if you can't go back, where the hell do you go?

ft. joey & hans

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  1. traiten.
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    johannes 'hans' belby
    Believe in me,
    believe in nothing;
    corner me && make me something


    2004 ✧ pyrokinesis ✧ 2043: wes
    I'm overwhelmed,
    I'm on repeat,
    I'm emptied out,
    I'm incomplete;
    You trusted me
    && I want to show you
    I don't want to be
    the hollow man
    Anche volendo decidere di applicarsi e prestare un briciolo in più di attenzione a quanto stava succedendo (e non era certo di volerlo, il Belby) avrebbe fatto comunque fatica a stare dietro agli sguardi e alle frasi a metà di un Cavendish chiaramente a disagio, o alle supposizioni di un Joey sempre pronto al peggio.
    Quest'ultimo, in verità, un po’ lo capiva.
    Si ritrovò a fissare il maggiore con intensità, prima di spostare lo sguardo per cercare quello (fin troppo simile al suo per non provare un vago senso di disagio nell’incontrare le iridi di una sfumatura appena più scura) di Joey, ma tenne quelle emozioni per sé, nascoste dietro un’espressione più confusa che altro; se c’era qualcuno, tra Joey e Dominic, che avrebbe potuto far chiarezza o fornire le risposte così come Hans necessitava, non era di certo l’ex infermiere. Troppe parole, troppi gesti vaghi, troppi dubbi e troppo poche certezze.
    Silenziosamente, Hans chiese al portiere di fare chiarezza al posto suo, traducendo in una maniera che fosse più comprensibile persino per lui, perché nonostante non avesse ancora preso una decisione su quanto confessato mesi prima dallo stesso Joey, sentiva fosse l’unico di cui potersi fidare, l'unico che avrebbe detto le cose così come stavano, senza arricchirle di inutili dettagli dettati dal sentimentalismo.
    Venne distratto da quella telepatica connessione solo quando percepì, nella visione periferica, Dominic muoversi e tirare fuori una busta, il cui contenuto poi iniziò a sparpagliare sul tavolo tra loro, in maniera delicata e, in qualche modo, ordinata.
    Nei visi che ora li osservavano dalle foto, Hans avrebbe dovuto riconoscere Dominic, Joey, se stesso, ma la sua mente non riusciva a suggerirgli nulla di più della spiegazione più banale e semplice: i sette sosia che, stando a qualche credenza popolare, abitavano la terra nel nostro stesso e preciso momento. Poteva essere solo un caso, nulla lo costringeva a credere che fosse vero, no?
    Non allungò le mani per prendere le foto, e le tenne strette tra loro, posate con fin troppa noncuranza sul tavolo di legno per non sembrare almeno un po’ teso, a disagio. E non smise nemmeno di osservare, accigliato, un Joey fin troppo svelto a stringere le dita intorno ai bordi delle pellicole, quell’«oh» a scivolare dalle labbra dischiuse quasi con abbandono. Hans rifletté che, oltre al messaggio scritto di suo pugno, e alle spiegazioni offerte mentre condividevano un muffin, Joey non gli aveva mai mostrato una foto, né qualsiasi altra prova tangibile a testimonianza del suo racconto; quelle diapositive ingiallite dal tempo, ma ben conservate, erano la prima cosa reale e concreta che supportasse quanto riferito dall’ex corvonero, e Hans non poteva non trovarlo almeno un po' destabilizzante. Poco ma sicuro, non facilitavano affatto il processo di metabolizzazione di quelle informazioni. Per niente.
    Aveva provato a parlarne con qualcuno (Twat, Twat era il suo qualcuno), ancora seduto tra le macerie di una bomba appena sganciata, e avvolto da una piacevole sensazione di nulla offerta dalla canna che aveva condiviso con il coinquilino; aveva lasciato cadere nella conversazione frammentata qualche dettaglio, qualche impossible domanda, perché nella sua mente quasi totalmente sgombra dai pensieri, quelli relativi ad un fantomatico viaggio dal futuro al passato avevano trovato un sacco di spazio per mettersi comodi, e gettare radici, pur contro la sua volontà. Ci aveva provato, lasciando che informazioni mai troppo specifiche si infilassero tra le crepe di una chiacchierata senza inizio né fine, più confuse e attorcigliate di quanto non fossero già nella sua testa, nulla che Twat avesse potuto prendere sul serio – o capire – senza considerarla il vaneggiamento di un trip.
    Non lo era stato.
    Ma quello era stato prima, quando un controllo sul proprio stato psico-fisico Hans non ce lo aveva avuto, e certi pensieri (certi tormenti) avevano sempre trovato il modo di riecheggiare in libertà, attutiti solo in parte dalle barriere ovattate e dense tirate su dalla droga; non dovevano avere senso, nella forma e nei colori, e tanto gli bastava.
