how to disappear completely

post-q10 | @ casa cw | ft. sorta

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    Quattro giorni, cinque ore e ventisei minuti da quando il mondo sarebbe dovuto finire. Sì, perché la fine sarebbe stata comunque meglio di tutto questo. L’oblio. Il nulla.
    Invece il mondo aveva continuato a vivere… ma a quale prezzo?
    Le dittature che l’umanità aveva conosciuto non solo nell’ultimo secolo, ma in tutta la sua storia, impallidivano al cospetto di ciò che adesso si stava solidificando.
    Il dolore e la morte che ognuna di queste avevano scatenato non era che un granello di sabbia, se paragonato a ciò che, in pochi giorni, si era già verificato. Genocidio e sterminio di massa non riuscivano a dipingere in pieno l’ondata di distruzione che si era riversata su tutto il globo, sommergendo i suoi abitanti.
    La sconfitta non era solo quella del mondo intero, ma anche la sua. Tutti gli ideali in cui aveva sempre creduto, con i quali era stato cresciuto, si erano infranti come una bellissima e complicata e fragile e inutile scultura di vetro. Non era rimasto più nulla, se non un nuovo, antichissimo regime e la sua immensa portata di distruzione.
    Se almeno il mondo fosse imploso, per davvero, stavolta, avrebbero tutti smesso di soffrire. Non riusciva a immaginare nulla di più terribile della morte delle persone che amava… a parte questo. Un mondo fatto di ideali fascisti e morte era un mondo invivibile. Lo sapeva perfettamente, così come sapeva, per ciò che gli era sempre stato insegnato, che anche i suoi cari la pensavano così.
    Meglio morti che fascisti.

    Quattro giorni, cinque ore e ventisei minuti da quando Bertie sarebbe dovuto morire. Sì, perché la fine sarebbe stata comunque meglio di tutto questo. L’oblio. Il nulla.
    Invece Bertie aveva continuato a vivere… ma a quale prezzo?
    Eppure, era davvero morto. Era morto nell’istante esatto in cui aveva sentito artigli invisibili strappare via la magia dal suo corpo, dalla sua anima, dal suo essere. Aveva desiderato con tutto sé stesso rimanere così, vuoto, raggiungere e unirsi al nulla, perdersi nell’oblio, perché la magia era lui, e lui era la magia.
    Ma qualcosa si era insinuato al suo posto, riempiendo ogni crepa, visibile e invisibile, e ogni vuoto. Qualcosa aveva annullato il nulla, ma lo aveva anche amplificato. Gli si era arrampicato dentro, prendendo a scorrere insieme al sangue, avvelenandolo.
    Non era morto, ma avrebbe voluto esserlo.
    Quattro giorni, cinque ore e ventisei minuti da quando Bertie non era più sé stesso.

    Aprì gli occhi, o forse riprese semplicemente a vedere, ritrovandosi a fissare il soffitto bianco illuminato da uno spicchio di sole della sua stanza. Da due giorni, dopo essere stata dimessa dal San Mungo, quella era l’unica vista che si concedeva. Non voleva guardare il mondo da quella nuova, e marcia, prospettiva. Non voleva guardare sé stessa. Anche perché, in fondo, cosa avrebbe visto? Avrebbe potuto accettare di non essere più Adalbert Behemoth; dopotutto, non lo era mai stata davvero. Ma ora non era più, e stavolta per sempre, Albert Cox-Bulgakov-Wood.
    Eppure, era qualcuno.
    Un qualcuno che non riusciva a riconoscere, che non voleva riconoscere, che da giorni non si alzava dal letto, nella sciocca speranza di potersi annullare una volta per tutte.
    Non era del tutto sicura di come avesse fatto a tornare a Londra, né di come fosse arrivata prima al San Mungo e poi a casa. Non le importava. L’apatia era sempre stata la sua maschera più riuscita e, adesso, era l’unica che le rimaneva, perché la menzogna aveva preso il sopravvento su ogni altra cosa. La menzogna le si era attaccata addosso, trasformandola dentro e fuori, rendendola a tutti gli effetti una parodia di sé stessa.
    A casa, aveva guardato in faccia i suoi amici, ma non li aveva davvero visti. Non aveva aperto bocca, né si era preoccupata di ascoltare se e cosa avessero da dirle. Si era limitata a trascinarsi in camera, da dove non era più uscita.
    Voleva solo nascondersi.
    Voleva solo sparire.

    Quando sentì la porta aprirsi, non si mosse, convinta che fosse Jekyll che, come al solito, controllava che non fosse morta con il suo bastoncino (scusate è canon, dopo un intero post serio la stronzata di voleva). Lui che ancora era sé stesso.
    Non proferì parola, non volendo sentire il suono di quella voce non sua.
    Di Bertie non rimaneva che quel cuore spezzato, che si ostinava a continuare a battere.
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    Chissà se viviamo davvero a Londra o sono io che vivo nel mio au.


    Edited by sehnsüchtig. - 9/6/2023, 23:17
     
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    Aveva accompagnato Bertie al Sant Mungo, lì l'avevano ricoverato e non aveva più potuto fargli visita. Lei stava fin troppo bene quindi le cure erano state abbastanza immediate e non si era potuta fermare in ospedale perché non faceva parte della sua famiglia e non poteva nemmeno giocare la carta della paziente perché c'era bisogno di liberare spazio per pazienti più gravi. Non era riuscita ad andare a fargli visita nemmeno i giorni successivi perché la scuola aveva ripreso come se la guerra non fosse mai esistita e nessun prof aveva preso in considerazione l'idea di promuovere tutti felicemente come aveva ben cercato di instillare a Euge. Che uomo inutile. Non che non fosse capace di passare degli esami, tsk ma una pausa dopo la guerra se la meritava anche lei. Di Bertie, non aveva saputo più nulla, gli aveva anche scritto per sapere come stava, per avere informazioni ma non aveva ricevuto nessun gufo indietro. Le ipotesi erano tre:
    1) Non voleva sentirla, vederla e parlarle
    2) Stava male
    3) Era incazzato a morte con lei
    Probabilmente erano tutte e tre vere e c'aveva pure ragione ma la situazione non le piaceva. La scena a cui aveva assistito, le metteva i brividi ogni volta che la mente osava soffermarsi. Un brivido a percorrerle la schiena ogni qual volta ricordava quelle piante avvolgere le gambe nemiche affondando le spine nella loro carne. Aveva temuto il peggio anche se la parte peggiore era arrivata dopo. Non aveva ancora realizzato ciò che aveva fatto alleandosi con Abbadon e non aveva intenzione di farlo, lo avrebbe rilegato come file danneggiato e riposto nei meandri della sua mente. Eppure, eppure, non poteva far finta che non fosse successo niente perché qualcosa era successo, qualcosa era cambiato, anzi, tutto era cambiato. Andare a cercare Bertie era il minimo che potesse vare. Qualcuno avrebbe potuto dire che Sorta fosse addirittura preoccupata per Bertie ma come poteva non esserlo quando Bertie sembrava sparito dalla faccia della terra? Bertie? Bertie prezzemolino che non sprecava tempo per battibeccare e per rinfacciarle qualunque cosa dicesse o facesse? Trascorse qualche giorno ad aspettare si facesse vivo ma non troppi giorni dopo decise di aver aspettato a lungo e che toccava a lei sgattaiolare via da Hogwarts e andare a rompergli i coglioni come lei sapeva fare.

