everybody wants to rule the world

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    cherry benshaw
    So you wanna fight me, are you big enough?
    Kick the back of my knee, are you serious?
    I like your blood on my teeth just a little too much
    Now I’m twisting your arm 'till I hear it break
    Charlyse era lì quando il mondo era andato a puttane, una plaeta di corpi in pugno a una singola entità, tanti piccoli soldatini di piombo stretti nel pugno di un visionario. Di un pazzo, qualcuno avrebbe osato fiatare.
    Charlyse era lì quando il mondo era andato a puttane una seconda volta. Imploso su se stesso, il terreno a sfaldarsi sotto ai suoi piedi e il cielo a crollare. Un boato a squarciare l’aria, le orecchie a fischiare prima di perdere la concezione del tempo.
    C’era un prima e un dopo, e la Benshaw non era del tutto certa di dove si trovasse.
    Non aveva idea di come fosse caduta in ginocchio, ma l’unghia spezzata era testimone degli immensi danni che il suo corpo aveva subito. Stizzita, strappò via la parte che ancora pendeva dal dito, lacciandola cadere a terra. Vaffanculo, vaffanculo a tutti lei non ci voleva nemmeno stare lì. Del tutto incurante al caduti che la circondavano, agli urli strazianti e alle mani che si tendevano verso di lei in una muta richiesta di aiuto. Il soldato in lei, quel vago codice d’onore che permeava nei meandri della sua coscienza, le imponeva di fare una cernita dei suoi compagni, delle perdite che avevano subito. La battaglia non era ancora finita, non era mai finita. Ma contava ci fossero altri samaritani tra quelle fila, dopotutto la Benshaw non aveva nulla da guadagnarci nel sacrificare i propri interessi per- per cosa? Fare la cosa giusta? Quelle puttanate non avevano mai trovato un orecchio disposto a sentire con lei, figurarsi quando individuò la figura di Moka a terra, il respiro a mozzarsi in gola quando la macchia di sangue divenne evidente. «maman, éteins le réveil» lo schiaffò che gli arrivò diritto in faccia se lo meritava tutto, ma guarda te se doveva mettersi anche a fare la badante. Guarda caso, lei non si era fatta niente, e quella era la sua punizione cosmica. Avrebbe preferito fingersi morta dietro a un masso. «non sono tua madre, stupido cretino» nemmeno ci provò, a celare la preoccupazione che le aveva stretto la gola, le dita tremanti a sfiorare il mare di sangue che si espandeva e contraeva a ogni respiro. Dio, sto un fiore un cazzo. «se dici che stai un fiore ti ammazzo io, in questo preciso momento» premette la mano sulla sua bocca per zittirlo, per impedire a quelle parole di disturbare un equilibrio che minacciava di crollare a ogni respiro. Non aveva mai avuto un dono per le arti curative, la Benshaw, e in quel momento rimpiangeva di non aver trascinato Willa con sé. Sempre che fosse viva, non si era curata di nessuno se non se stessa.
    Lawrence.
    Lo sguardo chiaro si saettò urgente tra i corpi caduti, coloro anche ancora si tenevano in piedi, era lì un secondo fa, era lì un secondo fa- prima che potesse avventurarsi lungo un sentiero che in quel momento sarebbe stato pericoloso, Moka decise di non avere una scheggia nello stomaco. O ovunque fosse, Elisa è di fretta per questi particolari. «telly, cazzo, vuoi stare fermo?» abbandonata, la preoccupazione di poco prima, sostituita da una nuova determinazione. Come un interruttore a scattare, una secchiata di acqua fredda a far fluire di nuovo la ragione- ma che cazzo, riprenditi. Non sarebbe servita a nessuno in quelle condizioni, non a Moka, tantomeno a Lawrence. «certo che sono intera» al contrario di qualcuno, ma decise di tenerselo per sé, perché non aveva tempo di prolungarsi sull’inutilità degli uomini. Non avrebbe mentito dicendo che avrebbe preferito essere lei al suo posto, a quello di Law, con una scheggia conficcata nella carne e una bestemmia trattenuta tra le gengive. Ma almeno era lì per ricucirli, lo sarebbe sempre stata, e tanto bastava.
    «mi rimangio tutto, cazzo. non potresti mai fare l'infermiera»
    Un sospiro, un accenno di tensione a lasciare le spalle quando riuscì a stabilizzare la ferita. Non gli rispose, la Benshaw, preferendo avvolgere il braccio attorno alle spalle di Moka, attenta alla ferita nello stringerlo in un flebile abbraccio. «Non farlo mai più, ok?» una promessa persa tra pianti e urla, una che sapeva non poteva mantenere. Ma per qualche attimo, voleva credere che fosse possibile.
