it's hard to believe that I couldn't see you were always there beside me

@ stamberga, fam russa

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    Intrecciò le dita sulla scrivania improvvisata di fronte a sé. «vi chiederete perché vi abbia fatti venire qui» o forse no. Riusciva a sentire l’occhiata giudicante di Kyle anche se il coreano non era presente, ed il si chiederanno chi sia tu, e probabilmente pensano che tu sia una maniaca. O una truffatrice. Magari sono armati con cui l’avrebbe interrotta se avesse provato il discorso con lui, motivo per cui – per la gioia del ragazzo. - Troy l’aveva escluso dal suo Piano Riunione Di Famiglia. Funzionava, ok? Era un modo come un altro per rompere il ghiaccio. Appoggiò la schiena sulla poltrona (anche quella improvvisata. Aveva preso quel che la Stamberga aveva da offrire, ossia molto poco, e l’aveva riadattato alle sue esigenze), accarezzando l’animale tenuto in grembo.
    Un topo. Troy Bolton Hawkins stava accarezzando un topo che aveva trovato a girovagare per la casa diroccata, perché non aveva trovato di meglio, ed era un simbolo. Uno status quo, così come la benda nera sull’occhio. Perchè? Perchè, perché, sempre perchè e mai Oh, Troy, come sei fantasiosa; creativa; magnifica. Non c’era un motivo: aveva voluto la scrivania (mobili accatastati fra loro), la poltrona (lo schienale era composto da diverse scatole una sopra l’altra), l’animale da accarezzare e la benda sull’occhio, e l’aveva ottenuto perché quella era la persona che era. «la risposta è semplice» alzò lo sguardo di fronte a sé.
    La era?
    Sullivan, Julian e King, non la conoscevano. Non avevano alcun ricordo di lei, ed era assai probabile che il resto della fam non fosse stato affatto lusinghiero nei suoi confronti. Non credeva l’avessero cancellata completamente. Conoscendoli, l’avevano usata come il cattivo esempio da non seguire, il mostro sotto al letto che avrebbe afferrato loro le caviglie se fossero usciti nell’orario del coprifuoco. A lei andava bene - anzi, più che bene, come dimostrava quanto si fosse applicata nel mostrarsi come quella cattiva. Non voleva avessero paura di lei, ma voleva avessero uno… standard. Un’ideale a cui affacciarsi che non fosse quella fallita che si era unita al circo ed aveva finito per prostituire la propria magia ad un ciarlatano. Aveva aspettato due anni e mezzo per quel momento.
    Probabilmente ne avrebbe aspettati altrettanti, se non avesse avuto una brutta sensazione. Non nello specifico per se stessa o per loro, più qualcosa di… generale. Si svegliava sentendo l’aria pesante in gola, il cuore a battere frenetico sulla lingua. Un ricordo dimenticato dai contorni impressi nella retina. L’aveva interpretato come un segno che fosse il momento di fare qualcosa, prima che -
    Non sapeva prima di cosa. Forse aveva solo paura di esistere da sola, senza nessuno a ricordarla. Forse voleva lasciare il segno, o prendersi la rivincita su quei cazzoni dei fratelli maggiori e rubargli i minori da tenere sotto la propria ala. Aveva importanza?
    «la risposta è semplice» ripetè, digrignando i denti, sfarfallando le dita nell’aria perché Pornhub le desse la risposta. Avevano un copione da seguire, e quella merda di un peluche psicopatico avrebbe dovuto farle da gobbo e suggerirle le battute. «sono vostro padre» «sono vostro – PORNHUB» Afferrò il topo nel palmo, pronta a lanciarglielo addosso. Visti com’erano andati i mondiali con il gatto, ci pensò un attimo e gli lanciò contro una trave, tornando a stritolare amorevolmente il roditore al petto. Che INUTILE PEZZO DI MERDA! Ma poi perché cazzo era ancora con lei? Non poteva tornarsene con Kosmo? Il pupazzo non schivò la trave, ma d’altronde, cazzo se ne faceva visto che non sentiva dolore. Non poteva muoversi, ma poteva parlare (anche se Troy era l’unica a sentire la sua voce), e riapparire quando lei cercava di liberarsene. La sua maledizione personale, quello strano mago trasfigurato. Bastardo. «minchia sei proprio. Uno stra cazzone inutile. Troverò il modo per bruciarti, e ballerò sulle tue interiora di cotone fumanti -» una minaccia che stava per diventare molto più colorita e volgare, ma che rimase sulla punta della lingua di Troy quando sentì un rumore.