    [...] [salto questa parte perché sto morendo e sono sopra le milleduecento parole]
    «bertie?» Alzò lo sguardo verso il letto aspettandosi di trovare il ragazzo e invece trovò una figura altrettanto familiare che non vedeva da quel fatidico ballo. Si stavano davvero prendendo gioco di loro, un regalo un cazzo. Osservò sconcertata la figura di Rita adagiata sul letto. L'ultima volta che aveva visto Bertie era semplicemente... beh, Bertie. Era assurdo pensare anche solo che lui avesse ripreso quella pozione, quindi non ci mise troppo a fare 2+2. L'accaduto a Stonehenge, la perdita della magia e gli special. Bertie doveva essere diventato uno di loro. Rimase gelata sulla porta qualche istante, si aspettava l'inferno ma a quello non era pronta e poiché si aspettava anche le lanciasse un fiume di insulti solo a vederla, si avvicinò sedendosi per terra, in silenzio, appoggiando la schiena contro il letto, guardando davanti a sé. Li avrebbe accettati, se li meritava anche alcuni. Dopotutto se lui era diventato così era anche colpa sua. Se fosse stata contro Abbadon probabilmente non sarebbe cambiato nulla, anzi, forse anche lei sarebbe diventata una special. Non sarebbe cambiato poi molto ma almeno non si sarebbe sentito ferito, tradito o solo o qualunque cosa gli stesse passando per il cervello in quel momento. Se si pensava che fra tutti i poteri che avrebbe potuto avere, aveva sviluppato la metamorfosi... well, l'ipotesi che l'universo si stesse prendendo gioco di loro non sembrava più tanto infondata. Era rimasta seduta a fissare il vuoto davanti a sé per qualche minuto ormai, aveva perso il conto del tempo ormai e non si era ancora degnata di guardarla. L'atmosfera che avvolgeva quella stanza era così diversa dall'ultima volta che aveva visto Bertie sotto quelle sembianze. «ho portato da bere» sorrise alzando la bottiglia di alcool per fargliela vedere, per poi riporla nella borsa «ma al momento non mi sembra il caso» al massimo sarebbe finita per scolarsela tutta lei, che problema. Ne aveva bisogno pure lei adesso. In tutto ciò non aveva osato girarsi verso Rita o Bertie o Rita o Bertie insomma lei? lui? loro? Eh. Era un po' confusa. Bertie e basta. Soprattutto al momento che non sembrava affatto contento di essere nei panni di una ragazza e anche per quello, aveva pensato fosse meglio non guardarla. Fuck it, doveva affrontarlo. «non puoi lasciarti morire così» Si girò a guardarla intensamente per qualche istante. Ignorare il fatto che si fosse trasformato nella sua versione femminile era sciocco, inutile e non li avrebbe portati da nessuna parte ma guardarla troppo a lungo stava facendo riaffiorare ricordi che aveva deciso di seppellire nella sua memoria per non farli tornare a galla. Si alzò di getto, avvicinandosi alla finestra per aprirla e cambiare l'aria. Rimase ferma in mobile a fissare l'esterno, si raccolse i capelli e sospirò. Lì ci sarebbe stato tanto lavoro da fare e avrebbe dovuto combattere, di nuovo. Questa volta si avvicinò sul letto prendendola per mano per cercare di metterla seduta, al massimo cercando di sistemarle il cuscino dietro la schiena per far in modo che si appoggiasse lì e poi si sedette a sua volta a gambe incrociate sul letto, faccia a faccia con Bertie. O almeno, ci provò. Se avesse avuto qualcosa da dirle lo avrebbe lasciato fare, non senza ribattere se necessario. Non lo avrebbe trattato diversamente dal solito perchè non era quello di cui aveva bisogno in quel momento. Non era il momento di compatirsi, lo aveva già fatto troppo a lungo, ora bisognava passare all'azione. Lei era l'azione. «non è niente di irreparabile, questo» disse facendo un cerchio con l'indice attorno alla sua figura. Avere quel potere al posto della sua magia era irreparabile ma tornare alla sua forma originale? Non lo era affatto. Come si era trasformato poteva tornare benissimo indietro. «non rimarrai per sempre una ragazza, bertie, riuscirai a tornare te stesso» ma forse avrebbe dovuto prima capire che lui era sempre lo stesso, il corpo poteva anche cambiare ma di fronte a sé aveva comunque il Bertie di sempre. «dovrai imparare a controllarlo, nessuno ti obbligherà a trasformarti in qualcosa che non vuoi essere e che ti fa sentire a disagio» lo metteva a disagio? Anni prima non era stato così e ci sperava ancora perchè altrimenti anche il teatrino che avevano messo su quell'estate, nella sua falsità, era falso. Stava solo attraversando un brutto periodo, la vittoria di Abbadon, la successiva perdita della magia, un nuovo sé a cui non era abituato, tutto quello doveva aver reso quella situazione insopportabile. «ti aiuterò io» non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo, di cosa significasse essere una special, cosa si provasse e come potesse effettivamente essergli d'aiuto per sbloccare quella parte di sé che al momento lo vedeva bloccato ma Sorta lo conosceva, era diretta e brutale quando serviva e sperò che questo potesse bastare a rimetterlo sulla retta via, altrimenti il piano B era raddrizzarlo prenderlo a scazzottate, prima o poi avrebbe colpito il nervo giusto per farlo tornare a posto.
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    DIOOOOO È SCRITTO DI MERDA LO ODIO MI DISPIACE MI RIFARÒ AI PROSSIMI. SONO A TANTO COSÌ DAL BRUCIARE E TUTTO E RISCRIVERLO MA MEGLIO POSTARLO ORA COSÌ NON LO RILEGGO MAI PIÙ

    doveva essere un post emotional e invece sto ridendo perchè immagino una sorta alla levi di attack on titan invece che essere alle prese con le pulizie è bertie che deve mettere a posto