    Stacchetto tattico.
    «Chers— che diavolo è successo?»
    Ed eccolo lì, l’altro coglione.
    Vivo.
    Quasi intero.
    Charlyse Benshaw non credeva in nessun Dio o entità superiore, ma in quel momento persino lei fu costretta a rivolgere uno sguardo al cielo.
    «com'è che te non ti sei fatta nulla? dietro quale povero sfigato ti sei riparata?» quello, le strappò una risata dal petto. Una breve parentesi di ilarità, che fu presto scacciata quando Charlyse si rese conto delle condizioni di Lawrence. «cosa ti posso dire, dio ha i suoi preferiti. non moka, stava messo peggio di te» si inginocchiò al suo fianco, le mani a trovare il suo torso per supportarlo ad alzarsi. Anche quella volta, un senso opprimente di futilità minacciò di travolgerla, ma si costringe a mandarlo giù insieme alla saliva. E fu allora che cercò i suoi occhi, la Benshaw, rispecchiandosi nelle acque di un lago che lambiva le stesse sponde «non li voglio più quei trenta galeoni» strinse la presa sulla mano del ragazzo, una sincerità che raramente concedeva al prossimo. Non c'era più alcuna ironia dietro cui nascondersi, parole velenose e insulti benevoli, solo Cherry e Lawrence. Una fotografia sbiadita nel tempo, piegata tra le pagine di un libro.«ma mi puoi pagare la vacanza ad honolulu» perché sarebbero usciti da lì. Vaffanculo a tutti, si era già stancata.
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    It's fate, not luck.

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    Il silenzio non lo capite. Stavate parlando (stavate parlando?), stavate respirando (lo stavate facendo davvero?) strappandovi dal cumulo di morti e macerie (era così, no?) e mormorando incantesimi curativi (che non funzionavano ovunque, perché non funzionavano ovunque?) e poi il silenzio. Innaturale. Un vuoto improvviso. Premete la mano sul petto per sentire il cuore battere veloce. Lo fa? Lo fa? Lo fa.
    Ma non produce alcun suono.
    Per attimi che sembrano allungarsi come fili di miele fra cucchiaio e barattolo, ascoltate il nulla.
    Il vero, nulla.
    Pensiate sia giunta la fine. Lo sperate, forse.
    Non la è.
    I suoni tornano tutti insieme.
    Ed è l’esatto momento in cui due figure entrano nel vostro campo visivo.
    «PRESA!» sorride, Abbadon. Vi sembra abbia più denti di quanti dovrebbe.
    La ragazzina a cui stringe le dita attorno al collo, non sorride. Le mani di lei sono avvolte al suo braccio, la punta dei piedi a sfiorare appena il suolo. Vorreste muovervi? Non potete farlo. Non volete muovervi? Siete giustificati, a rimanerne spettatori. Magari vi aiuterà a dormire sonni più tranquilli, sapere che non abbiate potuto fare nulla per salvarla.
    Non porta la divisa dell’armata di Lamovsky. I suoi colori sono più sbiaditi e rovinati, una pallida imitazione degli abiti militari: è una sovversiva. È una ragazzina, non più grande della vostra piccola Bengali. Trema, e mormora qualcosa. Piange, e singhiozza qualcosa. Si aggrappa al braccio di Seth per tenersi un grammo d’ossigeno in più. Strappa lo sguardo dal volto dell’uomo - la bestia - per cercare le sue stesse divise nella marmaglia scura e sanguinante.
    William Lancaster ci ha provato, a dirvelo. Il suo tono è urgente; il suo viso è pallido.
    «non abbiamo perso tut-»
    Abbadon le rompe l’osso del collo prima che possa concludere.
    Non gli sono mai piaciuti i bugiardi. E voi, contro, voi…
    Avete perso.
    Lo sapete.
    Le cose sarebbero potute andare diversamente, se aveste vinto voi. Il mondo non l’avreste salvato, non ancora, ma magari -
    Inutile pensarci. Avete perso. Riconoscete la ragazzina perché l’avete vista all’accampamento. Rebekah, vi sembra. Sì, ne siete sicuri. Non ve l’ha mai detto, ma era una Grifondoro; non ve l’ha mai detto, ma ci credeva davvero che avreste vinto.
