A differenza dei suoi fratelli, Hugo non si era mai ritenuto un tipo manesco. Anzi, in un qualche modo, con lo scorrere del tempo, mentre le manipolazioni di Zoe e Adam si erano tanto ampliate quanto affinate, le sue avevano finito per avvizzirsi del tutto. Se una volta, a quattro anni, aveva azzannato un altro bambino nella pancia (ma dopotutto non era colpa sua se il bambino in questione era stupido), e un’altra, durante il primo anno a Hogwarts, aveva letteralmente scarnificato un compagno con il solo uso delle unghie (ancora, non doveva essere lui a rendere conto della stupidità altrui), con il tempo il suo gioco di mani nei confronti degli altri era sparito del tutto. Ne faceva un vanto, naturalmente, l’ennesimo modo per distinguersi da quelle bestie di suo fratello e sua sorella. Eppure non erano poche le occasioni in cui si sentiva fremere dalla voglia di mettere le mani addosso a qualcuno.
Tipo sentendo Nathan sostenere che non aveva capito nemmeno quella semplice cosuccia.
Fece una smorfia per ostentare quanto si sentisse mortalmente offeso e stizzito, ben attento a non farsi sfuggire un sorriso. «Il mio criceto è depresso e medita il suicidio, mentre il tuo ha l’ADHD e presto o tardi si farà ammazzare con una delle sue idee», decretò con professionalità, improvvisandosi psichiatra dei poveri. Tuttavia, per quanto iperbolica, quella descrizione non si discostava poi così tanto dalla realtà. C’erano stati momenti in cui aveva davvero temuto il peggio, conoscendo il suo migliore amico. In giro per il mondo, chissà dove, sapeva che Nathan avrebbe fatto di tutto. Lo ammirava per questo, lo invidiava, persino, incapace com’era, all’opposto, di uscire dalla sua confort zone, ma non poteva fare a meno di sentirsi in ansia per lui. Non voleva vedersi recapitare via gufo la notizia che lo Shine era morto, specie, poi, facendo qualcosa di estremamente idiota.
«O forse morirà per mano mia quando ti tirerò tutti i libri della biblioteca in testa.» Visto che Nathan gesticolava, fece lo stesso, simulando il tiro di un libro diretto verso l’orecchio che gli stava tendendo. Ovviamente non sarebbe mai successo, non tanto perché Hugo non avrebbe mai colpito l’ex tassorosso (cosa che, invece, aveva fatto, giusto per tornare al fatto che, in fondo, non era così pacifista come gli piaceva pensare), ma perché non avrebbe mai rischiato di rovinare un libro lanciandolo. E anche perché, pur volendolo con tutte le sue forze, la sua mira era così scarsa che, invece di piantare uno degli spigoli di copertina nella fronte dello Shine, avrebbe fatto finire il volume da tutt’altra parte.
Avevano ragione entrambi, in fondo. I criceti nei loro cervelli erano sì diametralmente opposti, ma, ognuno a suo modo, erano tutti e due masochisti e sempre pronti ad ammazzarsi di lavoro. Mentre però quello di Nathan era sempre rivolto all’esterno, quello di Hugo preferiva rifugiarsi nelle più recondite profondità della sua scatola cranica, salvo poi pentirsi di tutto e piagnucolare perché solo abbandonato. Un cane, anzi, un criceto che si mordeva la coda.
Forse a Hugo non andava davvero bene così, sebbene non facesse che ripeterselo, ma in quel preciso momento non aveva rimostranze, puzza di sangue a parte. Certo, interrogato a riguardo avrebbe comunque trovato una lista infinita di cose di cui lamentarsi, ma la realtà era che, quando era con Nathan, andava sul serio tutto bene. Solo negli ultimi anni (che ormai, in realtà, non erano ultimi, ma svariati), si era reso conto di quanto avesse dato per scontata quella sensazione, e, ancora di più, il suo miglior amico. Non poter più passare ore e ore, ogni giorno, in sua compagnia, da quando si erano diplomati, l’aveva fatto rendere conto di quanto, senza di lui, il mondo fosse ancora più insopportabile.
«Sono sconvolto.»
«No, sei insopportabile», lo corresse con il suo solito fare da maestrino, per quanto fosse assolutamente non vero. Tuttavia, ancora una volta, l’avrebbe volentieri strozzato con le sue stesse mani e, al contempo, invitato a continuare ancora e ancora. Farsi sfottere da Nathan e sfotterlo di rimando era da sempre uno dei piaceri più profondi e dolorosi della sua vita e, quel giorno, prima di approdare nella puzzolente sala torture di Hogwarts, gli era mancato particolarmente.
O meglio, per essere ancora più precisi, gli era mancato Nathan.
Esattamente come gli aveva confessato.
Ad alta voce.
Come una persona adulta.
Forse lo Shine aveva ragione a essere sconvolto, anche se Hugo non l’avrebbe mai ammesso.
