Ovviamente doveva essere Mort, non c’era dubbio che sarebbe stato proprio lui. Chi se non lui? Era intelligente, brillante, sagace, perspicace (potrebbero o non potrebbero essere tutti sinonimi), responsabile, prendeva i suoi impegni molto seriamente, aveva ottimi voti in tutte le materie, e soprattutto non aveva paura di crearsi qualche nemico tra le mura di Hogwarts. «nemico, tss» un sibilo tra sé e sé prima di scuotere la testa e ridere, le mani che affondavano nelle tasche dei pantaloni grigio scuro della divisa. Era quasi – anzi, era decisamente divertito dal fatto che qualcuno potesse anche solo lontanamente pensare che a lui, Mort Rainey in persona, spaventasse farsi qualche nemico; quell’ossessione che tutti gli adolescenti avevano per essere popolari e amati da tutti non l’aveva mai capita. Ma non avrebbero preferito piuttosto avere pochi e fedeli amici, scelti con cura e con criterio, ed essere temuti da molti altri? Erano ancora tutti così ingenui? Non sapevano che le amicizie non portavano da nessuna parte? Beh, comunque non ne era molto sorpreso, aveva sempre detto che quella scuola brulicasse di deficienti immaturi, non si aspettava di certo che queste persone capissero come funzionava il mondo vero. Dopotutto, non tutti i suoi coetanei potevano vantare di aver vissuto le stesse esperienze del Rainey, così tante da star pensando seriamente di iniziare già a scrivere il Volume II della sua autobiografia – aveva già qualche idea, ed era sempre meglio sfruttare l’estro creativo appena appariva, anche per questo girava sempre con taccuino e penna nella tasca posteriore dei pantaloni. Per questo e per aggiornare la sua personalissima lista dei buoni e dei cattivi, ovviamente. Era una cosa naturale, lo richiedeva il suo ruolo di spicco, aveva un dovere nei confronti della società magica da rispettare. Cioè, in realtà il Preside Chow non gli aveva detto proprio così, il suo discorso era stato più o meno «sì sì tu… il Caposcuola sai, lui, in realtà, non fa niente di che. Tu assicurati solo di non mandare a fuoco la scuola, ok?», però in fondo tutti sapevano che il Preside Chow non fosse molto affidabile e avesse perso la testa, e poi gli aveva dato la spilletta, e lui sapeva quale fosse il suo valore e voleva onorarlo ogni giorno – e ogni notte – e ogni cambio di aula – durante ogni evento importante. Non era nuovo a quel compito ed era risaputo da tutti: aveva passato i suoi primi cinque anni in quella scuola come un vigilante, il cavaliere mascherato di cui tutti avevano bisogno, colui che ispezionava i corridoi con passo felpato per acciuffare i trasgressori; l’anno scorso aveva ufficializzato la sua posizione e ottenuto la spilletta da prefetto, e per il suo ultimo anno aveva ritenuto necessario consolidare il suo ruolo per il bene di tutti e affiancare alla spilletta da prefetto dello scorso anno quella di Caposcuola. L’era di Mort Rainey era iniziata. Sorrise ancora tra sé e sé, ripensando alla minaccia che quel grifondoro mocciosetto aveva osato rivolgergli pochi minuti prima, quando l’aveva beccato mentre cercava di intrufolarsi nel bagno dei prefetti (per di più oltre il coprifuoco) e l’aveva spedito dritto dritto in sala torture: «questa è una grave mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità, Chester, cosa pensi che diventerai da grande se continui così? Te lo dico io: un d e t e n u t o» a cui il ragazzino aveva risposto con una serie di improperi vari e dichiarando che Mort Rainey – proprio lui – si era fatto un nuovo nemico. Una sentenza che il serpeverde aveva accettato con un sospiro e un’alzata di spalle: se ne sarebbe fatto una ragione. Era vero che la lista dei suoi nemici di allungava sempre di più, che i ragazzini lo guardavano sempre storto, che qualche volta avevano provato a fargli lo sgambetto nei corridoi, e che anche gli altri caposcuola erano compatti nel dire che aveva preso quel ruolo un po’ troppo sul serio e che si sarebbe dovuto solo limitare ad aiutare il preside e i professori a organizzare la scuola e a mantenere coeso il corpo