Forget Me Knot

Residenza Campbell | John x Mina

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    Se c'era una cosa che si era creata e consolidata negli anni del loro rapporto era quella capacità per niente scontata di dire una frase del tutto innocente e scatenare una miriade di conseguenze fisiche e mentali a catena, processando le poche parole in più significati e tutti sensati. L'uomo sbuffò dalle narici, in parte divertito a quella "frecciatina" se così possiamo chiamarla sulla sua indubbia capacità di resistere in più contesti, senza però risponderle effettivamente a parole. Non poteva certo controbattere alla cosa, lei aveva ragione ed era la persona più qualificata per poterlo dire con quella serenità e sicurezza.

    Mentre il profumo della colazione stava cominciando ad aleggiare in cucina lui si ritrovò assaltato dai gatti, con la più anziana già pronta e l'unico maschio di casa a miagolargli contro per fame. Diede una carezza ad entrambe le creature e poi prese le più classiche porzioni di cibo umido per gatti, di quelle un po' ricercate, che potevano essere degni sostituti di pasti controllati e cucinati a dovere per le creature. Prese le tre ciotole e svuotò tre contenitori in ognuna, posando poi a terra con attenzione ogni piatto così da lasciarli mangiare, almeno fin quando non fu il momento di Lidya che non si fece vedere. «Lidya?» Con le labbra strette cominciò a far schioccare piccoli suoni per poterla richiamare e la gatta, invisible come un'ombra, apparve da dietro la sua gamba, facendolo intirizzire per due secondi netti mentre si strusciava sulla caviglia per poi prendere posto. «... Buongiorno.» Commentò all'animale, lasciandole il suo piatto.

    Prese posto al tavolo della colazione con la moglie, accarezzandole prima di tutto la mano prima di prendere le posate. John era un tipo che mangiava estremamente composto, sembrava sempre essere ad una cena di gala, anche se aveva la vestaglia ed era seduto nella loro cucina per una colazione ad un orario improbabile come quello. Tagliò una parte dell'uovo e della pancetta, stando ben attento a infilzarne entrambe le porzioni per portarle alla bocca. Mina però sollevò una domanda importante ed il cibo improvvisamente poteva attendere.
    Comprendeva la moglie, la situazione corrente non regalava mai davvero una pace completa, i figli ad Hogwarts erano al sicuro ma l'istinto genitoriale era comunque teso come corde di violino. Non ci pensò molto però diede alla domanda il giusto momento di attenzione, appoggiando la forchetta sul tavolo. «No, non credo sia troppo.» Rispose con sincerità. «Al massimo Alice ci prenderà in giro, ma non credo le dispiacerà.» L'anno in cui lei era sparita, rapita dai Ribelli, aveva corroso velocemente la sicurezza della famiglia unita ed il suo insperato ritorno aveva ricostruito e cementificato quell'unione, divenendo un po' per tutti - lui per primo - la prima motivazione per svegliarsi al mattino. «... Al massimo possiamo ordinare dei dolci da Mielandia, insieme alla lettera. O un dolce fatto in casa.» Commentò. «Però non credo si dispiacerebbero di ricevere una lettera.»
    Prese di nuovo la forchetta e cominciò a masticare il boccone. Dopo qualche secondo dalla gola dell'uomo uscì un piccolo ma udibilissimo suono, un muguno di apprezzamento, una piccola cantilena scandita che era il suo modo istintivo per dire che una pietanza era di suo indubbio gusto. Misa la mano davanti alla bocca, nascondendo l'atto di masticazione. «È buonissimo.» Confermò a parole, guardando poi l'altra. «... Vuoi da bere?»
    john ming-yue campbell
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    Edited by Ayakashi - 13/6/2023, 23:44
     
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    Conoscendolo così a fondo, non la sorprendeva neanche più quel modo in cui lo stato d'animo effettivo in cui John ricadeva nell'interagire con i loro gatti trasparisse molto relativamente dalla prossemica che esibiva in apparenza. Certa che nutrisse per loro una tenerezza pari a quella che serbava Mina nei confronti delle bestiole, notava comunque quella maniera sempre un po' spaesata con cui incassava certi loro comportamenti, o anche solo semplicemente il modo in cui svettava grande, grosso e immobile in mezzo a quelle pallette di pelo miagolanti che gli giravano attorno come piccoli satelliti. Ora che avevano Snowball, le pareva addirittura di cogliere una certa analogia fra i modi del marito e la felice passività con cui il grosso pastore maremmano subiva i caratteri bizzarri e variegati del trio felino... non che fosse la prima volta che riscontrava quel tipo di somiglianza, ma diciamo che allora il pensiero era declinato in un modo molto poco innocente e la colazione non le sembrava un momento adatto per rispolverare certe parentesi della luna di miele.

    La piega delle labbra si disciolse in uno dei suoi sorrisi più spontanei, fra i tanti che il consorte conosceva ormai a menadito, nel sentire la carezza sulla mano. Non faceva che godere della tenerezza e delle attenzioni di John da tutta una vita, senza essersi sentita in colpa o in debito neanche per un solo istante in tutti quegli anni; la contropartita di una simile naturalezza nel recepire l'amore di John era il non sopportare minimamente l'idea di doverne fare a meno, il che aveva reso la loro separazione, se possibile, ancora più infernale di quanto non fosse già stata a monte.
    Sbuffò appena fra le labbra al rassicurante responso dell'uomo, abbassando per un momento lo sguardo sul porridge che stuzzicava nel frattempo con la punta del cucchiaio. Pur conoscendo perfettamente il carattere dei due figli, in quei mesi le capitava più del solito di chiedere a John conferme quando si toccava tutto ciò che girava intorno la sua sparizione, lontananza e successivo ritorno. Era stato proprio John, in fondo, a condividere con loro quell'anno terribile, e d'altro canto lei stessa era preda dei propri legittimi patemi successivi all'avvenimento, dunque non riusciva a darsi l'assoluta certezza di sapere come gestire la situazione senza potersi appoggiare a lui.
    « I dolci da Mielandia mi sembrano un buon compromesso, sì... » concordò, alzando lo sguardo su di lui solo per un momento prima di tornare sul porridge. Non poteva davvero dire null'altro che non finisse per risultare un'eco di conferma sulle rassicurazioni altrui, ma quel silenzio non sarebbe risultato troppo sospetto a John, che sapeva bene quanto fosse intrinseco nella sua natura l'evitare di spendersi in parole superflue.

    Quasi a specchiare l'agire altrui, consumò con la distrazione conferita dall'abitudine le prime cucchiaiate della sua colazione. Oramai anche solo poter consumare un pasto tranquillo nella sua sala da pranzo le sembrava un dono, ma quella flemma composta che aveva iniziato a far capolino nei trent'anni per accentuarsi progressivamente fino al presente le conferiva sempre una certa aria di tranquillità quasi distaccata. In quel periodo così difficile più per il mondo ormai che per loro, poi, i pensieri si accavallavano silenziosi nel fondo della sua mente.
    « Sono contenta... » non mancava mai di manifestare una certa, sottilmente ironica soddisfazione nel constatare che le pietanze che preparava ora che non poteva utilizzare la magia fossero effettivamente edibili. Sì, anche un piatto relativamente banale come quello. « Sì, grazie amore. » non aveva particolare fretta di portare a termine la colazione, ma era diventata alquanto sistematica nel consumare quello specifico pasto della giornata per forza dell'abitudine da quando aveva un impiego.
    « Era da... prima che nascesse Alice che non eravamo solo noi a casa, dovrò riabituarmi. » osservò, fra un boccone e l'altro. Anche contando le parentesi estive e quelle natalizie, ora che anche Duncan frequentava Hogwarts sembrava ci sarebbero voluti solo una manciata di anni prima di vedere i due ragazzi diventare grandi e volare via dal proverbiale nido.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Non poté in nessun modo dall'esimersi di donarle un'altra carezza mentre cercava di nascondere per un attimo lo sguardo, protendendosi per buona parte del tavolo solo per cercare di sondare piano con i polpastrelli la guancia della moglie in un gesto di puro affetto, slanciato, istintivo. Vederla leggermente in panne per un discorso così semplice come il voler mandare una lettera ai figli era qualcosa di strano e segnante: lei che non aveva mai avuto davvero bisogno di chiedere una cosa del genere, ora aveva un timore nato da quell'anno di lontananza.
    Se da una parte era distruttivo, dall'altra accendeva in John dei sentimenti di rabbia furiosa che riusciva magistralmente a trattenere nel profondo del suo animo, evitando di farlo esplodere contro chiunque per avere un minimo di giustizia per quello che le era capitato. Il fatto di averla ancora, di poter godere di quei momenti era uno dei tre motivi che lo tenevano ben incatenato dal commettere atti di stupidità conclamata. Gli altri due motivi erano i figli. «Sono sicuro che Duncan apprezzerà moltissimo.»