    Edited by sort(a) of motherfika - 6/6/2023, 03:54
     
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    Poteva ripetersi finché voleva che dentro di lei, adesso, c’era solo il vuoto, ma non era vero nulla. Dentro di lei c’era troppo e ogni frammento di quel troppo era sbagliato. Era sempre stata una persona razionale, si era sempre sforzata di esserlo. Non aveva tempo, né voglia, per i sentimenti. Molto meglio essere efficienti, sempre e comunque, programmando sin nel dettaglio ogni istante. Ma quante volte, negli ultimi anni, era successo esattamente il contrario? Persino quello che riteneva il proprio ultimo, vero barlume di razionalità era, in realtà, il completo opposto. Quella folle missione in un altro tempo non aveva alcun senso, adesso. E forse non ce l’aveva mai avuto. Già allora, in un qualche modo, aveva cominciato a perdere sé stessa.
    Eppure nulla poteva prepararla al caos che, adesso, imperversava in ogni angolo del suo essere. O forse lei stessa, adesso, era il caos. Perché non era lei. Perché non era più Albert, e non lo sarebbe stato mai più. Tutto, nella sua mente, persino nel suo maledetto cuore, quello che mai si era preoccupata di stare ad ascoltare, gridava. Urlava per sé stessa e per il mondo, due cose che, arrivati a questo punto, sarebbero dovute sparire, sarebbero dovute essere già morte.
    Invece erano ancora lì, nella peggiore delle realtà possibili.
    Scegliere di non fare nulla per buttare fuori tutto ciò che sentiva dentro era, però, un atto di studiata razionalità. Era un modo per implodere dall’interno. Bertie voleva farsi del male. Voleva che il dolore la soffocasse, che arrivasse, paradossalmente, a cancellare persino sé stesso. Per questo teneva le labbra sigillate, la mascella così contratta da farle male. Se solo avesse lasciato uno spiraglio, tutto quel dolore, tutta quella rabbia, sarebbero fuoriusciti, impedendole di usarli come un’arma contro sé stessa.
    Se per il mondo non poteva fare più nulla, perché avevano perso tutto, e per sempre, almeno poteva qualcosa per sé stessa. O meglio, per ciò che ne rimaneva. Aveva già smesso di vivere. Ora doveva solo trovare il modo per cessare completamente di esistere.
    Tuttavia, era incapace di compiere un gesto plateale, di prendere la situazione in mano. Non poteva fare un incantesimo, naturalmente, ma c’erano infiniti modi per porre fine a una vita, tutti molto più veloci e puliti. Tutti molto più decisi, e coraggiosi. Per Bertie, però, non erano contemplabili. Era terrorizzata. Si odiava per sentirsi così, e odiava sentirsi così; eppure, al contempo, quel dolore che generava altro dolore era un veleno così dolce e intossicante da essere diventato l’unica cosa di cui pensava di avere bisogno.
    Perché era masochista. Perché era codarda, proprio come l’aveva definita Sorta.
    “Sorta.”
    Nel turbinio di pensieri che infestavano la sua mente, l’immagine della ragazza si era ripresentata più e più volte e, forse, non era mai svanita del tutto. Ora più vicina, ora più lontana, Sorta Motherfucka era sempre lì, pronta a lanciarle uno sguardo giudicante, pronta a farle capire che, una volta per tutte, le loro vite non avrebbero mai e poi mai trovato un modo per incrociarsi.
    «bertie?» Il leggero sussulto che la percorse finì per farle schiudere le labbra, rischiando di lasciare sfuggire fuori quel dolore che sentiva dentro. Non era la voce di Jekyll, e non le arrivò ovattata e lontana. Per un attimo, provò l’impulso di mettersi a urlare, pronta a dire che no, non era Bertie, non più. Ma si costrinse a serrare nuovamente i denti, mantenendo lo sguardo fisso sul soffitto.
    Perché Sorta non poteva essere lì. L’aveva stretto, sul campo di battaglia. Si era accertata che lui non fosse morto. Ma poi il mondo era precipitato su sé stesso, letteralmente e metaforicamente, e tutto aveva smesso di avere senso. Sorta era tra i vincitori. Doveva essere tornata a casa, a Hogwarts. Doveva essere tornata alla sua vita, finalmente libera da lui, una volta per tutte e per davvero, questa volta. Perché lui non esisteva più.
    Percepì un fruscio, dei passi che si avvicinavano, quindi un peso leggero che muoveva appena il materasso. Le sembrò di sentire persino il suo profumo, ma non poteva essere… Eppure mosse una mano, quella più vicina a dove sembrava esserci qualcuno, lei, volendo quasi accertarsi con il tatto, ma non con la vista, di starsi immaginando tutto. Ma poi, nuovamente, la paura ebbe la meglio, e la mano tornò ad appoggiarsi al materasso, inerme.
    «ho portato da bere… ma al momento non mi sembra il caso» Anche se solo nella sua mente, però, Sorta Motherfucka riusciva a essere irritante. Le sfuggì un sospiro appena più forte, mentre tutto il resto di lei rimaneva lì, immobile. Non aveva più senso nemmeno discutere. Soprattutto se, poi, era tutto nella sua testa, in quel guazzabuglio senza né capo né coda, in quel caos che, sperava, presto l’avrebbe inghiottita del tutto. Ma il profumo di lei c’era ancora, così come il rumore leggero prodotto dal suo respiro. Le sembrò persino di poterla sentire riflettere. «non puoi lasciarti morire così» Ecco qui. Certo che era tutto nella sua stessa testa. Il corpo, traditore, quel corpo che era suo ma non lo era, non si era ancora rassegnato all’idea di smettere di esistere. Dunque, adesso, aveva trovato questa scappatoia, illudendosi di poter ingannare la sua mente, senza rendersi conto che, almeno lì, un barlume di Albert Cox era sopravvissuto, in un qualche modo. «Sono già morto», sentenziò quindi dopo parecchi istanti, con voce bassa e roca. Una voce che riconobbe, a malincuore, ma che non poteva essere la sua. «Devo solo completare l’opera.»
    Era totalmente stupido parlare con sé stessa ad alta voce, ma in mezzo a quell’oceano di insensatezza non era poi così assurdo. Dopotutto, sentire esprimere i propri pensieri da quella voce famigliare era un modo come un altro per farsi ancora più male. Così come lo era vedere Sorta, con la coda dell’occhio, alzarsi e aprire la finestra. Forte di questa consapevolezza, Bertie si concesse di voltare appena il capo, rimirando la propria bravura nel dipingere con la mente la figura minuta della Motherfucka. La vide raccogliersi i capelli, ora divisi in tante piccole trecce, e sospirare. Fece appena in tempo a domandarsi se sarebbe stata altrettanto brava a ritrarre il suo viso, perché, proprio in quel momento, Sorta si voltò, smettendo di darle le spalle. Non si stupì, trovandosi davanti ogni più piccolo particolare di lei: sapeva di essere bravissima in ogni cosa e, dunque, la sua immaginazione non faceva eccezione.
    Fu solo quando incontrò lo sguardo di lei che tutto iniziò a vacillare. E poi Sorta le prese una mano. Si ritrasse, di scatto, solo per scoprirsi troppo esausta per fare altro, per fuggire, per sparire. Non avrebbe fatto niente. Non avrebbe detto niente. Non… «Non toccarmi», sibilò tuttavia, incapace di trattenersi. Gli occhi già le bruciavano, quindi li strinse con forza, sentendosi una bambola tra le mani di Sorta, che, impacciate ma decise, la facevano sedere con la schiena contro il cuscino.
    Non poteva essere lì davvero.
    Non aveva senso.
    Bertie sentì premere ovunque, dentro di sé, tutto il caos in cui, da giorni, si cullava.
    «Che cazzo ci fai qui? Non dovresti essere a casa? A Hogwarts? A festeggiare questo nuovo, orrendo mondo?», le soffiò nuovamente contro, non trovando però il coraggio di aprire gli occhi. Non voleva a vederla. Non davvero. Sapeva di non poterla semplicemente guardare, come aveva invece fatto con Chelsey, con Hyde, con Jekyll. Come aveva fatto con quel frammento di mondo che, inevitabilmente, aveva dovuto affrontare da quando non era più Bertie.
    Ma vederla avrebbe significato anche farsi ancora più male. Così aprì gli occhi. E la vide compiere un gesto, mentre le diceva che quello, che lei, non era niente di irreparabile. Il caos le ululò dentro. «Non è…» Una risatina strozzata le gorgogliò nella gola. «Non è irreparabile La fissò, gli occhi sgranati, un sorrisetto isterico sulle labbra. «Non è irreparabile?? Tu vieni qui a dire a me che tutto questo… non è irreparabile. Tu. C’eri anche tu in quel campo di battaglia. Hai visto cosa è successo. Lo sai.» «non rimarrai per sempre una ragazza, bertie, riuscirai a tornare te stesso» «Quindi secondo te è questo il problema?» Non poteva crederci. «Non eri quella intelligente, Sorta? Non ti sei sempre vantata di capire tutto, di essere superiore a tutti?» Sebbene le facesse male, o forse proprio per questo, la guardò negli occhi, carica di disprezzo. «Pensi che il mio unico problema sia aver perso il mio maledetto pene?? Ho perso la mia magia. Ho perso me stesso.» Le lacrime che si sforzava di trattenere gli facevano bruciare sempre di più gli occhi, serrandogli la gola in una morsa. Non era mai stato bravo a non piangere, neanche quando era ancora sé stesso, ma adesso quel corpo traditore era ancora più debole, ancora più incline a quella stupida manifestazione di emozioni. «Io quel giorno sono morto, Sorta. Esiste questo corpo, ma io…» La voce le morì in gola, soffocata da un singhiozzo. Si odiava con tutta sé stessa.
