double, double; toil and trouble

ft. pervenche

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    Alla terza volta che i Linguini mandavano un rappresentante del clan (ogni volta diverso) a chiedergli se voleva unirsi alla partita, Romolo scattò. «aò, non rompete le palle, c'ho le mie cose.» Mica era prerogativa delle donne avere le palle che giravano vorticosamente una volta al mese, eh.
    Il romano (e romanista) calciò via il pallone nell'angolo più lontano del cortile, costringendo uno dei cugini a corrergli dietro, tra un insulto in dialetto e l'altro.
    Ma sapete cosa? Quel giorno non gli interessava, aveva problemi più grandi — tipo, che ne so, faccio un esempio, la luna piena di quella sera.
    Non poteva farci nulla, c'erano mesi in qui gli prendeva bene e quasi non pensava al problema fino al tramonto, e altri in cui ai svegliava già con la luna (ah ah) storta. Quel mese rientrava nella seconda categoria.
    Era commosso dal modo in cui fratello e cugini fingevano fosse un giorno come gli altri, che lo trattassero di conseguenza e mai con i guanti bianchi o peggio, da appestato, da strano, da pericoloso — ma non importava perché era lui, quella volta, a sentirsi con i nervi a fior di pelle per quella trasformazione imminente.
    C'era un prurito sulla pelle che non riusciva a scacciare via, la sensazione che l'antilupo quella volta non sarebbe stata sufficiente... O forse era solo una paura nascosta che non aveva condiviso con nessuno di loro, quella di perdere il controllo e fare del male a qualcuno a cui teneva.
    Era bravo, di solito, e prendeva la questione sul serio; era forse l'unica cosa nei confronti di cui non si comportasse da cazzone irresponsabile.
    E invece il mese prima l'aveva fatto.
    Aveva (stupidamente, classic Lollo.) creduto che sbronzarsi pesantemente al suo compleanno non sarebbe stato un problema, che avrebbe avuto il tempo di smaltirla, e aveva bevuto come se non ci fosse stato un domani. Ma un domani c'era stato, e aveva portato il plenilunio con sé: forse l'alcol non ancora smaltito, forse qualcosa di sbagliato nella pozione che prendeva sempre, forse chissà, fatto sta che aveva passato la trasformazione più fottutamente brutta degli ultimi dieci anni e aveva seriamente pensato di impazzire.
    Era stato terribile.
    [Aveva chiesto alle Lucrezie se era così che ci si sentiva quando avevano il ciclo, visto che non era la prima volta che tiravano fuori l'analogia, riderendosi a “quel periodo del mese”.]
    Per farla breve, più si avvicinava la luna piena di ottobre e più Lollo si faceva inquieto e preoccupato; aveva preso l'antilupo ogni giorno di quella settimana, ma non l'aveva fatto stare meglio. Il fatto che quella in arrivo fosse, letteralmente, la Luna del Cacciatore, con tanto di sfumature rosso sangue a rendere tutto più inquietante, non lo aiutava affatto.
    E i cugini dovevano averlo percepito, perciò non insistettero ulteriormente, e ripresero a giocare mentre lui si allontanava con Remo.

    La Stamberga era un posto di merda, ma almeno era abbandonata; passando la notte lì, forse, Romolo si sarebbe sentito più tranquillo.
    E gli altri sarebbero stati più al sicuro.
    Era stato Phobos Campbell, l'anno prima, a suggerirgli quel posto come rifugio per le notti più dure; fino a quel giorno Romolo non l'aveva mai usata.
    Non ne aveva avuto bisogno.
    Remo aveva brontolato e cercato di insistere affinché il gemello gli permettesse di rimanere a fargli compagnia fino al tramonto, ma Lollo aveva rifiutato: ora, con la notte pronta a calare, un po' si pentiva di non aver accettato la compagnia dell'altro grifondoro. Avrebbe ucciso per una partita a briscola.
