broken clocks are right twice a day

run ft. tu?

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  1. selcouth
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    Non era sempre stata sentimentale, Heidrun. Non al punto da perdere se stessa, solo la bocca fuori da un’acqua in cui rischiava di annegare. Aveva vissuto troppo, e tutto intensamente, sentendolo sulla punta della lingua come una prima volta ed un addio tutto insieme, ma in ognuna di quelle occasioni aveva mantenuto saldo il proprio addestramento. Presente e concreta a se stessa perfino nei momenti in cui l’adrenalina quasi le faceva dimenticare il proprio nome. Non l’aveva cambiata crescere; l’aveva cambiata rimanere. Stare nello stesso posto abbastanza da non volersene andare, affezionarsi a volti ed abitudini. Per anni non aveva avuto nulla che valesse il terrore di perderlo.
    Lo aveva.
    Chiuse gli occhi. Una Run precedente, avrebbe riconosciuto i passi sulle scale della torre come fossero stati propri – forse, in parte, perchè lo erano. Batteva lo stesso cuore nel petto della Crane e del Jackson, da prima che la magia li legasse ad uno stesso ritmo. Una pasta simile, il sorriso a completarsi, la capacità di premere un pollice e lasciare un segno indelebile. Avrebbe dovuto sapere chi fosse, perché quegli stessi passi li aveva sentiti per anni echeggiare nel corridoio dell’appartamento a New Hovel, al Ministero quando ancora lavoravano insieme, a battere sul pavimento al ritmo di musica presente o inventata da un bar all’altro.
    Ma non fu così. «potresti farmi tranquillamente il culo, lo so» E non diede segno di averlo riconosciuto, pur avendolo fatto, anche quando la voce di Euge le giunse alle orecchie portando con sé un senso di conforto, e famigliare, e casa. Si concesse ancora un istante solo per se, perché non era pronta. Bisognava essere in un adeguato e preciso stato d’animo per accettare le cose belle, quando nascevi Crane e Milkobitch: bisognava inspirare, ed espirare, e scavare un buco a terra dove poterle seminare senza il rischio di farle marcire o dimenticarle. «se mi avvicino rischio di volare giù dalla finestra?» Contorse le labbra in un angolo, socchiuse dolorosamente gli occhi, e si disse che piangere perché Eugene Jackson la conoscesse abbastanza da domandarglielo, ed aspettare una risposta, non fosse una soluzione accettabile. Era stata tante cose nella sua vita, perfino morta, ma fragile non era un’etichetta che avrebbe accettato di incollarsi sulla fronte senza prima lottare. Si sentiva delicata, e lo odiava. Odiava ogni fottuto istante in cui temeva che un respiro di troppo avrebbe fatto crollare tutto il sistema, perché lei non era così. Vaffanculo. Voleva essere arrabbiata, ma non sapeva con chi; voleva essere felice, ma non sapeva per cosa. Come sempre, Heidrun Ryder Crane voleva troppo, e le mancavano le direzioni per arrivare alla giusta meta senza perdersi un pezzo per strada.
    Attese ancora un paio d’istanti. Ticchettò con l’unghia del pollice sulla cenere della canna, e curvò infine parte della bocca in un sorriso. «nah. non ci ucciderei in maniera così patetica» una fugace occhiata alle proprie spalle verso il docente di Arti Oscure, abbastanza breve da rassicurarlo che ehi, ci sono, è tutto ok ed al contempo da non essere costretta a mantenere il sorriso troppo a lungo. «degli squali magari. Un coccodrillo» non lo invitò a sederle accanto, ma si spostò abbastanza perché potesse farlo. Singhiozzò drammatica, una mano al cuore e l’altra ad offrire il filtro al moro – un giorno, li avrebbero licenziati entrambi. «t-jade» sapevano entrambi che il tricheco non aspettasse altro da anni; magari, prima della loro dipartita, la Crane avrebbe deciso di darle quel contentino.
    Tacque, poi. Perchè di cose da dire ne aveva troppe, ma non voleva. Non avrebbe saputo da che parte cominciare, comunque. Aveva abbandonato la testa sulla spalla di Euge, lo sguardo naufrago sulla superficie del Lago Nero. Così, poteva andare bene. Poteva già bastare.
    Ma non era abbastanza, e fu con voce molto sottile che ruppe il silenzio, la gola a muoversi nel deglutire aria e saliva. «posso odiarti? Per un po’» non tanto, solo un po’. Quanto bastava per soddisfare quella parte violenta, cruda e incontrollata che aveva bisogno di un capro espiatorio, e continuava a trovarlo solo in se stessa. Era un fottuto serpente a mordersi la coda, perché più si sentiva sommersa dai sensi di colpa, più si odiava, e più si arrabbiava con se stessa per odiarsi, e – Crisot santo. Cristo santo. Ma poteva graffiarsi da sola, lasciarsi infettare, e lamentarsi che non fottutamente guarisse? «solo un po’»
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2 replies since 27/12/2022, 18:34   90 views
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