    Passi.
    Si immobilizzò.
    Quel mattino, aveva mandato una lettera ai tre ragazzi dicendo loro che avessero vinto un buono per conoscere il proprio futuro, firmato TBH, indicando il luogo dell’incontro (Stamberga, così che fosse facilmente raggiungibile anche da Hogwarts) e ora. Aveva avuto due anni e mezzo per spiarli, e sapere fossero (incoscienti.) anime pure, buone, fiduciose verso l’umanità. Poi oh, in fondo, non era mica manco una cazzata: lei era il loro passato! Presente! E sarebbe stata il loro futuro! Bonus, se proprio non le avessero creduto, avrebbe potuto davvero spiare qualcosina nel loro deshtino. Insomma. Si sentiva perfino la coscienza a posto.
    Passi più vicini.
    Si alzò in piedi di scatto, gli occhi a rimbalzare da una parte all’altra della stanza alla ricerca di una via di fuga. Non era pronta, MAY DAY, NON ERA PRONTA, COSA AVREBBE DOVUTO DIRGLI, MA PERCHè POI, TROY MA CHE CAZZO DI OTTIMISMO AVEVI STAMATTINA – per qualche motivo, ritenne del tutto opportuno nascondersi sotto la scrivania.
    Come se non fosse stata assolutamente visibile.
    I passi si fermarono.
    Pornhub fischiò fra i denti (che non aveva), facendo un commento davvero inappropriato su una gonna (di chi dei tre, non voleva saperlo), e tanto bastò a farla scattare verso l’alto, i palmi picchiati contro la scrivania abbastanza forte da far scappare Geronimo Stilton. Un comportamento del tutto ingiustificato visto che nessuno lì dentro aveva sentito il pupazzo a forma d’orso fare il maniaco pedofilo; forse avrebbero preso lei, per la maniaca pedofila. «mi era caduta una lente» mostrò l’indice – su cui non aveva una lente.
    Deglutì. Prese posto sulla fu scrivania, rassettando i vestiti e sistemando la benda sull’occhio.
    Aveva un discorso. Aveva un copione. Aveva UN PIANO.
    «sono troy bolton hawkins.»
    Non era quello.
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    julian bolton
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    I got my hopes up again,
    oh no,
    not again


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    when you call my name
    But I hear it inside my head all day
    When I realise I'm just
    holding on to the hope
    that maybe Your feelings
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    «non penso–» punto. A Julian capitava spesso di non pensare e basta, e capitava anche che quando invece pensava non sviluppava veri e propri pensieri che fossero destinati a una forma finale, ma entità che dovevano restare nei meandri della propria mente come nebulose inconoscibili o come punti interrogativi fluttuanti: "perché il nord non è sempre a nord ma qualche volte è a sud?" e "ma se do da mangiare tacchino a un tacchino è cannibalismo?" erano tutti non-pensieri che non potevano essere espressi ad alta voce, sia perché ogni tanto si rendeva conto lui stesso che non fossero quesiti che meritassero una degna riconoscenza, sia perché la maggior parte delle volte sentiva penzolare su di sé lo sguardo giudicante di chi gli stava vicino.
    Il suo metodo infallibile per decidere se esprimere o meno un suo pensiero era chiedersi come avrebbe reagito e come avrebbe risposto la sua personalissima coscienza nonché bellissima fidanzata Joni Peetzah: se la scenetta che andava formandosi nella sua testa terminava con uno scappellotto dietro al collo o una gomitata diretta alla pancia allora significava che in quel caso era meglio evitare di parlare; se invece nella sua immaginazione la rossa gli sembrava interessata e sovrappensiero allora si accendeva la lampadina verde e aveva il via libera per proceder. In quella particolare occasione (e in molte altre), evidentemente, il meccanismo doveva essersi inceppato, perché rigirandosi quel pezzo di carta tra le mani il grifondoro non esitò un attimo a esprimere il suo giudizio: «non penso che sia una truffa» ed eccolo là, puntualissimo, lo sguardo pieno di giudizio della ragazza che si chiedeva come avesse fatto ad innamorarsi di un tale idiota.
