now the walls are cavin' in && maybe I'm flawed, but I do exist

pre quest #10 | willa&java ft. kaz&barbie

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    Le iridi scure erano fisse sul maxi schermo apparso al centro del cortile, le labbra serrate in una linea dura e le mani tra i capelli ancora biondo platino, a tirare appena. Ad un mese di distanza dalla Siberia, l’ultima cosa che Willa si meritava era uno psicopatico che radunava la folla e faceva il suo discorso da megalomane fanatico e infognato.
    Non se lo meritava proprio.
    Avrebbe voluto correre contro lo schermo e prenderlo a pugni; buttarlo giù un pixel alla volta, farlo saltare per aria, picchiarlo con la mazza rinforzata rubata ad un battitore, distruggerlo a mani nude. Avrebbe voluto farlo con l’uomo che stava parlando alla folla — ma non poteva. Non solo perché si rendeva conto che non sarebbe arrivata neppure a dieci metri di distanza dall’uomo, ma perché non poteva, punto e basta. Non riusciva a non guardarlo, a non ascoltarlo, a non odiarlo: Willa tendeva ad odiare tutti quelli che si permettevano di salire su un palco e prendere ostaggio una folla intera. L’intera nazione; al diavolo, l’intero pianeta, probabilmente. Fatele causa.
    Se quello che avevano detto alle ultime riunioni di ribelli era vero, avevano un cazzo di problema tra le mani. Non sapevano nulla di Seth, non sapevano cosa volesse né da dove arrivasse né perché fosse così forte.
    Oh, beh, almeno la prima di quelle tre cose potevano depennarla dalla lista, dopo quel pomeriggio: voleva rovesciare lo statuto di segretezza? Va bene. Willa poteva anche accettare l’idea di rivendicare finalmente un posto nel mondo senza sentirsi diversi, o doversi nascondere; ma farlo annientando i babbani? Oh, col cazzo.
    COL. CAZZO.
    Suo padre era un babbano. E amava sia lei, che sua madre. Non erano tutti uguali; non tutti avevano paura dei maghi. Willa non avrebbe abbassato il capo di fronte ad un nuovo Hitler; non ci stava.
    Se Seth voleva distruggere il mondo babbano, doveva passare prima sul suo cadavere.
    E l’avrebbe fatto. Ma non si mollava un cazzo.
    Non poteva — non poteva essere vero. Non stava succedendo. Fanculo, okay? Si meritava le ferie, non l’ennesima chiamata alle armi. Ma non poteva rifiutare. Non voleva rifiutare. Se quel coglione voleva la guerra, Willa gliel’avrebbe data. Dopotutto, per la giusta motivazione, avrebbe dichiarato guerra anche a Dio, la Matthews, se solo avesse creduto davvero in lui.
    A metà del discorso lasciò il cortile diretta verso l’infermeria. Odiava tutto. Voleva raggiungere l’ufficio di William e capire quale era la loro strategia: dovevano per forza averne una. Se quel figlio di puttana aveva dalla sua parte i ministeri esteri e il governo inglese, loro dovevano per forza fare qualcosa.
    «Infermiera Matthews»
    Chi cazzo era che le rompeva il cazzo. Cazzo.
    Si voltò, fumo ad uscire dalle narici, e incontrò lo sguardo azzurro di una legionaria. Sospirò, gettando solo un’ultima occhiata oltre le proprie spalle: William avrebbe dovuto aspettare. Sperava vivamente di beccarlo ancora in ufficio. Passò una mano sul viso stanco, i segni delle notti insonni ancora ben visibili sulla pelle pallida. «Dottoressa Matthews. Oppure Willa.» Essere chiamata “infermiera Matthews” era proprio brutto. E poi: era un fottuto medico, ok, se l’era guadagnato col sudore il suo titolo. «Che c’è?»
    «Sì, certo. Uhm, Sharp. Java. OK. Mh, può seguirmi a Different Lodge?» Doveva proprio? «C’è stato un incidente. E... Porti qualche benda.» L’altra ci pensò su un secondo, poi scosse la testa. «Un bel po’ di bende Ugh, ma cazzo. Non ce lo avevano un Guaritore, lì in mezzo? Non potevano aiutarsi da soli? MA LO SAPEVANO CHE STAVA SCOPPIANDO LA GUERRA? E che a Willa Matthews non fregava una beneamata minchia delle scaramucce da adolescenti? Cristo. Sospirò, ancora e sempre. «Va bene, vieni con me, andiamo a prendere qualche scorta. Perché intanto non mi dici cosa-» cazzo «-è successo?» Sospiro. Sospiro. Sospiro.