studentesco, ma se nessuno pensava a fargli rispettare le regole allora che educazione era? Tutti che chiudevano un occhio sugli studenti che fumavano nei cortili perché loro erano i primi a farlo, che non dicevano niente ai ragazzini che si imbucavano nei dormitori altrui per le loro promiscuità, e nessuno che gli insegnava davvero come comportarsi in una scuola. Avrebbero dovuto ringraziarlo, altroché. Meno male che insieme agli hater si allungava sempre di più anche la lista dei suoi fan. Dopo l’uscita del suo libro era stato veramente difficile gestire la fama, e addirittura il suo agente (ok è vero non ne aveva uno, ma solo perché era un lavoro che richiedeva un certo impegno, e finora nessuno aveva dimostrato di poterlo affrontare) gli aveva consigliato di non tornare a scuola per quell’anno; ormai era una persona influente e sebbene nei primi istanti avesse faticato ad accettare che la sua vita fosse completamente cambiata, nel momento in cui era nato il suo fan club (non l’aveva mica aperto lui, eh) [forse sì, ma l’aveva comunque fatto con il profilo di Rick] si era reso conto che poteva sfruttare quella sua popolarità per diffondere il messaggio giusto, per essere l’esempio che tutti meritavano in quella società sempre più decadente. Quindi aveva accettato quel fardello e aveva deciso di tornare a scuola, e l’aveva fatto per il bene dei suoi compagni, e anche se ora si stava prendendo l’odio della maggior parte di loro, era sicuro che prima o poi l’avrebbero capito tutto e la sua lista dei fan sarebbe diventata spaventosamente lunga. Non che non lo fosse già, eh. Diciamo che ora eguagliava quasi la lista di fan di Hugh Jackman, ma tempo un paio d’anni e avrebbe raggiunto facilmente anche il numero di Leonardo DiCaprio. A voler essere proprio sinceri, Mort era già un gradino sopra alle due star appena nominate, perché loro mica potevano vantare di avere una canzone propria?! Eh no. Una bella canzoncina, tra le altre cose; proprio quella che stava fischiettando mentre avanzava lentamente e silenziosamente nel corridoio per l’ultimo giro di ronda, e mentre con il polso della manica destra lucidava la spilletta verde da Head Boy appuntata sul maglioncino. «io sono Mort, il magnifico l’ineffabile, impagabile, il magnifico! Il serpente più vincente da qui a Bombay si legge M-O-R-T» ma come la canzone continuasse non ci è dato saperlo (per il momento), perché il Rainey bloccò le note e il suo incedere contemporaneamente appena sentì il primo scricchiolio di una porta. Con passo felpato e respiro leggero si avvicinò al muro, un orecchio teso per percepire anche il minimo cambiamento di aria – una routine a cui si era piacevolmente abituato: questo snooping nei corridoi per scoprire chi era l’ennesimo deliquentello, giocare a questo “dov’è dov’è ombra” in cui il più delle volte ne usciva vincitore. All’ennesimo scricchiolio e all’ingenuo rumore di passi da parte del malfattore, Mort aveva già capito dove si nascondesse, ma bluffò, e mentre si preparava ad attaccare, fece finta di nulla, continuando lì dove si era interrotto: «io sono Mort, il magnifico il fantastico, sarcastico, il magnifico!» si mosse in modo veloce, ma lieve e silenzioso «se qualche corvo mi aggredisce peggio per lui io sono forte di natura e cari miei se non l’avete visto lui vi fa un replay io sono M-O-R-T!» che suonava proprio come una sentenza per il fuorilegge visto che svoltò l’angolo saltando e «AH-AH! PRESO!» ma quando si ritrovò davanti la Motherfucka, dovette alzare un sopracciglio e piegare le labbra all’ingiù, in una smorfia di disapprovazione. «Ah! Questo sì che è interessante» squadrò la compagna di casata e di squadra e incrociò le braccia al petto «…e deludente, soprattutto». Si aspettava sempre tanto dai suoi compagni di casata, Mort, e soprattutto dai suoi amici (o sorelle degli amici, insomma), quindi quando gli capitava di trovarne qualcuno infrangere qualche regola era sempre molto amareggiato. «spero che tu abbia una buona motivazione, Motherfucka»
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