10 stupid things i've done out of a compulsive need to be liked (cringe compilation)

kaz ft. jojo

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  1. …oh kaz
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    The world can be a sad place, sad place
    So why don't you throw it in the backseat
    Show 'em what you can be
    Che per Kaz fosse difficile fare amicizia, non avrebbe dovuto stupire nessuno. Era allegro, ma rumoroso; interessato, ma distratto. Ignaro di tanti piccoli passi falsi in una conversazione, o delle dinamiche all’interno di un gruppo di persone. Mai cinico abbastanza da capire quando finisse lo scherzo, ed iniziassero i giudizi. A suo modo, molto personale, riservato: parlava tanto, parlava troppo, ma raramente di questioni personali. Un timido egocentrico, che di sé voleva parlare solo al futuro, e solo nell’ideale. Si era costruito un mondo tutto particolare, ed interamente suo, che raccontava agli altri come fosse stato reale, e non il sogno utopico di un’ottimista con scarse capacità applicative. Viveva di sogni come uno dei bambini sperduti di Peter Pan, tenendo lo stomaco vuoto e la testa piena di favole. Inadatto a rimanere solo a breve termine, ma con un futuro di solitudine auto generata.
    Stava seduto su quelle pietre sporche del suo stesso sangue, dipingendo una Londra onirica a Jojo e promettendo che l’avrebbero scoperta insieme, con il tono sincero di chi quei giuramenti li avrebbe lasciati andare, perché mai in grado di capire come inserirli nel proprio tempo. In quello altrui. Poteva chiudere gli occhi ed immaginare un universo in cui lui ed il Park scoprivano un locale underground dove suonavano musica dal vivo ogni giovedì sera, ed il venerdì lasciavano lo spazio al karaoke, e poteva perfino riuscire a vedere il giorno in cui avrebbe portato Clay trascinandolo sul palco per un duetto alla High School Musical (occhiata alla quarta parete, occhiolino al pv del Morales), ma dalla mente dell’Oh alla realtà dei fatti, passava sempre un abisso di dimenticanze e priorità. Nel suo futuro, si vedeva circondato da amici che lo adoravano, con una romantica storia d’amore – aveva già il setting, ed era il coffee shop dove avrebbe lavorato - che avrebbe fatto sospirare d’invidia tutti i passanti, e la pelle segnata da cicatrici di una guerra (foreshadowing!) che avrebbe combattuto e vinto ogni notte per rendere il mondo un posto migliore. Il meglio delle due vite, come Hannah Montana o le Sailor Moon. Si addormentava cullato dall’illusione di poter avere tutto quello, un giorno – sapendo, in un angolo freddo e vuoto del suo cuore, che non sarebbe riuscito ad averlo. Che, come già aveva fatto un tempo, avrebbe sacrificato la sua vita per la causa. Di due binari, ne avrebbe percorso solo uno, e sapeva quale sarebbe stata la sua scelta.
    Dopo il diploma, però. Aveva rimandato tutto a dopo il diploma, aggrappandosi ad ogni stralcio di adolescenza che riuscisse ad afferrare negli anni passati al castello, così da avere perlomeno dei ricordi. Bruciava veloce, perché sapeva che tutto quello avesse una scadenza.
    Tic, tac.
    Guardava l’entusiasmo di Jojo Park con una nostalgia che non avrebbe ancora dovuto permettersi, l’Oh. Come se quella prima stretta di mano, sapesse già di addio. Non era bravo ad intrecciare le dita fino alla fine, ed anche un po’ dopo. Ma poteva farlo in quel momento. Poteva alimentare l’eccitazione della scoperta, disegnando strade che non avrebbero percorso, o avrebbero dimenticato. Poteva farsi amare almeno fra quelle mura, come una bottiglia bucata sul fondo destinata a liberarsi del contenuto. Gli sarebbe bastato per almeno un paio di mesi, lo sguardo affettuoso del compagno. Una batteria che tendeva a scaricarsi in fretta.
    «Trovare i locali di nicchia che costano poco ma sono i più belli, i tetti dove la vista è migliore, i pub dove fanno i concerti dei gruppi indie, conoscere le leggende locali-...» Chiuse gli occhi, lasciando che le immagini prendessero il sopravvento sulla ragione. Rendendolo possibile e concreto. Un debole sorriso sulle labbra, la cosa più nuda che avesse mai mostrato al mondo – fragile, e vulnerabile.
    L’avrebbe perso. Qualche mese, e l’avrebbe perso, cancellato dal sangue e le grida e le lacrime. Storpiato sotto il piede di qualcosa più grande di tutti loro, indurito nella smorfia sempre un po’ triste dell’uomo che un giorno, sopravvivenza permettendo, sarebbe diventato. Sbiadito. «Vado sullo skate! Anche tu? Sei mai stato al Southbank? Andiamoci insieme!!» Perchè, quella stretta al petto. Perchè, quando le cose iniziavano a diventare reali, dovevano sempre fare così male, trascinando pesi immaginari ad ogni respiro. Non avevano ancora cominciato, e Kaz sentiva già di avere il cuore spezzato. L’amore, o la promessa che ci sarebbe stato, tendeva a fare quell’effetto – amici, amanti, a chi importava? A conti fatti di muscolo cardiaco se ne aveva solo uno, ed il fatto che cambiasse la forma non differiva nelle crepe. - e l’Oh non aveva armatura per difendersi anche da quello. Voleva l’affetto senza impegno, suo o di altri. Voleva il momento senza le conseguenze. «mi andrebbe» ammise, con quel tono basso destinato alle confessioni ed i segreti. «lo adorerei. Davvero! Sai qual è il mio sogno?» avere un sogno «quelle… cose. Dove vanno le persone a leggere le loro poesie. O le battle rap!! posti così, sai, dove devi scendere le scale per arrivarci??» Molto specifico, ma nella sua testa aveva perfettamente senso.
    E, come tutto quello che aveva senso solo nella sua testa, «no, non so andare in skate. Ma posso imparare? Se seraphine riesce a muoversi su hoverboard e cantare contemporaneamente, posso anche io» lungi da lui specificare che Seraphine fosse un personaggio di LoL – dai, chi non conosceva le kda nel santo anno del signore duemilaventitrè?
    Abbassò la voce, chinandosi verso Jojo «e voglio imparare a fare i graffiti, così possiamo firmarci ovunque andiamo» sorrise, Kaz. Allegro, spensierato, ed ottimista che quanto detto, potesse essere vero. Potessero averlo. «e -» drizzò il capo, sentendo un rumore nel corridoio. Rimase immobile, occhi scuri fissi in quelli di Jojo, ascoltando e riconoscendo i passi in avvicinamento. «sven» mimò con le labbra, indicando la porta.
    Più incerto, il tono dell’Oh. Insicuro, nel bisbiglio rivolto all’altro. «continuiamo in infermeria?» Almeno un altro po’.
    sooner or later you're gonna tell me a happy story. i just know you are.
     
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