    Abbadon apre le dita facendo cadere il suo cadavere al suolo. Allunga una mano al proprio fianco, e Sabine gli porge un fazzoletto su cui pulirsi i palmi. Schiocca la lingua sul palato, soffiando poi l’aria a labbra serrate.
    «stavano cercando di arrivare qui prima di me»
    Vi guarda. I suoi soldati; gli avversari. «non sono molto sportivo nelle competizioni. Mai stato» Lascia cadere anche il lembo di stoffa al suolo.
    Non potete ancora muovervi.
    «quindi! quindi.»
    Scelte.
    «parliamone»
    Non ha fretta. Non più.
    Mentre parla, il terreno continua a tremare.
    Una faglia. Fisica. Una crepa nel suolo che si allarga e si allarga, costringendovi ad allontanarvi ed ingoiando i corpi dei soldati morti, dell’una e dell’altra fazione, al proprio interno. Uno, due – quindici, trenta. E quando siete rimasti solo voi, pro e contro, con un pigro movimento delle mani vi separa fisicamente gli uni dagli altri.
    Schieramenti opposti, di nuovo.
    Cammina di fronte all’armata di Sartre con passi lenti e misurati.
    «un uccellino mi ha detto che non vi piaccio»
    Si ferma di fronte a Neffi ed Erisha. Da loro un buffetto sul naso. Prosegue, occhi sui propri piedi.
    «che avete combattuto contro di noi»
    Si china su Veronica ed Amaranth, esalando un sospiro lento.
    E rapido afferra la Nott dal collo, stringendo e stringendo.
    «dovrei proprio uccidervi»
    Si alza, la porta con sé, e non potete fare niente. Neanche chiamarla. Si alza, la porta con sé, non potete fare niente, e la lascia appesa sulla faglia. Sul vuoto. Il vuoto?
    «loro lo vorrebbero. oh, se lo vorrebbero. E stanno arrivando, sapete?» Ridacchia felice. Allenta la presa su Amaranth, facendola scivolare di pochi centimetri nell’abisso.
    E poi la posa a terra, come nulla fosse. La prende a braccetto nel tornare di fronte a voi, e lei può solo seguirlo. Obbligata a camminare; a lasciarsi stringere ed accarezzare le nocche, le labbra sigillate. «sono un uomo del popolo» mormora come fosse un segreto, portando la mano a coprire parte della bocca. Lo sentite da ogni parte di quella ormai a metà radura. Lascia Amaranth fra voi, e continua a camminare. «e lo so. lo so che non è colpa vostra. La società in cui avete vissuto finora, vi ha riempito la testa di idee sbagliate. hanno reso noi – noi! - i cattivi!» si ferma di fronte ad Archibald. «pensate di odiarmi» Rotea il capo per guardare Wyatt e Arabells, May, Ellis e Bertie, Hunter e Halley, Wind e Cora; Willa, Holden e JD.
    «vi perdono» È misericordioso, lui. Vi osserva serafico, sorridendo gentile.
    «e vi faccio un regalo»
    Non potete fare nulla mentre le radici si avviluppano ai piedi dei maghi schierati dalla parte sbagliata di quella guerra. I rami sulle vostre gambe.
    Le spine nella vostra carne. I fiori a sbocciare sotto la vostra pelle. Muove il capo a destra ed a sinistra. «baal non sa gestire bene le emozioni» giustifica così il vostro dolore, appellandosi ad una vendetta personale. Ma non è quello a far male, vero? Lo sentite, maghi. Lo sentite, che non state perdendo solo sangue.
    Scivola via. Lenta, e inesorabile.
    La vostra magia, scivola via. Goccia, dopo goccia. Dopo goccia.
    E mentre Abbadon cammina e continua a parlare, tossine di un’altra dimensione entrano in circolo. Il cuore a pompare veloce alimenta l’avvelenamento come benzina sul fuoco, e brucia maledettamente uguale, perché non potete farci nulla, e – chiudete gli occhi.
    Solo un secondo.
    E lo sapete. Lo sapete e basta.
    Non siete più maghi, contro.
    Sentite un altro tipo di magia scorrervi nelle vene. Modificarvi. Dilatarvi e stringervi. E fa male, ed è dentro di voi, ed è insostenibile, ed è -
    Finita. È finita.
    Siete qualcosa in più ed in meno. Siete la nuova razza destinata a governare il mondo.
    Siete diventati special, come i vostri compagni.
    Emilian, Moka, e Justin; Sinclair, Jane e Wren; Javi.
    È a loro che rivolge le sue attenzioni, sopracciglia corrugate.