    Avrebbe voluto strapparsi via la carne, gli occhi, il cuore, cessare finalmente di esistere in tutto e per tutto. Invece, come un’idiota, stava piangendo. Si coprì il volto con le mani, scossa da singhiozzi, maledicendosi sempre di più. E maledicendo Sorta. «Vattene. Vat-» «ti aiuterò io» «… Cosa?» Aveva sentito bene? Sorta Motherfucka le aveva appena detto che l’avrebbe… aiutata? Sbatté le palpebre, facendo scorrere ancora di più le lacrime. Come una pazza, insieme ai singhiozzi fece capolino una risata acuta, isterica. «Sei un’ipocrita del cazzo! Aiutarmi! Sorta Motherfucka che aiuta qualcuno!» Un’altra risata, stridula come un graffio su una lavagna. « È anche colpa tua se… se sono un mostro.» Cercò di darsi un contegno, strofinandosi gli occhi e asciugandosi il viso, sebbene le lacrime di rabbia e di dolore continuassero a scendere copiose. «Ti odio.» E odiava anche sé stessa.
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    Inizialmente non aveva ricevuto risposta ma Sorta aveva continuato a parlare, fargli domande e stuzzicarlo fino a quando lui non le aveva nuovamente rivolto la parola. «sono già morto. devo solo completare l’opera.» seduta per terra con la schiena contro il letto osservò la porta che aveva chiuso dietro di sè poco prima. Avrebbe dovuto davvero sfondare quella porta per farlo uscire fuori dal suo guscio. «allora non sei morto» essere irritante era una delle sue migliori caratteristiche. Quando Sorta si alzò per prenderle la mano, Bertie ritirò di scatto la mano. «non toccarmi» presa alla sprovvista esitò bloccando la sua mano poco distante dal corpo della ragazza prima di scuotere la testa e stringerla con ancor più fermezza. Non era andata lì per mollare alla minima difficoltà e lasciarsi comandare a bacchetta. «taci e lasciami fare» disse linciandolo con uno sguardo mentre la sistemava seduta «che cazzo ci fai qui? non dovresti essere a casa? a hogwarts? a festeggiare questo nuovo, orrendo mondo?» Bertie non aveva ancora osato aprire gli occhi per guardarla. Si sedette anche lei sul letto, di fronte alla figura della ragazza, in attesa. «sì, le lezioni sono riprese normalmente. è come se avessero fatto finta di niente.» alzò le spalle con un sospiro chiudendo anche lei, come lui, gli occhi beandosi di quegli attimi di silenzio che ad Hogwarts avrebbe avuto solo allontanandosi un po' da tutti. Le piaceva il caos, le persone che parlavano e riempivano i silenzi ma apprezzava allo stesso modo quel silenzio. «per quanto mi riguarda... oggi ho saltato le lezioni.» Sorta non saltava le lezioni, soprattutto se mancava così poco alla fine del suo percorso scolastico e agli esami, non era una cosa che faceva spesso almeno, solo se aveva un buon motivo per farlo. Aveva saltato le lezioni per essere lì e a ripensarci effettivamente era un po' stata scema, quando mai lo aveva fatto? «non volevo continuare a far finta di niente e» lasciò vagare il suo sguardo sul resto della stanza, cercando di dare un senso a quello che aveva fatto. «volevo sapere com- non hai mai risposto alle mie lettere o ai miei messaggi da quel giorno» neanche un semplice vaffanculo, un insulto, uno sciorinamento di 10 pagine su quanto fosse stata idiota a combattere per Abbadon. Niente. Si era preoccupata. Non era abituata a mostrarlo o a farci i conti. «non è- non è irreparabile? non è irreparabile?? tu vieni qui a dire a me che tutto questo… non è irreparabile. tu. c’eri anche tu in quel campo di battaglia. hai visto cosa è successo. lo sai.» certo che c'era stata. Era andato tutto a puttane da un istante all'altro. Certo he c'era, gli era rimasta accanto fino al momento in cui l'avevano portato in ospedale. Aveva visto Abbadon prendere potere, trasformare i presenti in ombre, aveva visto con i propri occhi di cosa fosse capace. «quindi secondo te è questo il problema?» well, non IL problema ma «uno dei tanti, sì» e lo sapeva benissimo anche lui anche se probabilmente era troppo immerso nella sua autocommiserazione per potersene accorgere. «non eri quella intelligente, sorta? non ti sei sempre vantata di capire tutto, di essere superiore a tutti?» Anvedi sto stronzo. E di lì a qualche momento gli avrebbe detto anche di non essere più Bertie li mortacci sua. ignorò lo sguardo carico di disprezzo ma gli diede comunque un pugnetto sulla spalla. Sapeva più di lui, sapeva. «pensi che il mio unico problema sia aver perso il mio maledetto pene?? ho perso la mia magia. ho perso me stesso.» non ci credeva ma manco morta. Bertie era e Berti era rimasto, uguale spiacciato a prima con solo qualche trauma in più, magia in meno e un corpo tutto al femminile. «hai perso la magia, non hai perso te stesso. davvero ti stai riducendo a quello?» Come faceva a pensare di essere ciò che era solo grazie alla magia. Non era la magia ad averlo reso il cretino saccente che era sempre stato, non era stata la magia a prendere scelte per lui, non era stata la magia a plasmarlo. Era sempre stato un mago, plasmava la magia a proprio piacere ma non era la magia. «io quel giorno sono morto, sorta. esiste questo corpo, ma io…» la vide coprirsi gli occhi con le mani, nascondendo quelle lacrime i cui singhiozzi non erano altrettanto semplici da nascondere. «ma tu niente. esisti, ci sei ancora. sei sempre il solito bertie. un corpo diverso non fa di te una persona diversa, nemmeno la presenza o l'assenza di magia. tu sei tu. e nessuno potrà mai togliertelo.» Aveva allungato la mano verso di lei per sfiorarla ma la ritrasse appena la guardò negli occhi. Non era minimamente la benvoluta lì. «vattene. vat-» ma non di mosse. Se voleva buttarla fuori da quella casa avrebbe dovuto farlo lei stessa con le sue manine, uscendo da quella stanza. Non aveva accettato nemmeno il suo aiuto. «… Cosa?» Aveva piuttosto sgranato gli occhi, sbattuto le palpebre incredula, ancora con le lacrime che scorrevano sul viso e le aveva riso in faccia. «sei un’ipocrita del cazzo! aiutarmi! sorta motherfucka che aiuta qualcuno!» un sorriso amaro si fece largo sul suo volto mentre ascoltava la risata dell'altra. «è anche colpa tua se… se sono un mostro.» questo aveva fatto male. Perché era la verità, perché lei non avrebbe mai voluto che tutto ciò accadesse, però l'aveva sempre saputo. Le pesava un sacco ammetterlo ma era stata lei quella codarda dei due alla fine. Aveva preferito combattere la guerra sì, ma con la sicurezza che niente le si sarebbe rivolto contro piuttosto che combattere per andare contro a quel regime. Era anche colpa sua se lei ora era una special ma allo stesso modo se fosse stata fra i ribelli, niente sarebbe cambiato, sarebbe diventata una special anche lei ma probabilmente non sarebbe servito a nulla, non sarebbe cambiato un cazzo. Alzò lo sguardo verso la ragazza che si stava strofinando gli occhi e il viso. Avrebbe voluto dirle che non c'era bisogno, che poteva continuare a piangere se ne necessitava ma rimase in silenzio e solo dopo qualche secondo tornò a parlare «non sei un mostro, idiota» non avere la magia, essere diventato special, tutto ciò non lo rendeva un mostro. Era sicura che non lo aveva nemmeno mai pensato guardando uno special prima. Si odiava così tanto perché non si riconosceva, pur essendo sempre lo stesso. «che poi che cosa è un mostro se non le nostre stesse paure che affiorano» e di paura, Bertie ne aveva tanta. Avrebbe voluto essere in grado di rassicurarlo ma non poteva. Per quanto ci provasse, lei non avrebbe mai capito a pieno tutto quello che stava provando il ragazzo. «tu pensi che io sia felice per quello che ti è successo? non sei tanto più intelligente di me» ricordava benissimo le parole che le aveva riservato poco prima. Il fatto che immaginava stesse festeggiando a Hogwarts il nuovo mondo, come se a lui e altri suoi amici non fosse accaduto nulla, come se il mondo non fosse stato fatto a pezzi davanti ai propri occhi. Odiava vederlo star male, certo che era anche colpa sua ma sarebbe successo anche se lei si fosse unita alle schiere ribelli. «ti odio.» sorresse lo sguardo di Bertie e il carico di quelle parole. Se lo aspettava ma non per questo faceva meno male. Non erano parole sparate al vento, erano vere. Non era qualcosa per cui con il tempo sarebbe passata da sola. Fra l'altro non si erano mai odiati, non davvero. Stuzzicarsi fino a colpire ognuno i punti deboli dell'altro? Sì. Odiarsi? Non l'avevano mai fatto. Eppure ciò che le aveva riservato da quando era arrivata lì erano state tutte parole e sguardi carichi di odio. «io no»
