I'll go insane and I'll take you with me.

ft. ficus

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    Era ufficiale: si era perso.
    «Mi sono perso.»
    Veloce come veloce è il vento, arrivò il commento degli altri inquilini della Scatola: «ma. non. mi. dire.» utili come al loro solito, in grado solo di fornire commenti caustici e nessun aiuto concreto.
    Lo special fece schioccare, con disappunto, la lingua sul palato e si abbandonò con la schiena contro la balaustra delle scale: quella sera andava così.
    E per “così” intendo: male.
    E voi direte “beh, dov'è la novità” — in effetti.
    Erano rare le volte che le cose andasse bene per Maddox Rory, e in parte era dovuto all'atteggiamento negativo e pessimista del giovane, ma hey! Nessuno è perfetto, e lui non aveva mai sostenuto il contrario!
    Tuttavia, non si meritava quella fine: disperso (e mai più ritrovato, perché andiamo, chi mai si sarebbe <s>preso il disturbo di messo in moto per cercarlo.) in quella babele arzigogolata che erano i corridoi di Hogwarts.
    Un incubo.
    Più di mezz'ora prima aveva chiesto ad Henderson di poter assentarsi per andare in cerca del bagno, dove in cerca era la parola chiave: non aveva trovato né quello, né poi la via del ritorno.
    Per fortuna che non doveva davvero utilizzare i servizi, altrimenti se la sarebbe fatta sotto da un pezzo.
    Forse, a pensarci in un secondo momento, avrebbe dovuto prestare attenzione alle parole di chi l'aveva avvisato che "alle scale piace cambiare" ed evitare di rispondere con una risatina nervosa e un «anche a me ah ah» che di divertente non aveva proprio nulla.
    Che deficiente.
    Hartley aveva ragione quando, almeno due o tre volte al giorno, glielo ricordava — senza affetto o simpatia nella voce, il tono monocorde di chi si era anche abbastanza rotto le scatole di ripetere sempre le stesse cose.
    Anche se.. anche se!! Quella sera la colpa non era interamente di Maddox, che di base partiva già svantaggiato e con un pessimo senso dell'orientamento; il vero colpevole erano le scale! Come... Com'era concepibile... Che cambiassero... Senza motivo... Andando dove pareva loro... Facendo cose... Creando percorsi alternativi e senza senso... Solo per confondere povere creature special(i) che in quel del castello non ci mettevano piede nemmeno lontanamente abbastanza da... Poter... Sapere... Come funzionavano... Le cose.... NON AVEVA SENSO!!
    Si lasciò sfuggire un lamento a metà tra il disperato e il rassegnato: «mannaggina.» che affronto inconcepibile nei confronti della sua persona.
    E pensare che lui, quel giorno, nemmeno voleva andarci a lezione! Cioè, tra lavorare e andare a seguire le lezioni obbligatorie di norma sceglieva sempre la seconda, ma per qualche ragione era stato tormentato per l'intera giornata da pensieri negativi e strane sensazioni riguardo il proseguimento della serata — alcuni avrebbero detto che se l'era tirata, ma lui preferiva sostenere di aver aperto il 👁️👁️👁️ e di averlo shentito.
    Quale che fosse la verità, non toglieva il fatto che fosse disperso chissà dove, solo e senza speranza di tornare dal resto della classe.
    «Questo è il piano infestato.» Drizzò la schiena a quel suggerimento proveniente direttamente da qualche parte della sua mente, perché: a) cone facevano a saperlo, ma soprattutto b) «infestato nel senso di: popolato da spiriti? E fantasmi?» e chissà cos'altro, si preoccupò lo studente che due volte a settimana si recava in un castello che era letteralmente abitato da fantasmi ma OKAY.
    «Quanto infestato?» tipo, dove l'avrebbero collocato su una scala da “film con Eddie Murphy” a “racconti di cose inspiegabili successe in situazioni assolutamente random”: di che livelli di infestazione si parlava?!?!?
    No, anzi: non voleva davvero saperlo.
    «Sai che c'è?» oh boi. «Io canto. Così magari tengo lontani gli spettri» e magari qualcuno mi sente anche, sarebbe stato un sogno.
    Peccato che l'unica canzone che avesse in testa quel giorno, per qualche ragione che non sapeva spiegarsi, faceva più o meno così: «come Mister tally man, tally me banana.» Non ricordava di aver visto Beetlejuice, di recente? Magari era colpa di qualche altra aka, oh mannaggia. Ma come i tormentoni estivi di Baby K e Pitbull e compagnia cantante, una volta che ce l'avevi in testa non potevi più togliertelo. E dunque: «daylight come -» forse la presenza che infestava quel corridoio era lui, «and we want go home.» almeno su quello, era stramaledettamente sincero.
