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    SETTIMANA FINALE: Costas / Ellis


    Edited by Costa(nzo)s - 27/4/2023, 01:03
     
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    SETTIMANA FINALE: bengali
     
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    g. claudia moor
    Ho capito che l'indifferenza è meglio della vendetta,
    e che se solo resti indietro nessuno ti aspetta,
    che se fai tutto da te allora vali qualcosa,
    che una spina nella vita fa apprezzare la rosa

    Quando si era svegliata, quella mattina, il primo pensiero di Claudia non era stato di certo “ecco, oggi finisce il mondo così come l'abbiamo sempre conosciuto”.
    No.
    No.
    Aveva pensato “caspiterina, ho finito i biscotti, e ora con cosa faccio colazione? Ok, sai cosa Clod? Prenderai una brioches andando a lavoro, te la meriti” perché a) era una persona semplice con delle priorità ben chiare, b) chi cazzo avrebbe mai potuto prevedere la fine del mondo???
    La giornata era iniziata come tante altre – male, e a fatica: lasciare l'abbraccio caldo e morbido delle coperte era sempre un trauma – e la mattinata era proseguita come tante altre – articoli da finire, gente da importunare intervistare, opinioni dei colleghi da contraddire – perciò, arrivata a metà giornata, Cloud si era convinta che sarebbe finita allo stesso modo – una cena da asporto, due coccole al gatto, infinite ore passate davanti ad una pergamena vuota in attesa dell'illuminazione per finire l'articolo che non aveva scritto a lavoro, o quel dannato romanzo che attendeva di vedere la luce da anni; onestamente, non era esigente, si sarebbe accontentata di una o dell'altra –.
    Poi, invece, a pomeriggio inoltrato percepì l'aria cambiare. Non era lei la sensitiva della famiglia, ma qualcosa l'aveva sentito comunque. La pelle d'oca, un formicolio alla base del collo, la sensazione che qualcosa stava per succedere — e che non avrebbe tardato a farlo. Si era affacciata dal piccolo ufficio che condivideva con altri colleghi, e aveva osservato il cielo aspettandosi di trovare nubi ad oscurarlo, o stormi di uccelli impazzivi che migravano altrove; non erano quelli i primi segnali dell'imminente apocalisse, di solito? O del terremoto, così aveva letto in giro.
    A quel punto, aveva iniziato ad attenderla, pensando che, nel peggiore dei casi, quella sensazione di finalità e terrore nasceva dal fatto che poteva come non poteva aver lasciato il gas aperto e fatto saltare in aria l'appartamento nella distrazione.
    Oh beh; poteva essere tutto. Non si sentiva di poter escludere nulla.
    Era tornata a casa.
    Aveva controllato che il palazzo fosse ancora in piedi.
    Era tornata in ufficio.
    Era andata via di nuovo.
    Il bello di essere una giornalista era avere la scusa del “devo seguire una storia” per poter abbandonare la sede in un qualunque momento, scusa che nessuno poteva additare come tale perché c'era sempre una storia da seguire, in un modo o nell'altro, quindi yay. Che poi Clod utilizzasse quei momenti per sedersi ad uno dei café di High Street, mento poggiato sul dorso della mano, e sguardo vuoto a fissare oltre la vetrina del locale, era un altro paio di maniche.
    L'articolo, la Moor, aveva anche provato a scriverlo, giuro; le prove erano le dita imbrattate di inchiostro nero, e i fogli di pergamena accartocciati che occupavano il tavolino, insieme a una tazza di caffè ormai vuota e una fetta di torta alla crema lasciata a metà. Non osservava nulla di preciso, Claudia, ma sperava di trovare l'ispirazione un po' ovunque: ah non era così che funzionava? Ma pensa. Beh, lei ci avrebbe provato ancora, e ancora, perché era (pigra.) resiliente.