    «ma voi? sono deluso. Profondamente, deluso» avreste dovuto essere dalla sua parte. Perchè non siete rimasti dalla sua parte?
    Afferra il viso di Moka fra le dita per avvicinarlo a sé.
    «voi mi appartenete» Lo dice quasi con affetto. Meraviglia. Lo pensa davvero.
    «noi dovremmo essere una cosa sola!» parla, Abbadon.
    E la faglia alle sue spalle si riempie di nulla. Vuoto. Un nero che diventa concreto solo sui fili d’erba inglesi, dove si abbarbicano inesorabilmente. Sembra fumo; sembra polvere.
    Sembra qualcosa che non dovrebbe esistere.
    Si allarga e si espande. Accarezza le caviglia di Bengali e Jericho, Jekyll, Roxie e Selena. Esita attorno alle figure sottile di Corvina e Reggie, ma richiamato all’attenzione da uno schiocco di dita, vi supera e basta.
    Non prima di avervi stretto appena, però. Gentilmente. Un tocco delicato, perché vi hanno riconosciuto come simili.
    E vedete mondi impossibili, fuoco e fiamme e nulla, acqua e ghiaccio, sangue e sangue e sangue, e grida e strilli e sterni spalancati e lucenti e mormorii e -
    «e lo saremo, sapete» Lo sapete? Dovete, saperlo.
    Non vi rimane scelta mentre la nube avanza.
    Giurate di vederci qualcosa all’interno con denti ed artigli.
    Vi divora senza che possiate fare un fiato. Si lascia divorare, entrando in fili collosi dalle vostre narici e bocca, dalle ferite aperte e quelle che non lo erano più. Ed è troppo, lo sapete, è troppo e non ci state, è troppo e vi consuma. Vi svuota. Si insinua in ogni osso; gioca a nascondino fra una costola e l’altra.
    Tu-tun. Tu-tun.
    Tu -

    Il cuore smette di battere.
    Abbadon alza una mano per intimarvi di aspettare. Dondola entusiasta sui talloni, dita unite fra loro sotto il mento.
    Un secondo. Due secondi. Cinque. Sei.
    Sette secondi.
    -tun.
    Tu-tun. Tu-tun
    .
    Aprono gli occhi.
    Sono vuoti. Battono le palpebre. Comunque vuoti.
    La pelle sembra tirare.
    «non sono bellissimi?»
    Li chiama per nome, e si inginocchiano uno dopo l’altro.
    Magari sarebbe andata diversamente, se -
    - avessi smesso di non farti toccare da nulla, Jane, «lucifero!»
    - non avessi sperato in qualcosa di diverso, Moka, «leviatano!»
    - avessi lasciato andare la rabbia, Javi, «satana!»
    - fossi stato in grado di accontentarti, Sin, «mammon!»
    - avessi saputo dire basta, Just, «belzebù!»
    - non fossi caduta in tentazione senza mai risalirne, Emi, «asmodeo!»
    - fossi stato meno indolente, Wren, «belfagor!»
    O magari no. Magari sarebbe andata esattamente così.
    Sorride, Abbadon. Sorride e vi guarda tutti, abbracciandosi il petto con entrambe le braccia.
    «c’eravamo per primi» sottolinea in un bisbiglio, implicito nel suggerire fossero stati loro ad ispirare gli scrittori della Bibbia.
    Sono lì. Di fronte a voi. In ginocchio.
    «ah! State aspettando me, scusate»
    E non ci sono più. Spariti nel nulla. Come non fossero mai esistiti.
    Un minuto. Due. Cinque. Sei.
    (mille?) Sette minuti.
    Riappaiono tutti insieme, alle spalle di Abbadon.
    Il suo esercito.
    Occhi vacui.
    Heather e Barry, voi lo sapete.
    Lo sapete, che sono come voi.
    Ombre.
    «adesso basta, però. Vi ho lasciato divertire abbastanza, no?» Un colpetto sulla spalla di Wren.
    L’oscurità li abbandona, ed i sette cadono a terra come marionette cui siano stati tagliati i fili.
    Si rialzano, loro.
    Confusi. Distaccati. Sono loro? Sono loro. Vogliono essere loro? Qualcosa nelle loro espressioni suggerisce di no, no, e no. Senso di colpa.
    Furia. Terrore.
    E vi rendete conto che potete muovervi anche voialtri, se lo volete.
    Lo volete?
    Dovete.
    È il primo Giugno.
    Abbadon ride, ed allarga le braccia. Alle sue spalle, la faglia si richiude.
    Ma non completamente.
