so glad you made time to see me

ft. Zac

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    «Prima regola dei viaggi nel tempo:» oh no, ci risiamo, «non interferire, per nessuna ragione al mondo, con gli eventi.» Le parole del concasato catturarono abbastanza la Hillcox da farle alzare lo sguardo azzurro su di lui, mentre un sopracciglio svettava alto, unico campanellino che lasciava intendere avessere davvero ascoltato qualcosa.
    Kinda late for that, pensò tra sé e sé -- d'altronde chi era lei per ammettere ad alta voce la cosa? Strinse le labbra in un sorriso poco convinto, annuendo in direzione del Capitano Serpeverde che tentava – forse per sincero interesse, forse per noia, forse per avere qualcuno con cui parlarne – di farla appassionare quanto bastava alla questione affinché iniziasse anche lei a leggere quei fumetti che, spoiler!, Nice non avrebbe mai letto; un po' le dispiaceva dover informare l'Hendrickson che non le importava assolutamente nulla di tutta quella roba e che l'unica cosa ad averla colpita erano gli addominali dei supereroi -- che c'è? Se uno era figo, era figo anche disegnato. Eppure, infierire sul capitano era come sparare sulla Croce Rossa, perciò non lo fece, e si limitò a borbottare un «uh-uh, sì, ok.» mentre tornava a rivolgere lo sguardo al bozzetto che stava ultimando. Aveva completamente smesso di ascoltare il compagno, più intenta a cercare di capire cosa rappresentassero le varie figure e cosa stesse succedendo in quelle precise pagine – era complicato seguirne le storie, e alla fine aveva del tutto abbandonato l'impresa, tornando a ciò che realmente la interessava.
    Turo, chissà per quale ragione, ebbe l'impressione che quel gesto da parte della cheerleader fosse un consenso a continuare a blaterare cose, e così riprese a parlare concitatamente mentre sfogliava le pagine di quel numero di The Flash: The New 52. Con la coda dell'occhio, perché in qualche modo doveva pur sempre prestare attenzione a ciò che la circondava, laHillcox notò qualcosa che le fece abbassare la matita e chiedere «perché sta piangendo?» Vide chiaramente il panico negli occhi di Arturo alla sola idea di dover iniziare a spiegare le lacrime di Barry Allen, perché come si spiegano aNnI di storie – e di ristampe – a qualcuno che non aveva mai aperto un comic book prima di quel giorno? «E'... lunga da spiegare.» Duh, classica scusa di chi non ha assolutamente il dono della sintesi e non saprebbe scegliere un punto di partenza; né una fine, probabilmente.
    Arricciando le labbra, Nice spostò lo sguardo dal fumetto al ragazzo, studiandolo intensamente, e poi lo portò di nuovo sul fumetto. «Ok, tanto non mi interessava davvero.» Falso, un po' le interessava ma al punto da insistere o da chiudersi sull'hashtag #theflash su Tumblr, insomma. Prima o poi avrebbe capito, in qualche mistico modo, a cosa erano dovute le lacrime di Flash.
    Ma non era quello il giorno.
    «Dicevamo.... viaggi nel tempo!» Davvero: chissà COSA aveva dato al Serpeverde l'impressione che a lei interessasse quell'argomento al punto da spingerlo a insistere e insistere e insistere;lei non aveva fatto nulla per alimentare l'hype, a parte quell'ultima ingenua domanda, né si era dimostrata partecipe al discorso, guardandolo anzi con un'espressione mista fra noia e confusione ma Arturo non ne voleva sapere di smetterla e le opzioni erano due: a) alzarsi e lasciarlo lì, non male come idea; b) ascoltarlo mentre in realtà pensava a come finire il bozzetto, fino a che l'altro fosse rimasto a corto di parole.
    No, okay, le opzioni erano tre (erano sempre tre, le opzioni, chaosbringer docet) e l'ultima consisteva in c) mandare Belladonna a chiamare Costas, per distrarre il Capitano, ma onestamente? Nice non voleva ricorrere davvero a nessuna delle tre. Perché, sotto sotto, ma molto sotto, l'argomento un po' le interessava -- lo sentiva vicino, per così dire. Infondo era o no una fuggiasca anche lei? Aveva o no abbandonato il suo presente per scappare nel passato con l'intento di infrangere quella prima regola così cara ai nerd? La risposta a quelle domande era, ovviamente, e per questo era rimasta seduta sulla panchina di pietra ad ascoltare l'Hendrickson ciarlare di un milione di cose che, andando a stringere, non aveva davvero compreso. Solo una frase aveva lasciato un segno, l'unica rimasta impressa: «a volte, però, è necessario cambiare qualcosa per non alterare il futuro.» All'occhiata confusa di Nice – a quanto pareva, il perenne stato confusionale del Capitano era contagioso, k bll. - l'altro si era affrettato ad aggiungere «sì, insomma... ogni tanto c'è bisogno di una piccola spinta per far sì che le cose succedano. O non succedano... pensala così: se John e Mary*» *Grayson, e il fatto che Nice avesse capito sUbItO senza bisogno di specificarlo la diceva lunga sul tempo che i due avevano passato a parlare della cosa, «non fossero morti, Bruce non avrebbe mai adottato Richard e lui non sarebbe mai diventato Robin!» «No, ma avrebbe continuato a vivere con la sua famiglia e sarebbe stato meglio.» Da vera prima donna, Arturo chiuse con un gesto secco il fumetto e scattò in piedi. «No! NO NO!» Nice era sempre più confusa. «...no?» Al povero Capitano stava per prendere un infarto. «No! Ma hai ascoltato qualcosa di quello che ti ho detto?»
