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Gli improperi e le bestemmie che Ginevra Linguini aveva rivolto, rigorosamente in dialetto stretto, al povero garzone a cui era stato affidato il pacco con i boccacci di Nonna Rosetta non si possono riportare, ma furono udite chiaramente nel retro del locale. Povero, sì, perché non avrebbe ricevuto alcun compenso per il suo lavoro e soprattutto non avrebbe avuto (mai) più un lavoro dopo quell’esperienza. Purtroppo Gin aveva visto tutta la scena, e quando il ragazzo era inciampato nei suoi stessi piedi e aveva rovesciato a terra uno scatolo pieno di sughi e verdure sott’olio provenienti direttamente da Canosa, aveva avuto un infarto; no, non è un’esagerazione, aveva davvero avuto un infarto. Era durato poco, per sua fortuna, ma per qualche attimo il suo cuore aveva smesso di battere, il suo corpo di reagire, e la sua testa di pensare. Senza alcun dubbio il garzone avrebbe preferito che quel principio di infarto si realizzasse, perché nella fase immediatamente successiva l’ombrocineta era scattata in avanti, con il viso rosso di rabbia e le mani tra i capelli, e aveva iniziato a urlare contro al pover’uomo, che da parte sua non poteva fare altro che guardare la proprietaria del locale con fare spaesato senza possibilità alcuna di difendersi contro quell’incomprensibile cumulo di insulti in una lingua straniera (dove per lingua straniera non si intende l’italiano, ma, peggio, il napoletano). Una cosa però il garzone doveva averla capita bene, anche perché la Linguini si era premurata di scandire bene ogni sillaba anche in inglese: toccava a lui pulire tutto quel disastro, lei non avrebbe mosso un dito (e nemmeno un tentacolo). E come avrebbe potuto, dopotutto; sarebbe stato come chiedere a una madre di ripulire il sangue di suo figlio appena deceduto: crudele e disumano. E ingiusto, anche, visto che non era mica colpa sua se quel garzone si era rivelato più inutile anche del più inutile dei cugini (Lux, esatto, sempre ubriaca e inaffidabile – addirittura più di Lapo, e ce ne voleva) e aveva rovinato tutto il duro lavoro della sua famiglia – chi rompe paga, e se il ragazzo non poteva ripagare materialmente la perdita visto che le conserve dei nonni erano di valore rarissimo, avrebbe almeno dovuto pulire tutto, lavare a terra, buttare i cocci di vetro rotti, e smaltire, purtroppo, quel poco che era rimasto di intatto nello scatolo. E lo fece senza controbattere. Cioè, magari avrebbe anche voluto controbattere, ma i tentacoli neri e ondulanti di Gin dovevano avergli messo il giusto timore e aveva chinato la testa e iniziato a passare lo straccio bagnato e il detersivo per terra. «inglesi, che popolo di inutili scansafatiche» con un sospiro, dopo aver sorvegliato i primi istanti dei lavori del soon-to-be-fired garzone, tornò ad affiancare il cugino di turno – quel giorno Ciruzzo – dietro al bancone e cercò di calmarsi. «il mio cuore sarete voi a farlo ammalare» la sintassi tipicamente dialettale sottolineava due cose: 1) che il tentativo di recuperare la calma era stato piuttosto fallimentare 2) il voi con il quale aveva identificato Ciruzzo non come cugino ma come dipendente della sua attività, e quindi come soggetto a rischio licenziamento se avesse osato commettere un errore simile a quello commesso dall’inglese ora intento a pulire il pavimento del retro del Bar dello Sport. Per quanto crudele potesse sembrare, era così che funzionava: appena i cugini mettevano piede all’interno del Bar smettevano di essere dei familiari e diventavano inesorabilmente dei sottoposti. Per quanto le piacesse comandare, in realtà, Gin non era super fan di quel metodo di conduzione della sua attività; avrebbe preferito di gran lunga un clima rilassato in cui si sarebbe potuta anche divertire, ma con i cugini non funzionava così. Avevano bisogno di quel regime totalitario e di quel clima di terrore per rigare dritto e fare il minimo indispensabile, altrimenti era convintissima che sarebbero stati tutto il giorno a guardare Sky Sport 24 stravaccati sui divanetti del locale. Ma qualche libertà gliela concedeva anche, e se la concedeva anche lei – quindi lasciò che Ciruzzo versasse i taralli (teoricamente destinati ai clienti) in una ciotolina e che aprisse due birre (anche quelle teoricamente destinate ai clienti) senza dire niente; anzi, affondò la mano nella ciotola e sgranocchiò qualche tarallino, tra un sorso e un altro di birra, mentre non distoglieva un attimo lo sguardo dal retro dove l’inglese era intento a pulire il suo disastro – ed era meglio che facesse un buon lavoro. Con gli occhi fissi sull’altro ragazzo, quindi, ascoltava solo passivamente il cugino, ma purtroppo quell’ultima domanda arrivò alle sue orecchie forte e chiara, e le fece spalancare la bocca in un’espressione sconvolta e quasi offesa, e subito dopo attivare un tentacolo per schiaffeggiarlo con questo dietro il collo – e poi fare lo stesso con lo straccio, perché trovava che usare le mani fosse più personale e soddisfacente. «certo che scopo, Ciruzzo» l’unico motivo per cui aveva distolto lo sguardo dal ragazzo al grifondoro fu per rispondere a quest’ultimo con tono duro e convinto. «e scopo pure-» con la tua professoressa, se vuoi saperlo; ce l’aveva proprio sulla punta della lingua, ma dovette mordersi le labbra e chiudere gli occhi per evitare di fare quella confessione che aveva promesso a Lupe avrebbe rimandato fino a quando tutte le capre dei suoi cugini non si fossero diplomate. Non era una questione di imbarazzo, aveva detto la sudamericana, ma era difficile mantenere un certo rigore e una certa credibilità con gli studenti se questi la immaginavano mentre faceva sesso con sua cugina – e Ginevra non aveva potuto ribattere, ma aveva un po’ maledetto i cugini per essere dei ciucci che frequentavano ancora la scuola a venti anni inoltrati. Lanciò un’occhiata alla piantina di baby groot che la tossicologa le aveva regalato per Natale e che Gin aveva subito posizionato sul bancone: «culo» disse il baby culo quindi la napoletana nascose un sorriso e sospirò; e va bene, ancora non era arrivato il momento per flexare la sua relazione, ma tutto il resto poteva dirlo, quindi tornò a guardare truce Ciruzzo e continuò: «-pure più di te, se lo vuoi sapere, e immagino pure meglio» l’ultimo particolare era di sua fantasia e per fortuna non aveva alcuna prova su come scopasse il cugino, e non voleva mai averla. «e poi scusa, ma che cazzo c’entra questo con quell’idiota che ha fatto cadere le conserve di nonna?» ecco, cioè ma vedi tu se uno non poteva neanche arrabbiarsi per motivi assolutamente validi che le veniva detto che doveva scopare. Era abbastanza sicura che questo fosse sessismo, ma non le sembrava il caso di litigare anche con il cugino davanti a tutto il bar, quindi rimandò mentalmente la discussione a più tardi e riprese a sorseggiare il peroncino. | | dici che dovrei staccare un po' la mente ma io ma io lavoro
| | 21 y.o., italian umbrakinesis bar owner
| ginevra linguini | | | | | | | | 0:40 | | | 3:29 | splash, colapesce, dimartino |
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