everybody wants to rule the world

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  1. mokaccino©
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    moka telly
    black-hearted angels sunk me
    with kisses on my mouth
    there's poison in this water
    the words are falling out
    per dirla come la direbbero su una nave pirata qualunque, moka aveva fatto una [Cory:] cazzata.
    troppo grande perché potesse davvero ignorarla, anche se cristosanto ci stava provando con tutte le sue forze.
    quelle residue, per lo meno.
    recuperate a suon di diazepam, perché quello passava (sin) il convento; quattro ore di oblio a notte e la consapevolezza di non sapere assolutamente come fosse finito nel suo letto al momento di riaprire gli occhi. una branda, più che altro, e comunque non ricordava di averci dormito sopra. aveva finito per addormentarsi praticamente ovunque, il telly, che tanto l'importante non era il dove, ma riuscire a spegnere il cervello almeno per un po'.
    smettere di pensare a quei disgraziati morti nella gabbia, alla sensazione di troppi denti che gli si conficcavano nella spalla; alle notizie sempre di merda, alle città che andavano a fuoco — in Francia tutto bene? così, chiedeva, senza mai trovare il coraggio di chiedere davvero.
    smettere di pensare a cherry, all'istinto di chiamarla ogni volta che prendeva in mano il telefono: cercava il suo nome in rubrica, e rimaneva a fissarlo con il dito a sfiorare il touchscreen; leggeva gli ultimi messaggi che si erano scambiati in chat (insulti a law, sicuramente) e prendeva un'altra pastiglia nella vana speranza facesse un effetto immediato.
    e, cazzo, smettere di pensare a javi [derogatory]
    oh, era stato bravo fino all'ultimo, moka.
    così bravo che aveva cominciato persino a darsi delle pacche sulla spalla quando si guardava allo specchio, occhi verdi a cercare qualcosa di familiare nel volto di uno sconosciuto — you can do this, you stupid bitch. credeva davvero di meritarselo un po di sostegno morale, il telly: dopo aver stretto i denti e tirato avanti, mandato giù tutto quello che poteva, lasciato che ogni cosa gli scivolasse addosso; in modo meccanico, teso, elettricità a pizzicare troppo spesso sotto pelle.
    sarebbe stato più facile se non gli avesse chiesto scusa.
    se non se lo fosse ritrovato davanti aprendo gli occhi nel bel mezzo della notte, l'ennesima passata su un pavimento, con quello sguardo incupito che era diventato quasi familiare — e non avrebbe dovuto, perdio.
    se non si fosse fermato, ogni fottuta volta, un istante di più davanti alla porta del dormitorio, seguendo un copione già scritto (film candidato agli Oscar, scritto e diretto da anonima sceneggiatrice capitolina) del quale evidentemente moka non aveva ricevuto alcuna copia. a lui era toccato andare a braccio, improvvisare: inghiottire, sempre, e annuire quando il maggiore gli chiedeva se stesse bene — un fiore; respirare a fondo, fingere di poter trovare abbastanza ossigeno da cavarsi di bocca le risposte monosillabiche che, non aveva dubbi, il mendoza si sarebbe fatto bastare.
    perché non poteva essere altro che quello, un rapporto professionale tra due persone adulte con un paio di gradi gerarchici nel mezzo, costretti a passare troppo tempo nello stesso spazio ridotto.
    una compressione costante.
    e aveva deciso di farselo andare bene quello scenario, moka.
    ne aveva accettato tutti gli aspetti, anche quelli che continuavano a colpirlo ripetutamente sulle gengive con un tubo di ferro — fuck it, we ball, ossa rotte e tutto il resto. una questione di sopravvivenza, mantenimento dello status quo: c'era ancora una guerra a cui pensare, il fottuto mondo da salvare, e la concreta possibilità de morire prima; prima di perdere completamente il controllo su di sé e quel briciolo di dignità che gli era rimasta.
    a questo aveva pensato, moka telly, lo stesso nome di suo padre e un corredo genetico che gli aveva lasciato fossette e predilezione per fare scelte di merda, quando era stato selezionato per l'ennesima missione. qualcosa da fare, altro su cui concentrarsi.
    con un segreto, intimo sospiro di sollievo nel ritrovarsi da solo in mezzo a volti sconosciuti; gente che poteva benissimo ignorare, o a cui rivolgere uno sguardo in più senza sentire le costole premere contro i polmoni.