    Nice: «No.»
    Arturo: «...»
    Nice: *angelic smile*
    «Se Bruce non avesse adottato Richard, lui sarebbe rimasto con l'Haly's Circus, diventando così Talon!!!!» Non riusciva proprio a capire perché il ragazzo la stesse prendendo così sul personale... non era mica la biografia della Swift, quindi già solo il fatto che fosse rimasta ad ascoltare era tantissimo! «Okay... dove vuoi arrivare?» Perché, davvero, Nice non stava capendo. «Il punto della questione è: alle volte il destino ha bisogno di una spinta per poter accadere.» Lo sguardo improvvisamente assente del concasato rese chiara alla Hillcox una (1) cosa di tutto quell'assurda chiacchierata: non stavano più parlando di viaggi del tempo.
    Ma, col senno di poi, quel discorso le era rimasto più impresso di ciò che aveva inizialmente sospettato. Non era forse vero, alla fine, che lei e Albert erano tornati indietro con uno scopo ben preciso? No, non quello “di vigilante” anche se, ufficialmente, era quella la scusa dietro la loro partenza; c'era ben altro a motivare le azioni dei due cugini, sebbene nessuno dei due lo avesse esplicitamente confessato all'altro. Nice era partita alla volta del duemilaventi con una missione, con uno scopo, e quello scopo era proprio alterare il futuro. Era lei stessa quella “spintarella” di cui Arturo aveva parlato; o, per meglio dire, lo sarebbe diventata una volta messi insieme i pezzi e scovato colui che stavano cercando. Lo avrebbero mai trovato? Nice sperava proprio di sì, ma nel frattempo aveva scoperto che quel viaggio poteva regalarle qualcosa di più: era l'occasione per spiare i suoi genitori prima che diventassero i suoi genitori; la possibilità di rifare alcune cose da capo, e di terminarne altre; l'occasione per vedere Taylor !! Swift !! da giovane !! e nel clou della carriera !!; era la chance per ritrovare persone che credeva di aver perso per sempre.
    Albert glielo aveva vietato («non spetta a te rivelare certe cose») e aveva ragione ma quante persone che credevano di aver perso stavano invece frequentando in quel periodo? Costas, per dirne uno, o Willow – che non era poi così diversa dalla Tintagel che Nice ricordava. Quindi perché non avrebbe dovuto (molestare) avvicinare quello che, anni prima per lei ma in un'altra vita per lui, era stato uno dei suoi amici più cari? Da quando lo aveva visto – per caso....... forse….... non lo aveva mica seguito da lontano nascosta da un paio di occhiali scuri e un cappello a falda larga, ah ah che dite. – ad Hogsmeade, qualche settimana prima, Nice non aveva smesso di pensare a Ray e a quanto le mancasse, cosa che non aveva realizzato a pieno fino a quel momento.
    Così, quella domenica, aveva trascinato una ben poco entusiasta Belladonna fino a Carrow's District, dove aveva scoperto lavorasse il giovane, per incontrarlo accidentalmente: la famosa “spintarella”, am I right?
    «Non guardarmi così.»