    «c'è il mio nome! è indirizzato proprio a me!» mostrò a Joni la lettera che un gufo gli aveva accuratamente posato sul letto quella mattina ancora una volta – l'ennesima volta. «c’è scritto proprio qui, guarda: “Julian Bolton”, che sarei io» ci tenne a precisarlo con grande serietà, neanche la ragazza con cui era fidanzato da ormai un anno (ma ci credi joni mannaggia cuccioli come crescono) ne avesse bisogno per ricordarsi chi era e come si chiamasse l’omone che poco prima stava baciando, «“sei il fortunato vincitore di un buono per conoscere il tuo futuro”» terminò di leggere con entusiasmo sempre crescente, incapace di riconoscere dove si nascondesse la truffa o la malizia in parole così gentile e rassicuranti.
    La tassorosso non ebbe bisogno di rispondere, la sua occhiataccia fu particolarmente loquace e bastò a convincere il grifondoro a non insistere ulteriormente, ma non poté niente contro il pin che ormai era affisso nella testa del Bolton: guardava e riguardava continuamente il biglietto, se lo rigirava tra le mani, cercava indizi che avvalorassero quella che era la tesi di Joni ma che era stata abbracciata da tutti quelli a cui l’aveva chiesto (ciruzzo, lollo, remo – solo secondo kaz doveva “100% provarci, cosa può andare storto?”).
    Julian non credeva che esistesse il male come concetto assoluto, sapeva che esistessero persone cattive, ma secondo il suo modesto parere quelle più che essere definite per la loro cattiveria, dovevano essere aiutate per la loro fragilità, perché le persone cattive non erano altro che persone che non avevano conosciuto abbastanza bene nella loro vita per provarlo verso qualcun altro; ostinarsi a rispondere alla cattiveria con altrettanta cattiveria, quindi, era solo controproducente e bisognava invece essere buoni e credere nella bontà degli altri.
    Tutto questo per dire che no, Julian Bolton non credeva che qualcuno volesse truffarlo, né pensava che qualcuno avesse un motivo abbastanza valido per attirarlo in un posto isolato per fargli del male, e riteneva, anzi, che finalmente qualcuno – sempre lo stesso qualcuno – avesse riconosciuto la sua bontà e volesse premiarlo per quello. Oltretutto quell’invito non gli sembrava neanche così bizzarro e surreale visto che partecipava a dozzine di quei sondaggi online che promettevano di vincere iPhone e tanti altri premi e non vinceva mai niente, quindi per la legge del karma poteva anche essere arrivato il suo turno, no? Secondo tutti quelli a cui aveva chiesto no, non era arrivato il suo turno e così come gli avevano suggerito di ignorare i tag molesti sotto i post di instagram, così gli stavano tutti suggerendo di strappare quel biglietto e buttarlo nel cestino della carta.
    Fortunatamente, Julian era un ragazzo testardo, quindi accolse i consigli di tutti quanti e poi li ignorò bellamente. E poi oh, alla fine era veramente curioso di conoscere il suo futuro: avrebbero vinto un’altra volta la coppa di quidditch? si sarebbe diplomato? i Linguini si sarebbero diplomati? lui e Joni si sarebbero sposati? e quanti figli avrebbero avuto?
    Curioso delle risposte che avrebbe ricevuto, non si lasciò fermare neanche dall’aspetto poco rassicurante della Stamberga – passo dopo passo, molto lentamente, si fece largo nella casa infestata «c’è… nessuno…?» chiamò, e forse qualche spirito gli rispose anche, ma il cuor di leone non ci prestò troppa attenzione e continuò per la sua strada – che era quella di seguire il rumore proveniente da una stanza specifica della casa. Varcò la soglia per trovarsi di fronte a una ragazza, o un… pirata? un cosplay di un pirata? qualsiasi cosa fosse, sentiva che fosse la persona giusta, quella che gli avrebbe svelato il suo futuro – sorrise bonario e rimase a una certa distanza.
    «io sono-»
    «sono troy bolton hawkins.»
    Si bloccò con la bocca aperta e l’espressione confusa «cos…cOSA?» dopo lo shock iniziale, un vivace luccichio accese il suo sguardo «TROY?» esisteva solo una persona che si chiamava Troy Bolton Hawkins (perché nessun altro genitore avrebbe chiamato un figlio in quel modo, dai) ed era sua sorella.