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    «non voglio»
    «lo so»

    Si era fermato di fronte alla porta dell’infermeria, un mero spiraglio visibile.
    L’avevano mandato a cercare Willa, perché non si fidavano della sua magia per rattoppare uno dei loro rampolli; il Jagger se l’era presa appositamente con calma, perché se il ragazzo crepava, magari la smettevano di fare i sostenuti. Se avesse tardato un po’ di più, o se avesse scelto il percorso dal cortile dove si era fermata la ragazza, magari quel siparietto se lo sarebbe risparmiato. Magari sarebbe andato avanti con la propria vita come faceva ogni giorno, Barbie, sopravvivendo abbastanza da arrivare a quello successivo – senza farsi domande, senza darsi risposte.
    Ma quelle voci.
    «non farmelo fare»
    «mi dispiace»
    «ti prego ti prego non voglio più»

    Il singhiozzo di Erin soffocato sulla spalla di Stiles, la mano di lui fra i capelli a stringerla a sé. Perfino da lì poteva vedere le spalle della ragazza scuotersi; perfino da lì poteva sentire ogni respiro frastagliato, ansiti d’aria aspirati male fra i denti.
    Avrebbe dovuto andarsene.
    «neanche io voglio»
    Non erano confessioni per lui.
    «non è giusto. Ti prego non – non è giusto. Non voglio»
    «lo so»
    «e se facciamo del male a – a qualcuno?»
    «non lo faremo, ok? Rimango con te»
    «me lo prometti? Ti prego stiles ti prego non lasciarmi»

    Aveva avuto un cuore, un tempo, Barnaby Jagger. Se lo scordava spesso, perché farsi scivolare addosso le questioni era più semplice, ed a lui il facile ed il comodo piacevano. Ma l’aveva avuto, e c’era stato quando il battito di Erin, Stiles, Floyd aveva smesso di rimbombare nelle pareti della grotta. Immerso nel loro sangue, in un tempo che non gli apparteneva.
    Indietreggiò, lasciandosi alle spalle il tono basso dello psicomago, i bassi lamenti dell’assistente, e le promesse vuote.
    Distaccato. Distaccato?
    Sarebbe stato un figlio di puttana fortunato se avesse potuto. Poteva svuotare l’aria ed il disappunto quanto voleva, il Guaritore, ma dove non guardava nessuno restava il nocciolo di quel ch’era stato – un Sander Bitchinskarden che aveva rischiato tutto, per loro.
    E l’avrebbe rifatto. Oh, Cristo Dio Signore, l’avrebbe rifatto. Non ci poteva credere.
    Chissà quale motivo si sarebbe dato per presentarsi all’appello di Abbadon e giustificarsi di essere lì, ma l’avrebbe fatto, perché quella era la stra cazzo di triste e patetica persona che era.
    Porca troia.
    Che amarezza.
    Schioccò le labbra fra loro, la lingua a scivolare sull’arcata superiore dei denti. Infilò una mano in tasca, l’altra a ciondolare al suo fianco mentre nani di tutte le età gli sfilavano accanto – chi mormorando, chi gridando; non invidiava i professori che avrebbero dovuto placarli dopo la dichiarazione di guerra, ma non li compativa neanche.
    Cazzi loro. Potevano scegliersi un altro lavoro.

    Non sapeva cosa fare.
    Non sapeva cosa fare non sapeva cosa fare non sapeva cosa «willa» spalancò gli occhi scuri verso l’infermiera, finalmente placando l’incedere stressato con cui aveva percorso e ripercorso l’intero perimetro di Different Lodge, cercando di capire cosa fare. Come farlo.
    Cosa stesse succedendo.
    Non era raro vedere Kaz in quello stato confusionario, né spaventato – chi l’aveva accompagnato nello spazio, poteva testimoniarlo – ma c’era qualcosa di diverso nel pallore dell’Oh. Qualcosa a pulsare appena sotto pelle, tremolando come la fiamma di una candela.