    Riusciva a vedere benissimo lo sguardo di disapprovazione col marchio Albert riflesso negli occhi verdi della micia, quell'esemplare di Felesaps che i cugini avevano preso quasi un anno prima, e che stava chiaramente prendendo i peggiori difetti del Caposcuola. «Non sto facendo nulla di male.» Infondo non aveva intenzione di riversare su Raymond i seKreti seKretissimi, scusa! Voleva solo parlargli di nuovo, nuova identità o meno, perché le era mancato un sacco e perché, testarda come un mulo, non riusciva ad accettare quel “no” imposto dall'universo sulla loro amicizia. Erano poche le cose in cui Nice credeva, ma il legame che aveva con il Bitchinskarden era decisamente una di quelle; in molti si erano chiesti come potessero essere amici due caratteri come i loro... semplicemente, lo erano, e la Serpeverde credeva fermamente che sarebbero potuti tornare ad esserlo ancora una volta. Non avrebbe accettato un finale diverso. Non sapeva quanto Ray – no, Zac – sapesse... forse, non sapeva nulla, o forse, come era successo per Dominic, qualcuno aveva già raccontato lui di quel futuro-passato da cui proveniva, di quell'identità che gli era stata strappata via, di una famiglia che lo aveva amato e di amici che non lo avevano mai dimenticato. S'era recata allo zoo più di una volta – diamine, lo aveva persino seguito in giro per Hogsmeade quando ne aveva avuto la possibilità ma, alla fine, si era sempre tirata indietro. Aver affrontato Dom sulle stesse questioni l'aveva fatta desistere, e alla fine si era sempre convinta che non avesse l'outfit giusto, qualcosa degno di un'occasione speciale come il loro (secondo) primo incontro. La verità era che Nice aveva paura: e se Zac non l'avesse voluta come amica? Le era già difficile credere che Raymond l'avesse voluta, che nonostante tutto avesse apprezzato davvero ogni singola sfaccettatura del suo carattere, e voleva continuare a vivere in quella bolla il più a lungo possibile: confrontare Zac e rendersi conto che non avesse la minima idea di chi lei fosse faceva male, proprio come le faceva male pensare l stessa cosa dei suoi genitori.


    Vero, s'era circondata di persone che la conoscevano già, Nice, perché loro non potevano fingere il contrario né potevano spezzarle il cuore per la loro mancanza di ricordi, ma col tempo aveva imparato ad avvicinare anche gli altri – come Chelsey, ad esempio, che pur non ricordando la vecchia se stessa, né tanto meno di Nice Cox-Hill, era abbastanza Gryffith da farla sentire comunque a casa. Eppure, a distanza di più di un anno, Nice non era ancora riuscita ad avvicinare Zac. Continuava a “capitare per caso” allo zoo quando il ragazzo era di turno, così come assolutamente per caso finiva in coda dietro di lui da Wizburger... ma non l'aveva mai fermato per parlare.
    La verità? Non sapeva cosa dirgli. Non poteva di certo bussargli sulla spalla ed esordire con un “hey ciao, ti ricordi di me, una volta eravamo grandi amici e mi manchi!” -- ma non poteva nemmeno guardarlo negli occhi e mentirgli spudoratamente, non a lui. Per questo motivo, aveva passato molti mesi a pedinarlo, girando sui tacchi a spillo all'ultimo secondo.
    Ma non quella volta. Non dopo che Albie aveva osato pronunciare le paroline magiche: «tanto non hai le palle di farlo» Apriti cielo, era sceso il gelo su casa CW. Come OsAvA mettere in dubbio le sue intenzioni!! Il suo coraggio!! La sua caparbietà!11!!!1
    E così, dopo aver digrignato i denti e mandato a fanculo il cugino con un dito medio perfettamente smaltato, Nice aveva afferrato Belladonna e si era smaterializzata a pochi metri dal cancello d'ingresso dello zoo di Hogsmeade. Era diventata una scommessa, una sfida personale -- una scusa stupida per fare quello che aveva rimandato così a lungo, certo, ma con quale faccia poteva presentarsi dal biondo Behemoth e ammettere che avesse avuto ragione?! IMPOSSIBILE. A testa alta, e senza perdere nemmeno un briciolo della sua altezzosità, passeggiò per il giardino alla ricerca di Zac, sapendo bene di trovarlo lì: dove altro poteva andare? Mica c'aveva una vita. (cosa?cosa.) Solo una volta individuato l'obiettivo, si fermò a prendere fiato e ripassare ancora una volta il piano, alzando la micia fino a portarsela a pochi centimetri dal viso e, guardandola fissa negli occhi, sussurrò «come abbiamo provato tante volte, ok?» erano state davvero tante, e tanti i compagni di passaggio e gli amici sacrificati come cavie, ma a chi interessa arrivati a quel punto, no? «Vai!» E rimise a terra Bee, dandole una leggera pacca sul pelo scuro, mentre nascosta dietro un cespuglio, osservava la gattina correre in direzione di Zac e, senza troppi complimenti, mordergli la caviglia. O tentare, quanto meno, di infastidirlo. Solo a quel punto sarebbe uscita dal suo nascondiglio, una finta espressione mortificata disegnata sul volto, e sarebbe corsa incontro ai due. «Mi dispiace così tanto... scusala! Non so proprio cosa le sia preso!» Hillcox, you liar, «non fa mai queste cose!!!» Solo quando deve attirare l'attenzione di ex bff che hanno dimenticato l'esistenza della propria (psycho) padroncina, ciao Zachy, considerati fortunato! «Spero non ti abbia fatto troppo male!»
