(I Can’t Get No) Satisfaction

circa 2012 | @ bagno dei prefetti | ft. tyler

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  1. habseligkeiten.
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    Un sospiro soddisfatto gli uscì dalle labbra, gli occhi socchiusi e già vagamente sonnolenti. Chiunque avesse inventato prefetti e capocasata era un vero e proprio tiranno (per non parlare della sala torture, ma dettagli). O meglio, in effetti il problema vero non erano quelli che, più o meno giustamente (sempre che di giustizia, a Hogwarts, si potesse davvero parlare) venivano insigniti di quella patetica spilla; il problema era ciò che la spilla rappresentava. Le regole. La divisione classista degli studenti, che in primo luogo faceva assegnare la spilla stessa e, secondariamente, fregiava chi la portava di privilegi che non avrebbero dovuto esistere.
    Insomma, tutto questo per dire che il bagno dei prefetti avrebbe dovuto essere aperto a tutti, sempre.
    Non solo a chi aveva perennemente una scopa nel culo come Tyler Wood.
    Al quale, per la cronaca, non dispiaceva affatto.
    Anzi.
    Dietro le palpebre serrate di Adam cominciarono a danzare luci e colori, dapprima sfocati, ma via via sempre più chiari. Un sorriso, o meglio, due. Uno che era abituato a vedere centinaia di volte, nell’arco di una giornata. L’altro, invece, così raro da essere quasi unico, come gli era scappato di bocca una volta. Gli stessi occhi scuri. Quel naso che, [bestemmia], gli faceva provare /cose/. Due fossette, una più accentuata dell’altra, quella sul lato destro del volto.
    Un *sticker di Vins*.
    Se, fino a quel momento, le figure dei due si erano mescolate, sul fondo delle sue retine (e non solo lì), pronte a dare vita a una delle sue fantasie preferite, e di certo non nascoste, adesso, però, il focus era del tutto chiaro.
    Tornò a immergersi, mentre il Tyler nella sua mente non sorrideva affatto. Be’, poco male. Non che non amasse il suo sorriso, anzi, gli faceva girare la testa, ma quell’espressione incazzata? Quegli occhi che lanciavano non solo fulmini, ma interi temporali?
    Farlo sciogliere, in tutti i sensi, a furia di baci (e non solo) era la sua cosa preferita al mondo.
    Riemergendo e poggiandosi con la schiena contro la parete della vasca, una mano non tardò a scivolare tra le gambe. A differenza di Tyler, Adam trovava non solo insensato, ma stupido (sì, proprio lui!) nascondere certe cose. Ad esempio il fatto che gli bastasse pensare al serpeverde, specie con quell’espressione così dannatamente ditica in volto, per sentirsi vivo.
    Per questo, quando sentì la sua voce, non aprì minimamente gli occhi e continuò tranquillo a fare quello che stava facendo, compiaciuto dalla propria fantasia (e dalla propria mano). «Addirittura il sonoro…», mormorò tra sé e sé, con un sorrisetto. Certo, la sala torture non è che fosse esattamente uno dei suoi kink preferiti, né Tyler aveva mai esplicitato essere uno dei suoi, ma, conoscendolo, non era poi così strano. Anche se… «Non sono io però il masochista…»
    C’era però qualcosa che non andava.
    Tipo quel suono di passi.
    E il fatto che il Tyler della sua immaginazione avesse le labbra impegnate a baciargli il collo, non a parlare.
    Fermò la mano (ma non la spostò) e aprì un occhio, strizzandolo. Confuso, aprì anche l’altro, una lieve smorfia dipinta sulle labbra.
    «Credevo stessi studiando con Rita.»
    La smorfia si trasformò in un sorrisetto giusto un tantino strafottente. Per un attimo ponderò il da farsi: in teoria avrebbe dovuto continuare con il silenzio e ignorarlo del tutto. Ma ogni cromosoma del suo DNA era geneticamente incapace di farlo. Adam non sapeva tenere la bocca chiusa. Mai.
    «Da quando sei così informato sui miei movimenti? E ti importa dei miei voti?», domandò fintamente innocente, ancora ben spaparanzato dentro la vasca, con la schiuma a coprirlo dalle spalle in giù. «Per essere così focalizzato solo e soltanto su te stesso è molto strano, Wood Enfatizzò il cognome di lui, un po’ facendogli il verso, un po’ mimando altro con le labbra.
    Ovviamente, un attimo dopo, Tyler attaccò con il solito blablabla sul cosa si poteva e non si poteva fare, a partire dall’accesso al bagno dei prefetti. Adam alzò gli occhi al cielo, facendosi entrare le cose in un orecchio e uscire dall’altro. «Se continui così ti assumeranno di certo nella redazione de Il Primato Nazionale…», lo schernì facendo spallucce, alludendo alle uscite estremamente reazionarie del moro. Forse era anche stupido, ma per girare con le Birkenstock dentro al castello doveva avere un minimo di coscienza politica, no??
    Stanco però di fissare il soffitto, puntò lo sguardo su qualcosa di decisamente più interessante. Dalle scarpe lucide come la testa di un pelato risalì lentamente, soffermandosi, in parte per punzecchiarlo, soprattutto sovrappensiero, lì dove i pantaloni cadevano alla perfezione, poi sempre più su, alla camicia inamidata che gli fasciava, senza però tirare, il petto e le spalle, alla mascella che, ogni giorno di più, perdeva i tratti infantili per trasformarsi in quella di un uomo. Arrivato alle labbra, non poté fare a meno di inumidire le proprie.
    «Hai due minuti per uscire dall’acqua, rivestirti, e andare via.»
    Nulla di più, né nulla di meno, di ciò che si aspettava. Puntò gli occhi in quelli di Tyler, con fare di divertita sfida, per nulla intimorito da quelle minacce. Anzi, se proprio, gli stavano facendo tutto un altro tipo di effetto…
    «Due minuti sono sufficienti per fare tante cose…» Nessuno dei due era un amante del fare in fretta, ma, spesso e volentieri, il tempo era tiranno (per non parlare dei ritmi del castello, e dei professori); avevano imparato a farsi bastare due minuti, quando la situazione lo richiedeva.
    Gli lanciò un’altra occhiata, poi tornò a immergersi. Magari il serpeverde si sarebbe buttato nell’acqua per tirarlo fuori con la forza. O forse no, conoscendolo: rovinare così la sua divisa perfetta e, ancora peggio, rischiare di farsi vedere per i corridoi con, non sia mai!, una virgola fuori posto? Peccato, gli sarebbe piaciuto, però.
    Rimanendo sott’acqua raggiunse il bordo della vasca più vicino a Tyler e, proprio sullo scoccare dei due minuti, si issò fuori, pregando mentalmente che per una volta i suoi muscoli facessero il loro dovere. Con tutta la noncuranza del mondo si raddrizzò, lasciando vagare pigramente lo sguardo per la stanza. «Ops.» Dopo l’ennesimo giro, posò gli occhi su quelli di lui, puntellandosi i pugni sui fianchi. «Ho dimenticato l’accappatoio… Non posso bagnare i corridoi, rischierei la sala torture…»
     
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