don't come out tonight (it's bound to take your life)

aidan + sin

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    È notte, e A si trova in una casa abbandonata. It's all fun and games until B urla "non puoi essere qui, ti ho appena ucciso!" spezzando il silenzio.


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    Perché fosse lì, non lo sapeva manco lui.
    Malinconia, avrebbe voluto dire. Non era certo fosse la parola giusta per descrivere quel momento, però. Non aveva particolarmente apprezzato essere la cavia da laboratorio della professoressa Queen nei suoi anni ad Hogwarts, Aidan: l’antilupo che gli scivolava da sopra alla cattedra lasciava un sapore amaro sulla sua lingua per ore, e nonostante l’assoluta efficienza della professoressa di Pozioni non era comunque abbastanza forte da alleviare i dolori che tiravano ai muscoli il mattino dopo. Da quel che ne sapeva, aveva meno a che fare con la professoressa Queen e più con le regolazioni del Ministero: agli studenti non era concesso far utilizzo di piante più… forti, perché poco importava quale fosse il problema che li portava a fare utilizzo di sostanze rilassanti – erano pur sempre le Facce Del Futuro Della Società Magica, e la società magica non promuoveva l’abuso di oppiacei. Un vero soldato del Regime Mangiamorte sopportava il dolore, perché quel dolore era in grado di insegnare il genere di lezione che nessun docente di Hogwarts era in grado di conficcarti nella testa – quando sei sbagliato, pagare per i tuoi peccati è il minimo che tu possa fare.
    E Aidan aveva pagato pegno ogni luna piena, per il suo essere sbagliato. Tutte le volte in cui si era svegliato solo e infreddolito e dolorante in una casa impolverata; aveva strizzato le palpebre, stretto la mandibola fino a digrignare i denti, e in un certo senso aveva chiesto scusa per qualcosa che non era in grado di controllare, che non aveva scelto.
    Si trascinò lungo il muro, incurante delle ragnatele che inevitabilmente si sarebbero depositate sul suo cappotto di sartoria, e incrociò le gambe una volta giunto a terra. Ufficialmente, era a Hogsmeade per seguire le tracce di un individuo che aveva creato disturbi ai locali che accendevano le strade di quel paesino, i suoi abitanti; strinse le ginocchia al petto, e per una volta si concesse dieci minuti di vulnerabilità.
    Erano le quattro del mattino, cristo. E le pozioni antilupo che si versava avevano quel quantitativo di verbena in più in grado di appannargli la vista; una miscela personale che era solito utilizzare quando la luna piena capitava in un momento particolarmente calmo. Evidentemente la Beaumont aveva piani diversi per lui; nonostante il giorno di ferie, la missiva urgente lo aveva trascinato giù dal letto a orari francamente disumani, fradicio di sudore e con lo scheletro ancora dolorosamente distorto.
    E Aidan aveva bisogno di una sigaretta. Il suo special, di nome e di fatto, poteva attendere quei pochi attimi in più. Che poi rischiò di dar fuoco al legno grezzo della Stamberga quando, dal nulla, la porta d’ingresso si spalancò, erano dettagli.
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    non ho scritto una singola parola di qesto post sobriax 2
    poi magari editerò perché non ho la forza di sistemare il codice

    - il prompt è uno di quelli avanzati dal random.obl
    - rispondere vale per le zucchette!!
    - flash post stupidi or you're out
    - non so che ho scritto scusate ... ciao ............