    (Non letteralmente, sperava. Era il punto di quell'auto esilio.)
    Osservò il termos di caffè ai piedi del divano lercio e distrutto («gin ha insistito» grazie dio per avergli donato una cugina così bella e premurosa, tutto quel caffè avrebbe sicuramente aiutato col suo piano geniale di non dormire tutta la notte e rimanere vigile 👌 infallibile) e si strinse nelle coperte che aveva trafugato dalla sala comune.
    Che vita di merda, cazzo.
    Peggio di così non si poteva andare.

    E invece!
    Enter: the french svangapalle.
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    Con atteggiamento (inviperito) indignato, Lilac si girò a braccia incrociate verso Ash e assottigliò lo sguardo. «Perché mi guardi così?» gli domandò quando – comprensibilmente… – l’amico gli lanciò l’ennesima occhiata preoccupata nel posare una balla di fieno a terra. Adesso che il Ketchum si era diplomato, Pervenche non aveva più il suo primo e migliore amico con cui passare le giornate e le mancava la sua compagnia… sconclusionata. E a cosa potevano servire i muscoli di Lilac, se non aiutare Ash e i suoi fratelli alla fattoria??
    Ma quel giorno, Perv stessa sapeva che non era stata il massimo della collaborazione. «Io. Sono. Calmo In fact, non era calmo. Quel mese l’avvicinarsi della luna piena aveva ribaltato il suo umore e, complice il fatto che l’immagine patinata di Lilac era sempre un po’ più sincera e meno costruita con Asher rispetto agli altri, si era comportata in modo odioso. Ma Pervenche non lo avrebbe ammesso, pur essendone consapevole. Ovviamente.
    La luna piena era sempre un periodo critico per più ragioni – il ricordo di accuse infondate, l’avvicinarsi della trasformazione, dover nascondersi dagli occhi altrui –, e quella volta aveva finito per sfogarsi sul suo amico, anche lui licantropo e quindi anche lui in un momento difficile. COMPLIMENTI PERVENCHE SEI PROPRIO UNA VERA AMICA!!! Finì di rastrellare il fieno sporco, le labbra strette tra loro e i pensieri pregni di sensi di colpa; infine si girò verso l’altro. «Okay mi disp-» «BRO TUTTO A POSTO NON PENSARCI!!!!» … Lilac serrò di nuovo la bocca. Non gli aveva neanche dato l’occasione di scusarsi per bene quindi gli rimanevano i sensi di colpa e si arrabbiava per i sensi di colpa e per Ash che aveva interrotto le sue scuse!!!!!!! (tradotto: era la luna.) «SAI CHE TI DICO, NON LE MERITI LE MIE SCUSE!» Inforchettò (il famoso “inforchettare” con il rastrello) un’altra manciata di fieno e continuò a sbuffare, più forte di quanto appena avesse fatto il cavallo accanto a sé.

    Che poi, non le faceva né piacere né dispiacere, trasformarsi in lupo una volta al mese: era… naturale, per lei, che lupo mannaro ci era nata. Fino a qualche anno prima non l’avrebbe sfiorata minimamente, l’idea che potesse fare del male a qualcuno. Ma, se prima aveva la sua famiglia e/o la scuola di Beauxbatons a controllarla, a Hogwarts si sentiva più scoperta. Perché non poteva rischiare – chi, poi? Paranoia – che qualcuno vedesse che Lilac Parker si trasformasse in un lupo mannaro fEmMiNa. Insomma, un paio di dubbietti sarebbero sorti.
    Senza contare che, ora più che mai, Pervenche sentiva la pressione di dover dimostrare che non aveva mai perso il controllo con delle persone nelle notti di luna piena.
