«un altro» La ragazza dall’altra parte del bancone, capelli castani accuratamente legati in una coda e la visiera rossa del locale ben calcata sulla fronte, inarcò le sopracciglia. Osservò il tavolo alle spalle di Fray, quello su cui erano accartocciati almeno una decina di involucri di carta vuoti, e spostò intenzionale lo sguardo sull’americana. Non c’era alcun bisogno che esplicitasse a voce l’ancora? dipinto così chiaramente sul volto. In Siberia non aveva sviluppato alcun potere, ma la rossa non aveva bisogno della telepatia per rispondere «sì.» a quel non verbale. Friday De Thirteenth non era nel mood per litigare con il customer service del Wizbuger, ed ancor meno con una ragazzina che aveva tutta l’aria di frequentare ancora Hogwarts. Se voleva l’undicesimo pacchetto di patatine fritte, erano solamente affari suoi e di nessun altro. Credeva di meritarseli, santiddio. Credeva di esserseli guadagnati, dopo cinque fottuti mesi in un Laboratorio russo dov’era stata prigioniera insieme a dei maledetti bambini a cui aveva promesso sarebbero usciti e che invece aveva visto bruciare. Pensava di non dovere alcuna cazzo di spiegazione ad un’adolescente la cui preoccupazione più grande, evidentemente, era giudicare i propri clienti per le loro scelte di vita. Era tanto da chiedere? Da aspettarsi? Voleva delle maledette patatine fritte, non tornare indietro nel tempo e rifare tutto. Le sembrava una richiesta accettabile, tutto sommato. Morse il labbro inferiore, chiuse gli occhi, e sbattè il palmo sul bancone del fast food. Rimase immobile una manciata di secondi, cercando di ingoiare saliva nonostante il nodo alla gola le impedisse di respirare e sentisse le palpebre umide di lacrime, l’indice sollevato per chiedere un minuto. Solo un minuto per ricomporsi, e smetterla di sentire l’odore acre e asciutto di cui non era riuscita a liberarsi sotto alcun doccia schiuma. E le voci. Dio mio, le voci. Le sentiva in ogni istante della giornata, nel silenzio e nelle folle gremite. Vedeva i loro occhi ovunque. Se fosse stata più coraggiosa, avrebbe socchiuso le palpebre e guardato quegli occhi anche sul volto della mora, bisbigliato appena un mi dispiace che a poco sarebbe servito perfino alla propria coscienza. Per un periodo ci aveva creduto, che sarebbe andato tutto bene e li avrebbe portati fuori da lì. Era rimasta aggrappata al proprio ottimismo, la testardaggine, il mero principio che le tragedie accadessero solo agli altri e mai a se stessa. Poi aveva capito, che si era spinta troppo in là. Che non avrebbe potuto mantenere quella promessa. E gliel’aveva ripetuto comunque, conscia di star mentendo, e l’aveva fatto per se stessa, perché nessuno di quei bambini voleva davvero uscire da lì. La guardavano smarriti e vacui, persi; dopo un paio di mesi in cui uno dei bambini più grandi – l’unico che parlasse anche inglese – le aveva insegnato un russo molto elementare, anche la scusa che non capissero cosa stesse dicendo, non aveva più retto. Quando il fumo acre dei loro corpi in fiamme aveva raggiunto e bruciato le narici, si era detta che fosse meglio così; che tanto, un mondo fuori da lì, non l’avrebbero capito e non li avrebbe capiti. A mente un poco più lucida, ed in solitaria nella propria cella di isolamento preventivo, si era resa conto di aver già visto quella storia una volta, e quella giustificazione non funzionasse. Aveva aspettato Sandy dal far west, aveva ascoltato i racconti di Sandy del far west, ed aveva trovato tutto incredibile ed assurdo. All’epoca si era detta che non ce l’avrebbero mai fatta ad adattarsi al loro mondo, gli scapestrati afferrati in extremis in California. Ma ce l’avevano fatta, non era forse vero? I più piccoli ancora frequentavano Hogwarts; i più grandi, già si univano a missioni di smembramento in territorio straniero, e sceglievano di fare la cosa giusta anche quando non la era per loro. Aveva spostato lo sguardo sulla Wesley, in quella distesa di neve. Sul volto rigato di lacrime, ma l’espressione solenne; sulle labbra a muoversi in preghiere che Fray non capiva ed in cui non credeva. Mckenzie l’aveva incontrato una settimana dopo al Ministero, e non si erano parlati. Era rimasta immobile quando all’ennesima parola bisbigliata dai colleghi all’interno dell’ascensore, l’altro gli aveva sbattuto la testa contro i pulsanti dei piani, uscendo al quinto piano come se non fosse successo nulla e rientrando solo per offrire un fazzoletto di carta. In seguito, Fray avrebbe affermato di non aver visto nulla. Forse la seconda occasione nel loro secolo non stava andando come avevano immaginato, ma l’avevano avuta, e stava andando. Non pensava che i bambini della Siberia potessero avere le loro stesse possibilità di inclusione, ma… qualcosa. Magari non tutti, ma qualcuno che fosse meno infetto; qualcuno che avesse più controllo. Qualcuno e basta. «e una coca cola» gracchiò, il capo chino. Non aveva rivisto né Jeremy, né Syria, né Grey o Ryu, da quando erano tornati. Immaginava che, come lei, non volessero rivedersi per almeno un intero anno solare. Aveva volontariamente deciso che Reese Withpotatoes sarebbe stato il problema di una Friday del futuro, qualora ancora non fosse spuntato magicamente così com’era sparito dai laboratori. Aveva scelto di non sentirsi in colpa, perché non era colpa sua, e di non preoccuparsi, perché credeva di averne già abbastanza per se stessa, e di rimanere nel territorio neutrale dell’odiarlo, perché si sentiva giustificata a farlo sia nell’ipotesi che fosse morto che in quella in cui fosse riuscito a scappare. Era stata dimessa dall’ospedale. Era tornata in Gran Bretagna. Aveva abbracciato Thor, ed entrambe avevano ignorato le lacrime di ambedue. Aveva assicurato a Sandy che potesse tornare in America a finire il tirocinio, Gesù, Sunday, ogni scusa è buona per non lavorare, hai preso tutto da Wendy, perché più facile dell’alternativa. Aveva mentito alla sua gemella dicendole di non ricordare molto di quanto fosse successo, e lei, pur sapendo fosse una stronzata, non aveva insistito. Andava tutto bene. Era perfino tornata a lavoro. Aveva valutato l’idea di non farlo? Sì. Non voleva più essere un obliviante. Non voleva più usare la magia. Sapeva di averla, perché la sua bacchetta l’aveva riconosciuta quando stretta nel palmo, ma non voleva usarla, Fray. Non più. Si stava dannatamente, maledettamente, sforzando di tornare alla normalità. Lo psicomago d’ufficio a cui l’avevano caldamente consigliata di recarsi, le aveva detto avesse solo bisogno di tempo per processare quanto successo – che non fosse facile, che fosse autorizzata a trovare il mondo diverso, e se stessa al contrario. Doveva riadattarsi. Tornare alla propria quotidianità. Aveva iniziato con le patatine fritte; non aveva ancora smesso. Aveva solo bisogno di quiete, e respirare, e - «MANI IN ALTO, QUESTA è UNA RAPINA» «oh, cristo santo.» | | No, no, you ain't the same I'll cut the ties I can feel that evil eye, uh What's this disguise? Is it the rain, or is it you crying? |