    Edited by homini lupus - 13/10/2022, 12:03
     
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    Sinclair passò il panno sulle dita, avendo cura di pulire il sangue che gli macchiava la pelle, eliminare ogni prova incrostata sotto le unghie. Osservò il panno ricadere nella bacinella, la tinta cremisi a saturare il panno e a trascinarlo verso il fondo. Sinclair rimase un momento a fissarlo, troppo impegnato a sbrogliare la matassa che erano i suoi pensieri per prestare attenzione alla voce che lo stava chiamando. «abbiamo finito?» l’Hansen tornò alla realtà quando si sentì tirare la maglia da dietro, il paziente che aveva appena medicato impaziente di alzarsi dal tavolo. Fosse stato al posto suo, anche lui avrebbe voluto allontanarsi dalla superficie incriminata: non dubitava che ospitasse una quantità considerevole di malattie nonostante i migliori tentativi dell’Hansen di sterilizzarla. Almeno, per quanto la situazione gli consentisse. Si voltò verso Niamh Barrow, scuotendo il capo ormai desolato quando vide che non solo era già seduta sul tavolo ma che stava radunando i suoi vestiti pronta a fare la sua fuga. «non potevi andare all’ospedale? o da qualche altra parte?» tipo al quartiere generale, ma quel pensiero non venne mai manifestato all’esterno: non sapeva chi potesse esserci intorno, nonostante le loro precauzioni. «nope! sono in missione super segreta e importante, anzi, dimenticati di avermi visto» si era dimenticato di lei così tanto da non ricordare di averla vista per i corridoi del QG da diversi anni, pensa te. Sinclair lasciò la Barrow alle sue cose, preferendo non farsi troppe domande, e spostò la sua attenzione sui propri averi, avendo cura di non lasciare niente nella stanza. Ultimamente la Stamberga era popolata da strani personaggi, e preferiva non rischiare che qualcuno si imbattesse nel secondo lavoro dell’Hansen. Ad essere del tutto trasparenti, era più un’occupazione saltuaria che un vero e proprio lavoro, i suoi servizi come guaritore erano richiesti in quelle situazioni dove non c’era altra scelta. La medicina che ancora riusciva a praticare era limitata, ma i suoi poteri gli consentivano di guarire parzialmente le ferite, senza contare alcune tecniche babbane che aveva appreso. «alla prossima, barrow. e cerca di non farti uccidere di nuovo» avrebbe potuto darle le istruzioni per prendersi cura della ferita, cercare di capire perché tra tutti i guaritori che conosceva avesse chiamato uno senza più magia nel sangue, ma questa è una flash role e dobbiamo almeno fingere di crederci.
    Passò un giorno intero prima che Sinclair si accorse di aver perso un oggetto estremamente importante, uno che era così abituato a portare al dito da non farci più caso. Si trattava di un anello che la famiglia Quinn aveva tramandato per generazioni di genitore in figlio, una delle poche cose che ancora lo legava al suo passato. Non aveva avuto il cuore di sbarazzarsene, fin troppo sentimentale in un momento dove non aveva avuto altra scelta che stringere al petto un pezzo di metallo per ricordarsi chi era stato. Non aveva più il suo volto né una identità, quando non esisteva più per maggior parte della sua famiglia e non aveva una dimora a cui fare ritorno. Con il senno di poi, avrebbe dovuto scegliere un altro giorno per tornare alla Stamberga. Appena spalancò le porte si trovò davanti un fantasma: era un ragazzo vittoriano accasciato al muro! «non puoi essere qui, ti ho appena ucciso!» tuonò severo e gli puntò un dito contro, tentando di spaventarlo ancora prima che potesse fare la sua mossa. Certamente, intimorire un fantasma era la strada migliore che potesse intraprendere, perché ignorarlo sarebbe stato troppo facile. Quando il ragazzo non reagì, l'idrocineta iniziò a sospettare che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato in quella situazione, un malinteso che ancora non riusciva a cogliere. «o almeno è quello che direi per spaventare un fantasma, fake till you make it» commentò ad alta voce a nessuno in particolare, perché lo sconosciuto non pareva in vena di rispondergli tanto presto. Sinclair sfoderò persino il gergo giovanile per tentare di capire a che epoca appartenesse il (non) fantasma. «stai......bene? hai una pessima cera» mantenne le sue distanze, ma scrutò la figura per carpire qualche informazione in più: dopotutto, era un dottore e certi vizi non andavano mai via. «a meno che, ripeto, tu non sia un fantasma. se no avrebbe senso» e no, l'Hansen non aveva mai avuto l'onore di vedere un fantasma. Credo?
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    never had to leave



    cioè non solo ho l'opportunità di avere una reunion dune, ma pure di collezionare la rarissima lia??? COUNT ME TF IN
     