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    In a little while… I’ll be gone.
    «Allora non sei morto.»
    Purtroppo Sorta aveva ragione.
    Se fosse stato morto, nulla avrebbe avuto più importanza. La guerra, i morti, il regime. Lui, o meglio, lei. Non avrebbe più sentito nulla. Mai più.
    Lo desiderava con tutta sé stessa. Lo temeva con tutta sé stessa.
    E dire che lei, di morte, era un’esperta. Le era passata vicina tante, troppe volte, sfiorandola e lasciandola, almeno in apparenza, illesa. Eppure, in ogni occasione, si era sentita morta. E cosa aveva fatto, negli ultimi tre anni, se non cullarsi in quella esistenza che però non era vita? Se già prima il suo mondo era scomparso, adesso aveva la consapevolezza che non sarebbe mai nemmeno nato. Tutto era cambiato per sempre.
    Lei era cambiata per sempre.
    Si era sentita morta così a lungo da convincersi di non poter scivolare ancora più in basso. E invece adesso era lì, intenta a scavarsi una fossa senza fine.
    «Respirare ancora non significa non essere morti.» Ma avere un cuore che batte? In quei tre anni nel passato non aveva mai davvero vissuto. Se non prima, quando Nice era ancora quella di sempre. Se non quando il passato e il futuro e il presente si erano mescolati nelle espressioni, nelle risate dei suoi amici di un tempo e di quel tempo lì, di quel tempo distorto.
    Se non quando, intenta a insultarlo, c’era stata Sorta.
    Sorta che, anche ora, persino ora, gli diceva di tacere.
    Se fosse stata viva, quel commento le avrebbe strappato una risata strozzata, o almeno l’ombra di un sorriso. Rimase invece impassibile e, cosa ancora più strana, non ribatté nulla. Che senso aveva, dopotutto? Discutere con lei avrebbe significato ammettere che da qualche parte, in quel corpo estraneo (ma non così estraneo) Albert c’era ancora.
    Avrebbe voluto attenersi a quel copione, per dimostrarle di avere, come sempre, ragione. Ma le parole erano lì, incastrate in gola, che raschiavano e graffiavano per uscire, per essere vomitate fuori. Se le avesse lasciate libere, forse avrebbe trovato la forza per liberarsi a sua volta.
    Purtroppo Sorta aveva ragione.
    Era una codarda, ancora una volta.
    «sì, le lezioni sono riprese normalmente. è come se avessero fatto finta di niente.» «Naturalmente.» Un lieve, lievissimo sorriso, pieno di amarezza, le attraversò per un istante le labbra. «Cosa importa della distruzione, dei morti?» Quelli veri, a differenza sua. «Tutto ciò che conta è che l’ordine sia stato ristabilito. Mezzo mondo è in fiamme, e in catene, ma voi fate finta di niente.» La bile le faceva bruciare la gola, ma strinse le labbra con fermezza, ricacciando indietro l’ondata di nausea. Non si aspettava altro, ma non per questo faceva meno male. Proprio come non faceva meno male sapere benissimo da che parte si era schierata Sorta. Sorta che… «per quanto mi riguarda... oggi ho saltato le lezioni.» … saltava le lezioni?
    Questa le era nuova.
    Il vecchio Bertie, il vero Bertie, non si sarebbe fatto sfuggire un’occasione del genere.
    Ma lei?
    Lei non era viva.
    Non meritava di provare un tuffo al cuore, sentendo quelle parole. Per la sorpresa. Per il dispiacere. Per l’emozione.
    Per la certezza che Sorta, ancora una volta, aveva scelto. Per la consapevolezza che l’aveva fatto per lui, che aveva scelto lui.
    Vacillò, Bertie, per un lungo istante. Come poteva continuare a far finta di niente quando lei… non lo stava facendo? Per un lungo, lunghissimo istante, provò l’impulso di lasciar cadere ogni barriera. Poteva condividere con Sorta quel poco di vita che le rimaneva. Non era più lui, non lo sarebbe stato mai più, ma forse, forse
    «volevo sapere com- non hai mai risposto alle mie lettere o ai miei messaggi da quel giorno»
    «I morti non rispondono alle lettere. E neanche ai messaggi.» Ora si sentiva di nuovo salda. O meglio, morta. «Ma tu avevi bisogno di ripulirti la coscienza, vero? Di sapere che andava tutto bene, per andare avanti con la tua vita.» In fondo al cuore sapeva che le cose non stavano affatto così, eppure andò avanti per quella strada. Perché il battito del suo cuore, adesso, era solo un riflesso di ciò che era stato. Un’eco. «Sei brava a fingere, ma questa volta… non abbastanza.»
    Una parte di lei desiderava che Sorta la contraddicesse, che difendesse con le unghie e con i denti il suo diritto di essere preoccupata. Ma a cosa sarebbe servito? Era finita. Tutto era finito. Lei era finita.
    Eppure, nelle lacrime traditrici che non riuscì a trattenere c’era anche questo. C’erano il dolore, la rabbia, la paura… e c’era, in quel mare, una goccia di speranza. Le parole si impastarono con il pianto, colpendola in prima persona più di quanto avrebbe voluto. Dopotutto, era il suo stesso della sua voce a farle male. Perché non era sua. Nulla, in quel corpo, era suo, fatta eccezione per il dolore. «Hai perso la magia, non hai perso te stesso. Davvero ti stai riducendo a quello?» Perché Sorta non voleva capirlo? «In caso non te ne fossi accorta, in questo mondo di merda in cui anche tu hai condannato tutti a vivere la magia, e la sua assenza, sono tutto», le fece notare stizzita, cercando di mettere un freno alle lacrime che, imperterrite, continuavano ad appannarle la vista. Se era morta, perché faceva così male? «Credevo di aver già perso la mia identità, ma questo… questo…» Non riuscì a concludere la frase, rendendosi conto di quello che aveva detto, nell’impeto della rabbia e della sofferenza. La magia era tutto quello che le restava della sua famiglia. Senza non era nemmeno un orfano.
    Era il nulla.
    Possibile quindi che Sorta si ostinasse a vederci qualcosa, in quel niente più assoluto?
    «Ma tu niente. Esisti, ci sei ancora.»
    Un battito.
    «Sei sempre il solito Bertie. Un corpo diverso non fa di te una persona diversa, nemmeno la presenza o l’assenza di magia.»
    Due battiti.
    «Tu sei tu. E nessuno potrà mai togliertelo.»
    Tre battiti.
    «No.» La freddò con lo sguardo, sebbene desiderasse ardentemente il tocco della sua mano – e sapesse al contempo che, se si fosse avvicinata troppo, l’avrebbe allontanata in malo modo. La fissò, domandandosi come fare per annegare una volta per tutti in quegli occhi scuri. «Non capisci. Non puoi capire.»
    Non era mai stato un adolescente piantagrane, Albie. Uno di quelli che fanno di tutto per creare problemi, per dire sempre tutto e il contrario di tutto. Non perché non fosse un insopportabile dito nel culo, al pari di suo padre, anzi. Semplicemente, non era mai stato un adolescente. Non davvero, almeno. Era nato vecchio. Ed era anche morto tale, sebbene le parole continuassero a uscire, una dopo l’altra, in un fiume di sentimenti che non avrebbe nemmeno dovuto provare.
    Perché Sorta non la zittiva?
    Perché non la abbracciava?
    Perché non le diceva che sarebbe andato tutto bene?
    «non sei un mostro, idiota» «E invece sì! Guardami!» Finalmente, una risata amara, strozzata, le uscì dalle labbra, bruciando più di mille parole. Cercò nuovamente i suoi occhi e, con uno scatto, le poggiò le mani sulle spalle, scuotendola mentre le ripeteva ancora quell’ordine: «Guardami.
    Voleva nascondersi, Bertie. Ma voleva anche essere vista. Voleva sparire. Ma voleva anche non smettere di esistere.
    Purtroppo Sorta aveva ragione.
    Era davvero, davvero, davvero terrorizzata. Da sé stessa. Da quel mondo. Non riconosceva nessuno dei due e non era sicura di voler imparare a farlo.
    Non era sicura di niente, compreso il come comportarsi, e sentirsi, nei confronti di Sorta. Aveva solo cominciato a rigettarle tutto addosso. Voleva continuare a farlo, eppure desiderava anche tacere, e per sempre. Voleva allontanarla, eppure sperava che annullasse ogni distanza, che le facesse sentire di essere lì, di essere ancora viva.
    Aveva tutto il diritto di odiarla. Entrambe lo avevano.
    «Io no.»
    La fissò, le dita piantate come artigli nelle sue spalle. Cosa aveva appena detto?
    Non odiare poteva significare tante cose, ma nel suo cuore risuonò in un modo e in uno soltanto.
    No, non poteva essere.
    Non aveva senso.
    «No.» Allentò la presa quel tanto che bastava per spingerla via, correndo poi a ritrarsi contro la testiera del letto, lontana da lei. Aveva smesso di piangere, ma le lacrime ancora le rigavano le guance, troppo calde e troppo rosse per appartenere a una persona morta. «Non devi neanche… permetterti. Non ne hai il diritto.»
    Proprio come lei non aveva il diritto di sentirsi in quel modo, accanto a Sorta.
    Viva.
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    Fingiamo che questo post abbia senso, dai.
     
