where did he go, hell only knows

kai ft. chouko

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    Aveva smesso solo un paio di secondi prima di dondolare la gamba sullo sgabello. Non un gesto nervoso quello di Kai, quanto più un segno dell’energia compressa male fra pelle e muscoli che trovava nel dondolio costante del ginocchio un parziale sollievo. Era da sempre un po’ troppo sovra eccitato, incapace di rimanere fermo non più di qualche secondo prima di iniziare a torturare quella o quell’altra pellicina delle dita, quando non grattare via lo smalto dalle unghie o tirare l’elastico legato al polso, ma da quando era ufficialmente morto, il suo corpo sembrava incapace di quietarsi dal suo stato costante d’allerta. Non mostrava nervosismo o particolare attenzione, era pur sempre un Kai, ma non significava non lo fosse. Il languido sguardo scuro si posava più spesso del dovuto sulla porta del locale, seguiva più minuziosamente i movimenti degli avventori di Madama Piediburro in cerca di armi o brutte intenzioni. Non in maniera ovvia, ma lo faceva.
    «non mi dire niente, e quelli che al supermercato pagano con tutte le monetine? ugh» scrollò il capo, come se quelle stesse monetine non fossero la sua unica fonte di reddito e non fosse perennemente felice dei vecchi che non si fidassero delle banche e girassero con i contanti. Alzò il bicchiere, che poteva permettersi solo grazie alla signora con la quale era entrato accidentalmente in collisione prima di entrare al locale, verso il suo compagno di conversazione, accennando un sorriso complice. Aveva un notevole spirito d’adattamento, il Kageyama, ed una capacità strabiliante di attaccare bottone con tutti. Davvero tutti. Dire che parlasse anche con i muri, non sarebbe neanche stata una metafora: gli oggetti inanimati ricevevano tante attenzioni dal magonò quanto le persone e gli animali.
    Si sistemò più comodamente sullo sgabello, movimenti rilassati ed allo stesso tempo precisi e calcolati. Non era mai stato un grande stratega, ma aveva imparato ad esserlo; in matematica continuava ad essere una schiappa, ma in qualche modo arrivava sempre al risultato corretto.
    O quasi. Esisteva l’arrotondamento apposta.
    Tirò il tessuto della maglietta nera sull’addome per staccarlo dalla pelle, ed infilò un dito nel colletto facendo entrare aria fra l’indumento e l’epidermide. Con il suo coinquilino condivideva, oltre all’appartamento ed una passione smodata per le armi, anche la taglia: se non era destino quello! Un incontro così dettato dal Fato che Grey, il coreano a cui apparteneva la cucina doveva si era preparato ramen precotto per mesi, non aveva saputo della sua esistenza fino a poco meno di un’ora prima. Magico. Forse scontrato sarebbe stato il termine più adatto per definire la colluttazione avvenuta con l’altro, ma Kai era un inguaribile romantico ed un impossibile ottimista: voleva credere fosse solo l’inizio di una travagliata, ma costante, amicizia destinata a durare nei secoli a venire. Non era neanche arrabbiato per il dover essere scappato dalla finestra del bagno, e molto velocemente, o per essere rotolato al vicolo sottostante con diverso graffi sulle spalle, ed un coltellino ancora incastrato nel ventre.
    E sì. Eh già. Kaito Kageyama stava facendo aperitivo da Madama Piediburro con una ferita ancora aperta e fresca nella pancia, senza possedere nulla di suo se non il sorriso sornione a curvare le labbra, e le lame che era riuscito ad afferrare prima di essere costretto ad abbandonare la sua base fino a data da destinarsi. I vestiti? Di Grey. I soldi? Dei passanti. L’anima? Al diavolo.
    Non era così che aveva immaginato la sua terza seconda vita.
    Era arrivato in Gran Bretagna a Dicembre per cercare Ryu, perché aveva bisogno di lui e sapeva che per il cugino fosse lo stesso, anche se l’altro Kageyama ancora non lo sapeva. Aveva un piano, sapete. Poco abbozzato, perché credeva nel potere dell’improvvisazione, ma aveva un piano.