    Prese il caffè e ne bevve un sorso, giusto un sorsino prima di posare la tazzina di nuovo sul suo piattino ed alzarsi per poter prendere da bere alla moglie. Prese del succo e dell'acqua, con due bicchieri annessi, posandoli sulla tavolain silenzio fin quando le ultime parole di Mina non risuonarono nella stanza. Gli occhi scuri dell'uomo guardarono prima lei e poi i dintorni.
    Fece un grosso sospiro con il naso, annuendo un paio di volte in maniera piuttosto lenta, consapevole ed un po' addolorata della notizia. «Già.» I suoni tra le mura della cucina erano silenziosi, ma il suono del cucchiaio che si immergeva nel porridge e che poi veniva portato alle labbra era un rumore in più che per mesi era mancato alle orecchie dell'uomo. Quella casa era diventata una prigione di silenzio e dolore nei mesi dove lei era scomparsa e a ripensarci i brividi freddi fecero scuotere le spalle, costringendolo a mangiare facendo un po' più di rumore. Il coltello e la forchetta tintinnavano in maniera meno naturale, forzatamente ed il frusciare della vestaglia spostata dal movimento peristaltico della gamba, improvvisamente innervosita dai pensieri cupi.

    Bevve un sorso di caffè più lungo, più intenso, più denso per poi cercare di darsi una calmata sul serio. Usò i principi di occlumanzia per evitare di impazzre di nuovo, soffrire a caso vicino a lei non era proprio la cosa che voleva. Anzi. La evitava come una condanna capitale. «Cosa gli prendiamo da Mielandia? Alice penso che apprezzerebbe le piume di menta senza zucchero. Duncan... qualsiasi cosa sia dolce.» Ebbe un piccolo moto di risata, leggerissimo ma valeva tutto per un uomo come lui, era il corrispettivo di una risata divertita piena.
    john ming-yue campbell
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    Quelle brevi e pacate effusioni così sincere e allo stesso tempo così necessarie riuscivano effettivamente ad aiutarla nel rasserenarsi su un argomento per lei così ostico come il misurare la sua apprensione nei confronti dei figli. Come solo raramente succedeva, era il tipo di madre che considerava la propria prole non solo in quanto tale ma, soprattutto, come esseri umani a sé stanti: va da sé dunque che non poteva evitare di preoccuparsi delle loro reazioni, dei loro pensieri, di quanto il suo comportamento potesse a sua volta causare preoccupazione in loro, se non opportunamente calibrato.
    Era difficile pensare di doverli lasciare più liberi, nei limiti del buonsenso rispetto alla loro età attuale, perché i pensieri e le paranoie venivano a galla quasi senza volere il più delle volte, ma se il prezzo da pagare per sentirsi sicura era far sentire invece oppressi i suoi figli, sapeva che non era minimamente disposta a pagarlo.

    Consumava con sistematica calma il suo porridge e sorseggiava il té finché era ancora caldo, non senza assaporarne accuratamente l'aroma in quella che era la ritualità dovuta non solo alla bevanda ma anche alla persona che gliel'aveva preparata.
    Lo seguì con lo sguardo quando si alzò per prendere altro da bere per lei, in quella maniera naturale e spontanea che aveva sempre dimostrato nel volerlo guardare ogniqualvolta era possibile. L'urgenza in più di non volerlo perdere neanche per un istante era una cosa nata più di recente, ma su una base già ben solida.
    Soffiò un ringraziamento ancora dalle labbra, sottovoce, quando lui tornò con i bicchieri e la bottiglia, ma percepì l'aria farsi più grave quando l'uomo le sillabò quella risposta e non poté non notare, quando lui si fu riseduto, quel concatenarsi insolito di "rumori". Insolito perché John era esattamente il tipo di persona così silenziosa che neanche camminando riusciva a fare rumore, con tutti gli incidenti e gli anni di vita persi del caso.

    E tuttavia, non fece che dedicargli qualche sguardo attento in quei momenti e in quelli successivi, sollecitando però in sé un pizzico di solerzia in più nel proseguire a mangiare. Il tè era della temperatura giusta per essere sorseggiato piano fino alla fine e seguitava a consumare a cucchiaiate il porridge mentre l'uomo cercava di mantenere la conversazione.
    « Hm mi... ricordo che impazziva per le cioccorane, ma forse solo per il fatto che saltellavano in giro e le inseguiva... » ricordava distintamente un piccolo Duncan che fingeva di essere un feroce predatore di rane di cioccolato, con tanto di ruggitini finti. « Immagino che adesso gli vada bene un po' tutto, certo. » sorrise malinconica alla constatazione. Ricordava perfettamente di come fosse sbocciata Alice una volta tornata dal suo primo anno ad Hogwarts; in più, Mina aveva potuto riabbracciare i suoi bambini brevemente solo grazie alle vacanze di Natale e le sembrava che quell'anno di lontananza, più che essersi concluso, si trascinasse ulteriormente anche in quei mesi che per i figli erano obbligatoriamente da trascorrersi a scuola.

    Fra sorsate e cucchiaiate, era rimasto ormai ben poco del suo pasto, ma si alzò comunque prima della fine, non riuscendo davvero ad attendere oltre.
    Non era molto rumorosa neanche lei, ma non si era mai disturbata a rendersi silenziosa come un fantasma come John, così sarebbe stato davvero difficile per lui lasciarsela sfuggire con ogni senso mentre si avvicinava, portandosi alle sue spalle e poggiandogli delicatamente le mani sulle spalle. Le fece scendere piano, finendo per abbracciarlo in quella maniera, il mento poggiato sulla cima della sua testa, non prima di avergli piazzato un bacio affettuoso fra i capelli.
    « Mi dispiace. Ti prometto che andrà meglio, mon cœur. » soffiò, dolce. L'impressione fissa da quando era tornata era che non riuscisse a declinarsi in una maniera che non fosse malinconica anche quando non si perdeva nei suoi pensieri e non desiderava che dare attenzione ai suoi cari e a ciò che le succedeva intorno. Non poteva cancellare il passato, ma non desiderava neanche esserne un monito costante, nero, indesiderato, appollaiato sopra la cornice di una porta. Non per John, almeno.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Edited by .totentanz - 16/6/2023, 17:16
     
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    L'occlumanzia era stata salvifica in quei lunghi e terribili giorni dove dovette affrontare la solitudine del mondo cercandone ulteriormente, non riuscendo ad interfacciarsi quasi a nulla se non fossero stati gli animali o il suo dolore. Dovette farlo per sopravvivere anche ai pazienti, al San Mungo stesso che riportavano casi di persone a cui avevano fatto esperimenti e non erano riusciti a superare neanche le prime ore dal ricovero, morendo sotto le sue mani di medico, dovendo combattere contro i pensieri di associazione tra quelle vittime e la moglie che al tempo era sparita nel nulla. Non fu facile, non fu etico, ma funzionò quel tanto che bastava per poter andare avanti e poter non essere un peso sociale totale. Anche l'aver mandato Duncan dai nonni materni o dai vari fratelli e sorelle della moglie era stato un fallimento per lui, non in grado di dare supporto concreto ad uno dei suoi figli mentre Alice era ad Hogwarts, più lontana di tutti, a dover combattere con i suoi pensieri e le lezioni.
    Si sentiva in colpa per questo, aveva ancora i recessi del dolore che al pensiero tornavano con una forza cieca anche se Mina era lì, in carne ed ossa, che stava sommamente bene anche se le avevano tolto una parte di sé. Eppure non riusciva, non del tutto, a far pace che per un lungo periodo della sua vita lei non c'era. Il periodo più lungo da quando si erano conosciuti oramai tanti anni fa. L'occlumanzia aiutava, sì, ma non risolveva.

