Sinéad Mikhailova non nutriva un particolare interesse nel Quidditch. Lo reputava uno sport discreto, un po’ stupido come tutti gli sport che includevano una palla o un oggetto di forma vagamente rotonda, ma comunque migliore di molti altri. Purtroppo per lei, era l’unica forma di intrattenimento che Hogwarts offriva. Le era stato proibito di infilare i propri pattini per i prossimi mesi, ed evitare qualsiasi attività che potesse peggiorare il trauma che aveva ricevuto la sua gamba. E la sua testa, ma preferiva non pensare alla cicatrice sulla nuca o al sangue che aveva macchiato il ghiaccio. Ma Sinéad non era mai stata brava a stare con le mani in mano per troppo tempo, o a seguire degli ordini. Non era menomata come il resto dei suoi coetanei, sapeva perfettamente quello che poteva permettersi e da cosa sarebbe stato meglio astenersi. Se non poteva avere il pattinaggio, avrebbe distrutto qualcuno sul campo da Quidditch- un sano modo di scaricare l’aggressività. Alzare le mani sui propri compagni poteva essere condannato nella vita di tutti i giorni, ma su una scopa? Tutto era permesso. O quasi tutto. Peccato che fosse arrivata troppo tardi per sputare addosso a Mort Rainey. Avrebbe potuto chiedere una dritta -così la chiamava, perché non avrebbe mai ammesso di aver bisogno di un vero e proprio tutorial- a Theo o a Paris, ma non le sembravano le persone più sveglie. Non doveva nemmeno elaborare. «Allora» volse la sua attenzione verso Raz, che in qualche modo era riuscita a convincerla che fosse la persona giusta per insegnarle quello sport «faccio un'eccezione solo perché sei tu, di solito non mi piace avere competizione». La Mikhailova si vide costretta ad alzare gli occhi al cielo, ma in maniera affettuosa. Purtroppo attirava solo deficienti a sé. E persone prive di un’anima, un bacio al cielo per Mood. «Al momento non sono una competizione nemmeno per un bambino, ma vai avanti» non era vero, ma era solita far abbassare la guardia ai suoi avversari per fare leva sui punti deboli. Il fatto che si trattasse di un’amica non cambiava il campo di gioco. Osservò i bolidi e poi la mazza, domandandosi se la Cherney avesse qualche tipo di permesso speciale per essere lì. Probabilmente no, e l’essere sorprese lì avrebbe portato conseguenze che non le sarebbero piaciute. Ma Sinéad Mikhailova non era sopravvissuta quindici anni nel mondo senza imparare a nuotare tra gli squali, e sapeva quali carte usare per tirarsi fuori dalla Sala Torture. «Questa è la mazza» le labbra fremettero per qualche attimo, e Sinéad dovette combattere per non irrompere in un ghigno malizioso «that’s what he said» he chi, poi. Ma non importava, era il principio, lo showbiz. Afferrò comunque la mazza, soppesandola tra le mani per valutarne il peso- cristo, ma come facevano a tenerla sollevata per così tanto tempo. La Mikhailova lavorava di gambe, non si era mai preoccupata più di tanto di allenare la muscolatura superiore. «Ma quanto pesa?» si lasciò sfuggire, sperando quasi che Raz le dispensasse un prezioso consiglio per renderla più leggera. Tipo cambiare legno. Si poteva? «Ora, io prendo i bolidi e te li lancio, tu li devi colpire e devi cercare di tirarmeli addosso, non importa se mi fai male» era quello il momento in cui le diceva che non aveva alcun problema al riguardo? Certo, magari non in faccia, tutto il sangue sarebbe stato un peso da pulire. Forse avrebbe dovuto chiedere a Theo, era abituato a prendere le palle in faccia. «Più facile a dirsi che a farsi» borbottò tra sé e sé mentre osservava Raz salire sulla scopa. Sollevò brevemente lo sguardo al cielo, non si appellò a nessuna divinità perché non ne aveva bisogno, ma sperava che la Cherney lo facesse anche per lei. «UNO!» ma si contava? Lei lo fece al primo impattare del bolide contro la mazza, le braccia a bruciare per quello sforzo improvviso e le gambe a mantenerla salda al suolo senza indietreggiare. Chissà se l'avrebbe presa, lasciamo l'ardua scelta al Fato o alla palla. Sinéad sperava un po' di sì.