    Ora che esisteva nel dopo, e volente o nolente era costretto a dare un senso o un significato persino a quei pensieri, non poteva più ignorarli; lo avevano trovato senza preavviso, un giorno, poche settimane dopo il suo rientro a new hovel, quando il foglietto consegnato da Joey era scivolato in terra mentre Hans sistemava dei libri, e la conversazione avuta col mago era tornata in superficie tutta insieme, quasi togliendogli il respiro. Era stato convinto di averlo solo immaginato, non sarebbe stata di certo la prima volta che la sua mente creava per lui scenari illusori, ma nello stringere quel pezzo di carta nel pugno dovette ammettere con se stesso che non lo fosse stato. Ma da lì ad accettare anche che fosse tutto vero era un bel salto nel vuoto.
    Una famiglia, Hans Belby, ce l'aveva già. Disfunzionale e rotta, ma ce l'aveva; una con cui non parlava più, ma che nel bene, e molto più profondamente nel male, l'aveva reso chi era. O, almeno, chi credeva di essere.
    Non sentiva il bisogno di aggiungerne all'equazione anche un'altra, non quando avrebbe significato ammettere ancora una volta di non sapere nulla su se stesso, e di non essere nient'altro che la somma di tante scelte sbagliate e la conseguenza di situazioni che sarebbero potuto andare diversamente, se solo il caso lo avesse permesso, o voluto.
    Di quei visi fin troppo uguali a quelli riuniti intorno al tavolo di legno, e delle loro espressioni che raccontavano una storia troppo lontana per essere ricordata, Hans non sapeva cosa farsene.
    «Ti è mai sembrato di avere sprazzi di ricordi non tuoi? Sapere cose che non avresti dovuto sapere?» glielo aveva chiesto Joey, il pomeriggio che aveva bussato alla sua porta per fargli sapere che, fratello o meno, ci sarebbe stato per lui se ne avesse avuto bisogno, perché aveva fatto una promessa a qualcuno che non era più, e voleva mantenere la parola data. «forse ora ci farai più attenzione»
    Non era stato così, e nell'osservare i volti di un Dominic che non era Dominic, e di un Joey che non era Joey, Hans non sentiva nulla, se non l'inspiegabile sensazione di essere fuori posto, un'incognita aggiunta all'equazione in un secondo momento, troppo tardi per trovargli un posto, e con l'unico effetto di costringere i partecipanti a rifare tutto da capo per trovare un posto in cui farla stare.
    Distolse lo sguardo e lo portò altrove, non importava il dove, purché fosse lontano da quelle foto e da quegli sguardi.
    Alle parole di Dominic prestò poca attenzione, ma colse quelle più importanti.
    Heatcliff.
    James e Wes.
    Fratelli.
    Prima che partissimo tutti.

    Era stato il caso, a farli ritrovare, o il loro legame speciale, in quel futuro di cui nessuno di loro aveva memoria, aveva fatto sì che potessero riuscirci, indipendentemente dallo spazio e dal tempo? Una domanda interessante quella, che Hans tenne per sé.
    Dominic aveva le sue foto, Joey aveva… qualsiasi cosa avesse raccontato a lui delle sue origini — una foto, una lettera, un ricordo; Hans non lo sapeva, non lo ricordava, ma non era importante. Lui, con le sue mani vuote e i cassetti della memoria completamente svuotati, era la risposta di cui aveva bisogno. Lo collocava perfettamente anche in quel presente, come la variabile esterna e anomala, estranea. Il fatto che non avesse con sé nulla, era un indicatore sufficiente, secondo lui.
    Ma non lo disse a Joey, e soprattutto non lo disse a Dominic, che sembrava credere a quella storia più del dovuto; come se ci avesse investito energie e tempo e cuore e temesse con tutto se stesso che qualcuno arrivasse per strapparlo via. Hans era un po' tentato di alzarsi e informarlo di non essere interessato, contribuendo così allo stringere una morsa metaforica intorno al cuore troppo delicato dell'infermiere, ma non lo fece — Narah Bloodworth lo aveva cresciuto meglio di così.
    «Qualcosa non funziona»
    Solo a quel punto spostò lo sguardo su Joey, prima di farlo scivolare sul foglio piegato che aveva tirato fuori dalla tasca. E dunque, aveva una lettera anche lui, uh. E delle foto. Hans non si stupì nel non esserne sorpreso, perché era sempre stato fin troppo intelligente per i suoi gusti, e sapeva perfettamente cosa aspettarsi. Era raro che si sbagliasse, persino quando avrebbe voluto tantissimo farlo.