    I ricordi della moglie legati al figlio più piccolo avevano quel sapore nostalgico misto al dolore che in un modo o nell'altro capiva, sentiva in maniera istintiva e comprendeva anche se in maniera del tutto differente. Sapeva che suo figlio era cresciuto, andava tutti i weekend a trovarlo per passare tempo con lui, quindi sì non lo aveva visto per molto ma non era la stessa cosa. Cercò di incoraggiarla ancora, parlando un po' più piano, con fare molto confidenziale in realtà «Sono sicuro che gli sia rimasta la stessa passione.» Ammiccò un piccolo sorriso, cercando di accarezzare di nuovo la pelle della donna, questa volta sulla mano proprio come quando avevano iniziato a mangiare, un'aggiunta implicita e delicata sulla convinzione che la sua preoccupazione fosse importante ma non così ben fondata. Dopotutto era la madre.

    Quando lei si alzò gli occhi andarono immediatamente a seguirla, un po' per istinto un po' per abitudine, guardandola defilarsi con la sua solita calma dalla posizione seduta fin quando non la percepì alle spalle, sentendo la pressione gentile delle mani sulle spalle ed il bacio ricolmo d'affetto che gli lasciò sulla testa. Le parole arrivarono leggere, candide, gentili ma ogni singola lettera di quella frase avevano un peso tremendo nell'animo dell'uomo che cercò di nuovo di prendere la mano della moglie, palma contro dorso, per poter infine stringere le dita con quelle di lei mentre si prendeva l'abbraccio.
    Lasciò andare la forchetta ed un po' si perse nel corpo altrui, cercandone un minimo di appoggio, un contatto ulteriore, bisognoso come poche volte nella vita di sentirla molto di più. Sospirò forte dalle narici, chiudendo gli occhi in quel momento - che per lei era chiaro - di debolezza. Non era riuscito ad affrontare la discussione senza improvvisamente farsi assaltare dai brutti pensieri, dai tormentati ricordi e lui sentiva in cuor suo di non essere quello in diritto di potersi lamentare neanche un secondo della cosa. Lui era quello che doveva fare ciò che Mina stava facendo, almeno in quel momento, per lei. «Scusa. Non volevo.» Non voleva abbattersi, non voleva lasciarsi massacrare dai sentimenti negativi, non voleva essere il guardiano del malessere che aleggiava forzosamente in casa. Avevano avuto una seconda possibilità, lei era viva e la famiglia unita, rammaricarsi del passato era una strada che lui non doveva percorrere, doveva solamente guardare al futuro. Con lei. Con Alice. Con Duncan. Con tutto ciò che era importante.

    Era arrivato praticamente alla fine della colazione, c'era poco altro da mangiare, ma all'improvviso sentì lo stomaco così serrato da non voler nemmeno finire quelle poche cose nel piatto. «Andiamo a letto?» E benché la proposta potesse sembrare ancora molto legata a quella iniziale, il tono con cui l'aveva proposta, con quella vaga supplica che Mina poteva cogliere forte come lo squillo di una tromba, era la richiesta di poter stare insieme. Non aversi e concedersi, quello sarebbe potuto anche avvenire dopo o meno, c'era la sincera voglia di stare insieme da solo con lei, a contatto il più possibile, fisicamente, dimostrarsi vicendevolmente che erano lì l'uno per l'altra.
    Non era mai stata una richiesta rara da parte dell'uomo, negli anni aveva sempre cercato di poter stare da solo con lei, perché era sempre stata una sua voglia ma da quando era tornata quella voglia legittima era diventata anche una necessità intrinseca del suo animo. Averla perduta anche solo per un anno aveva rafforzato in maniera quasi brutale la necessità da parte sua della presenza altrui in tutto.
    john ming-yue campbell
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    Il sorriso quasi sbuffò fuori, a quella rassicurazione che arrivò puntuale dall'uomo riguardo il discorso, davvero frivolo in realtà, su Duncan. Erano tanti piccoli pensieri, quelli di Mina, che presi singolarmente potevano sembrare sciocchi e privi di importanza ma che messi insieme assumevano la mole e la concretezza di un autentico senso di inadeguatezza. Le palpebre si abbassarono piano a quella nuova carezza che l'altro regalò, il capo addirittura si sbilanciò un pochino da un lato mentre tornava a guardarlo, prima solo da sotto le ciglia, poi direttamente e chiaramente in viso, sospirando percettibilmente.

    Sentirlo perdersi nel contatto fisico era lenitivo e doloroso allo stesso tempo e le fece stringere il cuore in un attimo. Non era mai stata il tipo da piangere in momenti di fragilità estrema, ad eccezione di certe profonde parentesi di sconforto durante la prigionia di cui non aveva mai fatto menzione neanche al marito, eppure, in quel momento la tipica sensazione delle lacrime che pungono cercando di uscire l'assalì.
    Strinse forte gli occhi, quasi pensasse di poterle rimandare giù.
    Le ciglia si inumidirono appena, gli occhi si fecero distintamente più lucidi, ma perlomeno nessuna lacrima salata le rotolò lungo le guance.
    Lo stringeva a sé, ricambiando quel desiderio disperato di vicinanza con la medesima moneta o forse con qualcosa di più, di peggio. Si sentiva quasi una debole a desiderarlo, il tentativo più laido e vile di fuga dalla realtà mai concepito, e allo stesso tempo il pensiero che John e le sue braccia chiuse attorno al suo corpo fossero l'unico posto davvero sicuro in cui sentirsi in pace le era immensamente dolce.
    Lo baciò ancora fra i capelli, piano, ma solerte fino a perdere il conto, non che lui meritasse meno di quello. Poi arrivarono quelle scuse e fu così lancinante da spezzarle il cuore, come solo lui e nessun altro avrebbe potuto mai fare.
    « Non scusarti... ti prego, non farlo mai... » soffiò ancora, e stavolta la voce le tremava in una maniera che sarebbe risultata inedita anche a lui. Quando si era apprestata a raccontare per filo e per segno cosa le fosse accaduto in quei mesi di lontananza, era stata ferma e lucida in una maniera che aveva avuto del surreale, al tempo; ora, delle semplici quanto inopportune scuse erano state invece sufficienti ad infrangere il muro della sua compostezza e del suo controllo come mai prima.
    Non avrebbe pianto, in ogni caso. Ma quegli occhi lucidi che si sarebbero rivelati di lì a poco, John li avrebbe potuti benissimo postulare anche da quel soffio di voce flebile.

    Un sospiro la sgonfiò per l'ennesima volta e si lasciò praticamente cogliere di sorpresa da quella richiesta. Ben diverso era divenuto il sottotesto rispetto a quando l'ipotesi era stata partorita, ma la sostanza per lei rimaneva identica: l'opportunità di affogare in dolci attenzioni reciproche, allontanare cattivi pensieri e forse tetri presagi dalle rispettive menti per qualche ora. Non che fosse una cosa nuova, entrambi avevano scelto carriere non facili e non estranee a frustrazioni e dispiaceri di vario genere, nulla però che fosse davvero paragonabile a quello che stavano vivendo in quel periodo, da entrambe le parti.
    Della colazione non finita le interessava ben poco, a quel punto.
    La mano che lui le aveva preso nella sua fece per farsi spazio quel tanto che bastava per cercare di intrecciare le dita con le sue. Quante volte da quando si conoscevano l'aveva preso per mano in quel modo, spesso in maniera del tutto inconsulta, per portarlo con sé da qualche parte? Non si contavano. E non era mai stata insicura abbastanza, di sé in primo luogo e poi anche di lui, da porsi il dubbio se quel tipo di gesto potesse risultare indesiderato o fuori posto. In quello specifico frangente, dopo anni passati insieme indivisi nell'anima e perlopiù indivisi anche col resto di loro stessi, sembrava solo più opportuno delle altre volte.
    Avrebbe atteso di vederlo alzarsi prima di voltarsi, continuando a tenerlo. per condurlo di nuovo indietro alla camera da letto. Fra i gatti presi dalla colazione e uno Snowball incredibilmente prono a cogliere obbedientemente i segnali impliciti, le sarebbe poi bastato chiudere la porta per rimanere soli. Lo avrebbe lasciato, un po' a malincuore, solo per tornare a riporre temporaneamente la vestaglia, rimanendo in quel malcelato négligé di raso nero su cui spiccavano unicamente le rifiniture floreali viola scuro all'altezza della scollatura.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Erano due anime che soffrivano enormemente per tutto quello che era capitato all'altro, il pensiero di loro stessi era sempre stato secondario poiché l'altra metà veniva sempre prima di tutto o almeno avevano costruito inconsciamente il loro rapporto in quella maniera, con dolcezza ma anche con un trasporto che era raro poter osservare o riscontrare al di fuori delle loro quattro mura di casa. Non che fosse impossibile, certo, ma negli anni John non aveva mai visto un'altra coppia intendersi come riuscivano loro.
    E quell'intesa era venuta meno per colpa d'altri. Quella sensazione di aver subito non solo una perdita fisica come quella della moglie ma anche spirituale aveva lacerato qualcosa di profondo nell'animo dell'uomo che mai prima di allora aveva provato una rabbia come quella dei mesi precedenti. Accecante, disturbante, a tratti estraniante: cose che si riassopirono come una brace nel suo morire quando Mina riuscì a tornare a casa. Ma una brace, per quanto controllata, era sempre accesa.