    E molto, molto, molto pigra.
    E non riusciva a concentrarsi sugli ultimi risvolti del campionato inglese di Quidditch, con quella strana sensazione ancora a stringerle la bocca dello stomaco: che fregatura, sapere che stava per succedere qualcosa, sentirlo nelle ossa, ma non riuscire a prevedere cosa. O quando. Sapeva solo che non fosse una bella sensazione da “sto per vincere la lotteria magica, fikooo!”, ecco.
    Distolse l'attenzione dalla via fuori dal bar, e cercò uno dei camerieri per ordinare un altro caffè: almeno su quello poteva sempre fare affidamento.
    «amici! amici. vi sono mancato?»
    Ed eccola lì, la famosa scarpa pronta a cadere sulle loro teste. Anche se, col senno di poi, si trattava di un masso gigante, altro che scarpa.
    Prima di potersene rendere conto, Cloud aveva raccolto le sue cose ed era uscita dal café, occhi fissi sulla figura dell'uomo al centro del palco. Non era possibile. Avrebbe preso appunti, se solo fosse riuscita a muovere un muscolo; non che servissero, comunque, ogni singola parola di Seth rimaneva impressa a fuoco nella sua memoria. Quello sì che faceva notizia, ma per qualche ragione dubitava che i giornali, all'indomani, avrebbero parlato degli eventi di High Street. La censura funzionava fin troppo bene, nel loro governo.
    «odio ripetermi ODIO RIPETERMI. Ho detto: volete sapere dove sono stato?» Non necessariamente, ma persino lei, G. Claudia Moor, decise che in quel caso fosse meglio rimanere in silenzio; dove fosse stato in quegli ultimi quattro anni, le interessava poco — era più concentrata sul motivo che l'aveva spinto a riemergere proprio ora.
    Cosa stava tramando?
    Anzi, forse dopotutto, il dove fosse stato era la domanda giusta da porsi. Insieme a: cosa diavolo ha combinato, in tutto questo tempo.
    «Sapete cosa fanno gli amici?» Anche lì: non era certa di volerlo sapere. Ma un po' sì, perché era una giornalista e, sebbene non vivesse a pane e gossip, inquisire era pur sempre una delle sue specialità. Uno dei suoi vizi preferiti.
    Ma quello non era l'ennesimo coach da intervistare post partita, o un giocatore di cui stilare il profilo per il Boccino d'Argento.
    Era una minaccia — per il mondo così come lo conoscevano.
    Ah, ecco dunque quel pensiero: il mondo così come lo abbiamo sempre conosciuto sta per finire, poco ma sicuro.
    «avete permesso che il mondo appartenesse a degli inutili senza magia? UGH! senza magia.»
    Tenne ancora la bocca chiusa, Clod, le labbra ridotte ad una linea così dura e stretta che in mezzo non sarebbe passato neppure uno spillo. Cosa avrebbero dovuto fare, scegliere l'opzione del genocidio? Sembrava un po' estremo. Così come estremo, folle!, sembrava l'idea di una convivenza forzata con i babbani; questi ultimi non li avrebbero mai accettati tra loro, li temevano troppo, come si teme ogni cosa che non si conosce o non si capisce. Spesso e volentieri, entrambe le cose. Insieme.
    Ma da li a voler ribaltare il sistema?
    «non più.»
    Da lì a decidere di dichiarare guerra al mondo babbano?
    «non da oggi.»
    Ce ne passava di strada.
    «da oggi tutto cambierà.»
    Beh, quel tanto era chiaro.
    «non siamo noi quelli contro natura. Non siamo noi ad aver distrutto interi ecosistemi per poterci spostare più velocemente: sono la razza più debole. Abietta.
    Abbiamo avuto pietà per secoli: non la meritano più.
    Oggi, amici, demoliamo lo statuto di segretezza. E ci riprendiamo il mondo»