    L’idea lo entusiasmò così tanto che con un enorme sorriso raggiante mosse i primi passi verso la scrivania occupata dalla ragazza, salvo poi bloccarsi quando un pensiero fulmineo gli attraversò la testa e gli fece incrinare le labbra all’ingiù. «è impossibile, Troy è fuggita con i bracconieri che l’hanno venduta agli orsi siberiani per avere la pelle di un loro cucciolo» annuì convinto e questa volta un po’ rattristato nel ricordare la verità che gli era stata raccontata dal padre, l’ultima versione di una lunga fila di storie sulla sorella perduta che erano iniziate con l’innocente “è andata a comprare le sigarette” e intermezzate con varie “vende nachos in sudamerica” e “è l’aiutante della strega che ha mangiato Hansel e Gretel”; era stato difficile per Julian accettare la verità, ma ora era abbastanza grande e adulto per comprendere che l’ultima versione, quella che aveva appena annunciato alla ragazza, era l’unica plausibile tra le tante.
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    Ovviamente aveva già mandato tutto a puttane. Un classico. Strinse le labbra fra loro, Troy Bolton, abbassando lentamente e con intenzione lo sguardo sul pavimento in legno della Stamberga Strillante. Come potesse sempre infilarsi in quelle situazioni, considerando che il futuro lo vedeva e percepiva prima degli altri, era un mistero inesplicabile. Una sua personale El Dorado, forse. Un dono, laddove non un talento.
    «cos…cOSA? TROY?»
    E per quanto mi faccia male il cuore doverlo scrivere nero su bianco, a cinque mesi dal suo outing, era piuttosto chiaro che all’appuntamento si fosse presentato solo il ragazzo che la osservava confuso ed a bocca spalancata. Voleva suggerirgli di chiuderla perché c’era il rischio ci entrasse qualche moscerino, ma non si voleva ancora così male da citare i loro genitori. «eh» eh. Non molto altro da aggiungere, ed infatti si strinse nelle spalle, sollevando gli occhi su Julian in un misto di sfida e scuse tutto insieme.
    Julian Bolton sorrise. Era facile immaginare come Joni si fosse innamorata di quel sorriso, tutto fiducia e raggi di sole; altrettanto semplice immaginare come la stessa espressione che aveva fatto innamorare una ragazzina, facesse tremare di puro terrore l’adulta che si era appena professata sorella a pochi passi da lui. Citando Kaz: HhHhHhHhHh. HHHHHH! Si alzò in piedi, drizzando la schiena ed osservando il fanciullo muovere affatto esitanti passi nella sua direzione.
    Non era la reazione che si era immaginata. In effetti, con il senno di poi, non si era immaginata proprio un bel niente: la sua fantasia riguardo quella riunione di famiglia non era mai arrivata al dopo la rivelazione, solo al discorso precedente – che, comunque, aveva ignorato totalmente, quindi insomma. Si schiarì la voce cercando di darsi un tono, la lingua ad umettare le labbra pronta a qualunque cosa avesse in serbo – o russo se preferiva, haha – per lei. Perfino abbracciarla, se era proprio necessario ai fini della storia.
    Invece si fermò. «è impossibile, Troy è fuggita con i bracconieri che l’hanno venduta agli orsi siberiani per avere la pelle di un loro cucciolo»
    Mh. Lei - cosa? Cioè. Aveva passato vent’anni in fuga dalla sua famiglia, e quello era il meglio che si fossero inventati per giustificare la sua assenza? Nessuna storia apocalittica su come fosse l’anti cristo? Nessuno spauracchio? QUELLA ERA LA VERSIONE CHE AVEVANO SCELTO? Così oltraggioso, che fu il suo turno di spalancare la bocca. Mortalmente offesa, la Bolton Hawkins, occhi ridotti a fessura e pugni stretti lungo i fianchi. «allora, innanzitutto, nessuno mi ha venduto.» chiarì, perché le sembrava importante. Poteva mica lasciare pensare al suo fratellino che la sua pelle fosse merce di così poco valore.
    Anche se era vero. Valeva ancor meno, in realtà, ma preferiva Julian non lo scoprisse mai.
    «sono scappata? sì. E per forza. li hai visti i nostri fratelli? UGH.» scrollò invisibile polvere dalle spalle, sbuffando stizzita il proprio disappunto. «mi meritavo di meglio» corrugò le sopracciglia, consapevole che non fosse un complimento per il ragazzo – non posta così, senza essere elaborata. Quindi inspirò, alzò gli occhi al cielo, e «mi dispiace» stretto fra i denti, perché chiedere scusa non era facile per nessuno, ma qualcuno doveva pur farlo. «d avervi abbandonati con loro. Ok? Anche voi meritavate di meglio» Un pugnetto sul petto.
    Insulti di pornhub in background.
    «ed ecco perché sono qui ora» Sorrise, testa leggermente reclinata. PER ESSERE IL LORO MEGLIO! Said no one ever, ma lasciatela delusional.
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