    La mano stretta della moglie con la sua, le dita intrecciate e quel bacio tra i capelli tanto intenso da poter sentire quasi lo schiocco accentuarsi con il proprio battito cardiaco non erano comunque abbastanza. Esisteva un'avidità improvvisa in John, qualcosa che superava di gran lunga qualsiasi altra cosa, una necessità assurda di poter avere sua moglie il più tempo possibile a costante contatto con sé, in tutte le sue forme e le sue sfumature. Si vergognava enormemente di questo poiché non era stata lei a decidere di recidere quella connessione che avevano e probabilmente avrebbe avuto tutto il diritto di voler tempo libero per sé stessa, cercare altre forme di intrattenimento dove lui le gravitava intorno come un satellite, esattamente come la Luna orbita intorno alla terra. Ma lei era il suo Mondo e lui poteva solo e soltanto, con un desiderio antico cantato e scritto da bardi e poeti, starle intorno il più possibile fintanto che Mina glielo avesse concesso. Annaspava tra dolore e consapevolezza che se non fosse stato per lei e per i figli, probabilmente avrebbe scoperto una parte di sé che non gli avrebbe mai più permesso di guardare il proprio riflesso in uno specchio.

    Annuì alle parole della moglie, quella voce spezzata crinò ancora di più quella sottile patina vetrosa di dignità che cercava senza alcuno sforzo di mantenere salda. Avrebbe voluto chiederle scusa di nuovo, come era suo solito, ma si limitò a dirlo nella sua testa anche se sapeva benissimo che la donna che lo stava tenendo a sé in quella maniera lo avrebbe potuto facilmente immaginare, quasi sentire per effetto dei ricordi e delle esperienze di vita passate insieme. Avrebbe chiesto scusa di nuovo, se solo avesse avuto modo di parlare, come un cane che rincorre la propria coda.
    Si alzò appena fu possibile, facendo grattare la sedia e la seguì come per tanto tempo aveva fatto fino alla camera da letto, lasciandosi alle spalle tutto il resto del nucleo famigliare animale che avevano, lasciando che fosse lei a chiudere la porta.

    Dividersi, anche solo per poter raggiungere la propria parte di letto era qualcosa che non gli piacque. Non gli era mai piaciuto forse, non ci aveva mai fatto caso, ma come tutto il resto, da quando era tornata aveva cominciato a far caso anche a quelle piccolissime cose - sapeva che non era poi così sano, c'era un'ossessività preoccupante che riusciva a gestire in maniera decorosa grazie al profondo senso logico che gli era stato impiantato sin dall'infanzia.
    Lasciò la sua vestaglia, rivelando la sua mise en place striminzita, fatta praticamente solo dal boxer nero che ne copriva le parti intime, lasciando il resto del corpo completamente scoperto. Guardò la moglie e per quanto le sue grazie risvegliassero debolmente l'istinto che prima aveva bruciato forte sotto la pelle, ora aveva bisogno di sentirla stretta a sé in una qualsiasi maniera, poterla guardare negli occhi e lasciarsi dietro la realtà amara di quello che era capitato loro. Essere solo lì, entrambi, l'uno per l'altra.
    Niente gatti, niente cane, anche i figli distanti per quell'istante era una benedizione per quanto in realtà avrebbe apprezzato altrettanto nuovi momenti con tutta la sua famiglia riunita, però era un uomo e come tutti debole. Che poi la sua debolezza portava l'anello di fidanzamento e di matrimonio al dito era un altro paio di maniche.

    Si infilò nel letto, non lo fece con foga o velocità, lo fece come al solito, sedendosi e poi infilandosi sotto le coperte, girandosi su un fianco pronto ad accogliere la moglie tra le braccia, con quella fame e quella sete di lei che neanche il potere delle parole poteva descrivere completamente. Troppo profondo, troppo intenso, troppo sconquassante.
    john ming-yue campbell
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    I momenti in cui sembrava loro di potersi leggere reciprocamente nel pensiero accadevano più spesso di quanto si potesse pensare e, alle volte, persino desiderare. Quel tipo di complicità era qualcosa che aveva cercato di costruire attivamente per anni, sin da quando non erano che ragazzini, ma c'erano momenti, da quando era tornata a casa, in cui desiderava di poter essere meno intelligibile a John. Era di certo lui l'unica persona da cui potesse rifugiarsi, al quale potesse mostrarsi nel suo stato di più profonda vulnerabilità, al punto che nemmeno i suoi genitori o i suoi fratelli riuscivano a vantare di quel privilegio; allo stesso tempo, però, vedeva chiaramente come quell'anno di lontananza e di estrema apprensione lo avessero provato e tutto desiderava meno che aggiungere la propria sofferenza a quella che lui già covava.
    Forse la soluzione da adottare era la possibilità più compromissoria. Condividere ognuno il peso dell'altro e viceversa.
    O forse era solo l'inevitabile conseguenza di non poter fare a meno l'una dell'altro e l'altro dell'una.