    Per evitare fastidi, Perv aveva iniziato a nascondersi nella Stamberga Strillante – e fino a quel momento era stato un ottimo posto!!! Non ci aveva mai trovato nessuno (per fortuna o sfortuna, punti di vista), lì poteva riprendersi con calma dopo la nottataccia e dopo i dolori della trasformazione. Eppure, forse per sesto senso, qualcosa non la faceva stare tranquilla. Anche stavolta, si era come sempre limitata a girare sulle sue quattro zampe non alopeciose (storia lunga.) nelle vicinanze della Stamberga – e persino da lupo, senza la piena lucidità umana, aveva avuto per tutto il tempo una brutta sensazione a percorrerle la spina dorsale, in una presenza sinistra, vaga e impalpabile. Anche stavolta la pozione Antilupo aveva fatto il suo dovere, e senza rendersene conto, quando mancava poco al ritorno in forma umana, l’istinto la guidò all’interno della casa infestata.
    Sul pavimento c’era una coperta, dall’aspetto talmente trasandato che pareva essere stata abbandonata, quando invece era Pervenche ad averla messa lì, accanto alla sua uniforme corvonero: se solo ci fosse stata una telecamera nella stanza, si sarebbe visto un lupo mannaro dal pelo nero e lucido col sedere all’aria, mentre infilava il muso sotto la coperta e spuntava dal lato opposto in tutta comodità. Il tempo stava per scadere e sarebbe potuta tornare al castello. Perfetto. Fantastico. Nessun intoppo-
    E INVECE!!! Ecco la fregatura – cioè un Linguini, ma in effetti (per Perv le due parole erano interscambiabili) lo avrebbe capito solo pochi attimi dopo. Il suo dannato naso aveva captato in ritardo l’odore (di… caffeina….???) di un altro lupo mannaro nascosto a una distanza apparentemente esigua ma che, spinta dall’olfatto, finì per intravedere dietro un divano. Aveva il pelo folto e riccio. Oh nononononononono-
    Riuscì a scappare? Risposta: no, per rimanere in tema. Le ossa avevano già iniziato a cambiare conformazione, comunicandolo con familiari scariche di dolore, assieme al pelo, le zanne, la coda. Un ultimo ringhio di mainagioia (una filosofia di vita che non l’abbandonava neanche nella sua versione pelosa.) e Pervenche si ritrovò con un’altra persona nella stessa stanza, in un aspetto che a Hogwarts nessuno avrebbe dovuto vedere: le sue vere sembianze, e la sua maledetta vera faccia, con capelli neri, occhi castani e tutto il resto. Il panico le esplose dentro, nella confusione totale. Chiunque fosse lì, lo odiava a priori. A occhi sgranati, si strinse la coperta addosso e afferrò il maglioncino blu-bronzo, pronta a correre via.
    E francamente già consapevole che non ci sarebbe riuscita.
    I Linguini le portavano solo sfiga.
    pervenche
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    Edited by ancient‚ - 8/10/2022, 15:13
     
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    In letteralmente tutti i sensi: ma chi è che si stira tirando un rigore, santissiminumi, perché tutte a loro. Erano i Problemi della Vita™, che però in quel momento non tangevano realmente il romanista, che segregato nella Stamberga non aveva assistito a quel momento tragico (Roma-Lecce) ma che avrebbe ben presto saputo — in quel momento, c'erano questioni che premevano di più.
    Sì, più della Roma, quindi pensate un po'.
    Il caffè di Ginevra non aveva fatto minimamente effetto, e dopo l'ennesimo messaggio a Remo («aò me raccomanno, tiemme aggiornato eh» perché era veramente troppo chiedere che dazn prendesse in quel della Strillante .), il capo ultras Grifondoro si era addormentato come un sasso, come una pandi qualsiasi che guarda Hamilton.
    Alla faccia (del bicarbonato di sodio! cit.) della caffeina, eh Ginè: ma che ci aveva messo dentro?