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    Edited by antarctica - 5/1/2022, 22:57
     
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    Quanto amava gli asticelli. Davvero, era più forte di lui, chi non amava la compagnia discreta e rilassante degli Asticelli?? Poi oh, Zachary non faceva discriminazioni e amava tutti gli animali indistintamente – tutti gli animali erano suoi amici, non scherziamo – però se i Fiammagranchio lo facevano divertire anche quando lo bruciacchiavano come dei bambini monelli, gli Asticelli erano perfetti per chiacchierare mentre lasciava che gli camminassero e accoccolassero addosso.
    Ciò che Zachary vedeva, ma che non era lampante a tutti, era che le creature magiche fossero esattamente come le persone: qualcuno era un po’ più indisciplinato, qualcuno più timido, qualcuno più esuberante e qualcun altro pacato e silenzioso. Bisognava solo imparare il modo con cui approcciarvisi, il resto era in discesa!! E, assecondando un suo bizzarro istinto, Zac era sempre riuscito a farsi amico qualunque persona e qualunque animale. Ne era la prova vivente Elwyn Huxley in persona, signore e signori, che non lo aveva picchiato persino quando gli aveva buttato giù la porta di casa!
    E il divano dalle scale. Ancora non aveva capito com’era successo.
    … E il rubinetto della cucina ahah, che incidente divertente era stato però!!
    ….. E una finestra. Okay, era grave, ma se non altro (a differenza delle altre volte coff) non era preventivato!
    Anyway.
    Vedendo una familiare testa rossa avvicinarsi a lui per il sentiero, il viso di Zac si aprì in un enorme sorriso e lasciò sulla spalla del cugino una sonora pacca. «Ehi Todd, ti do il cambio, ci vediamo a casa??» Gli rivolse un cenno di saluto, prima di continuare a camminare con fare vispo, le mani in tasca e un sottile fischiettio di un motivetto – gli era proprio rimasta in testa, quella canzone! Zachary aveva accolto suo cugino in casa propria già da un po’ e, nonostante sapesse che l’altro aveva i suoi problemi cui far fronte, non aveva mai avuto dubbi che la convivenza sarebbe andata a meraviglia: e così era stato!! Gli animali di Todd si erano integrati bene coi suoi – perché sì, a casa Zac aveva tante, troppe creature magiche –, ad eccezione di due gatte un po’ territoriali ma nulla che non avessero risolto con le dovute accortezze! Inoltre, aveva sempre avuto la sensazione che il cugino si sentisse solo, e del resto a lui non importava sapere che – secondo la linea temporale del futuro – Todd non fosse esattamente suo cugino: gli voleva bene, e poi averlo a casa propria gli dava l’opportunità di commentare le serie tv in compagnia e cucinare dosi più abbondanti come aveva sempre voluto! Che dire, era una specie di piccola casalinga allegra che canticchia con gli uccellini ad aiutare con le pulizie, Zachary Milkobitch.
    Quando pensava che la giornata non potesse essere migliore così, con l’obiettivo di andare a trovare il suo puccipucci Barbie al bde – daaaai che sotto sotto le sue visite gli facevano piacere…… #no –, Zac vide qualcosa che!!! Gli migliorò la giornata di dieci volte!!!! No, ma che stava dicendo, quindici!!! Venti!!! (chi offre di più?) CENTO!!!!! (uau addirittura) Guardando quel felesaps tutto puff puff inchiodò sul posto, il magizoologo, spalancando la bocca dalla meraviglia della creaturina che gli si stava avvicinando così piena di amore ed entusiasmo e….!
    «Ahi Gli aveva morso la caviglia. Il cuoricino gli si sciolse in un brodo di giuggiole. «Aaaaw ma quanto sei carino!! E che personalità che abbiamo eh, fammi un po’ vedere questo bellissimo papillon!» Rischiando la vita per amore com’era sempre disposto a fare (.), prese per i fianchi quella stupendissima creatura e se la sistemò contro il petto, corrugando le labbra per dargli tanti bacini immaginari. «CHI E’ IL FELESAPS PIU’ CARINO DEL MONDO?? CHI E’ CHI E’? MA CERTO, PROPRIO TU!!!!!! Mua mua mua Non era imbarazzante, era solo Zac.
    Quindi forse semmai era il prototipo di imbarazzante.
    A interrompere quel momento di profondo amore (poco probabilmente) reciproco, arrivò una ragazza dagli occhi blu a distrarlo dall’animaletto. E Zachary, comprendendo che doveva esserne la padroncina, piegò le labbra in un sorriso accogliente e scosse la testa con veemenza. «Ma ti pare, è così carina!! Non mi ha fatto male!!» Vabbè, magari leggermente, ma per amore questo e altro. Rise mentre posava di nuovo al pavimento la gatta, osservandola per qualche istante prima di sollevare lo sguardo sulla giovane donna dagli occhi blu. «Quindi tu sei la bellissima padrona di questa micetta? Piacere mio!» Oh, non era colpa sua se proprio non riusciva a trattenersi dal fare complimenti a destra e manca, era più forte di lui. Ma fu soffermandosi sul suo viso che, incomprensibilmente, cosa che non succedeva mai, Zachary iniziò ad avvertire una punta di disagio: come quando devi fare qualcosa ma te la scordi, e ti rimane il dubbio per tutta la giornata. Sbatté le palpebre, prima di rinnovare il sorriso. «Io sono Zac! Ci conosciamo, per caso? Mi sembri… familiare.»