    «propongo un brindisi...»
    Vi guarda. Guarda la radura distrutta. Il panorama della città in fiamme alle vostre spalle.
    Inspira. Espira.
    «AL NUOVO MONDO!»
    Il suo. Il vostro.
    Vi sorride un’ultima volta, ammiccando languido; se ne va senza voltarsi indietro.
    Sabine si volta, invece. Solo una volta, ma lo fa.




    Da qualche parte nel mondo, William Lancaster copre il volto con le mani.
    Gli dispiace. È troppo tardi.
    Ma non hanno perso tutto. Non hanno perso tutto. Possono ancora -
    Jeanine Lafayette glielo ricorda, stringendo le dita attorno alla sua spalla. Dragomir Vasilov non dice niente, ma è lì, davanti ad una mappa. Il dito a seguire delle linee. Mormora qualcosa.
    L’accampamento dei sovversivi è stato smantellato. Sartre non ha mai fatto ritorno, e come lui, migliaia di soldati.
    «nessun mondo è per sempre» mormora il Drago. Riempie tre bicchieri, e ne fa scivolare uno di fronte a ciascuno dei presenti.
    Il resto dei soldati è tornato a casa, se ancora le avevano. Alcuni sono rimasti nei rifugi. Nelle fortezze fortificate e nascoste ad Abbadon. Il mondo è a conoscenza della magia, ed è piegato sotto il piede di Seth, e dei suoi sottoposti messi a governare e ricostruire ogni nazione.
    Tutto loro. I babbani? La concessione di esistere, è temporanea. Fugace.
    Vengono odiati e terrorizzati.
    Ma non da tutti; non da loro, e quelli come loro.
    Inizia una lotta silenziosa.
    Quella guerra, l’hanno persa. Una; cento e mille, come quella.
    Ma ce n’erano sempre altre.
    E ci sarebbero state.
    Quella soffiata fra i denti di Jeanine, le labbra a premere sul vetro, è una promessa.
    «al Nuovo Ordine»


    //OFF: Ed ora ragazzi. Ora, la quest10 è ufficialmente conclusa. Da questo momento potrete aprire le role post quest, che potranno rimanere aperte quanto volete, ma vi faranno guadagnare PE solamente fino al 09.06. Nei prossimi giorni decideremo - speriamo insieme, e con l'ausilio delle vostre domande e consigli - le specifiche del nuovo mondo, uno in cui Abbadon è al potere, e lo statuto di segretezza solo un ricordo.
    Prima di concludere con i ringraziamenti, dobbiamo dirvi che la guerra pro vs contro fosse reale, e l'esito è dipeso solamente da voi. C'erano due (2) esiti a questa guerra, e questo è quello alla vittoria dei pro. E per i contro? Mah: magari un giorno ci riproveremo, ed allora lo scoprirete. La "vittoria" è stata decretata in base al numero di ps: il gruppo con un maggior numero di ps totali alla sua conclusione (prima della "scossa"), ha vinto. Un fato in particolare ha fatto i calcoli, e dato che non è stata Sara, potete stare tranquilli sulla loro correttezza. Sì, abbiamo tenuto conto delle cure/caramelle ricevute; sì, abbiamo calcolato (sempre non Sara) considerando anche la disparità iniziale di punti salute: percentuali, cose, davvero non chiedete.
    Ora. Tornando a noi.
    L'ho già detto, ma lo ripeto: grazie di aver scritto la storia dell'oblivion insieme. Grazie di aver dormito poco e male per tre settimane. Grazie delle risate, della confusione. Grazie a tutti i fanciulli che non avevano mai provato l'ebrezza di una quest di aver sofferto insieme, ed averci provato fino alla fine. Quattro anni senza una quest sono stati tanti, e non avremmo potuto chiedere pubblico e attori migliori per tornare in carreggiata. Dieci anni di forum, ed ancora ci stupiamo di quanto sia meraviglioso scrivere storie con voi: non dovrebbe, ma è sempre un colpo al cuore.
    Da domani, si aprirà una nuova strada, una su cui cammineremo gattonando perchè inesplorata, ed una dove confidiamo impereremo a correre insieme. Ci saranno tanti cambiamenti: veniamoci incontro tutti, e costruiamoli insieme. L'oblivion è casa, si, e ciascuno di noi porta un mattone. Tutti tutti. Grazie di questa opportunità, ragazzi.
    Baci baci,
    il vostro Fato Bellissimo.


    Edited by jic. - 1/6/2023, 17:29
     
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