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    i'm not giving up, not gonna run
    i'll be there when you need me
    «respirare ancora non significa non essere morti.» sorrise debolmente, appoggiando la testa contro il muro. Avrebbe avuto bisogno di molta pazienza per ottenere anche il più piccolo dei risultati. «ma tu non stai solamente respirando» sfortunatamente per lui, sarebbe stata brutalmente diretta. «stai soffrendo» più di quanto probabilmente avesse mai sofferto e cosa c'era di più vivo della sofferenza? «ti stai auto-torturando» e questo creava un circolo vizioso con l'affermazione precedente: stava buttando dell'alcool su un incendio già inarrestabile, «mi stai odiando» perché glielo leggeva negli occhi, nelle parole e nei gesti che le stava dedicando. «forse vorresti essere morto ma hai così tanto per cui vivere che ti tiene ancora ancorato qui» se era ancora lì era perchè voleva effettivamente ancora vivere, per uno o più motivi che fossero ed era proprio da quei motivi che doveva prendere la forza per rialzarsi. «stai vivendo e meriti di vivere, di andare avanti» non aveva pretese sul quando sarebbe guarito, l'importante era che iniziasse il processo e che non rimanesse solo con se stesso a compatirsi. Aveva passato già abbastanza giorni a farlo, era ora che trovasse se stesso. «naturalmente. cosa importa della distruzione, dei morti? tutto ciò che conta è che l’ordine sia stato ristabilito. mezzo mondo è in fiamme, e in catene, ma voi fate finta di niente.» lei non stava facendo finta di niente ma non sapeva nemmeno cosa fare. Nel suo piccolo però, aiutare un amico in difficoltà contava come fare qualcosa. «a hogwarts ci sono anche studenti poco più che bambini, hanno bisogno di essere rassicurati» non Sorta Motherfucka che stava difendendo dei mocciosetti. Quanto era scesa in basso, davvero, doveva tornare in carreggiata. «pensi che se fosse andata diversamente e voi aveste vinto, non avreste fatto lo stesso?» non ci sarebbe stata tutta quella distruzione, lo avrebbe ammesso, ma i morti c'erano stati in entrambe le fazioni e ognuno pensava solamente a se stesso dopo una guerra, a leccarsi le ferite, ricacciare indietro i sensi di colpa e far finta che niente di tutto ciò fosse mai accaduto. «i morti non rispondono alle lettere. e neanche ai messaggi. ma tu avevi bisogno di ripulirti la coscienza, vero? di sapere che andava tutto bene, per andare avanti con la tua vita.» no, no, no. Non aveva capito un cazzo come al solito. Sorta nel momento stesso in cui aveva preso la decisione di schierarsi con Abbadon aveva saputo di non poter tornare più indietro, qualunque cosa sarebbe successa. Non era lì per assicurarsi stesse bene, pulirsi la coscienza e alzare i tacchi e andarsene. Non era stato difficile immaginare come si sentisse Bertie ma allo stesso tempo non poteva capirlo del tutto perché a lei non era successo. Si era presentata lì per scusarsi senza aspettarsi nulla in cambio e ancora non ci era riuscita, ma soprattutto, era lì per offrirgli una mano. Le sarebbe anche solo bastato convincerlo ad uscire da quella stanza per un paio di minuti, magari andando a fare una passeggiata assieme o aiutarlo a trovare gli strumenti necessari per "tornare a vivere". Non aveva preso in considerazione quanto odio provasse il ragazzo nei suoi confronti e che, probabilmente, più di tutti, non avrebbe dovuto farsi vedere lì. Dopotutto, lo sapeva. Non poteva tornare sui suoi passi e niente poteva tornare come prima, né lui, né lei, e nemmeno loro. «sei brava a fingere, ma questa volta… non abbastanza.» serrò i pugni, conficcando le unghie nel palmo della mano per cercare di fermare l'irrefrenabile desiderio di tirargli un pugno ben assestato per farlo tornare in sé. Ottimo, almeno aveva involontariamente scatenato la rabbia e aveva smosso qualcosa dentro di lui abbastanza radicato da renderlo meno impassibile e più vivo, anche se doveva accusarne i colpi. «sei proprio un coglione» questa volta non lo disse con la vena ironica con cui di solito insultava scherzosamente Bertie; era seria, quasi fin troppo seria, come se quelle parole l'avessero ferita. Era lì per offrirgli una mano sì, ma non gli avrebbe permesso di diventare il suo sacco da boxe. «non m'interessa se sei incazzato e mi odi, ne hai tutto il diritto ma non osare parlarmi così perché non sai proprio un cazzo di come mi senta io o come stia messa la mia coscienza» perchè la sua coscienza non era a posto, né sarebbero bastate parole rassicuranti a farla stare meglio. Ed era ancora peggio ora che aveva di fronte Bertie, intrappolato in quel corpo, in un pianto incontrollabile. Non l'aveva mai visto così fragile di fronte a lei e l'unica volta che c'era andato così vicino era, non ironicamente, la prima volta che l'aveva visto assumere quella forma ed era stato, sempre in un modo o nell'altro, colpa sua. Ma esattamente come quella volta, quando dopo quanto successo, lui le aveva chiesto di rimanere, lei sarebbe rimasta. «lo sai anche tu che se sono qui e ho addirittura saltato le lezioni è perchè mi interessa effettivamente come stai» sarebbe effettivamente cambiato qualcosa se avesse scelto di schierarsi contro Abbadon? Probabilmente no, ma forse sarebbe cambiato qualcosa per Bertie, forse non le sarebbe stato così ostile e forse, solo forse, si sarebbe lasciato andare chiedendole aiuto. Sorta però, non era quella persona, aveva fatto scelte diverse e ora doveva affrontarne le conseguenze. Uno dei quali, l'odio di Bertie. «in caso non te ne fossi accorta, in questo mondo di merda in cui anche tu hai condannato tutti a vivere la magia, e la sua assenza, sono tutto» prese nuovamente la bottiglia dalla borsa e la stappò per berne un sorso, aveva assolutamente bisogno di un po' di alcool in corpo per procedere con quel discorso. «credevo di aver già perso la mia identità, ma questo… questo…» incrociò le gambe e pose nel mezzo la bottiglia, facendogli cenno di prenderla se ne avesse avuto bisogno, poi procedette ad elencargli perchè fosse la stessa identica persona pur in un corpo diverso e senza magia, ma che soprattutto, non fosse un mostro. «e invece sì! guardami!» sussultò trovandosi improvvisamente le mani della ragazza sulle spalle, che la scuotevano «guardami!» rialzò lo sguardo incontrando quello della ragazza. Uno sguardo disperato che voleva tutto e niente assieme. Forse non era davvero la persona adatta a stare al suo fianco in quel momento, forse si era solo sopravvalutata. «ti sto guardando, bertie» ed effettivamente lo stava facendo, lo stava guardando, lo stava riconoscendo. «vedo solo una bellissima ragazza con il tuo stesso identico colore dei capelli, il tuo stesso colore degli occhi e il tuo stesso identico modo di fare.» disse avvicinando lentamente una mano alla sua guancia, quasi come se stesse approcciando un gatto: con dolcezza ma anche con fermezza. Non lo sfiorò nemmeno, se avesse voluto fare un passo avanti glielo avrebbe permesso, ma toccandolo lei stessa, aveva come il presentimento che si sarebbe semplicemente scostato di nuovo. «e sai cos'altro vedo?» vedeva un cambiamento, il suo solito sguardo apatico e intoccato dal mondo, ora portava tutto il peso della variegata gamma di emozioni che stava provando dalla potenza troppo impetuosa per essere trattenuta. Almeno da quel punto di vista, aveva abbassato le difese, permettendosi di essere attraversato da tutto quello che stava sentendo in quel momento: paura, disprezzo, odio, disperazione. «vedo una persona spaventata abbastanza da rimanerne paralizzata ma non abbastanza da nascondere la propria sofferenza. non è mica facile, sai?» Sorta non era mai stata tanto brava nel mostrare la propria sofferenza, nemmeno a se stessa. Non era stata sincera con se stessa nemmeno quando se lo era trovato di fronte sul campo. Aveva continuato ad attaccarlo, pur moderando la potenza, pur sapendo che sarebbe potuto morire lì e solo quando erano stati sbalzati via, aveva effettivamente cercato di proteggerlo. «non c'è niente che non vada in te, bertie. non sei un mostro.» il vero mostro lì, era lei. Aver permesso che questo accadesse, anzi, aver aiutato affinché questo accadesse, doveva far davvero di lei un mostro. «diresti a qualunque persona che ha vissuto la tua stessa esperienza, ad ogni special, che è un mostro?» no, non lo avrebbe fatto. Avrebbe condannato piuttosto persone come lei. Non si era stupita del fatto che lui la odiasse per quello, anche se aspettarselo era risultato ben diverso dal sentirselo dire. Aveva sostenuto lo sguardo, però, senza abbassarlo o spostarlo nemmeno dopo avergli detto di non odiarlo. Sentiva le unghie piantate come artigli nelle sue spalle che probabilmente per qualche minuto avrebbero lasciato il segno sulla pelle, ma non batté ciglio né disse niente. «no.» sì? Ora sì che batté ciglio, alzando il sopracciglio per guardarlo confusa mentre lui allentava la presa solo per spingerla via correndo quasi a rifugiarsi contro la testiera del letto, il più lontano possibile da lei. Aveva paura di lei o di ciò che aveva appena detto? «non devi neanche… permetterti. non ne hai il diritto.» Oh, se quella non era la cosa più stupida che avesse mai sentito dirgli. Chissà se se n'era accorto pure lui. «non ho il diritto di non odiarti? ora desideri essere odiato così tanto?» pian piano però aveva capito perchè avesse reagito così e per un attimo rimase in silenzio. «posso anche odiarti, se lo desideri, devi solo convincermi a farlo»
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    volevo scriverlo meglio ma l'ho scritto con uno stato mentale indecente, non ho idea neanche se le frasi abbiano senso, non sto a rileggerlo che altrimenti lo scriverei da capo. MI DISPIACE STELLINA
     