    La camicia era parzialmente bruciata. Il viso sporco di terra. La cravatta appesa storta, con il nodo a metà del petto. «willa?» sentiva solo il proprio cuore, Kaz.
    Ad un ritmo sostenuto e soffocante.
    Perchè Hogwarts era il posto sbagliato dove far vedere una dichiarazione di guerra in diretta mondiale. Erano dei ragazzini, alcuni a malapena in grado di gestire il proprio potere. Erano governati dalle emozioni, ancora incapace di arginare quel che erano.
    Ed erano stati odiati così a lungo. Continuavano ad esserlo.
    Abbadon ancora parlava, mormorando di guerra e conquista e amici, quando i primi studenti di Hogwarts erano arrivati nel cortiletto del loro quartiere – a cercare cosa, neanche con il senno di poi avrebbe saputo dirlo. Erano arrabbiati, loro; spaventati, un po’ tutti.
    C’era chi incolpava gli special.
    Chi incolpava i maghi.
    Chi vedeva in quella conquista la possibilità di vendicarsi.
    Chi di sotterrare tutto subito.
    Kaz stava ancora osservando rapito l’uomo conosciuto solo per sentito dire, quand’era partito il primo incantesimo. Il secondo. La prima sfera di fuoco e il rampicante di un geocineta. Era successo tutto così in fretta, che ancora doveva deglutire la saliva, e già si ritrovava al fianco di un Clay che non aveva innalzato le proprie barriere abbastanza in fretta per ripararsi da un incanto, e – «willa??» non sapeva cosa fare, perché i ragazzi attorno a lui continuavano ad attaccarsi, il Morales stava male e oddio Willa ma ha appena dichiarato guerra all’umanità? Kaz era un diciassettenne. Un lumocineta. Un Ivorbone.
    Un ribelle. Sempre. Da che aveva memoria, e da quando non la aveva.
    Il tremore non era solo paura: era indignazione, e oltraggio, e rabbia.
    (molta paura, però.)
    Vide con la coda dell’occhio Barnaby Jagger afferrare uno studente – mago? Special? Aveva ancora importanza? - e scrollarlo come un cucciolo di cane bagnato, prima di lanciarlo un poco più in là. Agitò le braccia per fargli vedere Clay, alzandosi a sedere e rimettendosi in ginocchio in un loop da cui non sembrava trovare via d’uscita. «e signorina c.sharp. ma» non fu un singhiozzo, quello di Kaz, ma poco ci mancava.
    Si lanciò verso l’infermiera, braccia allargate per stringerla a sé. Perchè aveva paura, sì, ma soprattutto per bisbigliarle all’orecchio «che si fa willa che si fa» il tutto mentre Barnaby Jagger e Java C.Sharp osservavano minorenni insaccarsi di botte.
    Cioè. Barbie di sicuro osservava (faceva anche un po’ il tifo) Java non so.


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    A Java, tutto sommato, la sua vita piaceva.
    Le era sempre piaciuta.
    In quel caos che poteva nascere solo dalle famiglie numerose come la sua, ci si trovava bene; bilanciava la sua rigidità e il suo carattere serio, e la rendeva un po' più umana e un po' meno soldato.
    Anche se poi, a conti fatti, rimaneva quella la sua vera natura. E non la rinnegava.
    Sapeva stare ovunque, la C. Sharp, ma era innegabile che desse il meglio di sé in ambienti dove vigevano il rigore e una scala gerarchica ben definita. Era stata cresciuta così; da una scuola rigida, da una madre ambiziosa, da una società inflessibile. Nel suo saper fare tutto bene, era sempre stata in grado di eccellere e distinguersi, ma senza mai essere la prima della classe. Lo era, lo era sempre stata, ma si confondeva bene con le pareti e accettava di buon grado il suo ruolo di pedina; lasciava quello di alfieri e cavalieri a figure che, su una scacchiera grande al punto da comprendere intere nazioni, ci si sapessero muovere davvero.
    Loro davano ordini, Java li eseguiva e portava a termine in maniera impeccabili, a prescindere da che genere di ordini fossero; non faceva domande, non metteva in discussione nulla.
