Quando si era svegliata, quella mattina, il primo pensiero di Claudia non era stato di certo “ecco, oggi finisce il mondo così come l'abbiamo sempre conosciuto”. No. No. Aveva pensato “caspiterina, ho finito i biscotti, e ora con cosa faccio colazione? Ok, sai cosa Clod? Prenderai una brioches andando a lavoro, te la meriti” perché a) era una persona semplice con delle priorità ben chiare, b) chi cazzo avrebbe mai potuto prevedere la fine del mondo??? La giornata era iniziata come tante altre – male, e a fatica: lasciare l'abbraccio caldo e morbido delle coperte era sempre un trauma – e la mattinata era proseguita come tante altre – articoli da finire, gente da importunare intervistare, opinioni dei colleghi da contraddire – perciò, arrivata a metà giornata, Cloud si era convinta che sarebbe finita allo stesso modo – una cena da asporto, due coccole al gatto, infinite ore passate davanti ad una pergamena vuota in attesa dell'illuminazione per finire l'articolo che non aveva scritto a lavoro, o quel dannato romanzo che attendeva di vedere la luce da anni; onestamente, non era esigente, si sarebbe accontentata di una o dell'altra –. Poi, invece, a pomeriggio inoltrato percepì l'aria cambiare. Non era lei la sensitiva della famiglia, ma qualcosa l'aveva sentito comunque. La pelle d'oca, un formicolio alla base del collo, la sensazione che qualcosa stava per succedere — e che non avrebbe tardato a farlo. Si era affacciata dal piccolo ufficio che condivideva con altri colleghi, e aveva osservato il cielo aspettandosi di trovare nubi ad oscurarlo, o stormi di uccelli impazzivi che migravano altrove; non erano quelli i primi segnali dell'imminente apocalisse, di solito? O del terremoto, così aveva letto in giro. A quel punto, aveva iniziato ad attenderla, pensando che, nel peggiore dei casi, quella sensazione di finalità e terrore nasceva dal fatto che poteva come non poteva aver lasciato il gas aperto e fatto saltare in aria l'appartamento nella distrazione. Oh beh; poteva essere tutto. Non si sentiva di poter escludere nulla. Era tornata a casa. Aveva controllato che il palazzo fosse ancora in piedi. Era tornata in ufficio. Era andata via di nuovo. Il bello di essere una giornalista era avere la scusa del “devo seguire una storia” per poter abbandonare la sede in un qualunque momento, scusa che nessuno poteva additare come tale perché c'era sempre una storia da seguire, in un modo o nell'altro, quindi yay. Che poi Clod utilizzasse quei momenti per sedersi ad uno dei café di High Street, mento poggiato sul dorso della mano, e sguardo vuoto a fissare oltre la vetrina del locale, era un altro paio di maniche. L'articolo, la Moor, aveva anche provato a scriverlo, giuro; le prove erano le dita imbrattate di inchiostro nero, e i fogli di pergamena accartocciati che occupavano il tavolino, insieme a una tazza di caffè ormai vuota e una fetta di torta alla crema lasciata a metà. Non osservava nulla di preciso, Claudia, ma sperava di trovare l'ispirazione un po' ovunque: ah non era così che funzionava? Ma pensa. Beh, lei ci avrebbe provato ancora, e ancora, perché era (pigra.) resiliente. E molto, molto, molto pigra. E non riusciva a concentrarsi sugli ultimi risvolti del campionato inglese di Quidditch, con quella strana sensazione ancora a stringerle la bocca dello stomaco: che fregatura, sapere che stava per succedere qualcosa, sentirlo nelle ossa, ma non riuscire a prevedere cosa. O quando. Sapeva solo che non fosse una bella sensazione da “sto per vincere la lotteria magica, fikooo!”, ecco. Distolse l'attenzione dalla via fuori dal bar, e cercò uno dei camerieri per ordinare un altro caffè: almeno su quello poteva sempre fare affidamento. «amici! amici. vi sono mancato?» Ed eccola lì, la famosa scarpa pronta a cadere sulle loro teste. Anche se, col senno di poi, si trattava di un masso gigante, altro che scarpa. Prima di potersene rendere conto, Cloud aveva raccolto le sue cose ed era uscita dal café, occhi fissi sulla figura dell'uomo al centro del palco. Non era possibile. Avrebbe preso appunti, se solo fosse riuscita a muovere un muscolo; non che servissero, comunque, ogni