    Hey Nathaniel, come pick me up I'm scared.
    Scivolò lungo la parete, schiena schiacciata contro il muro e ginocchia tirate fin sotto il mento.
    «me say day me say day me say day» — si era rotto.
    maddox
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    il mio nuovo hobby è aprire role assolutamente a caso con maddox.
     
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    Benjamin Ficus Millepied era nato per quello.
    quello aka la caccia ai fantasmi™: gli scorreva nelle vene, anche se le origini di tale lignaggio era più facile trovarle nel suo luogo di nascita piuttosto che nella genetica — per i genitori, si trattava solo dell'ennesima, stramba perdita di tempo, la prova definitiva che il quoziente intellettivo del loro figliolo non avrebbe mai raggiunto il livello desiderato.
    ma!!!! a ficus non importava!!!!
    sin da piccolo aveva abbracciato le antiche tradizioni della sua città Natale, York (lo so, avevo detto che sarebbe stato portoghese, ma volete mettere la Royal Family magica britannica tutta figa con l'unico figlio scemo? un sogno), una delle più antiche di tutta l'inghilterra, nonché la più infestata; aveva letto un centinaio di libri (sì, sa leggere. bestie.) sull'argomento, e fatto la posta al Golden Fleece 24/7 nella speranza di vedere il fantasma di Lady Alice o quello di One-eyed Jack, il tutto provocando a sua madre un attacco di cefalea cronica che nessuna magia al mondo poteva curare. qualche avventore del pub, credendo di poter spaventare il Ficus prepubescente affacciato alle finestre del locale con aria trasognata dipinta sul volto, aveva pensato bene di raccontargli di come un bambinetto vittoriano malaticcio fosse stato investito da una carrozza proprio nella strada di fronte: l'effetto del racconto creepy era stato talmente contrario a quanto desiderato che ben(jamin) si era subito lanciato per strada sperando di incontrare il fantasma in questione — e questa è la breve storia di come fosse stato preso in pieno da un babbano in bicicletta.
    «hey demons it's me, ya boy» un'esclamazione nell'oscurità, il sorriso a tendersi sulle labbra: con gli occhi chiari nascosti dietro gli occhialoni da aviatore per proteggerli da eventuali residui ectoplasmatici (terribilmente irritanti, btw), tutto ciò che si vedeva sul volto imberbe erano i denti. faceva un po paura, quel ghigno psicopatico alla Norman Bates (e ogni tanto Ben doveva ricordargli di sorridere di meno perché «dude, you're scaring the hoes»), ma se associato agli occhioni dolci e spalancati ingenuamente sul mondo, rimaneva solo un tenero ebetismo.
    quel giorno, ficus shentiva di essere vicinissimo al suo più grande traguardo-.. ok, dai, il secondo più grande traguardo: al primo posto rimaneva aprire un ristorante tutto suo e vincere la prima stella VonTousen (uno dei più famosi cuochi mai esistiti nella comunità magica), ma immediatamente sotto c'era l'incontro con il fantasma di Bartolomé Darmand; poeta maledetto e professore di Hogwarts nel sedicesimo secolo, l'uomo era morto in circostanze a dir poco misteriose, il cadavere ritrovato nei sotterranei del castello — la lingua mozzata e il dito indice intinto nel proprio sangue erano stati solo la punta dell'iceberg di una leggenda metropolitana diventata presto mito, così come la scritta cremesi rinvenuta sul muro 'cosí giace, il tradimento punito'. cioè, capite???? nessuno aveva mai trovato il colpevole, e nei secoli gli studenti si erano inventati ogni tipo di storia, compresa quella del fantasma di Darmand che ancora si aggirava per il castello alla ricerca del suo assassino.
    peccato che in cinque anni ficus non lo avesse mai visto.
    «a noi due, bartie» un chiodo fisso (joni: triggered), senza dubbio. avanzò nel corridoio illuminato solo da candele tremolanti sospese a mezz'aria, muovendosi con la solita grazia che lo contraddistigueva — which is none; ma aveva la testa alta e il passo leggero, assolutamente privo di paura. era spinto da curiosità e mancanza totale di amor proprio, il tassorosso, nonché un livello vicino allo zero di spirito di sopravvivenza: proprio quello che serviva ad un vero acchiappafantasmi™. si era persino preparato con le sue mani (e l'aiuto di Ictus) un'imbottitura speciale che gli copriva il busto, per evitare il fastidioso effetto umido provocato da certi fantasmi quando decidevano di fare i simpatici e passarti attraverso.
    ne andava molto fiero.
    così fiero che aveva dimenticato di mettere i pantaloni, ma si trattava solo un dettaglio nel grande piano della vita.
    e comunque non se n'era nemmeno accorto.