    Ecco perché, alla fine, stare tra i legionari non le dispiaceva così tanto: aveva un Capo dietro cui fosse facile cadere in fila, doveri e compiti che non la impensierivano troppo e, alla fine, persino le ore di turno all'Isola non lw dispiacevano — con i bambini era abituata a starci (ciao Python, ciao Php). Persino quando la dislocavano ad Hogwarts, non storceva mai il naso né faceva un fiato: un “sissignora” ed era già pronta ad affrontare il turno. Portare bambini special allo zoo e stare attenta non venissero picchiati da altri bambini maghi finissero nei casini? Facile. Accompagnare gli special minorenni ai loro tirocini, consegnarli ai tutor e poi andarli a riprendere? Facile. Controllare che non facessero saltare in aria Different Lodge dando dimostrazione dei loro poteri? Facile anche quello. Di solito.
    A quanto pareva, le dichiarazioni di guerra in mondovisione facevano saltare i nervi anche ai ragazzini che ne capivano poco o nulla. Ok, ok: prendeva nota per il futuro e imparava dai propri errori, la C.Sharp.
    «Perché intanto non mi dici cosa è successo?»
    Eh, cos'era successo, vediamo. Dapprincipio? Nulla. Niente. Zero. Nisba (parola olandese certificata). La calma piatta; quasi surreale e terrificante, nel suo essere vuota e fuori posto. Java, come tutti gli inquilini del quartiere per special minorenne, era stata distratta dalle parole precise di chi, era chiaro, fosse in grado di ammaliare qualunque platea — anche grazie ad una buona dose di magia, certo. Il discorso di Seth aveva distratto la legionaria quel tanto che bastava per farle perdere di vista il compito del giorno (accertarsi che non mettessero a ferro e fuoco gli alloggi) e– «partito il primo colpo, è degenerato tutto nel giro di pochi minuti» raccontò all'infermiera, mentre si faceva caricare le braccia di garze, scatole di pozioni e unguenti vari; non era molto più alta della Matthews, e sospettava che l'altra avesse abbastanza forza nelle braccia da poter fare da sola (l'aveva vista rompere ossa prima di riaggiustarle) ma era lì, Java, e qualcosa doveva pur fare. Rendersi utile era anche quello: fare il mulo e trascinarsi dietro medicinali e cerotti per gli specialini fuori controllo. «Abbiamo provato a fermarli, ma siamo a corto di personale», e il ministero ci provava a dislocare risorse per controllare gli special, ma non così tanto. «Abbiamo chiesto aiuto ai più grandi, ma–» non proseguì: avrebbe voluto dire che era stata una pessima idea mandare in onda quel video in una scuola, ma la verità era che riteneva il problema principale fosse avere così tanti bambini con poteri che riuscivano a malapena a gestire riuniti sotto lo stesso tetto. Ci stava provando a cambiare il suo punto di vista, Java, ma non era ancora arrivata a tanto.
    «Posso immaginare.» Mentre percorrevano in fretta la distanza che le separava dall'alloggio, Java sospettò che l'infermiera non poteva immaginare, non davvero.

    E infatti, quello che Willa trovò ad attenderla una volta arrivata nei pressi di Different Lodge andava contro ogni possibile previsione.
    Non imprecò, ma dovette sforzarsi molto per non farlo: ci mancava solo che cominciasse a riempire i ragazzini di improperi e insulti — di quel passo l'avrebbero licenziata prima dello scadere dei sei mesi di contratto.
    (Ah, joke's on her, perché l'avrebbero licenziata di sicuro se avessero scoperto che giocava per il team rivale e terrorista, e che stava pensando giusto in quel momento come poter fronteggiare e ostacolare i piani di conquista di Abbadon) (pensieri che dismise in fretta: non era consigliato avere pensieri anarchici in mezzo a telepati fuori controllo).
    Decise di concentrarci sul problema sotto mano, e posò lo sguardo attento su un Kaz visibilmente provato, che continuava a chiamare il suo nome come se avesse appena visto la Madonna. Evitò l'abbraccio come una professionista, mettendogli in mano qualche scatola di provviste: l'ultima cosa che voleva era abbracciare qualcuno, Willa — di base, nella vita, ma nello specifico in quel momento. «Kaz» gli passò al volo una benda pulita sul viso, accertandosi di portare via solo terriccio e nessuna traccia di sangue – perché il suo lavoro comunque continuava a farlo, e anche bene – e solo quando fu soddisfatta del risultato, lo invitò a raccontarle cosa fosse successo, e fu in quel momento che vide il Morales a terra, che si teneva la testa.