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    Era stanco. Esausto, in realtà. Era una sensazione che conosceva bene, ma non per questo vi era davvero abituato. Avrebbe solo voluto chiudere gli occhi e lasciarsi andare al piacevole oblio del sonno, allontanando tutto, e tutti, da sé. Eppure sapeva che non si sarebbe sentito riposato neanche dopo una dormita di cent’anni. Sapeva che, pur sperandolo con tutto sé stesso, al risveglio non avrebbe trovato nulla di risolto. Per un istante, per un brevissimo istante, l’avrebbe forse creduto, come gli accadeva sempre, ma poi la realtà avrebbe tornato a piovergli addosso, se possibile con ancora più violenza.
    Un motivo in più per sentirsi esausto.
    Proprio come a ogni aggiunta nell’elenco di Sorta, che gli diceva che respirava, che soffriva, che si autotorturava.
    Che la odiava.
    «forse vorresti essere morto ma hai così tanto per cui vivere che ti tiene ancora ancorato qui»
    Strinse le labbra, attenta a non lasciar trapelare nemmeno un sorriso sprezzante. Si era sempre vantato di essere illeggibile, per natura, per menefreghismo e soprattutto per la sua, almeno apparente, totale apatia. Eppure con la Motherfucka difficilmente aveva funzionato. Anzi, la serpeverde sembrava avere quasi un sesto senso nel carpire ciò che lui avrebbe voluto nascondere.
    Ma stavolta si sbagliava.
    «Anche se continuo a non crederci, il destino…» La guardò, forse per la prima volta quel giorno, in modo davvero intenso, gli occhi ora non offuscati dalla nebbia in cui si era nascosta da quando tutto era finito. «… la sorte… ha deciso di torturarmi ancora. Oppure, molto più semplicemente, è solo l’ennesima dimostrazione del fatto che nulla abbia un senso. Io compreso. Tutto il mondo compreso.» Tornò a serrare le labbra, soffocando un sospiro amareggiato e sarcastico. «È questo a tenermi ancorato qui. Non ho niente per cui vivere.»
    Sorta poteva rivaleggiare con lui nell’arte del ribattere e dell’avere l’ultima parola, ma aveva l’impressione che, stavolta, non l’avrebbe fatto. O meglio, che non l’avrebbe fatto come una piccola, minuscola parte di lui desiderava.
    Perché forse, forse, avrebbe voluto sentirsi dire che il motivo per cui era ancora vivo era lì, davanti ai suoi occhi.
    «Chi siamo noi per dire di meritare di vivere? Perché noi siamo qui e tutti quelli che non si sono più rialzati dal campo di battaglia no? Non è giusto», sentenziò, in parte per allontanare quel pensiero. Sapeva di essere egoista. Doppiamente, persino. Non era indifferente a tutti quelli che erano morti, eppure non era quello, non del tutto, almeno, ciò che avrebbe voluto sentirsi dire. Non voleva e non poteva ammetterlo, ma nelle profondità del suo cuore non riuscì a soffocare del tutto quel desiderio.
    Non quando Sorta si mostrò, ancora una volta, umana.
    Fu più forte di lei: non riuscì a non spalancare gli occhi, quasi certa di aver sentito male. Si stava preoccupando per qualcuno? Per dei… bambini? «Vuoi… rassicurarli?», mormorò a fior di labbra, senza quasi rendersi conto di averlo detto a bassa voce e non solo nella sua testa. «Tu
    Non era nulla rispetto a quello che avrebbe detto se fosse stato ancora lui, ma per alcuni secondi non riuscì a cancellare quel debole calore dentro il petto. Eppure, quando alle successive parole di lei si trasformò in un incendio, invece di scaldarlo lo bruciò. Era morto e con lui e tutti gli altri lo era anche la loro causa: proprio per questo faceva così male.
    «Sì», rispose secco, coprendo le ultime sillabe della domanda di lei. «Se avessimo vinto noi sarebbe andata molto diversamente. Il mondo starebbe guarendo, non morendo sempre di più.» Le lanciò un’occhiata sprezzante e carica di disprezzo. Era la verità, ma non del tutto. La Resistenza non era famosa per essere pacifista. Sapeva che, a ruoli invertiti, anche loro avrebbero avuto trofei di guerra e rivalse. Però… «Non staremmo sterminando metà della popolazione mondiale solo perché priva di magia. O con una magia sbagliata A differenza della sua, di magia. Era così assurdo da avere un suo senso. Quella sorta di contrappasso infernale a cui Abbadon aveva condannato lui e tanti altri gli si addiceva perfettamente. La sua vita era costellata da situazioni in bilico tra tragedia e commedia.
    E quello che non c’era tra lui e Sorta Motherfucka era l’apice di quel teatro dell’assurdo che era la sua esistenza.
    Parlò e parlò, tanto che qualcuno avrebbe potuto pensare che, nonostante l’aspetto angelico, dietro a quel viso delicato si nascondesse davvero Albert. Un Albert vivo, visto che, come suo solito, sembrava incapace di stare zitto.
    La vide tremare e serrare i pugni, palesemente concentrata per non colpirlo. Chissà se avrebbe sentito qualcosa, se lei non fosse riuscita a trattenersi. Una parte di lui avrebbe voluto scoprirlo. Cosa che in effetti, poco dopo, accadde, ma non come si era immaginato. Quello che lo colpì non fu un pugno fisico, bensì metaforico. L’insulto di lei, quel sentirsi dare del coglione a cui era così abituato, suonò estraneo alle sue orecchie. Non c’era nulla di sarcasticamente affettuoso nella voce di Sorta. Era seria.
    Aveva voluto davvero ferirlo.
    Si sentì attraversare da un fremito. Dolore? Senso di colpa? Vita? Ma non poteva darlo a vedere. In fondo, stava solo ottenendo ciò che voleva. Voleva allontanare Sorta, voleva che lo odiasse. Voleva che fosse lei quella a guardare avanti e ad andarsene senza voltarsi più indietro.
    Lo voleva.
    «non m'interessa se sei incazzato e mi odi, ne hai tutto il diritto ma non osare parlarmi così perché non sai proprio un cazzo di come mi senta io o come stia messa la mia coscienza»
    So che sei ferita. Che le tue scelte ti hanno ferita. Che io ti ho ferita, pensò, gli occhi fissi in quelli di lei.
    Ma non disse nulla.
    Non stavolta.
    Lo voleva?
    Non voleva piangere, eppure lo stava facendo.
    Non voleva sentire, eppure lo stava facendo.
    Non voleva… «lo sai anche tu che se sono qui e ho addirittura saltato le lezioni è perchè mi interessa effettivamente come stai»
    Non era esattamente quello che, nella parte più nascosta di sé, avrebbe voluto sentirsi dire. Però ci andava dolorosamente vicino. E per l’ennesima volta, quel giorno, non poté non provare uno stupore che sapeva di certezza. Anche se non esistevano realmente buoni e cattivi al mondo, ma solo persone, Sorta, pur cercando di dimostrare costantemente al mondo il contrario, era molto, troppo vicina al primo gruppo.
    «Certo. Perché ti senti in colpa. Per questo ti interessa.»
    Ma lui non poteva permettersi di tenerla vicina a sé.
    E così le vomitò addosso ancora una volta tutta la sua rabbia, e il suo dolore, con fare terribilmente egoista. Perché sapeva di doverla allontanare, ma non lo stava facendo. Anche se era morto, stava cercando di trascinarla giù nella fossa con sé. Tra le lacrime e gli insulti stava gridando disperatamente in cerca di aiuto.
    Del suo aiuto.
    Trattenne il fiato, o meglio, ci provò, visto che l’impeto con cui le aveva parlato e stretto le spalle adesso ansimava, quando percepì il calore della mano di Sorta. O meglio, immaginò di percepirlo, visto che non la stava davvero sfiorando. Eppure ricordava alla perfezione la sensazione delle piccole dita di lei sul proprio corpo, la leggera ruvidità frutto del tanto tempo passato su una scopa che si mescolava alla delicatezza decisa di ogni suo gesto.
    «e sai cos'altro vedo?»
    Cosa vedeva?
    Vedeva la sua disperazione? La morte?
    Vedeva quanto era delirante? Non solo la situazione e il mondo, ma proprio lei, ciò che restava di lui. Il voler allontanare Sorta a tutti i costi, ma il desiderare che lei, ancora una volta, decidesse di rimanere.
    «vedo una persona spaventata abbastanza da rimanerne paralizzata ma non abbastanza da nascondere la propria sofferenza. non è mica facile, sai?»
    Se la mano di Sorta fosse stata davvero poggiata contro la sua guancia, avrebbe potuto percepire il brivido che la attraversò. Aveva ragione, naturalmente. Ma non fu questo a farle male. Si sentiva… delusa. Ancora una volta, lui e la Motherfucka sembravano correre su due linee parallele. Vicinissime, così vicine da poter sembrare quasi un’unica retta. Due linee destinate a non incontrarsi mai.
    «Non voglio la tua pietà.»
    Era vero.
    Non voleva la sua pietà. Ma voleva tutto il resto.
    Voleva lei.
    Sorta si sbagliava, quindi, nel dirgli che non era un mostro. Certo che le era. Ma non per le ragioni che adduceva lei.
    «diresti a qualunque persona che ha vissuto la tua stessa esperienza, ad ogni special, che è un mostro?»
    Era così vicina… Scosse il capo, risoluta. «Sappiamo entrambi chi sono qui i mostri.» E non si riferiva solo a tutti quelli che avevano contribuito a distruggere il mondo, naturalmente.
    Era così vicina… Una nuova ondata di bollente disperazione la invase, accentuandosi ancora di più quando, un attimo prima di scansarla, sebbene fosse ancora e solo lei a tenerla vicina, le dita serrate sulle spalle di Sorta, vide la serpeverde osservarla con smarrimento. Voleva tutto e il contrario di tutto, in particolar modo da lei. Non sentiva niente, eppure provava troppo.
    E la vicinanza di Sorta era intossicante.
    Solo una volta al sicuro lontana da lei, rannicchiata contro la testiera del letto, riprese un attimo fiato. Percepiva ancora le spalle piccole e muscolose sotto le dita, adesso strette intorno alle proprie ginocchia, che aveva tirato al petto nel tentativo di farsi piccola e, ancora di più, di chiudersi nei confronti del mondo esterno e, soprattutto, della Motherfucka.
    «non ho il diritto di non odiarti? ora desideri essere odiato così tanto?»
    No.
    «Sì. Io ti odio, tu mi odi. Semplice.» Nulla tra di loro era mai stato semplice. O forse tutto.