    Eccome se lo era.
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    Rimase un attimo nascosta dietro il cespuglio che le aveva fornito riparto fino a quel momento, Nice, osservando con il fiato trattenuto in gola, Zac giocare con Belladonna. Se dimenticava per un attimo tutto il resto, il passato e il futuro, chi era lei e chi non era lui, dove si trovavano, quando si trovavano e via dicendo, poteva quasi fingere (e convincersi) che non fosse cambiato assolutamente nulla rispetto a quando, una Nice più giovane e un po' meno sfrontata, passava le giornate ad osservare di nascosto Raymond fare... Beh, il Raymond; al tempo, non glielo aveva mai detto quanto dannatamente tenere fossero le fossette che si formavano sulle guance del ragazzo quando sorrideva, o come una sua risata poteva migliorare al cento percento la giornata della Cox-Hill.
    Non glielo aveva mai detto perché non le era mai passato per la mente che un giorno, all'improvviso, ne sarebbe rimasta senza. Che tutto quello sparisse, che gli occhi colmi di curiosità e i gesti sconclusionati ma affettuosi di Raymon potessero, banalmente, venire meno. E non era mai stata brava, Nice, ad affrontare a cuore aperto le situazioni, di alcun tipo, men che meno quelle in cui doveva dimostrare di avercelo, un cuore. Ma Raymond, lo sapevano entrambi, l'aveva sempre saputo che dietro le espressioni impassibili e i commenti gelidi di Nice, c'era molto altro; solo che lei non gli aveva mai dato la soddisfazione di ammetterlo. E lui, ah! maledetto lui!, aveva sempre alzato il mento, un po' fiero della sua perspicacia, andando avanti senza bisogno di rimarcare quei concetti, tanto silenziosi quanto veri.
    Era lì, l'affetto tangibile che entrambi provavano l'uno nei confronti dell'altra, e stupiva più o meno chiunque: come riuscisse, uno come Raymon, a trovare simpatica e piacevole una Nice tutta ambizione e poco divertimento, era difficile da concepire. Eppure, a modo suo, ma non per questo in maniera meno viscerale e pura, Nice l'aveva amato di rimando; un sentimento forte che era poi diventato rancore, quando anche lui, come le gemelle e tanti altri, aveva deciso di abbandonare il loro mondo per tornare indietro.
    Erano passati mesi, anni, prima che quel sentimento velenoso e carico di risentimento riuscisse finalmente ad abbandonarla, permettendole di ragionare più lucidamente: era successo tardi, più o meno quando aveva inconsciamente deciso di tornare indietro lei stessa, ma era successo; aveva perdonato le cugine, aveva perdonato Tintagel, aveva perdonato Raymond. L'idea di poterli rivedere, assicurarsi che stessero bene, che la seconda occasione che avevano deciso di voler dare al futuro li avesse ricambiati della stessa moneta e che il karma fosse stato clemente con loro; il desiderio di poterli osservare, anche da lontano, e accertarsi che sì, stavano bene.
    Un desidero che poi, purtroppo, avrebbe scoperto non sarebbe bastato: non era sufficiente, per lei, per loro, rimanere a bordo campo ed osservare silenziosamente i propri cari andare avanti senza potersi integrare nelle loro vite. Aveva bisogno di essere presente, Nice, di essere vista, vissuta.
    Amata.
    E, soprattutto, voleva essere presente. Non sopportava l'idea di esser rilegata a personaggio marginale e secondario, l'eco di quel che fu e che, per alcuni, non sarebbe mai più stata. E li aveva cercati e avvicinati, uno ad uno: Griffith, Bangkok, Tintagel, Heathcliff. Li aveva cercati e aveva scoperto, dietro quei lineamenti familiari, persone nuove e nuovi nomi, individui diversi ma al contempo così simili a quelli che ricordava; e li aveva amati di nuovo, tutti quanti. Nel suo modo ruvido e mai immediato, ma sincero.
    Non poteva non riservare a Raymond, fra tutti!, lo stesso trattamento.
    Da dietro il suo riparo di fortuna, Nice sentiva crescere una stretta al petto che avrebbe preferito ignorare, e che certamente da fuori non dimostrava: nulla, nel suo aspetto imperturbato e sicuro, dimostrava anche solo un centesimo dell'ansia che provava dentro. E non lo dimostrò nemmeno quando, con passo svelto, sgusciò via dal nascondiglio e si avvicinò, implacabile, a ragazzo e micia. Il sorriso fermo, lo sguardo inscrutabile, e l'aria di chi era veramente finita lì per caso. Rivolse a Zac tutto questo -- e molto altro.