    era stato così bravo, moka, da sentirsi in una botte di ferro — al sicuro. con vince e sin a battergli le mani sulla spalla (custodi legaaaliii), frasi di circostanza che si era preso comunque, due pasticche di sonnifero in una tasca della divisa e qualche caramella nell'altra; la mente già proiettata sull'obiettivo successivo.
    ma no.
    no, ovviamente.
    un mese di duro lavoro su se stesso, bestemmie e sguardi persi nel vuoto, qualche insulto allo specchio per mantenersi umili, tutto mandato a puttane nel giro di un secondo. per tre parole che sarebbero potute essere cento, o anche una sola e non sarebbe cambiato assolutamente un cazzo: «buona fortuna, eh» e moka, an intellectual, aveva pensato bene non fosse il caso di rispondere. forse perché si era sentito vibrare con la forza di mille soli, tutto ciò che di negativo aveva somatizzato nelle ultime settimane a traboccare fuori dal vaso — un Giorgio arrivato a fine maggio e alla fine di se stesso.
    «possiamo—» fuck itwe ball fuck it we ball fuck it we ball [sospiro profondo] [bestemmia] «scambiare due parole? in privato» si sarebbe fatto i complimenti per la voce ferma, il tono civile, se solo fosse stato abbastanza lucido da rendersene conto; non lo era. altrimenti avrebbe valutato con più attenzione pro e contro di quello che stava facendo, fatto un passo indietro.
    invece non si era soffermato a valutare proprio una beata minchia.
    nemmeno la porta che aveva aperto, facendola sbattere un po più forte del dovuto; la mano destra a cercare l'impugnatura della semiautomatica nella fondina, trovandola: trovava sempre rassicurante, il telly, sentire il metallo freddo sotto i polpastrelli, il peso dell'arma a premere contro il fianco. sapeva che in una situazione particolarmente stressante, la presenza della glock nel palmo della mano sarebbe stata un toccasana; non quella volta.
    a javi, moka non aveva dato il tempo di parlare .
    lo sapeva, che anche una parola in più avrebbe potuto riportarlo alla realtà, con i piedi per terra: fuori dal suo au.
    non gli aveva chiesto di stare zitto, o un permesso che probabilmente non sarebbe arrivato comunque; non aveva parlato, punto, il telly, preferendo stringere i pugni sulla stoffa della divisa, entrambe le mani ad afferrare e tirare. verso di sé, contro di sé — avrebbe potuto fare un passo indietro, Javier, ma la presa sarebbe diventata solo più salda, carica di un'urgenza che moka non aveva affatto valutato.
    voleva solo togliersi un pensiero, senza pretendere niente in cambio.
    e mentre se lo toglieva, altri mille gli si erano insinuati in testa: avevano tutti i denti.
    ed erano tutti javi, perché era inevitabile finché la bocca cercava la sua, e la trovava; era inevitabile quando spingeva un po di più, di nuovo senza chiedere, inghiottendo aria che sarebbe dovuta essere del maggiore e che moka aveva deciso di rubargli, perché a tutto c'era un limite, compresa la compressione che il ventitreenne poteva sopportare prima di esplodere. ed era inevitabile, se passando la lingua sulle sue labbra si ritrovava a suggerire (poco politely, forse) che le dischiudesse per lasciargli spazio.
    e lo aveva fatto, occhi socchiusi e dita a stringersi attorno ai suoi polsi, perché l'ultima cosa che gli serviva in quel momento era che javi lo toccasse; o lo respingesse — scatenando reazioni contrarie alle quali nemmeno lui sapeva come avrebbe risposto.
    si era preso un po di quello che voleva, quel poco che poteva, con rabbia e frustrazione, raccogliendo il sapore della sua bocca sulla punta della lingua e concedendogli altrettanto: non che quello fosse il punto, ovviamente.
    e quando, perdio, si era reso conto di non avere più aria da offrire, aveva riempito i polmoni respirando contro la sua pelle, mordendo piano dove sapeva di poter affondare i denti. un punto soffice della gola, battiti ad affiorare in superficie.
    «forse non era così importante» lo aveva lasciato andare. le mani bene in vista, un passo di lato; iridi verde chiaro ostinatamente inchiodate alle sue «buona fortuna anche a te» e già mentre lo diceva, la voce sicura ma frammentata, moka si era reso conto di aver fatto un errore.
    the risk i took was calculated, but man am I bad at math.