    Nel voltarsi di nuovo verso di lui, una volta che furono completamente soli, quasi si aspettò di trovarselo alle spalle anziché vederlo intento, una volta libero dalla vestaglia, a riposizionarsi nella sua canonica metà del letto. Era sempre stato silenzioso, difatti, ma anche piuttosto prono a fare le cose in ordine e con discrezione, come in quel momento, aspettando i momenti giusti senza mai affrettare i tempi.
    Vederlo seguire uno dei suoi soliti ordinati diagrammi di flusso mentali le fece per un momento venir voglia di giocare. Scherzare su come si fosse diligentemente nascosto sotto le coperte e altre amenità che si possono intuire, senza neanche andare a parare per forza su certi facili umorismi da camera. Aveva sempre avuto un senso dell'umorismo dai tempi comici e dal contenuto a dir poco curiosi, per quanto riservasse la conoscenza di certi lati di sé solo ai familiari.
    Questa volta, però, indugiò.
    Quasi le servì quel momento di raccoglimento, per poter seguire il percorso straordinariamente speculare a quello altrui che la portò infine sotto le lenzuola, a cercare riparo fra le braccia del marito. Il calore del corpo altrui la colpì immediatamente come una sensazione piacevole, assieme alla percezione forse pericolosa del profumo della sua pelle, contro la quale premette le mani e il viso in modo altrettanto subitaneo, manifestando tacitamente la frustrazione più che vaga di non poterlo stringere fra le braccia per colpa della posizione sconveniente. Prese ancora un paio di profondi respiri, lasciandosi andare alla necessità che era evidente di sentirlo il più possibile e forse proprio per questo cercando di intrecciare le gambe proprie con quelle altrui.
    Aveva chiuso gli occhi per diversi istanti, in modo da lasciarsi investire meglio dalle altre percezioni che stava avendo di lui, ma quando espirò con pesantezza quell'aria che aveva voluto a tutti i costi trattenere un po' dentro ai polmoni schiuse le palpebre per trovare l'indistinta impressione del petto altrui, che comunque conosceva così a memoria da poterlo immaginare in mente con chiarezza.
    Poi se ne accorse.
    Del suono scontato e non scontato insieme, così infinitamente prezioso, del battito del cuore altrui. E chiuse gli occhi ancora, come se potesse bastarle a sentirlo così bene da invadersi le orecchie solo di quello. Le dita abbandonate sulla pelle dell'uomo si fletterono in piccole carezze gentili, superficiali ancora, come se la sensazione della sua pelle contro i polpastrelli fosse sufficiente, anche se non era affatto così.
    Era sempre stata quella più fisica dei due, insospettabilmente: quella che lo prendeva improvvisamente per mano pur di trascinarlo in un posto dove poter stare da soli e quella che gli gettava le braccia al collo e cercava di baciarlo prima che lui potesse anche solo finire di salutarla come si doveva; dunque gli sarebbe stato forse difficile sorprendersi nell'immaginare quanto si stesse trattenendo dal pretendere di più nell'immediato.
    « Mi manca il vecchio letto, sai. » una frase che veniva fuori particolarmente di frequente in situazioni analoghe, anche se forse risaliva a tempi meno infelici l'ultima volta che era stata pronunziata. In sua difesa, non aveva avuto molta voglia di fare discorsi leggeri in quei mesi, ma forse era proprio quello il problema. Alzò lo sguardo verso di lui, a ricercare magari un sorriso o qualcos'altro che le lasciasse intendere che lui si stesse lasciando alle spalle i brutti pensieri. « Anche se forse non dovrei dirlo, dopo averti trascinato per tutti quei mercatini e negozietti di antiquariato... » provò a proseguire, fermando le dita della mano destra per iniziare a tamburellare solo l'indice contro il petto dell'altro. Accennò persino un mezzo sorriso, ma fu davvero un momento e smise, sentendosi un po' stupida tanto per dirne una. Stava davvero cercando di distrarlo con un discorso sciocco? Forse non era proprio il giorno giusto per provare a rendere suo fratello Jerome fiero di lei.
    E avrebbe preferito baciarlo, a dirla tutta.
    Baciarlo finché aveva fiato e finché lui non avesse deciso che i baci erano troppo poco ed esigeva altro. Altro che l'avrebbe privata finalmente, per un po', della facoltà di riflettere su qualcosa che non fosse lui, loro, qui ed adesso. Da quando era tornata era successo più di una volta che cercasse quel tipo di sollievo senza porsi il problema di quanto fosse opportuno, a volte anche solo per colmare notti altrimenti insonni da ambo le parti.
    In quel momento, però, era più in pena per lui di quanto potesse esserlo per sé stessa e non sarebbe riuscita a lasciarsi andare a quel tipo di egoismo neanche con una necessità pressante come quella che percepiva in quel momento.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Gli occhi scuri dell'uomo sondavano la figura a malapena vestita della moglie, i movimenti che conosceva al punto da poterli anticipare mentalmente, così semplici ma al contempo così importanti da occupare gran parte dei suoi pensieri. Era uno spettacolo di per sé? Sì. Il solo vederla era già qualcosa che poteva riempire l'animo umano, almeno a sua detta e nel vederla scivolare finalmente all'interno delle coperte non nascose quel briciolo d'impazienza nel poterla sentire bene contro il corpo.
    Il calore, l'odore, la presenza, quel minimo contrasto di temperature che si sarebbero da lì a poco mescolate per raggiungerne una completamente nuova e comune riuscivano per un istante, forse uno solo, a dargli quel senso di pace che da tempo era mancata sotto quel tetto.
    Respirava piano, il più piano possibile, come se non avesse diritto di vivere con lei mentre cercava di tenerla stretta a sé alla sua maniera: non troppo da toglierle il fiato, né poco da poterle dare una vera libertà di movimento senza dover chiedere per lo meno il permesso, cercando di inserire in quel gesto tutto l'amore che conosceva.
    Lei, così piccola sul suo petto, le scioglieva il cuore che prendeva una ritmica che lei sentiva, un cuore che batteva al suo fianco da quasi trent'anni. Le labbra dell'uomo tentarono di posarsi più volte sulla testa di lei mentre riceveva le carezze gentili delle dita sul petto. Era un momento importante, come lo era sempre stato, ma da quando era tornata c'era un'importanza ulteriore ad ogni singolo secondo che potevano passare insieme fisicamente. Una necessità estrema, che lui non diceva ma ammetteva con i suoi stessi gesti.

    Fu con un leggero moto di sorpresa che accolse quella frase lanciata in maniera innocente, quella sul loro letto. La memoria corse veloce a quel letto da una piazza sola che condividevano, abbracciati, senza avere lo spazio di girarsi o schiacciarsi a vicenda l'uno contro l'altro pur di dormire qualche ora prima di alzarsi. Quando dormivano. Quel letto aveva visto molte cose ed era indubbio che faceva parte delle loro memorie più importanti, intime e profonde; importante al punto che lui stesso aveva commissionato un mago artigiano che lo potesse rimpicciolire per poi costruirci un diorama della loro prima stanza e che stava in silenzio sopra al pianoforte, come un piccolissimo e segreto altare votivo.
    Sorrise piano a quel ricordo dolce, qualcosa che effettivamente rievocava solo bei ricordi, soffici come nuvole leggere che donano un po' di salubre ombra sotto un sole splendente non troppo caldo. «Abbiamo girato in lungo e in largo per questo...» La sua voce era più divertita che infastidita, rimembrando con altrettanta facilità i giorni in cui Mina decise di andare a caccia per trovare il "giusto talamo nuziale" che li avrebbe accompagnati fino alla fine dei loro giorni o poco più. Fu una vera impresa, bisognava riconoscerlo. «La faccia della strega che lo voleva ma glielo hai soffiato da sotto il naso per dieci galeoni in più.» Commentò con un leggero principio di risata, cheto e morbido.

    Tornò a guardarla in tutto ciò, osservandone il volto ancora mezzo nascosto e con le dita cercò di toglierle una ciocca di capelli dal volto in maniera gentile, una delicatezza nata anni prima e cresciuta con la loro relazione ed anche con il lavoro dell'uomo. Il suo tocco non era mai stato forte, forse saldo all'occorrenza, ma sempre con un retrogusto di gentilezza. «Manca anche a me.» Rispose piano infine, avvicinando il volto a quello di lei, con le gambe intrecciate alle sue, cercando di premere affettuosamente la punta del naso contro quello di lei. Dall'abbraccio venne liberata piano, il contatto corporeo però non smise, di nuovo la mano cercò di accarezzarle il volto piano e fermarsi con le dita sul filo della mandibola.
    Fu il vero primo tentativo della giornata, il posare le labbra piano contro quelle altrui cercando di assaggiarne il sapore, un misto di lei e probabilmente di porridge alla frutta con un sentore di tè bianco che aveva preparato lui con le sue mani. Conosceva già quel miscuglio di sapori ma era sempre una cosa nuova poterlo provare ancora ed ancora, all'infinito, sulle labbra della donna che era riuscita a donargli tutto ciò che neanche sapeva di desiderare.
    john ming-yue campbell
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    Ogni fibra del suo corpo sembrò perdere vigore nell'accezione migliore del termine non appena le braccia altrui le si chiusero attorno, in una sorta di imposizione gentile in cui, inaspettatamente, Mina aveva sempre avuto la tendenza a rifugiarsi.
    Fragile. Si sentiva maledettamente fragile, pronta a infrangersi finalmente in quei pezzi che ogni giorno cercava di tenere insieme, da quando era tornata. Una fragilità che riusciva abilmente a dissimulare la maggior parte del tempo, perché rientrava in quel classico, tragicomico paradigma della donna forte che deve mostrarsi tale, soprattutto per proteggere chi la circonda. Una fragilità che riusciva a sopportare nella sua interezza solo se c'erano le braccia di John a tenere tutti i cocci incollati insieme, ricordandole che la donna che era stata prima del rapimento non era davvero morta del tutto in quel Laboratorio.
    E poi c'era semplicemente quel bisogno innegabile di lui che non aveva mai davvero avuto a che fare con le esperienze negative della loro vita, neanche quelle piccole e insulse. Quel bisogno che la portava a compiacersi anche del più piccolo fremito d'impazienza che all'altro sfuggiva, poco prima di qualunque effusione. Quel bisogno che non le aveva fatto alzare immediatamente lo sguardo verso di lui anche e soprattutto in attesa di un altro di quei baci lasciati fra i capelli. Nonostante non fosse mai stato parco di attenzioni, nei suoi confronti come in quelli dei loro bambini, Mina raccoglieva ancora ogni singolo gesto che l'uomo le dedicava, dal più microscopico al più plateale, con la stessa dedizione dei primi giorni di conoscenza da studentelli di Hogwarts del primo anno.