    La richiesta, silenziosa ma pressante, di ricordare, nonostante sapesse bene quanto quello fosse impossibile: Zac non aveva i ricordi di Ray, a malapena sapeva chi fosse stato Raymond... eppure. Da quando aveva saputo che Gwen e Barbie avevano vuotato il sacco con il magizoologo, Nice aveva sperato che magicamente, sapendo, Zac avrebbe anche ricordato.
    Non era così, purtroppo, e Nice non era il tipo di persona che amava ripercorrere certi viali pieni di ricordi -- preferiva fossero gli altri a farlo per lei, a dimostrarsi sentimentali e romantici nel senso più ampio del termine, legati a cose come memorie flebili che, ne era la dimostrazione il ragazzo dagli occhi scuri di fronte a lei, svanivano con un battito di ciglia.
    Dire che le sembrasse familiare non era abbastanza; non era ricordare. Ma sorrise lo stesso, Nice, alzando leggermente il mento e drizzando la schiena. «Piacere Zac, » impossibile trattenere l'angolo della bocca, che svettò in un orriso cordiale -- il genere di sorrisi che persone come il Milkobitch meritavano, e suscitavano. Il nome rimase per qualche istante sospeso tra loro, mentre Nice ne accarezzava il suono secco, tagliente, dritto al punto; così diverso dal modo dolce in cui suonava Ray, ma per qualche ragione più indicato. «Ebbene sì, questa dispettosina è mia» *nostra, ma dettagli, Albie non era presente in quel momento per rivendicarne la paternità. Lasciò che Bee le strusciasse contro una gamba, il musetto leggermente contrariato per esser stata utilizzata come esca e, soprattutto, per aver dovuto ricevere coccole non gradite: poco ma sicuro, quella gatta somigliava in tutto e per tutto ai suoi padroni. «Le piace giocare,» Belladonna: ma perché menti, umana! «e alle volte non riesco a trattenerla.» Una volta terminati i commenti su Bee, terreno solido su cui potersi muovere con naturalezza, ecco che doveva affrontare il vero Argomento, ma forse non era ancora del tutto pronta.
    «Ho un viso impossibile da dimenticare,» sistemò i capelli dietro le orecchie, andando a scoprire proprio il volto in un gesto inconscio, «magari mi hai vista fare la fila allo stand delle bibite o osservare con aria rapita i Thuri. Creature bellissime, non trovi?» E ora poteva buttare lì un “conosco Gwen, e ogni tanto passo al BDE, magari ci siamo visti lì”, cercando di infondere in quelle parole il tono di chi sta dicendo qualcosa senza dirlo, ma non lo fece. Si limitò a sistemare le pieghe della gonna, osservandolo da sotto le ciglia accuratamente truccate, per poi, finalmente, presentarsi. «Io sono Nice.» Ed eravamo grandi amici, un tempo.
    «Posso offrirti un caffè? Per farmi perdonare per il mondo in cui la mia Bee ti ha travolto Se era solo una scusa per guadagnare tempo, conoscere Zachary (davvero, stavolta, lo stalking non contava davvero come “conoscere”) e null'altro? Ma certo che sì, ma non l'avrebbe mica detto al poverino.
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    Non la riconobbe subito, Zachary, eppure la sua testa stava impazzendo per ricordare dove avesse già visto quel volto. Continuò a osservare la ragazza con un sorriso solare, celando in parte la ricerca di un appiglio che gli permettesse di risolvere il dilemma.
    Tuttavia, sia felesaps che padrona lo distolsero – per il momento – dall’intento. Si illuminò, venendo a sapere che in effetti la signorina pelosa ai loro piedi era della giovane. «Ah, bene bene! Per un attimo temevo si fosse persa, sai, a volte i padroni perdono di vista questi pasticcini e mi chiedono di cercarli,» spiegò con le mani sui fianchi, parlando senza prendere fiato e semplicemente troppo. Scosse la testa al pensiero, per nulla imbarazzato di chiamare gli animali “pasticcini” da adulto grande e vaccinato qual era. «Okay che sono iperprotettivo coi miei, ma perderli così...» Sospirò.
    Sollevò lo sguardo dalla dispettosina che faceva le moine alla padrona e tornò a fissare quei lineamenti che era CERTO di aver già visto. Ci stava quasi arrivando, il suo cervellino da inventore, anche se la conversazione stava rallentando il processo in modo considerevole. «Ho un viso impossibile da dimenticare.» Zachary rise di gusto. La sicurezza!! La confidenza!!!! Gli stava già simpatica. «Non stento a crederlo, molto carina!» Complimenti, complimenti ovunque e a profusione: il Milkobitch non riusciva a non farne, al costo di apparire molesto. Non stava neppure mentendo, visto che la ragazza presentatasi come Nice era a tutti gli effetti bellissima!! Ma per lui contava di più la personalità, quindi avrebbe ancora aspettato (due minuti.) ancora un po’ prima di proclamare Nice possibile-amica-da-tormentare.