    «come Mister tally man, tally me banana.»
    oh meo deo.
    ficus si fermò di colpo, drizzando le orecchie: la voce (più un guaito a dire la verità) proveniva da dietro l'angolo, solo pochi metri da percorrere prima di incontrare finalmente!!! un fantasma in carne e ossa. cioè. avete capito «daylight come and we want go home.» trattenne il respiro, emozionato come un Paris qualunque di fronte ad una canna, cercando di muoversi furtivo (mission: failed) lungo la parete fino ad arrivare in fondo al muro. li si affacciò, i capelli biondi sparati intorno alla testa dall'elastico degli occhialoni protettivi, il sorriso da squaletto a scemare leggermente ma mano che gli occhi si abituavano all'oscurità. quello accasciato sul pavimento non sembrava affatto un professore francese del sedicesimo secolo assassinato e con la lingua mozzata «ehm..Bartolomé? Signor Darmand????» perché bisognava sempre essere polite, anche con i fantasmi.. e forse soprattutto con loro, poracci!
    tenendo la bacchetta con due dita all'estremità, ficus sporse in avanti il braccio e punzecchió quello di maddox pronto a ritirare velocemente la mano in caso di reazione dello spirito — ma non ce ne fu alcuna: la punta del catalizzatore non gli passò attraverso, come il sedicenne si era aspettato «uh ma te sei vivo!»

    hartley, somewhere: is he thought?

    benjamin ficus millepied
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    Per uno abituato a sentire le voci (e non parlo in maniera metaforica) più o meno tutto il giorno, tutti i giorni, rumori improvvisi non avrebbero dovuto costituire una fonte di preoccupazione; ma essendo Maddox, beh, Maddox, ovviamente al primo tonfo sordo scattò sull’attenti, spalle dritte e sguardo allarmato.
    «calmati, cretino, sarà stato il gatto di qualche studente»
    Già!! Poteva essere come diceva Hartley!!!
    O magari no.
    Magari non era stato un gatto, magari era stato un serial killer.
    «Dentro il castello?»
    DUH??? ERA FORSE COSÌ STRANO????
    «...»
    AH, adesso sceglieva di rimanere in silenzio eh!!
    «Sai cosa?»
    No, ovviamente, non sapeva cosa.
    Rimase in attesa per qualche secondo, sperando che Hart si degnasse di aggiungere una qualsiasi spiegazione alle sue parole, ma non arrivò nulla: la voce nella sua testa rimase in silenzio, e Maddox si sentì improvvisamente solo. Per quanto scorbutico e maleducato, l’altro Rory era pur sempre una compagnia — poco gradita la maggior parte delle volte, certo, ma con la sua voce perennemente presente, per lo meno, Mad si sentiva un po’ meno perso; affrontare il mondo era un po’ meno intollerabile.
    «Cosa?» Suo malgrado, conosceva troppo bene il musone e sapeva si fosse già chiuso a riccio e non avrebbe ricavato alcuna risposta: ma perché non provarci lo stesso, no?
    Nulla. Solo rumore bianco che poteva o non poteva essere la pressione alle stelle che si traduceva in un ronzio fastidioso nelle orecchie: se non l’avessero ucciso i fantasmi o il serial killer (ma quale, poi) (boh, uno.) l’avrebbe fatto l’infarto che era palesemente dietro l’angolo.
    Serrò i pugni, serrò le labbra, e tentò di farsi piccolo piccolo contro la parete, con l’infantile convinzione che meno spazio avesse occupato nel mondo, più difficile sarebbe stato per gli altri vederlo.
    Sarebbe stato molto più facile utilizzare il suo potere e assumere le sembianze di qualsiasi altra cosa ma era pur sempre di Maddox che si parlava: era a tanto così dal corto circuito, figuriamoci se fosse abbastanza lucido da riuscire anche a formulare dei piani intelligenti!!
    Non si era accorto di aver chiuso gli occhi fino a che non si ritrovò a spalancarli, terrorizzato: qualcuno stava urlando, un suono atroce e acuto che riverberava sulle pareti di pietra del corridoio.
    (Spoiler: era stato lui a gridare.)
    «...sì?»
    Non è chiaro se lo stesse chiedendo all'improvvisa presenza che aveva iniziato a pungolarlo, o se quella fosse la risposta ad una domanda opinabile, fatto sta che quando parlò la voce uscì in un filo appena udibile — in netto contrasto con l’urlo da banshee di poco prima.