    Si avvicinò a lui, alzando due dita. «Quante sono?»
    (Il dado) Clay: «cinque»
    «Ok, quasi, bravo» gli diede una pacca sulla spalla, prima di castare un Lumos e chiedergli di seguire la punta illuminata del catalizzatore con lo sguardo. «Nessuna commozione, l'attacco ti ha solo un po' stordito, rimani seduto.» una dottoressa con i fiocchi, che pro. «Kaz», rimessasi in piedi, prese il lumocineta per la cravatta e lo indirizzò in un punto della stanza che fosse più in disparte, «per ora facciamo quello che possiamo fare: calmiamo i ragazzi. Fai qualche gioco di luce,» stordiscili, se serve, «aiuta i più piccoli, radunali, intrattienili.» Si strinse nelle spalle. «Fai tu.» non gli disse cosa avrebbero fatto dopo perché non avrebbe accettato l'idea che un diciassettenne andasse a combattere quella guerra, anche se sapeva che sarebbe stato inevitabile; perché era Kaz, e perché era un ribelle, e perché la guaritrice aveva il sentore che quella volta occorresse tutto l'aiuto che potevano racimolare. A voce un po'più alta, ma sempre parlando con l'Ivorbone, chiese «ci sono altri feriti?»
    «Qualcuno, da quella parte.» annuì e seguì le indicazioni della Sharp, portandosi comunque dietro Kaz.

    «...prego, immagino.» Ah beh, di poche parole l'infermiera. Abbassò la mano con cui aveva indicato un punto della stanza, e la strinse di nuovo intorno al braccio dello special che aveva appena fermato, prima che potesse colpire qualcun altro. Chi le garantiva che non avrebbe colpito anche lei? Nessuno, ma era parte dei rischi del mestiere. «Mh, Jagger giusto?» Barbie: 👁️👄👁️ «Tu puoi fare qualcosa?» tipo, non lo so, spegnerli tutti, così, per dire. «Non vorrei schiantare un gruppo di ragazzini» pure se se lo meritavano, eh. E armi bianche per contenere così tanti special non le davano ancora in dotazione con le divise da legionari. «Eeee ne arriva uno a ore dieci» ma quanti ce ne stavano lì dentro?! Aiuto.
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    «Kaz» Willa avrebbe dovuto conoscerlo meglio di così. Lo sguardo severo e la calma forzata potevano funzionare durante i suoi (numerosi) tantrum post infortunio, fosse sul Quidditch o per come esisteva da essere vivente, ma non era in uno dei suoi Momenti. Non gli interessava neanche che non fosse appropriato e non potesse permetterselo in pubblico, perché erano in guerra. Erano? Erano in guerra? Gli occhi spalancati dell’Oh non lasciarono un attimo il volto dell’infermiera, chiedendole silente che capisse. Che non potesse stare lì a fare da babysitter a degli adolescenti con le priorità sballate. In qualsiasi altro momento sì, davvero, anche se forse sarebbe stato più probabile lui fosse uno di quei ragazzini lì in mezzo, ma doveva – dovevano – il Barrow? Nelia? Jade? Sfrigolava appena, scintille ad ogni movimento. «aiuta i più piccoli, radunali, intrattienili.» Lui – cosa? Corrugò le sopracciglia, lo sguardo a rimbalzare da Clay, alla ragazza, ai ragazzini inferociti attorno a lui.
    No? Aiuto? E se lo colpivano? Aveva guerre più grandi da combattere, non poteva arrivarci già da rattoppare. Senza contare che in un secondo momento, lo sapeva benissimo, non avrebbe più avuto la stessa libertà di uscire dal castello. «willa, devo andarmene ora. oRa» bisbigliò a denti stretti, drizzando le spalle e facendo un cenno con il capo alla C.Sharp. Bellissima, adorabile, bellissima (già detto? EH VABBE ERA BELLA E KAZ SOTTONE) ma una legionaria. Una ministeriale!

    Una ministeriale che aveva scelto l’appoggio della persona sbagliata.
    «Mh, Jagger giusto?» Curvò le labbra verso il basso, roteando gli occhi bruni sulla donna. Immaginava che dovesse conoscerla. (Non la conosceva.) Annuì, riportando lo sguardo sulla rissa in corso.