    Spoiler: niente. Assolutamente nulla, la colpa non era della special. La stanchezza che improvvisamente l'aveva raggiunto era tutta farina del suo personalissimo sacco, un sacco che Lollo aveva riempito fino all'orlo nel corso degli ultimi trenta giorni: preoccupazione, ansia, un'incertezza mai provata - nemmeno durante le trasformazioni peggiori, nemmeno durante le prime -, paura: l'auto-esilio le aveva quasi messe tutte da parte, convincendolo inconsciamente che andasse tutto bene, che fosse tutto sistemato. E il sonno che era mancato nelle ultime settimane, era sopraggiunto tutto insieme.
    Non aveva alcuna memoria della trasformazione, né del dolore, né del fastidio: il primo pensiero coerente (o semi, era pur sempre Romolo Linguini, non gli si poteva chiedere troppo.) lo ebbe il mattino dopo.

    Forse l'alba che filtrava dalle assi ammuffite, forse il freddo a soffiare sulla pelle nuda, o forse un respiro che non era il suo.. qualcosa lo svegliò. Non capì cosa, ma non importava: il danno era fatto, e Lollo era sveglio. «Mortacci-» perché era pur sempre lunedì mattina, post luna piena, e quindi mannaggiatuttecose. Imprecare prima ancora di aprire gli occhi era il minimo che potesse fare.
    Si passò una mano sulla faccia, sospirando pesantemente e appuntandosi di insultare Ginevra per il caffè inefficace — un compito aveva avuto, uno (1).
    Senza aprire gli occhi, cercò un lembo della coperta per passarlo sulla figura rannicchiata e vestita solo dei numerosi tatuaggi che gli marchiavano la pelle, ma non trovandolo lanciò il secondo (e terzo) vaffanculo della giornata (appena iniziata, stava forse cercando di finire nel Guinness World Recor?) e costrinse il suo fisico dolorante a mettersi seduto: poteva anche non aver vissuto in maniera consapevole la trasformazione, ma non significava che non fosse avvenuta e che il suo corpo non ne risentisse malamente.
    Fu in quel momento, tra uno scricchiolio di assi e l'altro, che sentì un rumore diverso; o meglio, un non rumore. Passi furtivi, fiato trattenuto e gesti volontariamente controllati: qualcuno stava cercando di uscire da lì di soppiatto. NON SOTTO IL SUO NASO!1!1!
    Scattò in piedi, già dimentico dei dolori alle ossa manco fosse un ottantenne con l'osteoporosi; il divano nascondeva solo parte della sua figura ma, fortunatamente per Perv, i Paesi Bassi erano coperti dallo schienale e dai cuscini. Perché l'ultimo dei pensieri di Lollo in quel momento (ma anche sempre.) era comprire le proprie grazie.
    «T'HO BECCATO!» Con un dito, indicò la ragazza avvolta nella coperta che stava provando a fuggire: povera illusa. «'ndo pensi de annà??» ebbe per lo meno la felice idea di non muoversi dal suo posto, ma rimase comunque ad osservare attento la straniera, per nulla a disagio dal fatto che fossero entrambi vestiti solo dei loro meravigliosi e solari caratteri.
    C'era qualcosa di familiare in lei, e forse era ancora parte della natura di lupo che attardava a rientrare e lasciava alcuni sensi più all'erta di altri, ma Lollo poteva giurare che qualcosa nell'odore della ragazza fosse familiare. Non era la prima volta che lo percepiva, ne era certo, ma allo stesso tempo era anche certo di non averla mai vista prima di allora.
    (Se la sarebbe ricordata.)
    Poi, di punto in bianco l'illuminazione: «sei» Lilloac? «cioè, pure tu-» iniziò a gesticolare, Italiano Style, «nottataccia?» per usare un eufemismo.
    Eppure, cazzo cazzo, sentiva di conoscerla.
    Dai Romolo, vaffanculo, PENSA1!1!1
    Iniziò a pensare.
    Potrebbe volerci un po'.
    romolo
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    Chiunque fosse lì, lo odiava a priori, aveva pensato.