    «Perché —» alzò lo sguardo, titubante, e si ritrovò ad osservare un ragazzo con occhiali protettivi da aviatore e senza pantaloni.
    Okay, non si sentiva nella posizione di poter giudicare.
    «— non sei vestito?» Still troppo sconvolto per formulare pensieri coerenti, a quanto pare non era neppure in grado di controllare il filtro bocca-cervello. Scosse appena la testa, gli occhi bassi e le punte delle orecchie rosso pomodoro. «Non.... Non devi rispondere. Quello che volevo chiedere in realtà era —» uhm, quale era stata la domanda? Chissà, l’aveva dimenticata.
    (La domanda: “perché lo chiedi? Vuoi forse correggere questo dettaglio e rendermi non-vivo? Ah ah ah, fai pure!! Cosa? Cosa.”)
    (Hartley: «patetico»)
    «Sai come andare via di qua?»
    Da quel corridoio, certo.
    Ma anche da Hogwarts — si sentiva un po’ overwhelmed da tutto.
    maddox
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    ficus, ben10

    «Perché —non sei vestito?»
    ficus smise di pungolare la presenza, il braccio bloccato a mezz'aria. lo aveva colto alla sprovvista con quella domanda trabocchetto: in che senso non era vestito?
    si premette la mano libera sul petto, confermando la presenza della camicia di flanella indossata quella mattina — e ok. poi scese a tastarsi le mutande.
    confuso, guardò maddox.
    maddox lo guardò a sua volta.
    «cacchiolina, non ho i pantaloni!» buongiorno principessa. la cosa più strana, a voler ben guardare, non era il capo di vestiario mancante (quasi una consuetudine per il Millepied), ma che nessuno gliel'avesse fatto notare fino a quel momento. sarebbe stato il soggetto perfetto per sopportare l'accanimento dei peggiori bulli nella scuola, eppure anche quelli preferivano guardarlo in silenzio e inghiottire le battute al veleno naturalmente formate sulla punta della lingua — temevano tutti le conseguenze, e queste non avevano nulla a che fare con il fatto che ficus fosse più alto e più forte di loro.
    temevano i ben10 al gran completo, un plotone che a tratti poteva essere considerato di esecuzione.
    così il Tassorosso poteva continuare a vivere nel suo mondo fatato, lo sguardo un po perso e i boxer con i dinosauri in bella vista, senza che nessuno gli desse il benché minimo fastidio «sentivo un certo freschetto» aggiunse, stringendosi nelle spalle prima di sollevare gli occhialoni sulla testa; confermato che maddox non fosse un fantasma, sebbene non desse molti segni di essere vivo, decise di rinunciare a qualche protezione di troppo. mise via anche la bacchetta (e voi direte: dove? mistero.), accucciandosi accanto allo special «si beh, l'uscita è da quella parte» indicò con il pollice il punto dal quale era arrivato, girato l'angolo alle loro spalle «ti sei perso?» come già detto, Benjamin non era proprio il più sveglio del gruppo, the sharpest tool in the shed - cit. ma il sorriso che rivolse a maddox cancellava qualunque mancanza dal punto di vista intellettivo: percepiva la sua sofferenza quasi a pelle, e da bravo empatico qual era non gli serviva essere sveglio per immedesimarsi. gli batté delicatamente una mano sulla spalla, tenendola poi aperta di fronte al ragazzo — un'offerta. «posso accompagnarti fuori, ho anche la luce! sai, a volte I corridoi sembrano tutti uguali, bisogna conoscerli bene» quasi gongolò a quell'ultima affermazione, gonfiando il petto di un orgoglio che solo lui poteva provare.
    chi altro sarebbe andato così fiero delle proprie esplorazioni nel castello?
    «sei uno studente del prof Henderson?» chiese, rimanendo sempre accucciato al suo fianco, finché maddox non si fosse deciso ad afferrare la sua mano tesa per rimettersi in piedi «non ricordo mai i nomi ma con le facce me la cavo benissimo!» sorrise, di nuovo, un bambinone alto 190 cm con le ginocchia praticamente in bocca.
    non c'era sfida nella voce di ficus, nemmeno la più leggera venatura di disgusto o sarcasmo: non aveva alcun problema nei confronti degli special, nonostante provenisse da una famiglia di purosangue che certo l'astio nei loro confronti aveva provato ad inculcarglielo. ma spazio per l'odio, nel petto del Tassorosso, semplicemente non esisteva «sai, pensavo fossi il fantasma di Bartolomé Durmant! sono cinque anni che cerco di beccarlo, ma niente!» il sorriso sul volto imberbe vacillò appena, la mano libera prese a grattare la nuca tra i capelli biondi. si vedeva che quell'ennesimo fallimento gli pesava enormemente sul cuore, molto più dei pessimi risultati scolastici.
    oh, priorità.