    Quanta energia. Chissà come facevano. Non potè fare a meno di pensare che fosse proprio, proprio, il posto perfetto per Eddie: perché cazzo quella piccola merdina non poteva rimanere nella sua forma adolescente, e scatenare il caos ad Hogwarts, anziché stracciargli i coglioni? Domande destinate a rimanere senza risposta, e conclusioni senza lieto fine.
    «Tu puoi fare qualcosa?» Lui? Certo che sì.
    Una in particolare: «a-a-a-andarmene.» piatto, una replica arrivata alla mora senza che neanche il Guaritore la guardasse. Tutto quello, davvero, non era sua responsabilità suo interesse. Poi non era così che si facevano il sangue i giovani? Insaccandosi di botte a vicenda? Spaccandosi tutte le ossa? No? Mah, ai suoi tempo funzionava. Lui era cresciuto una favola.
    «Non vorrei schiantare un gruppo di ragazzini» Ah no? Inarcò le sopracciglia, un quel che ti pare silenzioso, perché lui non avrebbe avuto scrupoli a metterli tutti K.O. Odiava i pubescenti. «Eeee ne arriva uno a ore dieci» Il tempo di domandarsi di cosa stesse parlando, e il Jagger si trovò travolto da una pallina ossuta dritta dritta allo sterno. Afferrò il ragazzino dal colletto della camicia, sollevandolo da terra ed osservandolo truce. «s-s-sei proprio s-s-sicura d-d-di non v-v-volerli s-s-schiantare?» perché il suo metodo era: «d-d-devi farti i c-c-cazzi tuoi. T-t-torna a scuola» ma dov’erano i Giacomino Linguini. Lo spostò (lanciò) un po’ più lontano, tornando ad incrociare le braccia al petto ed osservare la fine del mondo in diretta.
    Ah, si sentiva un po’ a casa. «s-s-se vuoi l-li f-f-fermo e t-t-tu li l-l-leghi?» era il massimo che potesse offrire, e solo perché credeva fermamente nel mercato nero ed erano una preziosa merce di scambio. Cosa? Cosa.
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    «s-s-sei proprio s-s-sicura d-d-di non v-v-volerli s-s-schiantare?»
    Oh. Mio. Dio.
    Faceva sul serio?
    «abbastanza»
    Era cresciuta in un ambiente rigido e severo, dove le punizioni corporali erano all'ordine del giorno e nessuno batteva ciglio se uno studente dei primi anni veniva sbattuto in sala torture per correggerne la condotta, o per impartire una lezione che, evidentemente, in classe non era stata appresa appieno, ma Java non era una persona violenta, non aveva mai alzato un solo dito contro una persona che non lo meritasse, specialmente non contro dei bambini — e credetemi, di occasioni, avendo a che fare da più di vent'anni con Python e Php, se ne erano presentate eccome.
    Non aveva mai ceduto, e non avrebbe iniziato quel giorno.
    «Tecnicamente,» afferrò il bambino (eh, ai suoi occhi da boomer erano tutti bambini.) che l'altro aveva lanciato, per evitare che entrasse in collisione con altri due finiti giusto in quel momento sulla sua traiettoria, «sono a scuola» l'alloggio faceva comunque parte del suolo scolastico, no? Si strinse nelle spalle. «Al massimo, dovrebbero tornare in classe Eh, la sintassi era importante, e Java poco ricettiva per quanto riguardava battute o modi di dire.
    «s-s-se vuoi l-li f-f-fermo e t-t-tu li l-l-leghi?» A quel punto, l'occhiata che Java gli rivolse era più esasperata che incredula: ai corsi ministeriali per fare il legionario non ti dicevano granché su come sedare un intero dormitorio di special terrorizzati e/o su di giri. Ti insegnavano come renderli inoffensivi in caso di minaccia evidente, ma non come calmarli. «Sai che c'è?» Distolse le iridi chiare dal Jagger, appena in tempo per vedere due studenti cercare di annientarsi a vicenda, «Me lo faccio andare bene, abbiamo un piano.» Non il migliore, ma avrebbero lavorato sui dettagli nel frattempo. «E comunque,» aveva già la bacchetta in mano, pronta a castare il primo di una lunga serie di incarceramus, in attesa che l'altro facesse la sua parte, «come sei mai qui?» non voleva dirgli che le sembrava un po' troppo grande per frequentare quei posti, ma era così. Magari aveva lezione, onestamente Java aveva perso del tutto il filo: non sapeva più né che giorno fosse, né che ora avevano fatto tra una cosa e l'altra. L'intero pomeriggio era un blur confuso che andava dal discorso di Seth al patatrac nato a Different Lodge.