    Fallito miseramente nel momento in cui, all’ultimo alloggio in cui aveva rintracciato Ryu, Ryu non c’era - anzi. Il tizio che gli aveva aperto, alto e sottile quanto una canna di bambù, quando aveva chiesto se il Kageyama fosse in casa, si era rotto. Kai era una persona piacevole, giuro, aveva sorriso e salutato agitando la mano, domandando solo umilmente se ci fosse Ryu. Aveva anche cercato la terminologia giusta su Google Traduttore, perché l’inglese non lo sapeva (punto.) così bene. A giudicare dall’espressione dell’altro, e dal colorito pallido, doveva aver fatto la domanda sbagliata.
    Chissà cosa gli aveva chiesto. Erano rimasti a fissarsi confusi un paio di secondi, uno ad attendere cercando di sembrare innocuo, e l’altro a boccheggiare sull’uscio. Avrebbe potuto rimanere lì anche tutta la notte, se al «FAAAAKEEEE» del moro, non fosse apparso un secondo personaggio che...
    Beh. Non aveva presa benissimo il quesito di Kai. Con non l’aveva presa benissimo, s’intendeva che Kai fosse molto, molto bravo a correre, e fosse sparito prima di ritrovarsi squartato in un vicolo qualunque di Londra senza un solo essere vivente a piangere la sua reale dipartita.
    Non era sopravvissuto a suo padre per quello.
    Cosa facevi quando ti ritrovavi a Londra senza (1) conoscere la lingua (2) documenti (3) un posto in cui vivere (4) dei soldi tuoi? Imparavi a sopravvivere, come i topi e gli scarafaggi.
    Kaito era un parassita. Aveva trovato un appartamento vuoto, e ci si era stabilito. Viveva di piccoli furti, e mance dei passanti alla sua musica – con una chitarra che aveva rubato; non era stato facile. L’appartamento non era più vuoto, ma insomma… Kai era un tipo sentimentale, ci si era affezionato. L’aveva tenuto in ordine per mesi, doveva pur contare qualcosa. Non aveva neanche spiato (troppo) gli effetti personali del precedente inquilino! L’idea di dover trovare un altro posto dove vivere, non gli piaceva – quindi non ci pensava, perché Kaito i problemi li affrontava così, sul momento.
    Era andato da Madama per quello. Nessuno l’avrebbe cercato lì, ed avrebbe potuto rimandare il resto ad un secondo momento. BONUS: avrebbe potuto trovare qualcuno che l’avrebbe portato a casa sua, ed almeno per la notte sarebbe stato a posto. Era bravo ad ottimizzare. «ehi erin, un altro giro!!! grazie» sorrise alla ragazza, mostrando denti affilati ma morbidi. Non era lì per mordere nessuno, era un cliente abituale dopotutto. Si alzò leggermente in piedi, spingendosi oltre il bancone per spiare il retro. «non c’è chouko oggi?» Kaito non aveva sempre strane ossessioni, ma qualche volta sì, e l’altra cameriera di Madama era una di quelle. Sara non ricorda se Chouko sappia effettivamente il giapponese, quindi lasceremo scegliere a Lia se la Mizumaki fosse l’unica anima con la quale Kai potesse effettivamente avere una conversazione di senso compiuto. Erin lo osservò, sopracciglia leggermente corrugate. Sapeva, Kai sapeva, cosa volesse dirgli, e fu rapido ad alzare le mani in segno di resa. Erin Chipmunks non faceva propriamente paura, ma il Kageyama aveva imparato a leggere fra le righe, e non voleva essere preso a testate solo perché aveva sottovalutato una ragazza carina e gentile – been there, done that. «siamo amici?» forse no, ma non sapeva come dirle che sentisse avessero qualcosa senza farlo passare per un qualcosa che non era. Un interesse platonico, una scintilla metafisica a legarli da un altro piano astrale. Boh, gli piaceva e basta, mica doveva tutto avere uno sfondo sessuale, no? Lo sguardo di Erin scivolò sui palmi rivolti verso di lei, le ciglia a sfarfallare sulle iridi nocciola. «quello è sangue?» Kai guardò. Portò un dito alle labbra, leccando il liquido dalla pelle. «nah, succo!» decisamente sangue.
    kaito
    kageyama

    He lived like a devil and died like a saint
    So in the end they were singing his name
    He was that beautiful kind of deranged
    Haunted and strange, couldn't be saved
    23 y.o.
    squid
    (2043: genghis khan)
     
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