    benjamin ficus millepied
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    aka hartley
    Non gli capitava spesso — anzi, no, non gli capitava mai di trovare qualcuno in cui riconoscersi, ma dopo un primo momento di panico generale, osservando gli occhioni chiari e sinceri del ragazzo che l’aveva pungolato, Maddox ebbe la vaga, ma certa, sensazione di aver beccato un’anima affine alla sua.
    Oblinder chi.
    E mi dispiace per Ficus, perché non è di certo un complimento, ma era innegabile che fosse così; anche lui, come Maddox, sembrava vivere in un mondo tutto suo. Forse per motivi (e in modi) del tutto differenti ma quel «cacchiolina, non ho i pantaloni!» Mad lo sentì nel profondo. Così nell’anima che si permise persino di rilassarsi un po’. Di rilasciare il respiro che aveva trattenuto fino a quel momento e di sciogliere la stretta intorno al proprio busto, un po’ messa lì a protezione e un po’ per assicurarsi di rimanere intatto e di non sbriciolarsi sotto la pressione dell’ansia che minacciava di ucciderlo, prima o poi.
    Riuscì persino ad annuire, un movimento lento e incerto del capo, lo sguardo lontano anni luce dal suggerire esattamente ciò che Maddox non trovava le parole per dire a voce: sì, da un sacco di tempo. Alcuni sostenevano che non si fosse mai trovato, e avevano ragione. La sua risposta, alla fine, fu un tremulo «credo di sì» tirato fuori dalla necessità e dal disagio.
    E da quel sorriso sincero abbastanza da far sì che Maddox evitasse di rannicchiasse ancora di più contro la parete alle sue spalle; lo sguardo che lanciò alla mano offerta in aiuto era solo parzialmente titubante. Non c’era nessuna voce (non c’era Hart) a suggerirgli di non farlo o impegnato a litigare telepaticamente con quella gentile creatura mezza umana, mezza watussa che si era offerta di aiutarlo. Maddox non era abbastanza bravo a giudicare le persone, né nel bene ma soprattutto non nel male, però qualcosa nell’aria un po’ stralunata dell’altro, lo convinse a fidarsi.
    Solo il tempo avrebbe detto se fosse stata una buona idea o no.
    «Grazie.» Prese la mano del mezzo gigante e si tirò su, ancora parzialmente spalmato contro la parete con cui oramai stava intrattenendo una storia d’amore e da cui difficilmente avrebbe voluto saputo separarsi. «posso accompagnarti fuori, ho anche la luce! sai, a volte I corridoi sembrano tutti uguali, bisogna conoscerli bene» «Sembrano Pensa un po’, Mad avrebbe detto che lo fossero. Si guardò intorno: non c’era nulla, niente, che aiutasse a distinguere quel corridoio da altri dieci tutti uguali. «La colpa è anche delle scale.» Quelle maledette!! Che cambiavano all’improvviso!! «Quale mente perversa le ha ideate.....» era una cosa che lo turbava nel profondo. Non lo stava chiedendo nello specifico all’altro, ma ad una rapida occhiata gli sembrava uno che sapesse cose inutili ma interessanti.
    Occhiata complicata, in realtà: forse era meglio quando stavano accucciati entrambi perché, una volta in piedi, Maddox arrivava forse ai fianchi di Ficus. Mio dio, ma con cosa li concimavano i giovani d’oggi?!
    «Sì...» percepì, più che sentire, la presenza di un’aka che lo esortava a dire di più, con una piccola spintarella mentale. «Sono Maddox.» Altra spintarella. «Seguo le lezioni di Henderson.» Altra spintarella. Altra spintarella?! Ma basta, cos’altro doveva dire!! «Tu vai spesso in giro senza mutande?» Nessuna spintarella.
    Maledetti bastardi, che lo lasciavano a briglia sciolta quando sapevano benissimo che non avesse affatto le social skills necessarie per intavolare delle conversazioni.
    «sai, pensavo fossi il fantasma di Bartolomé Durmant! sono cinque anni che cerco di beccarlo, ma niente!» «ohh interessante.» qualsiasi cosa, pur di non dover parlare ancora lui. «e questo Durmant....è uno spirito vendicativo?» chiedeva: l’ultima cosa che voleva era finire sulla traiettoria di fantasmi brutti e cattivi. «fai strada?» dai Ficus, facci uscire da lì.
    maddox
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