    Sentirlo accogliere il discorso sciocco con una certa naturalezza la fece rilassare, da un'iniziale tensione inevitabile dovuta ad un senso di impaccio tutto mentale. Sentirlo divertito, poi, aveva un effetto a dir poco balsamico, sui sensi e sui sentimenti.
    « È stata un'avventura, almeno. E devo anche ammettere che spesso tutto lo spazio in più torna utile... » per qualche motivo, la prima cosa che le venne in mente fu quella manciata di occasioni in cui era inevitabilmente capitato di dormire con uno o entrambi i bambini nel letto con loro. Forse fu per quello che la sua voce risuonò sentitamente lieta nel pronunziare quelle parole.
    Sembrava che fosse sul punto di aggiungere altro, ma quello scostare i capelli dal viso arrivò a distrarla con una potenza inaudita, a dar mostra di come avesse perso d'un tratto tutta la compostezza innata che le permetteva di non sciogliersi anche alla minima percezione delle dita di lui che la sfioravano e degli occhi che la cercavano.
    La stretta delle braccia che si allentava le permise al massimo di mettersi più a livello col viso altrui, mentre John già arrivava a carezzare piano con la punta del naso quello di lei, in una sorta di affettuoso preludio. Le palpebre della donna sbatterono piano a quei tocchi gentili delle mani contro il volto, mentre le labbra si schiudevano un po' per l'aspettativa e un po' per lasciar sfuggire un sospiro piccolo, davvero sottile, che lui avrebbe colto facilmente.
    La sensazione delle labbra che cercavano morbidamente le sue arrivò assieme ad un sentore ancor più deciso del profumo altrui; assieme ai tocchi che le regalava, non poté fare a meno per un lungo attimo di sentirsi sopraffatta, in positivo, dalla maniera in cui la presenza di lui la investiva completamente, in ogni e con ogni senso possibile e immaginabile. Non era solo la stanchezza a non farla essere proattiva, ma anche e soprattutto il fatto che non volesse privarlo di nessuna soddisfazione data da quel momento così intenso.
    Solo dopo un momento, dunque, si trovò a ricambiare piano la voglia di sentire il sapore delle sue labbra fra le sue. Era chiaro, conoscendola, che si stesse frenando nel mantenere una maniera così tranquilla nel suo fare, ma non interessava neanche a lei, ad onor del vero: voleva solo sentirlo, anche per poco, anche se significava non affrettare le cose e lasciarsi governare dalla sua solita intraprendenza.

    Lo cercava con lentezza a sua volta, ma lambendo le sue labbra ogni volta senza nascondere la profonda necessità di lui e senza nascondere neanche quella sua tendenza classica a dir poco di impegnarsi a dargli abbastanza piacere da poter, forse, attentare al suo autocontrollo.
    Solo in un secondo momento sollevò piano una delle mani per portargliela al lato del volto, come se avesse paura di vederlo scivolare via da un momento all'altro. Respirava gravemente dalle narici di quando in quando, mentre il resto del corpo faceva inevitabilmente per aderire ed adagiarsi contro quello altrui. L'altra mano, l'unica libera, cercava invece come poteva il contatto con la pelle di lui, aggirandosi con una lentezza mostruosa fra il petto, la spalla e la base del collo, profilando con lentezza il corpo altrui sotto ai polpastrelli come se conoscerlo già a memoria non fosse abbastanza.
    Solo in un secondo momento, ben dopo essersi persa nel sapore altrui, si aiutò piano con le mani a trarlo a sé senza forza, in una maniera del tutto dimostrativa, volta a fargli capire che voleva un po' di più di quello: un po' come era inevitabilmente successo col vecchio letto ad una piazza, anche ora desiderava sentirlo sopra di sé, in primo luogo per poter avere maggior margine di movimento con braccia e mani e in secondo luogo perché, in fondo, aveva sempre gradito particolarmente la sensazione di trovarsi sotto di lui, dolcemente intrappolata fra il corpo relativamente più ingombrante del medico e il materasso.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    Come fossero collegati dal un filo conduttore invisibile, l'affermazione della moglie fece volare la mente dell'uomo proprio a quelle circostanze dove, per un motivo o per un altro, il letto a due piazze era stato più efficiente di quello ad uno che condivisero per lungo tempo: per esempio la malattia passeggera di uno dei due bambini, alcuni febbroni da cavallo che portarono qualche notte insonne ed altre più liete, come l'addormentarsi tutti insieme per il gusto di voler stare tutti insieme. Magari dopo una vacanza in giro per il mondo o quando lei era tornata. Nonostante Alice fosse già grande la notte del ritorno dormirono tutti insieme, un po' strettini ma uniti.
    Il letto matrimoniale aveva acquisito un simbolismo importante ma anche quello singolo che stava pacifico nel diorama in salotto aveva la stessa importanza. Diversa, ma non da sottovalutare.

    John, più placido di lei di natura, non si dimostrò smanioso di proseguire quel bacio ben oltre la soglia del pudore, la sua serafica calma era un dato di fatto che spesso veniva meno quando Mina era il soggetto delle sue attenzioni, infatti lei poteva cogliere quel vago e distante principio di impellenza che si stava risvegliando piano nel corpo del marito, paragonabile ad un coro che parte in sordina per divenire maestoso via via che i secondi scandivano le ore passate insieme. Un processo in cui l'uomo si stava perdendo, accogliendo fin troppo positivamente e con istintività crescente l'avvicinarsi di lei, il contatto fisico più pressante, il torace che toccava le morbide e desiderate forme altrui, separate solamente da quel docile e fragile tessuto che copriva ancora il corpo della donna in maniera sbarazzina, a tratti fastidiosa.
    Sbuffò aria con appena più forza dalle narici mentre sentiva il tocco di lei raggiungere il volto mentre l'altra mano disegnava i suoi contorni in maniera delicata, un tocco che sapeva di reazione esotermica, il calore che si sprigionava dalla pelle dove veniva sfiorata mentre altro cominciava a sobbollire nel sangue, un risveglio lento ma altresì inesorabile.

    Non erano più le voci a comunicare, erano i gesti e le intenzioni che sembravano urlare all'altro cosa stesse per succedere e quel gentile essere invitato a riposizionarsi venne accettato quasi all'istante, morbidamente, simile all'onda che viene trainata dal mare e poi lasciata andare verso la spiaggia. Lei, il suo lido di felicità e serenità su cui poter sparire in una schiuma bianca senza pensieri; infine si impose un po', ancora del tutto attaccato a lei, scivolandole tra le gambe e premendo gli avambracci al lato del costato altrui per avere quel minimo di appoggio, quello appena necessario per non essere pesante, baciandola ora con una nuova stilla di insistenza, respirando con più voracità l'aria dalle narici, una necessità anaspante di recuperare ossigeno e profumo.
    Ogni movimento del corpo era una carezza involontaria, ogni respiro una pressione più intensa contro di lei, la pelle chiara che cominciava ad essere più calda, sensibile, ottenebrando il torpore mattutino di una notte di sonno che era stato abbandonato totalmente. In piccoli e ripetuti schiocchi umidi il bacio di John cominciò ad essere più vorace, le mani che tentarono di scivolare sulle scapole fino ad afferrare i sottili lembi di tessuto, uno dei due impedimenti che stavano ostacolando il suo crescente desiderio.
    Perderesi con lei in lei, per tutto il tempo che la loro fame fosse durata, istintivamente più simili alle bestie senza dover rendere conto a nessuno.
    Lasciarsi cadere nell'oblio di un piacere che non era fatto solo di carnalità, poiché tra di loro esisteva qualcosa che sin da subito li aveva cuciti l'uno all'altro, qualcosa di più profondo. Qualcosa che molti avrebbero invidiato, a ragione.

    john ming-yue campbell
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    TRIGGER WARNING: da qui fino a nuovo ordine, segnaliamo la presenza di contenuti sessuali espliciti. Sì, non era previsto quando abbiamo aperto, giuro. Sì, provvederemo a farci eventualmente deportare quanto prima.