    «James non sapeva che anche Heathcliff sarebbe partito. Lui se n'è andato in segreto, senza dirlo a nessuno, ma si aspettava Cliff sarebbe rimasto a casa a badare a- al resto. A chi sarebbe rimasto.»
    “A chi sarebbe rimasto”.
    Comprendeva forse anche Wes? Non sarebbe dovuto partire? Nulla di quella faccenda del viaggio era chiaro ad Hans, e con ogni probabilità quella era la sua occasione per fare domande e ricevere risposte, ma non aprì bocca.
    Guardò invece Dom, lo sguardo color ghiaccio a rimbalzare da una figura all'altra mentre, suo malgrado, provava a mettere insieme i pezzi di quel racconto per estrapolare un quadro che fosse un po' meno vago.
    «Heathcliff è tornato indietro per cercarvi, per trovarvi, e per assicurarsi che stiate bene, che siate felici, e che abbiate trovato qui quello che non potevate trovare in quell’era malata»
    La risposta di Joey lo trovò perfettamente d'accordo: «Avete fatto un lavoro un po' di merda.» ma nel sentire lo sguardo dell'altro posarsi su di lui, Hans rimase impassibile, se non per l'occhiata che rivolse a Joey, nella quale non si poteva leggere quasi nulla — di certo, non il senso di colpa inesistente per aver fatto sentire un perfetto estraneo in dovere di preoccupa per lui, e poi fallire.
    Moving on.
    «lo so da un paio d'anni. non ve l'ho mai detto perché non volevo intromettermi nelle vostre vite, e perché pensavo che il mio compito, quello che Heathcliff mi aveva chiesto di fare, fosse esaurito»
    Okay?
    «so che non cercate un fratello, e che tantomeno ne vedete uno in me, e lo rispetto — ma voglio che sappiate che voi avete comunque una famiglia qui. E non lo dico perché me l'ha detto Heathcliff, né perché me l'hai scritto tu, Joey, lo dico perché lo voglio io, come Dominic. Tutto qua.»
    Mh.
    Hans non aveva opinioni in merito — o comunque, nessuna che non lo facesse passare per l'esatta testa di cazzo insensibile che sapeva di essere. Perciò rimase zitto.
    «preferisco il concetto di squadra, a quello di famiglia» non lo sorprendeva affatto, ma per lui non valeva lo stesso discorso di Joey: era sempre stato un solitario, per scelta sua e perché sapeva con certezza quasi matematica, che nessuno sarebbe mai rimasto nella sua vita e, proprio per questo, aveva sempre allontanato chiunque prima ancora di poter dire di avere qualcosa da perdere. Nessun concetto, che fosse di squadra o di famiglia, aveva mai avuto un vero valore per lui.
    Non quando persino la persona più importante della sua vita, aveva trovato il modo di scivolare via e sparire nel nulla, lasciandosi dietro un Hans sempre più vuoto e solo. Se persio Elizavetha l'aveva abbandonato, che speranze aveva che gli altri non facessero esattamente la stessa cosa? Le probabilità erano così infime da non valere nemmeno la pena di essere prese in considerazione.
    «ma non mi dispiace poter parlare di questa cosa con qualcuno»
    Strinse le labbra in una piega tesa, sciogliendo al contempo le mani e portandole nelle tasche della felpa, sguardo basso e lontano da quello ancora troppo poco familiare dei due per potercisi rispecchiare; parlare con loro di quella cosa non rientrava necessariamente tra le priorità del Belby, al momento. Non sapeva come essere utile a quel discorso, né sapeva se volesse esserlo.
    Seguì con lo sguardo le foro allungate da Joey, e solo perché la curiosità suscitata dal movimento fu più forte di qualsiasi altro istinto, portandolo a reagire prima di riuscire a darsi un vero controllo.
    Osservò le facce dei due uomini ritratti, riconoscendo solo vagamente uno dei due — non era mai stato un grande fan (o assiduo frequentatore) dell'infermeria ai tempi della scuola, Hans, anche se avrebbe dovuto.
    Dell'altro uomo, sapeva nulla.
    Ma, intrusivo e improvviso, un pensiero vago lo colpì, facendogli domandare se fossero, in qualche modo, i loro genitori, e se quello facesse di loro fratelli di sangue, o se quei due uomini li avessero semplicemente adottati per dare forma e colore alla loro famiglia.
    Non era certo di voler conoscere quelle risposte, avrebbe significato provare interesse per qualcosa che, infondo, non aveva più importanza.
    «anche Cliff ti ha chiesto di tenerli separati?»
    Fu quella domanda, piuttosto, a catturare tutta l'attenzione di Hans, e a farlo parlare per la prima volta in svariati minuti. «perché?»
    E non era forse quella la sua domanda preferita al mondo.
    I give it all my oxygen,
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