«Mh.» E fino a lì. Posò gli occhi chiari – e stanchi, molto stanchi – sull’ambiente circostante e scoprì, non senza un pizzico di stupore, di non essere nel proprio ufficio. Eppure ricordava perfettamente di aver varcato la soglia dello studio, chiacchierando allegramente con uno studente Tibiavorio in cerca di supporto morale e poi — «Mh.» ripetè, ma stavolta assottigliando le palpebre fino a lasciare due schegge azzurre a perlustrare il circondario. Era abbastanza sicuro di trovarsi allo zoo, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Nemmeno un polpastrello, in realtà. «Peccato, volevo sapere come andava a finire.» Lo studente Tibiavorio di poco prima, avete presente? Bene, era andato da Nate per parlare di una faccenda molto importante e lui, dopo averlo ascoltato e aiutato, con l’abilità che anni e anni di shipping gli avevano conferito, era stato bravo a portare la conversazione su una questione ancora più importante. Perché ok, era molto bello spiare le giovani coppie che sbocciavano ad Hogwarts da lontano; ma era ancora meglio ricevere aggiornamenti direttamente dalla fonte. Chiedere ed informarsi dimostravano una certa attenzione nei confronti degli studenti, e Nathaniel Henderson era un professore che si interessava attivamente alla vita dei suoi ragazzi. (Nemmeno troppo in maniera ironica — lo faceva davvero. Sapeva cosa comportasse rimanere saldo e fermo nella propria posizione, quanto i colleghi ministeriali lo reputassero poco degno di sedere tra loro alle riunioni, o che ritenessero i fondi che finivano nella gestione degli special uno spreco di denaro pubblico, ma a lui non interessava. Ci credeva in quello che faceva.) Schioccò la lingua contro il palato, riflettendo. «Dunque,» non era più al Castello. E di nuovo: e fino a lì. Mise mano all’orologio da taschino che portava sempre con sé, consultandolo per prendere nota dell’ora: ora di pranzo. OK, avevano delle attività programmate per i ragazzi del primo anno, subito dopo pranzo, quindi confidava che Lydia prima o poi avrebbe notato la sua mancanza e allertato qualcuno, perché di quei periodi non si poteva mai sapere: spariva un sacco di gente in maniera improvvisa e insolita, poteva benissimo essere l’ennesimo caso di “persona misteriosamente svanita nel nulla”, non si sentiva di poterlo escludere a priori. «Ok. OK.» Battè le mani fra loro, riscuotendosi dal torpore momentaneo che lo aveva colpito nel rendersi improvvisamente conto di essere dove non avrebbe dovuto: aveva visto e vissuto situazioni ben peggiori, cos’era mai un piccolo blackout con annessa camminatina di salute in quel di Hogsmeade. Chiunque lo conoscesse, sapeva che non era da lui perdersi d’animo: non lo avrebbe fatto nemmeno quella volta. Magari era stato solo vittima di un incidente di percorso di uno studente meno bravo a controllarsi. Succedeva. Fece per incamminarsi — quanto meno, nel suo girovagare mistico, era finito in un posto che conosceva; avrebbe potuto dirgli molto, molto, peggio. Carrow’s District era un posto familiare, uno che Nate poteva navigare facilmente, e da cui uscire in un batter d’occhio. Si diresse quindi verso quella che sapeva essere la via che portava all’entrata principale, notando solo dopo parecchi metri che le gabbie delle creature fossero tutte vuote. «OK, strange forte.» Era così che si diceva, no? Si avvicinò alla prima recinzione trovata, osservando dentro e aspettandosi di trovare qualche animaletto appallottolato sul terriccio, magari addormentato. Invece non c’era nulla. Le gabbie erano pulite, ben tenute, ma vuote. Ora che ci faceva caso, l’intero giardino zoologico era deserto. Mh, mhhh. Forse la questione era un po’ più profonda di quello che aveva anticipato. Quando mai lo zoo era stato così vuoto, a quell’ora?! C’era sempre qualcuno in giro: famiglie a passeggio, scolaresche in visita, persone che avevano una giornata da buttare e decidevano di passarlo lì. Persino i turisti magici andavano a visitarlo! «Cosa potrà mai essere successo.» Parlare da solo, era risaputo, aiutava a risolvere i problemi. O, quanto meno, a districarli un pochino. Grattò via un prurito inesistente sulla guancia, l’indice sinistro a grattare sulla barba scura, mentre prendeva nota, adesso con più attenzione, dei dintorni. E fu in quel momento che la vide: una figura minuta, in avvicinamento. Lenta, ma inesorabile. Nate alzò la mano, educatamente. «Salve, sa dirmi dove-» «Un coshi bel ciovanotto» E, senza dargli tempo di finire o aggiungere altro, la vecchina gli posò sulle mani un cesto di frutta. «Mangia, ti fa bene» Che... okay. La frutta faceva bene, in effetti, ma non vedeva come quella potesse essere la priorità della signora, in quel momento. «La ringrazio, è un pensiero davvero carino il suo ma avrei una domanda.» La inchiodò sul posto, occhi chiari negli occhi ancora più chiari — la signora era di un pallore indescrivibile, una nuvola con le sembianze di donna: capelli bianchi, voluminosi e gonfi; veste chiara che svolazzava nel vento, pelle che non vedeva la luce del sole da almeno settant’anni, iridi così chiare da risultare trasparenti. Per nulla affatto ominous. Nate decise di prendere nota di tutti quei dettagli, ma di porre comunque il quesito. «Sa dove sono tutti? C’è magari una festa in qualche area dello zoo?» Poteva escluderlo? No, perciò. «Prenda anche questo, ciovanotto» Era come parlare con un muro. «O-ok. La ringrazio...» cercò di non far trapelare l’incertezza della situazione nelle sue parole, ma era: confuso. Se era un trip dovuto a qualche potere, era solo strano e poco divertente. (Per il momento, almeno!!) «Che mi dice de-» «il nokia indistruttibile, così puoi lanciarlo sulla gente» EH, se solo ci fosse stata gente su cui lanciarlo. (Cosa? Cosa.) «Grazie ancora...» Alzò gli occhi verso il cielo, cercando di rimanere calmo e sereno anche di fronte alle difficoltà di comunicazione tra lui e la sciura, ma quando li riabbassò — la vecchina non c’era più. Il cesto di frutta e il cellulare babbano erano ancora nelle sue mani. «Va bene. Va bene, Nate, non farti domande.» Aveva come la sensazione che avrebbe avuto un sacco di tempo per farle, più avanti. Riprese a camminare sulla via che portava all’uscita, e si fermò solo in dirittura d’arrivo, la mano che reggeva il Nokia a premere su un fianco ed espressione rassegnata sul volto. «Mi sembra ovvio.» Che folle anche solo a pensare di poter uscire così facilmente da lì, AH! «Un grande classico!» Al posto del grande cancello d’entrata e d’uscita, c’era una solida (e invalicabile) parete di arbusti, cespugli e fitta vegetazione, che saliva alta verso il cielo a perdita d’occhio. Così, a pelle, Nathaniel aveva delle forti vibes che rimandavano ai labirinti ma sperava di sbagliarsi. «Mh.» E fino a lì. | that's me, standin' in the mirror I can't help loving myself && I don't need nobody else (if I was you, I'd wanna be me too)
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