«Hai fatto bene, ci pensavo da giorni anche io ma come vedi qui le cose–»
Sospirò e scosse appena il capo, come a dirgli che non c’era problema. E non c’era davvero, perché non voleva accusarlo di niente. Sapeva che Nathan non avrebbe mai fatto nulla per ferire qualcuno, specie poi se quel qualcuno era lui, quello sfigato piagnucolone del suo migliore amico. Perché lo riteneva ancora tale, vero? Anche qui, Hugo non si sarebbe mai neanche sognato di accusare l’ex tassorosso di nulla, ma come gli capitava da solo metà della sua vita, spesso e volentieri finiva per chiedersi se, giustamente, lo Shine avesse trovato con chi rimpiazzarlo. Quando sarebbe successo, non avrebbe potuto che appoggiarlo: perché mai tenersi vicino un tipo come lui, capace solo di brontolare e diffondere cattivo umore? Fosse stato almeno bravo in qualcosa, tipo dispensare consigli!
Eppure questi pensieri gli facevano male. E lo facevano sentire egoista. E in preda ai sensi di colpa.
Tutto nella norma, insomma, se ci si chiamava Hugo Cox.
Proprio per questo, però, in pubblico, e persino con Nathan (soprattutto con Nathan!), a un passo dal baratro eccolo pronto a tirare il freno a mano e schizzare a tutta velocità dalla parte opposta, tornando a punzecchiarlo come se nulla fosse. O meglio, le (terribili) battute del Cox, seconde solo a quelle altrettanto terribili dello Shine, erano sempre molto, molto borderline, in bilico sulla sottilissima fune a picco sul precipizio. A Hugo piaceva pensare di essere dotato di un finissimo humor nero, ma la realtà era che il suo sarcasmo era di una triste tonalità di grigio e, spesso, lasciava trapelare un velato grido d’aiuto.
«Ti ho… conquistato?» Ghignò, pronto a cogliere la palla al balzo.
«E figurati, i miei piani al momento prevedono solo una doccia bollente per lavare via tutto questo sangue.»
Oh, caro, carissimo Nathan. Il ghigno sulle labbra di Hugo si allargò, fino a trasformarsi in una risata trattenuta a fatica. «Lo sai che con me non devi trattenerti…» Sfarfallò le ciglia con fare civettuolo, per poi riuscire a trasformare la grassa risata che gli pizzicava la gola in una risatina acuta e nascosta dietro le dita. «… Puoi dirmi in faccia chiaro e tondo quello che desideri.» Se Hugo avesse dovuto flirtare veramente non sarebbe riuscito a spiccicare parola. Qui, però, si trattava di mettere a disagio Nathan e, ancora di più, di prenderlo in giro, per cui non gli passò per la testa nemmeno per un secondo quanto la cosa, in un altro contesto, l’avrebbe messo in difficoltà. «Ma va bene, farò tutto da solo: certo che ti accompagnerò sotto la tua doccia bollente!»
Nessuno avrebbe dato torto alla saggia Rob se, in quel momento, vedendoli, avrebbe commentato di aver visto certi film cominciare proprio così.
Anche perché, incurante di tutto, a partire dalle zaffate nauseabonde di sangue che facevano ballare la samba al suo stomaco, e degli avvertimenti non esattamente velati di Nathan, Hugo riempì la distanza che li separava e strinse l’amico a sé.
Lo strinse davvero, fregandosene della puzza, dell’imbarazzo e del suo solito realizzare di non saper abbracciare. Certo, il fatto che le braccia di Nathan fossero schiacciate tra di loro gli fece pensare, come sempre, di non essere capace di compiere quel gesto così normale e scontato e umano, ma non mollò la presa, deciso ad arrivare fino in fondo.
Doveva dirgli quanto fosse deficiente, e dunque quanto gli volesse bene.
«Aww, ti voglio bene anche io.»
Hugo sentì qualcosa sciogliersi nel petto e dovette lottare con tutte le sue forze perché non strabordasse dagli occhi. Ma, naturalmente, fallì, come scoprì stringendo con decisione le palpebre. L’occhio sinistro, traditore come sempre, non riuscì a intrappolare una lacrima che, sfuggita allo scoglio delle ciglia, gli rotolò giù per la guancia.
Una ragione in più per non lasciar andare Nathan, in tutti i sensi.
Vomitino a parte.
Con un mezzo scatto si scostò, il naso arricciato per trattenere il respiro, e fece un balzo indietro. Nonostante le lacrime che premevano per uscire, nonostante il calore al petto, nonostante l’enorme affetto che provava per lo Shine… il suo riflesso faringeo rischiò di avere la meglio. «Che problema c’è se mi sono sporcato?» Si strinse nelle spalle, ben attento, però, a non guardarsi il maglione. «Tanto c’è la doccia bollente che ci aspetta, no?» Tentò di respirare a pieni polmoni, salvo che, così facendo, sentì il puzzo ferroso del sangue entrargli ancora di più nelle narici. «E comunque figurati, mica ne sto parlando qui e ora con te… Mi hanno consigliato di parlarne con Stilinski. Dicono che sia bravissimo a far sparire tutti quelli che hanno a che fare con lui… per cui sarebbe a dir poco perfetto! Finalmente un modo per sbarazzarmi una volta per tutte di me.»