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    Aidan, ragazzo allegro, avrebbe voluto rispondergli un sentito ma magari. Ma no: il pallore cadaverico era solo parte del fascino. Chiuse nel pugno l’accendino prima che potesse rovesciarsi sul legno, imprecando a bassa voce nel sentire la fiamma leccargli la pelle; poi fece scattare il volto in direzione del nuovo arrivato, un insulto già sulla punta della lingua.
    «o almeno è quello che direi per spaventare un fantasma, fake till you make it»
    E invece serrò la mascella e squadrò l’infame che aveva appena interrotto la sua sessione di crogiolamento giornaliero. Nessuno che conoscesse a prima vista, ma il dubbio che potesse trattarsi dell’uomo che stava pedinando fino a pochi minuti prima gli balzò comunque alla mente. Di lui sapeva poche cose, d’altronde; il fatto che fosse giovane – una qualità che il daddy al suo cospetto non rifletteva, complice anche la luce fioca emanata dalle prime ore del mattino e le ombre che disegnava sul suo volto – e che possedesse abilità mimetiche – e quindi, insomma: l’aspetto esteriore era poco rilevante, in quel momento.
    Piazzò un sorriso innocente in faccia, decisamente controvoglia, e si alzò lentamente da terra.
    «sono ancora vivo.» temo.
    Si prese il suo tempo per scrollare via la polvere dal cappotto, poi intascò l’accendino. «sto…» hm. Senza il freddo del metallo a distrarlo dalla lieve bruciatura, bene era un po’ un parolone. Ma meglio così: significava che avesse ancora la carta dell’empatia dalla sua parte.
    Scrollò le spalle, e portò la mano all’attenzione di entrambi. Aprì e chiuse il pugno, prima di voltare in su il palmo e studiare la pelle arrossata.
    «potrei stare meglio.»
    Per più motivi. La gioia di essere sempre un po’ con un piede nel fosso: quella era solo l’ennesima botta di sfiga che si sorbiva nel giro di ventiquattro ore, e se non era ancora giunto al suo limite massimo era solo perché ormai, con ventun’anni di eventi peculiari a susseguirsi in rapida successione, ci aveva un po’ fatto l’abitudine. A essere del tutto onesti neanche sapeva più quale fosse veramente, questo dannato limite. Certo solo di averlo superato molteplici volte senza battere ciglio – perché tanto, ormai.
    «è – hm. diciamo che non è una giornata fantastica.» sbuffò una risata, e azzardò un’occhiata nella sua direzione.
    Non era particolarmente saggio rivelare una cosa simile a un totale sconosciuto; era, dopotutto, un segreto che si era tenuto gelosamente per tutti quegli anni. Poteva ancora contarle sulle dita, le poche persone che erano a conoscenza della sua condizione; se si tenevano fuori dall’equazione il corpo docenti che lo aveva visto crescere, certo, e chiunque sfiorasse i suoi fascicoli al Ministero. Ironico, forse, che il resto delle persone ne fossero venute a conoscenza per motivi fuori dal suo controllo. Mai per scelta sua. Continuava a ripetersi di averlo accettato da tempo; che c’erano cose di gran lunga peggiori a richiedere le sue attenzioni. Innumerevoli le mattine in cui si era svegliato tremante come una foglia e aveva strofinato la pelle sotto il getto d’acqua bollente fino a graffiarla; e solo la metà delle volte riusciva nell’intento di togliersi il distinto odore di terra bagnata dalle narici. Ricordava ancora la volta in cui si era visto rispecchiato in un individuo con i suoi stessi occhi e la sua stessa bocca; il suo cognome, e la sensazione che gli aveva provocato. L’odio e la gelosia che si era trascinato fino a casa, e tutte le domande che si era posto senza mai trovare delle risposte. Perché non le aveva cercate – perché non sapeva neanche dove iniziare.
    Nulla, in ogni caso, sfiorava la disperazione che aveva avvertito a tredici anni, stretto in un letto d’ospedale con lo sguardo fisso sulla pelle martoriata: perché era la concreta realizzazione che fosse successo davvero, sì, ma anche perché alzare gli occhi e incrociare quelli pregni di vitrio della sua famiglia era una condanna di gran lunga peggiore. Non era riuscito a scuoterla via, quella vergogna; così infantile e inutile. Pesava sul suo stomaco fino alla nausea, perché temeva ancora di vedere suo fratello a bordo del materasso, il disappunto nelle iridi chiare; sentire un’altra volta le parole orribili che gli aveva rivolto. E quindi esitava. Ci girava attorno il più possibile. Era parte di lui, ma non doveva esserlo per forza. Non per gli altri, quantomeno.
    Non che avesse molta scelta, in quel momento. Erano pochi i motivi che potevano portare una persona ad infestare la Stamberga Strillante a orari simili. In solitudine. Rivelare che fosse lì per conto del suo datore di lavoro era fuori questione: sfortunatamente al suo incarico ci teneva. E se quell’uomo era solo una maschera – beh. Un po’ di pathos per sciogliergli le spalle non poteva che andare in suo favore.
    «temo di aver esagerato col dosaggio della pozione.» una bugia bianca: se Anjelika Queen non aveva detestato la sua stessa esistenza nei suoi anni ad Hogwarts, d’altronde, c’era un motivo. «la verbena mi ha un po’... destabilizzato.»
    Piegò lateralmente il volto, a quel punto, e batté le ciglia. «stesso problema?»
    Sospettava di no, ma da qualche parte doveva pur iniziare.
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    prima stavo riguardando le role da inserire nel pensieve che non aggiorno da un secolo e mi sono accorta di non aver mai risposto. ma perché. cervello pleathe.......
    colleziona questa figurina bestie
     
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2 replies since 12/10/2022, 22:42   138 views
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