    Per abitudine, gettò un'occhiata ai dintorni e notò l'infermiera Matthews trascinare uno dei ragazzi per la divisa, ma non si soffermò troppo: era certa che, se ne avesse avuto bisogno, avrebbe urlato forte forte.
    (Cosa? Cosa.)


    E sì, in effetti, Willa era a tanto così dall'urlare.
    I ragazzini li preferiva a piccole dosi, e soprattutto quando poteva controllarli in un ambiente più contenuto — tipo l'infermiera, non quell'inferno li.
    E Kaz, Kazzino Kazzetto, non la stava aiutando.
    «willa, devo andarmene ora. oRa» Lo prese per la divisa, trascinandolo con lei. Oh no. Oh no. Ne aveva visti già abbastanza di ragazzini morire. «Dove pensi di andare.» abbassò la voce, dando le spalle alla legionaria in modo che non potesse leggerle il labiale, e sperando che la confusione intorno a loro facesse il resto. Reclinò la testa per guardare il palo della luce che era l'Oh, con l'espressione più impassibile e severa che riuscisse. «Sono ancora tutti qui,» o così sperava, insomma: doveva ancora parlare con William, «dove vuoi andare» e lo sapevano benissimo entrambi dove voleva andare l'Oh, ma non significava che Willa dovesse accettarlo; ai suoi occhi, lui e il Morales erano ancora dei bambini. Non li voleva pensare al fronte, a fare la guerra a fratelli e amici. Alzò le mani e le unì davanti il viso.
    Non poteva essere lei a impedirglielo — ma cazzo se voleva farlo. «Kaz, ascoltami–» lo guardò negli occhi, sperando che si calmasse e smettesse di fare la sfera strobo difettosa, «–c'è ancora tempo, e quando sarà il momento... troveremo un modo.» Di farti uscire da qui senza dare nell'occhio. «Ma questa non è un'esercitazione, non–» cercò di non ripensare alla sua ultima missione, ma fu difficile impedire ai ricordi di tornare a galla, e di riflesso strinse appena la presa intorno al braccio del lumocineta «è una guerra, Kaz. E tu sei –» un bambino «ancora giovane. C'è tanto che puoi fare qui, non serve –» andare a morire «non ci sono ancora delle linee guida, non serve andare nel panico adesso Ci sarebbe stato un sacco di tempo per farlo, più avanti. «Adesso mi servi qui. ok?» not okay, probabilmente, ma eh. Scusa Kaz, sei nella Willa-jail per il momento.
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    barbie j. kaz oh
    Easy to say that you can relate
    You're not the one staring death in the face
    And are you the one that's living a lie?
    Are you the one that feels empty inside?
    «Tecnicamente, sono a scuola. Al massimo, dovrebbero tornare in classe.»
    Barbie, che non aveva neanche la quinta elementare: totem di pietra delle reaction.
    Davvero, non un solo pensiero positivo nelle iridi brune voltate prima al cielo in cerca della forza, e poi sulla Legionaria, labbra appiattite fra loro e l'espressione di un ragazzo che dalla vita aveva già avuto troppe inculate senza lubrificante per poter tollerare quelle stronzate. Impassibile, alzò meramente un pollice nella sua direzione, scegliendo di non fare proprio nulla in merito al caos intorno a loro: tecnicamente, come avrebbe detto la fanciulla, non erano cazzi suoi.
    Quindi.