    Che poi le piacevano i Thuri. Come poteva non essere una bella persona??? Gli standard di Zac erano proprio: oggettivi. «Sì sì, probabile, faccio spesso una pausa a bere qualcosa!» O versarsi dell’acqua in testa quando qualche animale briccone tentava di dargli fuoco. Aaaah, i rischi del suo amato mestiere! «Creature meravigliose, i Thuri,» concordò, facendo spallucce. A quel punto, come accadeva la maggior parte delle volte, la persona avrebbe (buttato lì un pretesto per scappare) troncato la discussione andandosene. Questo accadeva di certo perché la gente aveva impegni, ma anche perché – diciamocelo – ascoltare gli sproloqui colmi di virtuali cuoricini non era per tutti. Chinò di lato la testa, stranito da come l’altra stesse prolungando la discussione volendogli addirittura offrire un caffè.
    Quegli istanti di silenzio, di riflessione, furono preziosi. Dopo la rivelazione di Barbie e Gwen, Zachary era rimasto profondamente colpito – e intristito – da come avesse dimenticato tutti. Aveva riso scoprendo che era stato il miglior amico di Elwyn, che però aveva avuto un nome e una personalità differenti da adesso. Aveva sfiorato con confusione le foto che ritraevano la sua famiglia, numerosa e felice: la felicità famigliare che Zac, in questa vita, non aveva mai conosciuto. E poi aveva tentato di memorizzare ogni singolo volto che aveva fatto parte della cerchia di Raymond, un se stesso alternativo che, però, avrebbe sicuramente voluto Zachary ritrovasse tutte quelle persone.
    In mezzo agli amici di Ray, c’era la stessa ragazza dagli occhi zaffiro che ora lo guardava. Una dei suoi migliori amici, secondo Barbie. E Zac, a quella realizzazione, sgranò appena gli occhi collegando i punti: era probabile Nice lo avesse approcciato di proposito. O magari no, magari era soltanto il destino che aveva appena fatto incrociare i loro percorsi una seconda volta. Eppure, sarebbe stata… una coincidenza immensa. Magari, pensò ancora, Nice credeva lui non sapesse. Quello sì, che era probabile.
    Il secondo dopo, il braccio del Milkobitch aveva circondato le spalle minute della giovane – Bee non graffiarci per favore. «Non si rifiuta mai l’offerta di un buon caffè! Hai un posto preferito? Non puoi non conoscere Amortentia, giusto? Ti dà fastidio la vicinanza? Mi dicono spesso che non ho il senso dello spazio personale.» Sbuffò, non comprendendo quel concetto. SpAzIo PeRsOnAlE. Quando mai. Perché, se si potevano ricevere abbracci e coccole in qualsiasi momento. Discutibile.
    «Nel frattempo, puoi dirmi se conosci un certo Raymond.» E le lanciò un’occhiata bonaria dall’alto al basso, teneramente più piccola di lui. Erano stati amici già una volta. Per lui, potevano esserlo di nuovo anche per le mille vite successive.
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    A Nice, le scommesse piacevano; il gioco d’azzardo un po’ meno, ma non riteneva di aver tentato la sorte, in quella particolare circostanza. Al più, gustificava le sue azioni affermando di aver a malapena dato una piccola spintarella al destino, aiutandolo a compiersi prima del previsto; perché c’erano anime destinate ad incontrarsi in ogni vita, e la sua e quella di Raymond rientravano sicuramente nella categoria.
    Eppure, quella rimaneva pur sempre una scommessa: Zac non era Ray, e avrebbe potuto decidere che Nice non gli piacesse, come persona e, peggio ancora, come amica; non c’era modo di prevedere l’esito di quella reunion se non attraverso un attento studio della personalità che si trovava di fronte. Se con Bang e Tiny era stato il caso, a farli incontrare, con Heath era stata una scintilla di follia innescata dal desiderio. Con Zac, invece, Nice era stata attenta e meticolosa: sapeva benissimo chi avesse di fronte, quel giorno, perché lo aveva osservato a lungo prima di avvicinarlo. Rischiare sì, ma sempre con una certa preparazione.
    E ora che finalmente ci parlava, non rimpiangeva nulla — se non il non averlo fatto prima.
