we're all just the same, what a shame

ft. ben

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  1. benuàn
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    There's nothin' left numbin' my fall (thrills)
    I want everythin'
    or nothin' at all (thrills)

    It's dangerous, I know it is,
    need another hit
    «Sembrava molto a suo agio, speravo avesse trovato il suo posto nel mondo.» Strinse distrattamente la mano di Mona nella propria, sollevandola per soffiare un bacio sulle nocche. Corrugò d’istinto le sopracciglia, Bennett Meisner, lasciando che il proprio viso tornasse all’espressione truce di poco prima, quella che s’incagliava sempre in pensieri che cercava di evitare. Sfregò le labbra fra loro, mormorando un «l’ha già fatto» amaro, capriccioso e ferito, perché Ben pensava l’avesse trovato con loro molti anni prima, ed invece non erano mai stati abbastanza per lei. Non sapeva cosa le avessero fatto mancare, in quale modo l’avessero costretta a cercare accettazione e spirito di squadra in una fottutissima guerra, e non comprendeva come uccidere civili nella battaglia d’un folle potesse tradursi come posto nel mondo, ma la Bengali Tipton di ritorno dal fronte le era sembrata diversa. Sicura di quel che diceva, e peggio, non diceva. Più nella propria pelle di quanto lo fosse mai stata.
    Avrebbe dovuto essere un bene.
    Ma come poteva.
    Ed oltre al danno morale, c’era lo smacco all’orgoglio della Corvonero, un silente sono stati più bravi di te che mirava a qualcosa che la sedicenne neanche si rendeva conto fosse vulnerabile ed esposto. Non si sentiva insicura, Ben. Mai. Non significava che non lo fosse, e non lo manifestasse nel modo che più le tornasse congeniale: rabbia, fastidio, ed un taglio netto e pulito di tutti i ponti.
    Se la stava cercando, era solo per principio – quello di non darle ragione, e di esserci sempre e comunque, perché era maledettamente quello che facevano gli amici. Perfino quando si odiavano, non riuscivano mai a farlo nel modo giusto; era un odio troppo corrotto da altro perché restasse solo quello. «È ancora lei» Fece per annuire, e trascinare la Benshaw verso uno dei luoghi di recupero - scelti a inizio di ogni gita, altrimenti con il cazzo che si ritrovavano a fine giornata – quando quella continuò la spiegazione, togliendo speranze ed un sospiro alla cacciatrice. Un sospiro un po’ sognante, perché le persone intelligenti le facevano sempre un certo effetto, e Desdemona Benshaw era sempre partita avvantaggiata. «Dipende dalla magia, in verità. In teoria dovrebbe essere ancora lei, gli esseri umani trasfigurati in altre creature mantengono la propria coscienza, o comunque stralci di essa, ciò che basta, in sostanza, a non farli comportare totalmente in maniera animale, ecco. A non farli sparire.» Piegò il capo verso il cielo, offrendo al sole le lenti scure degli occhiali in cui riflettersi. I suoi amici dovevano ringraziare che non fosse abbastanza brava negli incantesimi di Trasfigurazione, o almeno metà del loro tempo l’avrebbero passata in forma animale, nascosti al mondo nel taschino della sua giacca. Ben era quasi sempre al loro fianco per mettere in riga le occhiate che spesso, alcuni di loro, guadagnavano da compagni e non, ma sentiva non fosse abbastanza. Le minacce, non erano abbastanza; i coltellini ficcati nelle (s)palle, non erano abbastanza; i calci alle ginocchia, non erano abbastanza. Il prossimo passo, se non fosse riuscita a capire come impedire all’universo di farli sentire, consapevoli o meno, inadeguati al mondo, era l’omicidio. Potevano cavarsela da soli? Certo, ma non era su quello che avevano fondato il loro patto di sangue. «Ma più passa il tempo, e più quella coscienza scivola via. Presto o tardi cedono all'istinto animalesco e diventano la creatura.» Ah, ecco. Un piano che si autoescludeva da solo, allora: erano già abbastanza bestie senza il suo intervento divino. «È raro, ma può succedere, che un umano che abbia passato troppo tempo costretto nelle sembianze di qualche animale, smetta di sentirsi del tutto umano,» Aveva senso. Immaginava non fosse poi così diverso dall’essere graffiati da un lupo mannaro in forma umana, ed acquisire… peculiarità di specie. Continuò a camminare senza una meta precisa, trascinandosi appresso una Mona Benshaw ormai partita per la tangente. Sorrise fra sé, liquido affetto strizzato fra labbra e lingua, ascoltando la voce della concasata narrarle la tragedia della vita di Sameer Singh. Si fermò solo quando si ritrovarono nei pressi del Palo Santo Verde che portava le indicazioni al rettilario, uno dei psb (posti strategici ben) indugiando presso la panchina con sguardo a veleggiare fra persone ed animali. «magari è solo un uccello, magari è Sameer. Immagino che non lo sapremo mai.» La trovava una storia molto emblematica ed affascinante, anche se il secondo aggettivo era forse dovuto più alla voce narrante che alla storia in sé. Si sentì comunque in dovere di fare un unico, arido, commento in merito, sbuffando dispregiativa aria fra i denti. «uomini e uccelli» tutto quel che non le piaceva in tre umili parole (salvava Tuc, perché era malvagio, e il suo terrificante gufo spettro, perché faceva paura). Ammiccò a Mona, tirandola leggermente per il braccio. «secondo me è solo un airone. Perché Sameer dovrebbe tornare? Ormai ha la sua vita» tendeva a semplificare le cose, la Meisner, secondo un preciso sistema di giusto e sbagliato che raramente poteva davvero applicarsi al mondo, e su cui un giorno avrebbe preso una bella facciata. Non quel giorno, sperava. Ancora un po’. «magari è tornata ad hogwarts. Dovremmo mandare un messaggio a qualcuno? Se vedessero arrivare una… creatura randomica» Corrugò le sopracciglia, prendendo il telefono e scorrendo la sua lista di contatti. Di numeri ne aveva tanti, ma che le importassero? Mh. La scelta intelligente sarebbe stata sua sorella, ma preferiva che Gali rimanesse animale vita natural durante che ammettere alla Hatford si fossero persi uno dei ben. «erisha? Neffi?» tentò, un’occhiata di sottecchi a Mona. Alzò lo sguardo sugli altoparlanti da cui provenivano gli avvisi dello zoo. Battè le palpebre. «possiamo provare a chiamarla con uno di quelli. Se e se stessa, arriverà. Se non la è» diede le spalle alla bionda, fingendo di guardare qualcosa dall’altra parte del parco, ma non lasciò la presa sulla sua mano. «amen, è andata così. Troveremo un altro ben. Il tizio tassorosso senza denti, tipo»
    I give it all my oxygen,
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