltre, sempre che la reincarnazione non fosse una bufala, questa era Tyler.
    Anche se gli aveva appena riservato l’insulto peggiore di tutti.
    Anche e soprattutto per questo.
    Gli aveva dato del prevedibile. A lui!
    Avrebbe ribattuto, certo, ma non ora. Non subito. Non quando finalmente, finalmente!, le dita del Wood si erano appena chiuse intorno alla sua tensione, e avevano cominciato a muoversi tanto, troppo lente. Socchiuse gli occhi e si morse le labbra, non provando davvero a reprimere un gemito tanto di sollievo quanto di insoddisfazione. Sapevano benissimo entrambi che quello era troppo poco.
    Voleva di più.
    Ne aveva bisogno.
    «Sicuro di non essere tu a esserlo?», gli domandò, dopo essersi leccato le labbra, spiandolo tra le ciglia biondo scuro, gli occhi ancora socchiusi. «Prevedibile, intendo.» Lasciò scivolare le mani lungo il suo corpo, saggiando i muscoli del petto e dell’addome, e quando fu all’ombelico virò bruscamente, correndo prima sui fianchi e poi sul fondoschiena. Qui lo strinse con forza, affondando con ben poca gentilezza le dita nella carne morbida, domandandosi per un istante se avesse ancora il segno dell’ultima volta in cui l’aveva morso.
    Be’, tra poco avrebbe potuto controllare direttamente.
    «Perché ora come ora sei esattamente dove volevo che fossi.» Ghignò, sornione, continuando a saggiargli il fondoschiena mentre i brividi si irradiavano da dove lui lo stava toccando a tutto il resto del corpo. «E stai anche facendo quasi tutto quello che volevo che facessi», aggiunse, il viso nuovamente così vicino al suo da far sfiorare le punte dei loro nasi, entrambi così imperfetti da essere bellissimi. Con una spinta del bacino schiacciò la propria erezione e la sua mano contro quella crescente di lui e tornò a impossessarsi delle sue labbra, schiudendole con decisione.
    Se essere prevedibili significava starsene così con Tyler, forse avrebbe potuto accettarlo.


    Non odiarmi ihihihihi.
    Ci sto solo allenando per quando scriveremo il nostro romantasy spicy di super successo!!!!!!!!!!!!!
     
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10 replies since 6/6/2023, 01:35   465 views
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