    Oddio: era serio.
    Non che Cloud lo avesse messo in discussione, ma da lì ad avere la certezza che volesse armare l'intera società magica contro il mondo babbano? Abolire lo statuto e dichiarare un nuovo ordine, riprendersi il posto che spettava a tutti loro nel grande disegno della vita?
    «dai. DaidaiDAI. CHI è CON ME?»
    Oddio.
    Forse, forse, qualche appunto avrebbe dovuto prenderlo.
    Ma non ci riusciva.
    Non ci riusciva.
    Le iridi bosco si spostarono lentamente sulle figure che piano emergevano e affiancavano Abbadon sul palco: capi di stato, ministri, esponenti esteri.
    Kimiko Oshiro.
    «chi. è. Con. Me?»
    Tutti, a quanto pareva.
    Ecco dov'era stato per quattro anni: a tessere un'intricata tela di coalizioni e alleanze, a fare pressione su governi già instabili e dilaniati da guerre interne tra ministeriali e ribelli terroristi, a muovere pedine ma senza mai rivelare la vera strategia, proprio come avrebbe fatto un eccellente giocatore di scacchi.
    Non aveva lasciato nulla al caso, era evidente.
    La piazza scoppiò intorno a Claudia: chi correva da una parte, chi avanzava verso il palco, chi si faceva trascinare via dalla massa informe di gente che non sapeva più cosa fare della propria esistenza.
    Lei rimase ferma al suo posto, ignorando coloro che, di tanto in tanto, le finivano addosso e la travolgevano.
    Era incredula, e forse, dopotutto, quel maledetto pensiero subito dopo aver aperto gli occhi, avrebbe dovuto averlo — l'avesse saputo prima, avrebbe evitato di uscire di casa.
    O avrebbe salutato il suo gatto con un bacino in più.
    O avrebbe mandato a cagare quel collega coglione che aveva sempre da ridire su ogni pezzo di Clod.
    Ecco, oggi finisce il mondo così come l'abbiamo sempre conosciuto.
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    Era rimasto immobile, Richard Quinn.
    Non aveva distolto lo sguardo per un solo secondo. Paralizzato, perché ancora una volta non poteva sottrarsi dalla morsa fatale delle sue responsabilità. Gli piaceva credere che in questo – almeno in questo – fosse una persona semplice. Quattro anni prima, lo aveva fatto per salvaguardare i bricioli d’innocenza che ancora aleggiavano nelle anime degli studenti di Hogwarts. Ed era morto; soffocato in una pozza del suo stesso sangue, con gli occhi a vagare sulle figure sfocate a circondarlo. I battiti irregolari del corpo non identificato davanti a lui; sembrava uno studente. Dio, fai che non sia uno studente.
    Con le poche forze rimanenti, aveva stretto la mano attorno al suo polso. Per fare cosa, non ne era certo. Aggrapparsi alla speranza di poter soffiare vita nelle sue vene, forse.
    Stupidamente, il suo ultimo pensiero era andato a Edward Moonaire. Il primo, anche; quando il suo torace aveva ripreso a gonfiarsi, e il mondo si era riaperto dinanzi ai suoi occhi.
    Non l’aveva detto. Non c’era bisogno che lo facesse. Poteva tenersi la sua vergogna per sé, Richard; ammettere a se stesso, e a nessun altro, che il suo universo si chiudesse . I suoi genitori gli avevano sfiorato la mente solo dopo; quando il peso della sua coscienza lo aveva trascinato nuovamente in basso, ed era stato finalmente in grado di provare quella costrizione al petto che associava, ormai, alla sua famiglia. Il senso di dovere, che aveva preso da tempo il posto dell’affetto.
    Di cose ne erano successe, dopo quel giorno.
    Era tornato a casa.
    (aveva chiuso gli occhi.)
    Era tornato a lavoro.
    (aveva sognato cose terribili.)
    Aveva letto la tensione nella mascella di Phobos Campbell e Mitchell Winston.
    (li aveva riaperti.)
    L’aveva vista specchiata in quella di Guadalupe García Ramos.
    (li aveva chiusi ancora.)
    Aveva cercato risposte; aveva trovato nuove domande.
    (e aveva sognato altre città – altra morte – altra distruzione –)
    E aveva cercato di più.
    (–e si era svegliato di nuovo.)
    E aveva pensato ad Edward Moonaire.
    (e aveva pensato ad Eddie.)
    Non gli aveva detto niente. Non poteva sperare che capisse; non voleva, che capisse. Avrebbe solo reso tutto più concreto.