    Ma quando, dopo tutti i suoi sforzi per sgattaiolare nonostante i dolori muscolari da pensionata inoltrata, fu proprio Romolo Linguini a rovinare il suo piano, Pervenche si chiese cosa avesse fatto di male per ritrovarselo sempre tra i piedi. Era stata a Beauxbatons, e si era sorbita i Linguini; era andata a Hogwarts, e si era sorbita di nuovo i Linguini; da mesi passava in pace la notte di luna piena alla Stamberga ed ecco un Linguini.
    Il peggiore di tutti, a suo modesto parere.
    Perv rimase immobile, a fissarlo senza parole e contemplando di cercare qualcuno che potesse liberarla da una maledizione – dai, altrimenti non si spiegava. Non solo era stata scoperta. Era stata scoperta da un dannato, dannatissimo chiacchierone. E, come se questo non bastasse, era… nUdO??? Ahimè, non ebbe alcun riguardo per i sentimenti dell’altro quando strizzò gli occhi d’istinto e si girò di scatto da una parte, un «EEEEW» incontenibile. Perché dai. Romolo con le grazie coperte da un divano. Un’immagine per cui si sarebbe fatta obliviare più che volentieri, allucinante, traumatica. Non tanto perché il ragazzo fosse oggettivamente brutto o chissà cosa – era stata così intenta a evitare la sola vista che neppure aveva avuto la possibilità di elaborare. Chissà, e non era la prima volta che se lo chiedeva, cosa ci facesse Erisha con Romolo Linguini. La ragazza le confessava spesso – o meglio, diceva a Lilac – il timore di essere lasciata dal grifondoro, eppure agli occhi di Perv avrebbe dovuto essere dannatamente il contrario. Tsk tsk.
    Ma non era il tempo di pensare quanto mal sopportasse l’italiano. La sua copertura era appena… saltata. Quasi con certezza. Perché aveva in mano la divisa dei Corvonero e di sicuro l’altro avrebbe notato che una ragazza simile non si era mai vista per Hogwarts – o forse lo faceva più sveglio di quanto non fosse. Strinse la coperta, nascondendo un’espressione seccata. «Mmmmh, via-?» Si bloccò. «Potresti vestirti Ma Eri lo sapeva che Romolo era un nudista? (.) Chiedeva. Maleducato… Non sarebbe stato granché un problema, l’accento francese identico a quello di Lilac; peccato che, sollevando il maglione blu-bronzo davanti a sé come ulteriore precauzione, non si era resa conto fosse quello con ricamato sulla schiena “PARKER” a caratteri cubitali. Ironica, la vita. Continuò dunque a fingere nonchalance, come solo la figlia snob di una famiglia altrettanto snob poteva fare con solo una coperta addosso. «sei» Trattenne il respiro. «cioè, pure tu-» Lo fissò. Forse tramortirlo e sotterrarlo non era una brutta idea. «Cosa.» COSA? PARLA, MALEDIZIONE!!!! «nottataccia?» Ah. Si passò una mano tra i capelli in un gesto impreciso, scrutando – e bramando – l’uscio del salotto. «Io- sì. Luna piena. Non pensavo ci fosse qualcun altro.» Emise una risatina – con tutti i posti che c’erano, proprio quello doveva scegliere il Linguini?? (non c’era il nome di Pervenche sulla Stamberga Strillante, ma certo che l’unico da biasimare era Romolo per aver osato scegliere lo stesso nascondiglio.) «Devo proprio andare,» tagliò corto. Ma con ancora il maglione riportante il cognome di Lilac ben in vista.
    Meraviglioso. Perfetto.
    No.
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    Oh, era lunedì mattina per tutti eh; chi si credeva di essere quella lì, la figlia di Carla Bruni e Sarkozy??? Ma anvedi te questa, aò. Vedete che faceva bene a provare repulsione a pelle per quei mangia baguette a tradimento???? E pensare che c’era ancora gente che gli dava dell’esagerato, boh, davvero: siamo senza parole.