    Arricciò il naso in un’espressione buffa, ma divertita, quando Zac le confessò di essersi preoccupato per Bee, credendo si fosse persa. «È una gattina molto intelligente,» affermò, accarezzandole affettuosamente il muso nero, «non corre questo pericolo.» Ricambiò lo sguardo di Zac senza sentirsi in soggezione, pur riuscendo a notare nello sguardo concentrato dell’altro le rotelline che giravano, gli ingranaggi che scattavano nel vano tentativo di trovare una spiegazione logica a quella sensazione di familiarità, probabilmente.
    Ecco, bravo”, pensò, nascondendo quei pensieri dietro al sorriso tenuto ben saldo sulle labbra ciliegia, “riflettici bene”.
    Ma poi il momento si spezzò.
    «Creature meravigliose, i Thuri,» e allora Nice annuì, senza perdere l’espressione dolce, anche se dentro di sé stava impazzendo: non era andata a Carrow’s Dristrict, per l’ennesima volta, solo per parlare dei Thuri. Tempo dieci secondi e avrebbe preso Zac per le spalle e, scuotendolo come una maraca, avrebbe preteso che ricordasse.
    Poi le tornò in mente che era pressoché impossibile che riaffiorassero alla sua memoria ricordi che non aveva più, quindi decise che coccolare Belladonna era la cura migliore alla morsa che sentì stringerle il petto. Magari non c’erano ricordi vecchi a cui Zac potesse appellarsi, ma ce n’erano dei nuovi che, se le avesse dato la possibilità, avrebbero costruito insieme.
    In quel momento, impegnata a vincere quella battaglia contro il destino, non pensava che, così facendo, stava solo aprendo il cuore all’ennesima, possibile, perdita. Lì per lì, non le interessava; e il guaio stava proprio in quella sconsideratezza.
    Intenta com’era ad osservare, di rimando, il magizoologo, Nice notò senza fatica l’istante stesso in cui Zac la riconobbe, occhioni sgranati e fissi su di lei, e una metaforica lampadina ad accendersi poco oltre la fratta di capelli scuri. Finalmente.
    «Non si rifiuta mai l’offerta di un buon caffè! Hai un posto preferito? Non puoi non conoscere Amortentia, giusto? Ti dà fastidio la vicinanza? Mi dicono spesso che non ho il senso dello spazio personale.» Lasciò che Zac la circondasse con un braccio, un gesto che non avrebbe permesso a molte altre persone, in quella vita o in altre cento, ma che non riuscì a rifiutare al Milkobitch: poteva anche non essere il suo Raymond, ma qualcosa alla bocca dello stomaco le diceva che fosse anche meglio. «No, non mi infastidisce, ma non farci troppo l’abitudine.» Doveva pur mantenere certe apparenze, no? E se si rilassò inconsciamente, sotto la stretta familiare di Zac, rimarrà un segreto tra Nice e Dio. E diamo per scontato sarina intendesse Madama, a meno che Zac non voglia andare alla spa. «Dici che fanno entrare i gatti?» In effetti, era una cosa che non aveva mai chiesto ad Erin o Chouko.
    (Ah, se solo qualcuno avesse già aperto, ai tempi di questa role, il PussyPower mh mh...) (per chi legge: è un cat caffe, subito a pensar male....)
    «Beh, al massimo possiamo sederci fuori. È una bella giornata, per essere inverno.» Credo, non ricordo più quando fosse ambientata la role, sara, scusa. «Tu hai già finito il turno? Sei libero?» Chiesto con aria innocente come se non sapesse benissimo che il turno del Milkobitch fosse già finito, mpf. «Nel frattempo, puoi dirmi se conosci un certo Raymond.» Mh, hai capito Zac. Furbacchiotto.
    Nice sfarfallò le lunghe ciglia, osservando l’altro con la più innocente delle espressioni. «Sì, conosco un Raymond in effetti.» E ci stava parlando proprio in quel momento — beh, circa. Più o meno. «Un caro amico, sai. Di quelli che sei certo siano per sempre», lo guardò con un po’ più di intento, stavolta, prima di distogliere lo sguardo e lasciarlo vagare sullo zoo intorno a loro. «Purtroppo è un po’ che non lo vedo. Viviamo... Lontani, ecco.» di nuovo: più o meno. «Ma siamo stati amici per un sacco di anni, prima... di prendere strade diverse. Quando si cresce, si fanno delle scelte, immagino.» Non per forza scelte che la vigilnate condividesse, ma eh; andava così, era la vita. «E io e Ray abbiamo scelto di imboccare percorsi diversi,» lui quello della missione, Nice quello più egoista di vigilante; era un dettaglio infimo, e bastardo, che poi fosse finita con il diventare lei stessa una naufraga temporale in quel decennio, «ma non ho mai smesso di volergli bene.» Solo a quel punto alzò di nuovo gli occhi su Zac, studiandone l’espressione. «Tu... anche tu conosci un Raymond?» sperava la incontrasse a metà strada, perché ora che ce lo aveva lì di fronte, non era più così sicura di sapere cosa dirgli, né come farlo.
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