    Ma non poteva più fuggire, Dick. Non c’era libro in cui potesse rintanarsi. Di fronte a Seth – Abaddon – le sue strade si chiudevano.
    Le domande cessavano.
    E tutto ciò che rimaneva, era un profondo terrore. La certezza che da quella dichiarazione di guerra allo statuto di segretezza non si sarebbe tornati indietro. Che stessero a malapena sfiorando la superficie dei suoi piani; che forse, i suoi sogni, portavano un principio di realtà.
    Strinse i pugni, e mantenne il mento alto. Come gli era stato insegnato. Com’era giusto che facesse, anche di fronte a un destino segnato.
    (Il giorno del Giudizio s’avvicina,
    Se dobbiamo morire –
    )
    E allora, per la prima volta in anni, riempì i polmoni d’aria e pensò a Sebastian e Marcus.
    Al cimitero di bare vuote che risiedeva nel suo stomaco.
    A quelle che si sarebbero riempite.
    (...moriamo almeno tutti in allegria.)

    E fece il suo passo avanti.
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    L’eco per le strade di Hogsmeade.
    Il silenzio rotto dai primi passi. Le prima urla. Le spinte da tutte le parti, per tutte le parti.
    La tensione sotto pelle. Il riverbero dei battiti rimbalzati da una cassa toracica all’altra.
    Ed il sorriso lento, lentissimo, a tirare le labbra dell’uomo sul palco mentre il caos esplodeva attorno a lui.
    Con, lui. Immobile, se non per quegli occhi vuoti, e antichi, a vibrare con qualcosa di malevolo e terrificante che mai avrebbe dovuto vedere la luce del sole.
    E invece brillava. E brillava e brillava, accecando la stella stessa che non avrebbe mai dovuto incontrarlo.
    Non era nulla che non si fossero aspettati.
    Era comunque tutto quello per cui non erano preparati.
    Non a dovere; qualcosa, in quegli anni, dovevano pur averlo fatto.
    William Lancaster tese la mano sul polso della persona al suo fianco, premendo le dita sul polso con fermezza e solidità. Ancorando entrambi a quell’esatto momento in cui giustizia e potere ed equilibrio collidevano, scontrandosi su un punto in comune.
    Non scendeva in guerra, il preside di Salem. Non era suo il compito di pendere da una parte piuttosto che dall’altra, un lavoro in cui i colleghi erano stati eccelsi nelle decadi passati. Non era suo l’incarico di aprire porte o chiuderle.
    Lo era quello di mantenerle in piedi.
    La folla spingeva e premeva, e William strinse le labbra attorno ad un sigaro ancora spento.
    «non puoi» una constatazione semplice, mormorata con la distrazione che i dati di fatto meritavano. Accese la punta del cilindro con uno schiocco di dita; la donna al suo fianco ringhiò, unendosi alle urla per un motivo tutto diverso.
    Tutto lo stesso.
    «ma vorrei» Dio solo sapeva quanto Jeanine Lafayette avrebbe voluto. Lei, che gli ultimi anni li aveva passati a seguirlo e studiarlo. Lei, arrivata sempre troppo tardi su ogni scena del crimine, i polpastrelli a sfiorare una magia che non avrebbe dovuto esistere. Lei, che negli ultimi mesi aveva lottato contro le ombre; che ne era stata strappata via di recente dalla mano peggiore di tutte – quella del destino che s’era scelta, e del sacrificio che era stata disposta a fare. Segnata, la Lafayette. Dagli anni passati in un universo alternativo cercando di evitare esattamente quello; da guerre che portava avanti dalla nascita, e conseguenze che macchiavano inevitabilmente le dita del sangue di innocenti e non senza fare differenza. Da decisioni obbligate. Da immobilità forzata. Da quelle creature vomitate dall’inferno che l’avevano graffiata lasciando cicatrici nere sul volto; marchiata da più di un diavolo.
    «ma non puoi» ribadì serafico, agitando la bacchetta.
    Nessuno fece caso ai fili rossi dei suoi Sicarius; nessuno notò come fossero sporchi d’argento, memorie di un incantesimo che avrebbe dovuto essere dimenticato. Un paio, decine, centinaia - migliaia, tutti a portare lo stesso messaggio a chi sapeva avrebbe capito. A tirare i fili di una storia destinata a giungere al termine; a scrivere l’ultimo capitolo.
    William Lancaster aveva molti amici ai piani alti.
    Capi della Resistenza.
    Capi di governi troppo poco democratici per accettare l’inversione delle regole.
    Capi non magici. Capi magici e basta.
    Soldati, mercenari. Ribelli, Ministeriali.
    Li chiamò tutti, attivando La Rete. Estreme misure per estreme situazioni.
    I babbani non erano preparati ad Abbadon, ma lo erano alla magia: esistevano soldati consapevoli, ed addestrati a quello; esistevano leader consci di cosa esistesse invisibile sotto i loro occhi. Non quanti avrebbe voluto, ma qualcuno sì.
    I Ribelli non erano preparati ad Abbadon, ma lo erano al sacrificio.
    I Mangiamorte non erano preparati ad Abbadon, ma lo erano alla guerra.
    I soldati ed i mercenari senza redini non erano preparati ad Abbadon, ma lo erano al rischio.
    Non a tutti era concesso d’esistere; resistere, però, rimaneva una scelta.
    Una che William Lancaster era disposto ad offrire.
    Sarebbero morte così tante persone. La gente in piazza ballava, e sarebbero morte così tante persone.
    Nascosti a tutti eccetto loro stessi, uno chinò il capo e l’altra lasciò seccare una lacrima sulla guancia.
    I messaggi sarebbero arrivati a chi di dovere, ma non era abbastanza. Si sarebbero fermato a chi di potere, e comunque non sarebbe stato abbastanza.
    Ma la voce, per chiunque fosse disposto ad ascoltare, sarebbe stata sentita in ogni parte del mondo. Da bambini, ragazzini, adulti ed anziani. La chiamata alle armi non aveva età.
    Quella, era guerra.
    Meno di un giorno per scendere in campo. Qualche ora per riunirsi. Di più, non potevano permetterselo. Un’ultima notte, non potevano averla.
    Non così.
    Il primo a voltarsi e muovere un paio di passi all’indietro, fu William Lancaster.
    Jeanine Lafayette lo seguì, perché avevano del lavoro da fare.
    Rimasero fermi.
    «non puoi» Insistette ancora, l’americano.
    E come sorrise, quell’altro. Come sorrise, tutto cicatrici e cuore a pulsare all’unisono, promettendo rabbia e violenza e crudeltà e oh, a solo guardarlo faceva così male.
    Era per quel sorriso che gli eserciti l’avevano seguito.
    Era per quella piega atroce e brutale delle labbra, che un giorno l’avrebbero fatto di nuovo.
    Non quel giorno, ma un giorno sì.
    «per ora
    Ed il sibilo avvelenato di Dragomir Vasilov, era una minaccia e una promessa tutto insieme.

    everybody wants to rule the world
     
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