    Fra un bacio e l'altro, schiocchi umidi governati a monte da quell'implicito desiderio pressante che si palesava per il momento solo fra le righe, Mina era colta a tratti, oltre che da più consueti sospiri, anche da lievi sbuffi che potevano approssimarsi ad una certa leggerezza d'animo, enfatizzata dal modo in cui le labbra le si increspavano in sorrisi ogniqualvolta erano libere dal giogo solerte di quelle altrui.
    Sentire la pelle di lui scorrerle sotto i polpastrelli era piacevole, troppo, tanto che la pressione con cui essi strisciavano sopra la carne era tale da ricordare il pesante incedere sul ventre di certi grossi serpenti; così, per quanto fosse fisicamente più minuta di lui nel complesso, aveva comunque modo di rendere la sua presenza e le sue attenzioni almeno un po' invadenti, lasciando trasparire quella che era in tutto e per tutto una tensione dell'animo in piena regola a pretendere di far propria ogni cosa di lui.

    La mansuetudine naturale con la quale l'uomo assecondò quel suo invito appena accennato provocava una strana, tetra forma di soddisfazione. Fremette appena nel sentirlo venire ulteriormente incontro al suo corpo, mentre lei si adoperava a propria volta per adagiarsi supina. Le gambe già fra di loro intrecciate facilitarono a lui l'impresa di ritagliarsi il consueto spazio fra le cosce di lei, schiuse in maniera appena sufficiente da accogliere il volume del corpo altrui e nient'altro; il négligé s'era così, per via di tutto il movimento, già inevitabilmente sollevato in quel punto, permettendo eventualmente alla pelle scoperta dei fianchi di John di saggiare la morbidezza nota delle membra di lei che lo accoglievano senza l'ostacolo del tessuto.
    Privi anche del più elementare concetto di distanza a separare i loro corpi, Mina aveva a disposizione meno di una stilla di concentrazione per poter contemplare quella sensazione di prigionia tanto ambita, poiché lui non perse altro tempo e prese invece ad incalzarla ferocemente con il bacio, strappandole un ansito particolarmente languido rispetto ai precedenti. Per qualche attimo si lasciò andare alla sensazione della lingua altrui che cercava con voracità la sua, docile in quello quanto non lo era invece nell'affondargli le dita fra le ciocche nere poco sopra la nuca, mentre l'altra mano cercava la sensazione tattile della schiena ampia.
    Un brivido impossibile da reprimere le corse tuttavia lungo la schiena fino in basso quando sentì le mani di lui viaggiare sulle scapole fino alle spalline, portandola a serrare le cosce attorno i fianchi altrui per una reazione involontaria che l'uomo avrebbe potuto riconoscere fin troppo facilmente.
    Dopo aver concesso più di qualche sferzata ancora, fece a malincuore per sottrarsi dall'intensità di quel bacio, non risparmiandosi comunque di farlo per gradi, lambendogli ancora persino le labbra con morsetti leggeri alla fine, mentre si staccava, per dare ad intendere che, se la necessità non lo avesse imposto, avrebbe continuato a baciarlo più che volentieri.
    « Johnny... » soffiò quel vezzeggiativo con dolcezza, sorridendogli inevitabilmente, ma il suo essere complessivamente già accaldata e l'avere il respiro un po' corto per ovvi motivi la portava ad imprimere malizia nei suoi toni quasi senza volerlo. Quasi. « È un po'... scomodo sfilarmi le spalline da questa posizione, mon cher... » spiegò infine, senza girarci tanto intorno; così distesa, praticamente compressa fra lui e il materasso, e per di più con le braccia allacciate al suo collo, c'erano ben poche possibilità per John di far venir via le spalline della vestaglietta in modo definitivo. Con un momento di tregua in più come quello, però, aveva la possibilità e soprattutto l'intenzione di coadiuvarlo come poteva nel processo, se avesse proprio voluto continuare per quella strada.
    wilhelmina asphodèle campbell
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    L'espressività di quel bacio aveva una complessità tutta sua, una forma fin troppo alta e raffinata che comprimeva in un solo gesto tutto quello che l'uomo provava per la donna che aveva avuto la fortuna di trovare tanti anni prima: la mancanza di lei per quell'anno maledetto che al pari di una ferita sanguinante continuava a lederlo, l'eccitazione di poterla avere per l'ennesima volta senza mai stancarsi un singolo giorno della persona che aveva incastrato sul materasso e l'immenso, straripante amore che provava nei suoi confronti al limite della devozione più assoluta, come un fedele in chiesa che fissa con occhi enormi l'effige divina prendere vita per poterlo accogliere con sé, anche solo per una notte o una manciata di ore. Questo e molto altro quel bacio esprimeva in sferzate pesanti, rese ancora più concitate dal respiro che, avido, cercava di dare ossigeno ai polmoni aspirando tutta l'aria dal naso insieme all'odore di lei.
    John era in uno stato mentale che ben poco aveva a che fare con la logica, in quel momento, molto più incentivato a prendere le redini della propria istintività per poterla riversare sul corpo della moglie, insieme a tutto quello che era effettivamente il sentimento condiviso da due.

    L'amaro sapore di nicotina che la donna aveva in bocca non riuscì a sconcertarlo, quello che fece impennare la sua eccitazione fu sentire quelle cosce strette alla vita, una presa netta, conosciuta e tanto desiderata. Ogni singolo gesto, movimento, esalazione di Mina provocano ai suoi freni un laceramento strutturale, portandolo lentamente a pensare ad una cosa sola in maniera totalitaria: lei. Solo ed esclusivamente lei.
    La presa sulle spalline divennero grinfie vibranti che quasi attentarono al tessuto in un impeto fin troppo concreto, un momento di poca lucidità che recuperò in men che non si dica, solo per rispetto della vestaglietta altrui e dell'anno passato da lei, dove di soprusi ne aveva subiti anche troppi e di certo non aveva bisogno di immagini tanto crude tra le mura di casa, figuriamoci a letto.
    Il continuo strusciarsi contro di lei, però, sollevò ben più del normale ardore che era solito nascondere e mostrare solo a lei, il basso ventre stretto ancora da quei pochi lembi di tessuto sbatteva in maniera sempre un po' pressante contro di lei, in concomitanza della sua intimità, con movimenti di bacini lenti ma molto decisi, spinte che provocano qualche brivido intenso tali da fargli sollevare i capelli dietro la nuca.

    Quando Mina parlò il cervello fece una capriola intera per riassettarsi. Normalmente qualsiasi persona, in quello specifico momento, non sarebbe riuscito a contenersi e, con ogni dovuta probabilità, avrebbe perseguitato la via dell'animalità per raggiungere alcune zone più ricercate, magari assaporandone l'insieme. Ma John, da bravo medico con un'esperienza più che ventennale e una disciplina dettata dalla rigida crescita che sua madre gli aveva impartito riuscì a riportare i pensieri al loro posto, poiché lavorare sotto pressione era ciò che aveva deciso di fare nella vita.
    Il sospiro umido, tanto carico da far imbarazzare le tende della stanza, lo sgonfiò quasi completamente nel torso. Tentò dolcemente di appoggiare la fronte contro la scapola della moglie, aspirandone ancora i profumi. Deglutì, un groppo di saliva grosso come un Ungaro Spinato. «Sì... » Sollevò il capo per cercare di lasciarle un bacio sulla pelle, i primi centimetri liberi tra spalla e collo per poi farle spazio e al contempo non perdere ulteriori momenti importanti, mettendosi in ginocchio per abbassare l'unico indumento rimasto di lui, lasciando libero la parte fisica più nascosta di sé, in uno stato che lasciava intendere benissimo quanta voglia avesse.

    Ma dopo aver fatto questo non si avvicinò subito, bensì si prese il tempo di guardare l'altra denudarsi per la milionesima volta nella vita. Era quasi affascinante capire quanto quello spettacolo, al pari dell'alba del mattino o il tramonto della sera, fosse ancora uno dei suoi preferiti anche se quel corpo lo consoceva a menadito: i nei sulla pelle, le piccole cicatrici fatte in una delle tante roccambolesche uscite che i due avevano fatto negli anni, la precisione millimetrica con cui i suoi fianchi erano esattamente adatti alle sue mani, i seni perfetti per essere stretti o usati per trovare conforto. Non c'era un singolo pezzetto di pelle che non fosse esageratamente importante per lui. Essenziale, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
    Ma ancor di più, fondamentale potersi unire a lei quanto prima dopo aver goduto di quella manciata di secondi intensi ad ammirarla.