    «te l'ho detto, una cazzata madornale» ma, moka, non hai detto assolutamente un cazzo di niente [meme di milord che se ne va] eh. rivolse un cenno del capo a wind, che gli stava di fianco, la voce soffocata dalla maschera. un sospiro trattenuto, che sapeva inderogabilmente di [bestemmia], mentre la terra bruciata che negli ultimi tempi si era abituato a calpestare tornava ad essere verde e viva sotto i piedi: poteva solo sperare di rimanerci secco, così da non dover affrontare le conseguenze del suo passo falso. e probabilmente non era nemmeno una speranza così vana.
    trovò persino il tempo di fermarsi in istante, lasciando passare i nuovi compagni d'armi, le dita rapide a scattare una foto delle imponenti pietre di Stonehenge e a scrivere un messaggio: [foto delle pietre] "🗿🗿🗿🗿 "; per cherry, unironically. senza ancora sapere che ce l'aveva davanti, ancora pochi passi a tenere separati gli schieramenti. con tutti i cazzo di posti dove avrebbero potuto mandare moka, avevano scelto proprio quello.
    bip
    — che cazzo di demente
    «ok, rude.»
    bip
    [stessa identica foto delle pietre da prospettiva diversa] "🗿🗿🗿"
    — ti vedo
    ah.
    ah.
    solo allora moka sollevò lo sguardo sulle schiene dei commilitoni, immobili. sulle figure che li fronteggiavano. su volti che portavano i segni di settimane troppo intense, di domande senza risposta: tutto sommato, era come se stessero annegando nella stessa pozza di acqua limacciosa. «oh, cherrycola» eh, ma cristoddio; e poi «tu guarda quel figlio di puttana» di preciso law, in quel casino, cosa minchia di faceva. istintivamente, ma forse anche perché voleva evitare che la benshaw lo passasse da parte a parte con il machete, il telly sollevò la maschera, rapidi battiti di ciglia che riabituassero gli occhi chiari alla luce. hm, quello era Mac — chiaramente, indiscutibilmente, Mackenzie Hale.
    una [bestemmia] per ciascuno di loro.
    «ok» cherry gli stava già correndo incontro per abbracciarlo e pugnalarlo alle spalle? come nella scena di Madagascar? chiedo. di sicuro moka fu distratto da un movimento improvviso, che per istinto lo portò ad estrarre la glock dalla fondina; ma era solo Wyatt che si lanciava unhinged sul Matheson per tirargli un pugno. e, vi dirò: «good for him» perché era già pronto per saccagnarlo, moka, a quello stronzetto.
    your crush is showing, cit. e forse in un certo senso era pure vero — le contava su una mano (volendo ammettere anche a se stesso come stavano le cose, forse sarebbe anche arrivato a due), le persone a cui teneva, e purtroppo Lawrence era una delle dita. il medio. quello che gli rivolse mentre Wyatt provava a menarlo.
    ora.
    doveva prendere tempo, il telly; ma non poteva stare fermo. ad aspettare cosa, poi? cherry.
    hhhh. «ok. ok, ok» che magari se lo ripeteva tre volte girando su se stesso funzionava pure — un mantra. gli parve di leggere qualcosa sul volto di Mac, una muta richiesta priva di transcript che con tutta probabilità era un'allucinazione dovuta alle troppe ore di sonno arretrate. gli stava indicando qualcuno? (no, moka, stai sognando ad occhi aperti) faceva proprio pump pump con le sopracciglia, e nel seguire lo sguardo fisso dell'hale si rese conto che puntava in direzione di mort rainey (moka nel suo au, com'è giusto) «ok»
    ancora? sempre.
    rimise la glock al suo posto.
    si avvicinò al caposcuola, generale autonominato dell'efercito di abby, sommo poeta e presto primo ministro immortale (forse mai, cit.); lo prese per la collottola, il peso del proprio corpo a premere contro la schiena di mort per tentare di schiacciarlo a terra e li tenerlo fermo «niente di personale» davvero davvero.

    gif code
    1999
    electrokinesis
    rebel


    hhhh scusate.
    CODICE
    <b>ATTACCO MORT (moka):</b>

    lo afferra come un gattino e lo schiaccia a terra
     
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151 replies since 23/5/2023, 15:00   3735 views
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