    Si fissarono, silenziose, immerse in quel non detto che, ormai, era così denso da rischiare di soffocarle. O almeno, di certo soffocava Bertie. Forse era quello il suo biglietto di sola andata per al morte, per la vera morte.
    «posso anche odiarti, se lo desideri, devi solo convincermi a farlo»
    Sapeva che sarebbero bastate due, semplici eppure difficilissime parole per farsi odiare da lei.
    Ma era troppo codardo per dirle.
    Ed egoista, visto che avrebbe significato perderla per sempre, stavolta.
    «Se non fossi già morto, sicuramente ci riuscirei.»
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    Forse Sorta non sarebbe andare a trovarlo, non era la persona nella giusta posizione a farlo. Non si era davvero preparata a quello che avrebbe dovuto affrontare varcando quella porta. Se n'era resa conto troppo tardi. Era stata impulsiva e si era presentata senza un piano. Sarebbe andata diversamente se avesse fatto una scelta diversa, forse sarebbero stati nella stessa condizione, ne avrebbero potuto discutere da pari, capirsi e confrontarsi e non sarebbero stati in una tale situazione. «anche se continuo a non crederci, il destino… la sorte… ha deciso di torturarmi ancora. oppure, molto più semplicemente, è solo l’ennesima dimostrazione del fatto che nulla abbia un senso. io compreso. tutto il mondo compreso.» La sorte, aveva detto, guardandola, indugiando su quella parola. Poteva sembrare egocentrica - e non avrebbe nascosto di esserlo - ma colse una doppia sfumatura. Stava parlando della sorte ma contemporaneamente, stava alludendo anche a lei che della sorte portava il nome. «è questo a tenermi ancorato qui. non ho niente per cui vivere.» si chiese se fosse vero o fosse quello stato depressivo a parlare per lui? Non aveva niente? Nessuno? Qualcosa doveva essere ancora rimasto, sopravvissuto a tutta quella distruzione, giusto? Una morsa allo stomaco la fece tornare in sé. «chi siamo noi per dire di meritare di vivere? perché noi siamo qui e tutti quelli che non si sono più rialzati dal campo di battaglia no? non è giusto» la vita non era giusta. Non lo era mai stata. C'era chi aveva tutto e chi aveva niente, non c'erano regole o meriti, bisognava aver vinto la lotteria della vita di turno. Quella volta erano stati loro i fortunati, a quale prezzo. «non siamo nessuno, siamo solo stati più fortunati» perchè sì, magari entrambi avevano combattuto con unghie e denti ma c'erano state cose in quella guerra che si potevano giustificare solo con la pura fortuna come l'essere o meno in un determinato luogo, in un determinato schieramento. Era stata pura fortuna, sarebbero potuti essere stati al posto loro. «vuoi… rassicurarli? tu?» occhi spalancati, sguardo incredulo. Lei la guardò offesa di rimando, un misto fra il "ma come ti permetti, io?" e il "perchè no?" che lei stessa non seppe spiegarsi. Forse era dettato dal solito fastidio che fossero gli altri a classificarla, a scegliere per lei cosa avrebbe fatto in una data situazione, come pensare che non avesse un cuore o che non fosse stata capace di rassicurarli, se solo avesse voluto. Non ci volle molto perchè facesse finta di niente e continuasse quel teatrino. «IO? pft, no. non sono brava a rassicurare le persone, figuriamoci dei mocciosetti» voleva che altri lo facessero? forse. Non era qualcosa di cui andava fiera, era comunque dell'idea che le persone dovessero farsi la pelle per sopravvivere in quel mondo. Forse però, non così. Un po' di sano terrore per far nascere la competizione e non far star appollaiate le persone sugli allori, ma quello che aveva visto metteva in dubbio la strada che aveva scelto. «per mia fortuna non ho alcun istinto materno» e non ne avrebbe sentito la mancanza. «però il panico non aiuta» il che non era una bugia. «sì» lo guardò dubbiosa «se avessimo vinto noi sarebbe andata molto diversamente. Il mondo starebbe guarendo, non morendo sempre di più.» lo osservò senza dire una parola. Lei non credeva che il mondo sarebbe stato diverso, alla fine chi era al comando voleva fare solo una cosa: comandare. Fare qualcosa per un bene superiore, per il popolo, erano tutte scuse usate per nascondere la realtà. Non poteva credere che Bertie ci credesse davvero. «non staremmo sterminando metà della popolazione mondiale solo perché priva di magia. o con una magia sbagliata.» parte della popolazione sarebbe stata sterminata lo stesso, nel nome di un progetto futuro diverso, di un cambiamento, ma sarebbe comunque successo. Era inutile negare l'evidenza. «certo. perché ti senti in colpa. per questo ti interessa.» tirò un pugno sul materasso, vicino alle gambe di lei e tenne lo sguardo fisso su quel pugno. «è il contrario. se non mi interessasse, se non mi interessassi, non mi sentirei in colpa.» Forse aveva ragione, era anche venuta per controllare che lui non la odiasse, perché era anche colpa sua e non lo avrebbe sopportato. Forse era egoista, non voleva che lui la guardasse con occhi pieni di odio o che non la perdonasse, perchè non lo avrebbe sopportato. Forse era venuta perchè non sapeva cosa stesse facendo e aveva bisogno anche lei di essere supportata, di sapere che, nonostante tutto, non fosse rimasta da sola. «smettila di mettermi parole in bocca. tu non sei me e non conosci ciò che mi passa per la mente quindi smettila di parlare al posto mio» non lo sopportava più. «non voglio la tua pietà.» non gliela stava dando. «non è pietà.» cercò di farglielo capire, di farle capire che non era un mostro. Gli chiese cosa avrebbe pensato di qualunque altra persona nella sua stessa posizione, se avrebbe fatto di quella persona un mostro. Aveva scosso il capo. «sappiamo entrambi chi sono qui i mostri.» lei. Perché una risposta diversa comunque non la escludeva dal quadro complessivo. Faceva male accusare un colpo dopo l'altro tutte quelle accuse, la dilaniava ma non poteva nemmeno ribattere più di tanto quando si parlava di semplici fatti. Non importava cosa le fosse passato per la mente ma ciò che aveva fatto. «tu no di sicuro» non fumava spesso ma in quel momento ne sentiva un bisogno impellente. Voleva più semplicemente intossicarsi, voleva stare fisicamente male per dare un senso a tutto il dolore che la corrodeva da dentro, ancora di più nel vederla rannicchiata lontano da lei, chiusa a riccio. «sì. io ti odio, tu mi odi. semplice.» Semplice un cazzo perchè per lei non era così semplice, non lo era mai stato. Ogni qualvolta succedeva qualcosa fra loro, niente era mai semplice o andava per il verso giusto, era più come immergersi in un labirinto. Inizialmente erano stati spavaldi, sapevano dove andare e dove non andare, poi era apparso il dubbio, che ancora li accompagnava ad ogni vicolo, ad ogni scelta che dovevano compiere e spesso gli era andata male, spesso si erano trovati davanti a un muro e questa volta avevano incontrato il Minotauro dal quale non sapeva se sarebbero mai riusciti a scappare e sopravvivere. L'unica cosa rimasta era terrore e disperazione, smarrimento e sfiducia. «se non fossi già morto, sicuramente ci riuscirei.» annuì già più serena, quasi si fosse tolta parte di quel peso dal petto. Forse non voleva essere odiato da lei e forse una ancor più minima parte di lui non la odiava. Non ne era sicura ma poteva provare a crederci almeno, che non fosse troppo tardi, che poteva ancora cercare di sistemare le cose. «e allora è inutile che io odi una persona che è già morta» Si alzò dal letto, osservando la figura della ragazza ancora raggomitolata contro la testata del letto. Era così diversa dal Bertie che aveva sempre conosciuto. Non necessariamente in negativo. Era una persona che aveva sofferto, che aveva visto altre persone soffrire e che si era sentita tradita da qualcuno che riteneva a proprio modo importante. Si avvicinò di un passo a lei, cercando il suo sguardo che ormai sfuggente nella maggior parte dei casi. Non voleva vederla, le era stato chiaro fin da subito ma aveva visto ben altro e non aveva intenzione di demordere. Allungò la mano vero il suo volto, questa volta più decisa di prima e appoggiò le dita sotto il suo mento, alzandoglielo leggermente per obbligare Bertie a guardarla. «ritornerò.» era una promessa e un po' una minaccia. Almeno fino a quando avrebbe deciso di riprendere a uscire, meglio ancora se il suo presentarsi lì ogni giorno l'avrebbe costretta ad alzarsi e andarsene di lì o non farsi trovare a casa. Quello era il primo step che avrebbero dovuto raggiungere. «un'ora al giorno, ogni giorno» dopotutto come si diceva? Roma non è stata costruita in un solo giorno. «potrei rallentare il ritmo solo in prossimità degli esami» qualora non avesse deciso di uscire da quella casa prima. «ritornerò e sarò il tuo incubo, così vedi cosa significa odiarmi per davvero» e avrebbe ascoltato l'intero fiume di parole che le avrebbe riservato, quelle d'odio e quelle sussurrate, avrebbe ascoltato i silenzi e le parole non dette, l'avrebbe guardata, fino a vederlo veramente, nascosto dietro quel corpo che sentiva non appartenergli. Si sarebbe lasciata pugnalare, accusando ogni colpo ma senza arrendersi. Forse ne sarebbero usciti entrambi lacerati, esausti, sanguinanti, forse dopo sarebbero diventate persone diverse, forse non si sarebbero nemmeno riconosciute. Non era già iniziato quel cambiamento? «tanto tu non scappi, vero?» si concesse un sorrisetto malizioso. Dopotutto, come le aveva detto più di una volta, era morta e come ogni morto che si rispetti, non si sarebbe mossa dal proprio cimitero. Le schioccò un bacio sulla guancia per poi allontanarsi da lei. Non la guardò quando recuperò la borsa e si girò verso la porta, alzando una mano in saluto «au revoir»
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    18 | 2004
    SLYTHERIN
    NEUTRAL


    EW FEELINGS. volevo scriverlo meglio ma l'ho scritto con uno stato mentale indecente, non ho idea neanche se le frasi abbiano senso, non sto a rileggerlo che altrimenti lo scriverei da capo ed è già stato un parto così. MI DISPIACE STELLINA
     
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