    Non era mai stato un uomo di troppe parole, non sciorinava sfilze di complimenti a pié sospinto e in quei precisi casi probabilmente avrebbe tirato fuori uno sfrondone sintattico da farli esplodere a ridere entrambi senza perdere nulla del momento. John era una persona che andava interpretata, concepita e capita come uno strano arabesco dalle tinte orientali e Mina era forse l'unica ad avere il codice di interpretazione perfetto per avere tutte le risposte di cui aveva bisogno.
    In quel momento, nel corpo e negli occhi del marito, c'era un trasporto tale, una qualità così alta di amore che estendeva ogni desiderio al limite conoscibile dall'umano e dalla magia.
    john ming-yue campbell
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    La tracontanza altrui, pur sviluppandosi in maniera graduale, riusciva sempre a lasciarla infine piacevolmente esterrefatta, in quella maniera che la induceva inevitabilmente ad abbandonarsi alle attenzioni altrui. Vi era uno spirito di contemplazione profonda ed assorta nel modo in cui accoglieva i gesti e le effusioni ferine a cui lui si lasciava andare, cogliendole ed accogliendole come un assetato farebbe con preziose stille di acqua di sorgente.
    Così anche quello strofinarsi e sospingersi contro di lei, a dispetto delle barriere di tessuto che ancora li separavano, risultava qualcosa di piacevole e desiderato al netto dell'impazienza che anche lei serbava, più sottilmente ma solo in apparenza. L'eccitazione altrui era così un dato di fatto non solo in termini di mera espressione di carattere, ma si rivelava solidamente nel turgore che, un po' crudelmente, ricercava allo spasmo l'intimità di lei, inducendole una reazione fisiologica subitanea quanto momentaneamente vana che non faceva altro che far montare in lei un livello di frustrazione fuori dal comune ma che non era forse così difficile da supporre.

    Lontana dal poter anche solo supporre le riflessioni premurose dell'altro, si sentì comunque ben grata verso la prontezza a raffreddare il sangue del marito quando gli parlò. Nel sentirlo fermarsi e sgonfiarsi contro di lei, fu comunque portata a cingerlo stavolta gentilmente ai fianchi con le cosce, mentre portava le mani a carezzarlo piano fra i capelli.
    Non poté fare a meno di guardarlo con un pizzico di disappunto in fondo allo sguardo quando, dopo averla baciata ancora, si dovette per forza di cose staccare da lei, ma fu automatico tirarsi su a propria volta, quasi allo stesso momento, un po' come se fosse restia a lasciarlo allontanare più del dovuto.
    Furono occhiate fugaci quelle che lanciò. pur se mai con l'intenzione di nasconderle, mentre l'altro procedeva a privarsi di quel poco che gli era rimasto addosso: non aveva mai fatto mistero di quanto lo desiderasse sul piano carnale e di quanto ogni cosa in lui e di lui portasse la sua mente su lidi ben poco morigerati, ma la sua espressione al momento rimandava maggiormente ad una cupidigia dal retrogusto specificamente possessivo.
    Procedette a sfilarsi la vestaglietta e l'unico pezzo di biancheria che indossava con una calma misurata, qualcosa di evidentemente calcolato, e quando rimase nuda davanti a lui, ginocchia ripiegate in una posizione vagamente più rilassata di quella altrui, dimostrò quel solito senso di naturalezza e disinvoltura che in anni di comunione matrimoniale non aveva fatto che aumentare. Fu solo il gesto automatico di passarsi una mano fra i capelli a distrarla dal guardarlo immediatamente negli occhi una volta archiviata l'incombenza dei vestiti, e guardarlo negli occhi nella quasi totalità dei casi voleva dire, per lei, anche indirizzargli un mezzo sorriso dei suoi, che adesso come in gioventù tendeva ad addolcire i suoi tratti in una maniera che delineava un'innocenza estremamente fuorviante.
    « Diventi molto silenzioso, mon cher... » lo provocò un poco, giocosa, le braccia lungo i fianchi a permettere ai palmi e ai polsi di farle da appoggio per distruibuire il peso con fare più rilassato. Sottintendeva che lo divenisse perlomeno il più delle volte, in quelle occasioni, e la cosa doveva deliziarla evidentemente.
    wilhelmina asphodèle campbell
    2023 » maggiocredits
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    A differenza della moglie, John non si lasciò perdere l'occasione di appoggiare le iridi sulla mirabile visione che era anche in quel frangente, appena sfibrata dall'anno di torture e prigionia che le davano un'aria meno sana ma che non stonava con il suo intero essere. Il portamento, la normale essenza della moglie poteva sostenere senza alcun problema qualsiasi malanno fisico e psichico ed uscirne sempre bella. Niente riusciva davvero a scalfirla e seppur questo potesse essere solo un mero dettaglio estetico, legato più al corpo che alla mente o all'anima, l'uomo non riusciva a scindere per niente queste tre sfere poiché in lei era un tutt'uno.
    Se era lì, in ginocchio, a togliersi i vestiti era solo perché la sua forza interiore, la sua disciplina mentale e la sua tempra fisica l'avevano portata lì. Gli occhi scuri di lui potevano sembrare soffermarsi solo sulla carne ma vedevano molto più in profondita e c'era molto di più che lo rendeva così impaziente di averla o di vederla, assaggiarla o respirarla ancora e ancora, probabilmente fino alla fine dei giorni. L'immortalità non era un suo desiderio, ma se l'avesse potuto passare accanto alla moglie forse avrebbe cercato un modo.
    In quella posa inginocchiata dall'aria marziale e con ciò che solitamente era nascosto in bella mostra ebbe uno spasmo del corpo, un irrigidimento dei muscoli di petto e addome, un blocco mentale che si era imposto: avrebbe volentieri attaccato, l'avrebbe voluta sdraiare di nuovo e tempestarla di strazianti baci su tutto il collo e poi le labbra.

    Le parole di lei fecero apparire un colpevole sorriso che nascose abbassando la testa, non di tanto ma quel che bastava per fargli assumere un'aria colpevole e consapevole, i ciuffi neri con qualche linea argentata che lo nascosero, simili a tende. Rialzò lo sguardo per inquadrare il volto di lei, con dolcezza e con un po' di giocosità. «Mi dichiaro colpevole.» Commentò piano alzando piano le mani vicino al volto, in una resa che non aveva neanche bisogno di esistere.
    Si avvicinò piano sul letto, spostando le ginocchia e senza mai perdere la posizione con cui era partito, cercando di appoggiare poi le mani sul punto delle gambe altrui dove le ginocchia e le coscie cominciano a conoscersi, cercando piano di scivolare più su per poterne percepire la carne, forse raffreddata appena dall'aria della stanza, morbida come l'aveva sempre ricordata, con quella capacità sua naturale di rendersi tosta quando le contraeva soprattutto sui suoi fianchi. La lunga occhiata che le dedicò su tutto il corpo dal basso verso l'alto fu pesante come un macigno, un'ennesima carezza ma fatta solo con lo sguardo, tornando sul viso di lei. Invece di continuare a toccare chissà quale altra parte della moglie, le dita cercarono di appoggiarsi sulle guance, tenendola delicatamente, con i pollici a darle delicate carezze sugli zigomi. «Mina... » L'inizio di una frase che non ebbe mai fine eppure in quel non dettto c'erano miliardi di discorsi perpetuati nel tempo, concentrati in un unico movimento, quello di poterla baciare di nuovo, sollevandosi un po' sulle ginocchia, tentando di raggiungerla.

    Tra foga e sentimento, l'uomo non cercava ancora di spingerla completamente sulla schiena come poc'anzi, la sua fame di lei era tale che ogni cosa doveva essere presa nel medesimo modo e nella medesima quantità. Ad occhi chiusi ne respirava il profumo, ne tentava di saggiare ancora il sapore, di sentirne il calore con le mani e con il corpo sempre più vicino, riempendo le sue orecchie dei suoni di respiro spezzato o suoni che le uscivano dalla gola, insieme a quello degli schiocchi umidi del bacio.
    La luce piano cominciava ad entrare, indebolita dalle tende che regalavano un alone più caldo a tutta la stanza, gettando ombre rosse grazie alle tende, trasformando piano la camera da letto in un'alcova personale per i loro piani.
    john ming-yue campbell
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    Edited by Ayakashi - 31/10/2023, 15:00
     
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