we're all just the same, what a shame

ft. ben

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  1. [bitch]craft
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    desdemona benshaw
    teen accused of being a bully:
    'somebody has to tell people
    that they're ugly'


    2006 ✧ ravenbitch ✧ cheerleader
    bitch, he spits;
    'witch', he sneers;

    && I say:
    actually, I'm both
    «ma è mia amica»
    Qualcosa nel modo in cui Ben ammise quella semplice verità, vulnerabile e aperto, strinse inevitabilmente il cuore di Mona — perché un cuore, Mona Benshaw, al contrario di quanto sostenevano i più, ce l’aveva, solo che tendeva a battere per poche persone, e per un numero di questioni che poteva contare sulle dita di una sola mano. Sceglieva lei per chi farlo battere, e la Meisner era stata selezionata senza ripensamenti e senza rimpianti ben due secondi dopo aver incrociato il suo sguardo scuro come l’ebano sei anni prima, sull’Espresso per Hogwarts.
    Proprio per quel motivo si preoccupava di Ben come non si preoccupava di nessun altro, e proprio per quel motivo detestava l'idea che ci fosse qualcuno al mondo in grado di poter far del male alla Meisner, che appariva una fortezza inespugnabile di sentimenti ben celati e tenuti a bada, quando Mona sapeva che in realtà fosse molto più fragile di quanto desse a vedere.
    Non conosceva la Hatford così bene, se non per quello che viveva a scuola, tra una lezione e l’altra, ma aveva una mente acuta e uno sguardo attento, Mona, e sapeva che certi lati del proprio carattere, Bennett li aveva ripresi dalla sorella maggiore, allo stesso modo in cui lei aveva ripreso molte cose da Cherry, seppur non rendendosene conto; quel bisogno di avere vicino le persone che amava, di fare tutto il possibile per loro, anche quando queste chiaramente non lo meritavano, doveva averlo ripreso per la troppa esposizione alla prof di combattimento. A Mona quell’elemento non piaceva, perché c’era un limite a quanto fosse lecito spingersi per salvare una situazione che, chiaramente, non aveva nulla di salvabile.
    Ma il suo cinismo, e la sua freddezza, non erano ciò di cui Ben aveva bisogno in quel momento; non le avrebbe comunque offerto parole di conforto vuote o colme di finte speranze – per quello c’erano Ficus e Balt; se Bennett aveva scelto di confidarsi con lei, era perché dentro di sé sapeva di aver bisogno della ruvidezza del suo punto di vista portato ad osservare e analizzare i fatti così come erano.
    La tenne comunque stretta a sé, e si lasciò stringere di rimando, perché se non altro quello era il suo modo di dimostrare alla concasata che per lei fosse ci fosse sempre, anche se non nei modi più convenzionali o necessariamente quelli di cui la maggior parte delle persone avessero bisogno.
    «ho paura che la strada che si è scelta la porterà lontano da noi, e finirà per perdersi, e non posso farci niente»
    Non erano paure infondate, ed era già chiaro che Bengali avesse scelto la strada sbagliata — quella di schierarsi (punto) dalla parte di un megalomane dispotico e fuori controllo, ma d’altra parte condividevano la stessa magia impura, no? Ugh. Era normale che avesse scelto di seguire Abbadon, e di combattere per lui. Mona non era pronta a giustificarla, o perdonarla, ed egoisticamente desiderava lo stesso da parte di Ben.
    «vorrei avesse scelto noi»
    La corvonero non poteva dire di concordare — se non li aveva scelti, c’era un motivo. Ma per Ben era disposta ad aspettare, ad aspettare con lei, tenendole la mano fino alla fine e abbracciandola quando (inevitabilmente) avesse dimostrato di aver ragione nel rimanere della sua – glaciale – opinione. «alle volte bisogna sbagliare e perdere qualcosa per rendersi conto di quanto fosse importante» Socchiuse gli occhi nel sentire le labbra di Ben poggiarsi delicatamente sulla sua guancia, e con la mano libera accarezzò la sua: sapeva che non era quello ciò che la cercatrice voleva sentirsi dire, che ingenuamente desiderasse Bengali realizzasse già, senza dover perdere nulla, quanto i Ben10 fossero importanti per lei, ma ancora una volta: Mona era lì per riportare i fatti nero su bianco, non per edulcorare una verità innegabile.
    Non le sfuggì il modo in cui, per qualche minuto, Ben evitò con cura di incrociare il suo sguardo, ma la lasciò fare: concederle qualche minuto per riprendersi, per rimettere al loro posto le palizzate con cui proteggeva se stessa e il suo cuore, era il minimo che potesse fare.
    «non ha importanza.»
    Non era una così grande bugiarda, la Meisner, oppure era Mona a conoscerla fin troppo bene, ma la lasciò fare non smascherò la sua farsa, rimanendo in silenzio ed incrociando le braccia al petto. «la cercheremo comunque. Per gli altri» «non per me,» si intromise, osservando la manicure ancora perfetta, «possiamo decisamente fare altro» e c’era solo un pizzico di divertimento a colorare le parole della corvonero, e decisamente molta più serietà di quanto fosse lecito. Ben, ormai abituata, sembrò non farci caso — o scegliere volontariamente di ignorarla.
    «dobbiamo intrufolarci nella torre di controllo»
    «oh meisner,» lo sguardo turchese di Mona si illuminò di una scintilla poco raccomandabile, «stai cercando di conquistarmi, proponendo attività illegali?» sciolse la postura rigida, avvicinandosi civettuola alla compagna, e abbassando il tono di voce. «ci stai riuscendo.»
    Poi, con un sorriso felino, le prese di nuovo la mano e la guidò per un sentiero. «vieni, gli uffici amministrativi sono da questa parte» e, da lì, l’accesso alla torre di controllo che gettava ombre su tutto il giardino zoologico. «ovviamente non passeremo per l’entrata principale» puno primo, perché le avrebbero fermate prima ancora di poter entrare nel raggio visivo degli uffici; punto secondo, perché non ci sarebbe stato alcun gusto a fare le cose in maniera legittima.
    A metà della passeggiata, trascinò Bennett con sé lungo un sentiero nascosto da aiuole e vegetazione più fitta, uno che non era segnato da nessuna mappa del parco, e dopo poco le indicò una struttura a qualche metro di distanza. «credo lo usino come magazzino, o ripostiglio… non ne ho idea, non mi interessa. ma–» e, portando due dita sotto il mento della giocatrice, lo sollevò dolcemente per farle osservare un punto più in alto, «è direttamente sotto la torre di controllo. io dico che lì dentro c’è un passaggio secondario per raggiungere la torre, e tu?»
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