    Sul loro avere già un piano, non mosse più un dito, perchè era una grumpy old bitch centenaria. Anzi, strinse pure il polso destro nella mancina, agganciandosi dietro la schiena come un Sin qualsiasi nei pressi di un cantiere. «come sei mai qui?» Lo stava interrogando? Non era mai andato d'accordo con nessun tipo di autorità, e non avrebbe cominciato alla veneranda età di 129ish anni. Corrugò le sopracciglia, la lingua a percorrere l'arcata inferiore dei denti. «n-n-non per s-s-scelta» avrebbe dovuto farsela bastare, perchè era la verità. Un errore di calcolo, perchè Barnaby Jagger non leggeva gli avvisi in bacheca pubblica che sospendevano le lezioni e si vedeva. Forse i Legionari avrebbero dovuto lavorare di più sulle loro skills comunicative, ed il "forse" era una gentilezza nei confronti della C.Sharp: Nicky e Mac. Doveva aggiungere altro?
    «e n-n-n-non p-p-per m-molto» solo allora sorrise, il buon Barbie, ombra goliardica di quel che era stato.
    Un'altra vita. Un altro tempo. Prima che le situazioni iniziassero ad accumularsi tutte, e si ritrovasse seduto sopra un tappeto alto quanto una cazzo di montagna. Pigre palpebre a rendere lo sguardo sottile, due dita alla fronte, ed i primi passi in retromarcia.
    Non aveva alcun dovere nei confronti di quei ragazzini.
    Non ce l'aveva neanche nei confronti di una stracazzo di guerra, ma qualcuno doveva pur farlo, no?
    Barbie out. Ciao Java, divertiti.

    «Kaz, ascoltami–»
    Non voleva, ma lo fece comunque. Piantò gli occhi scuri in quelli dell'infermiera, abbassando di molto il suo sguardo. Iniziò ad inspirare, ad inspirare e basta, racimolando quanto più ossigeno potessero contenere i suoi polmoni senza mai buttarlo fuori. Se si fosse gonfiato abbastanza, si disse, magari avrebbero smesso di trattarlo come un bambino.
    «–c'è ancora tempo, e quando sarà il momento... troveremo un modo.»
    Le palpebre a tremare appena. Fu, prevedibilmente, il primo ad abbassare lo sguardo.
    «bugiarda»
    «è una guerra, Kaz. E tu sei – ancora giovane. C'è tanto che puoi fare qui, non serve –non ci sono ancora delle linee guida, non serve andare nel panico adesso.» Le lesse tutte, quelle pause. Le lesse e le ignorò, lasciando che i liquidi occhi pece si facessero più seri e stanchi. Più adulti, se non vecchi, perchè Kaz era un ribelle, e le persone tendevano a dimenticarlo spesso. Era giovane, sì, e si era guadagnato il diritto di esserlo nel proprio tempo libero, ma lì - non era lo stesso. Non era la stessa cosa. Ed aveva paura, buon Dio, certo che aveva paura, ma era nato per quella vita. Era addestrato. Era la sua causa: poteva anche piangere tutte le sue lacrime quando gli lussavano una spalla durante le partite, ma sarebbe morto in qualunque momento se avesse creduto potesse fare la differenza per qualcun altro. Se avesse pensato potesse servire. Un paladino - giovane, e stupido, ma un paladino.
    Si scostò di un passo, strappandosi di dosso la mano di Willa. Una rapida occhiata alla C.Sharp, al Jagger poco distante, ai ragazzini che ancora si lanciavano improperi e magie.
    A Hogwarts. A tutti quelli che si sarebbe lasciato alle spalle, senza neanche salutare: le Depark; Joni; Dylan. Deglutì, tornando a guardare Willa.
    «Adesso mi servi qui. ok?»
    Kul avrebbe capito.
    Un'occhiata di sfuggita al Morales. Clay avrebbe capito. E se in altri frangenti l'avrebbe stretto a se gridando al cielo quanto gli sarebbe mancato e quanto la sua vita senza di lui non fosse la stessa, attendendo solamente di sentirsi il contrario, in quello non poteva permetterselo.
    Perfino Kaz sapeva quando fosse il caso di buttare giù la bile e chiudere gli occhi.
    La vita dei ribelli non era fatta per gli addii: solo arrivederci, e mai a voce.
    «no,» scosse il capo, allontanandosi di un altro passo prima che potesse fermarlo. La pregò di capire: il tempo non era dalla sua parte. I primi posti a chiudere i cancelli, sarebbero stati le scuole.
    Da sempre. Non poteva rimanere intrappolato lì.
    «non posso» sincero, almeno; era un bugiardo solo quando non aveva importanza.
    Un altro passo indietro. Due.
    E poi iniziò a correre.


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