singola parola di Seth rimaneva impressa a fuoco nella sua memoria. Quello sì che faceva notizia, ma per qualche ragione dubitava che i giornali, all'indomani, avrebbero parlato degli eventi di High Street. La censura funzionava fin troppo bene, nel loro governo. «odio ripetermi ODIO RIPETERMI. Ho detto: volete sapere dove sono stato?» Non necessariamente, ma persino lei, G. Claudia Moor, decise che in quel caso fosse meglio rimanere in silenzio; dove fosse stato in quegli ultimi quattro anni, le interessava poco — era più concentrata sul motivo che l'aveva spinto a riemergere proprio ora. Cosa stava tramando? Anzi, forse dopotutto, il dove fosse stato era la domanda giusta da porsi. Insieme a: cosa diavolo ha combinato, in tutto questo tempo. «Sapete cosa fanno gli amici?» Anche lì: non era certa di volerlo sapere. Ma un po' sì, perché era una giornalista e, sebbene non vivesse a pane e gossip, inquisire era pur sempre una delle sue specialità. Uno dei suoi vizi preferiti. Ma quello non era l'ennesimo coach da intervistare post partita, o un giocatore di cui stilare il profilo per il Boccino d'Argento. Era una minaccia — per il mondo così come lo conoscevano. Ah, ecco dunque quel pensiero: il mondo così come lo abbiamo sempre conosciuto sta per finire, poco ma sicuro. «avete permesso che il mondo appartenesse a degli inutili senza magia? UGH! senza magia.» Tenne ancora la bocca chiusa, Clod, le labbra ridotte ad una linea così dura e stretta che in mezzo non sarebbe passato neppure uno spillo. Cosa avrebbero dovuto fare, scegliere l'opzione del genocidio? Sembrava un po' estremo. Così come estremo, folle!, sembrava l'idea di una convivenza forzata con i babbani; questi ultimi non li avrebbero mai accettati tra loro, li temevano troppo, come si teme ogni cosa che non si conosce o non si capisce. Spesso e volentieri, entrambe le cose. Insieme. Ma da li a voler ribaltare il sistema? «non più.» Da lì a decidere di dichiarare guerra al mondo babbano? «non da oggi.» Ce ne passava di strada. «da oggi tutto cambierà.» Beh, quel tanto era chiaro. «non siamo noi quelli contro natura. Non siamo noi ad aver distrutto interi ecosistemi per poterci spostare più velocemente: sono la razza più debole. Abietta. Abbiamo avuto pietà per secoli: non la meritano più. Oggi, amici, demoliamo lo statuto di segretezza. E ci riprendiamo il mondo» Oddio: era serio. Non che Cloud lo avesse messo in discussione, ma da lì ad avere la certezza che volesse armare l'intera società magica contro il mondo babbano? Abolire lo statuto e dichiarare un nuovo ordine, riprendersi il posto che spettava a tutti loro nel grande disegno della vita? «dai. DaidaiDAI. CHI è CON ME?» Oddio. Forse, forse, qualche appunto avrebbe dovuto prenderlo. Ma non ci riusciva. Non ci riusciva. Le iridi bosco si spostarono lentamente sulle figure che piano emergevano e affiancavano Abbadon sul palco: capi di stato, ministri, esponenti esteri. Kimiko Oshiro. «chi. è. Con. Me?» Tutti, a quanto pareva. Ecco dov'era stato per quattro anni: a tessere un'intricata tela di coalizioni e alleanze, a fare pressione su governi già instabili e dilaniati da guerre interne tra ministeriali e ribelli terroristi, a muovere pedine ma senza mai rivelare la vera strategia, proprio come avrebbe fatto un eccellente giocatore di scacchi. Non aveva lasciato nulla al caso, era evidente. La piazza scoppiò intorno a Claudia: chi correva da una parte, chi avanzava verso il palco, chi si faceva trascinare via dalla massa informe di gente che non sapeva più cosa fare della propria esistenza. Lei rimase ferma al suo posto, ignorando coloro che, di tanto in tanto, le finivano addosso e la travolgevano. Era incredula, e forse, dopotutto, quel maledetto pensiero subito dopo aver aperto gli occhi, avrebbe dovuto averlo — l'avesse saputo prima, avrebbe evitato di uscire di casa. O avrebbe salutato il suo gatto con un bacino in più. O avrebbe mandato a cagare quel collega coglione che aveva sempre da ridire su ogni pezzo di Clod. Ecco, oggi finisce il mondo così come l'abbiamo sempre conosciuto.
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