    (Solo parolacce.)
    «EEEEW» «aòòòò ma “ewwww” a chiiiiii» ammazza che figlia di una buona donna, senza salvare la mamma — quella ballerina del Mouling Rouge da du’ spicci. «Potresti vestirti?» Oh, va beh, visto che gliel'aveva chiesto così gentilmente, Romolo si sentì in dovere di rispondere «col cazzo no.» con tanto di braccia allargate per rendere la porzione di pelle nuda visibile sempre maggiore, il sorriso beffardo ad allargarsi sulle labbra. Ma per chi l’aveva preso, DAVVERO DICO!!! A parte che aveva poco da fare la schizzinosa, veniva da una notte di corse nude nella foresta pure lei, quindi: anche meno, sorella. Ma poi. MA POI!!! Perché faceva tanto la pudica? Non aveva mai visto un ragazzo nudo? Peggio per lei; Lollo era anche uno stupendo esemplare di manzo, scusa tanto, cocca — ma quando ti sarebbe ricapitata un’occasione del genere?????
    Storse il naso, solo un pochino ferito nell’orgoglio, incrociando le braccia al petto ma senza fare nulla per coprirsi: mica c’era scritto all’entrata della Stamberga che era vietato girare per la zona come mamma l’aveva fatto, no? E ora che sapeva che le dava fastidio, aveva ancora più voglia di rimanere con le grazie all’aria solo per farle dispetto. TIÈ, beccati questa.
    La squadrò dalla testa ai piedi, o per meglio dire: dalla nuca ai talloni, perché la disgraziata gli stava dando le spalle: forse un invito a farlo muovere dalla sua posizione? OK. Non serviva chiederlo due volte. «Dove vai con tutta questa fretta?» era così curioso di sapere dove scappasse, che inizialmente non aveva nemmeno visto le scritte sulle divisa, che notò solo girando intorno al divano, con l’intento di frapporsi tra lei e la porta. «E, soprattutto, chi sei Moriva dalla voglia di scoprire il suo nome (sicuramente qualcosa di snob e fighettino tipo Brigitte oppure Odette) (non Chanel, perché di Chanel ce n'era solo una e faceva di cognome Totti) ma quando l’occhio gli cadde sulla divisa, si fece pensieroso.
    Studiò le lettere ricamate e lo stemma di corvonero per qualche istante, con estrema attenzione — poi si illuminò.
    «Stesso accento,» di merda, «stesso cognome, stessa casata» che c’entrava? Non lo so. «siete tutte e due francesi» un ragionamento che non faceva una piega, «io lo so chi sei.» La ammonì con un dito, facendole solo a quel punto la grazia di coprire Romolino con una mano, «tu sei la sorella di Lilac Parker!!» #no
    Non aveva capito ovviamente niente — c’era un motivo se quello sveglio, fra loro, era (Gin) Ciruzzo; Lollo, al massimo, era il braccio. Mai la mente.
    «Devo proprio andare,»
    «No no no.» Si spostò quel tanto che bastava per impedirle davvero di uscire da lì, uno sguardo sempre alla divisa. Maschile.
    Lollo guardò Perv.
    Perv guardò Lollo.
    Lollo guardò in camera. «»
    Cosa stava succedendo? Perché per quanto l’ipotesi formulata sembrasse l’unica plausbile, c’erano troppe cose che non tornavano: tipo il fatto che non l’avesse mai vista ad Hogwarts (“magari la divisa gliel’ha prestata il fratello” anche perché non sembrava avere l’età di una studentessa — prrrrrr sei vecchia) e quello decisamente meno trascuarabile dell’odore: ora che era più vicino, era certo di averlo già sentito prima, di averlo beccato più volte di quelle umanamente sopportabili (il tanfo francese aveva delle chiare note di formaggio puzzolente e l’acqua stagnata del fiume Senna). Non poteva essere un caso. Il lupo che era in lui ululava nel suo cervello, costringendolo a fidarsi di quell’intuito che raramente Romolo Linguini ascoltava.
    Non quella volta.
    «LILAAAAC????????????????????»
    Ah. Però.
    Frechete. (cit. Crez at some point)
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    «No.» Cos’è, aveva l’ego così grande che credeva di farle un favore rimanendo con le grazie al vento?? Pervenche sbatté le palpebre, trattenendosi dall’istinto di strappare un’asse di legno dal pavimento della Stamberga per lanciargliela in fronte e poi fuggire. Sì. Era pure un nudista. Li aveva tutti lui i difetti – non che non lo sapesse dai tempi di Beauxbatons. Perché si stupiva?
    Ma comunque. Arricciò la punta del naso in un segno di regale disprezzo, alzando lo sguardo verso il soffitto. Voleva andarsene subito ma, se conosceva bene quel ficcanaso dell’italiano, ciò non avrebbe fatto altro che incuriosirlo di più e torturarla con le sue domande più a lungo. Rilasciò un sospiro secco, ma in francese (ah). «Ho fretta perché ho delle cose da fare,» rispose, rifiutandosi ancora di guardarlo. Cosa fregava a lui del perché avesse fretta? Ma poi come ci era finita in quel guaio?? SENZA PAROLE. Trattenendo il nervosismo (male, probabilmente), si nascose dietro l’impassibilità del suo viso stizzito mentre Romolo si spostava di fronte alla porta. Eh? Strinse le labbra. «Scusa, stai bloccando l’uscita.» L’asse di legno… l’asse di legno… no, non poteva, Erisha ci sarebbe rimasta male se Lollo fosse tornato con un bernoccolo in testa. Fortuna che alla scuola francese lo aveva sempre evitato come la peste. «Chi sono io??» (cit. Mushu) sbottò, assottigliando lo sguardo. L’audacia!!! «Semmai la vera domanda è chi sei tu, non ho tempo per questo. Chi blocca la strada a una sconosciuta??» Perv di malumore at her finest. Ecco perché era convinta che chi amasse il dolce Lilac non potesse amare anche Pervenche, uhuh, giusto un po’ di differenza.
    Da quel momento, la situa iniziò a precipitare in una spirale di disagio.
    «tu sei la sorella di Lilac Parker!!» !!!!!! Sgranò gli occhi. «SI’!!!!!» Non aveva assolutamente senso anche perché Lilac non aveva una sorella (proprio su carta.) (falsa ma sempre carta) MA SI’! Si passò una mano tra i capelli scuri. Ahah, se l’era vista brut-
    Perché si stavano fissando a vicenda. Perché non si spostava dalla porta.
    «LILAAAAC????????????????????»
    Già provata dalla notte di luna piena, Perv divenne pallida pallida. Non riuscì più a controllare il panico, che si palesò sui suoi lineamenti senza più alcun filtro. Per la prima volta dall’inizio del battibecco, esitò. «No, io-» Non aveva previsto quella situazione, non aveva fatto in tempo a fabbricare bugie ben costruite. Deglutì. Chiuse gli occhi, sperando forte che un fulmine colpisse Lollo eliminando il problema ma niente, mainagioia. Fissò il ragazzo, stringendo la presa sulla coperta. Stava impanicando? Stava impanicando. E odiava non avere il controllo della situazione. Dopo un silenzio che le parve troppo lungo e affatto antisgamo, alzò lentamente un indice di fronte all’altro. «Non una parola, Linguini.» Prese un respiro tremulo. «Su quello che hai visto oggi. Non sai niente di me, non hai mai visto la mia faccia. Non sai niente di Lilac.»
    E insomma, GIUSTAMENTE Romolo avrebbe potuto volere delle informazioni, ma Perv stava vedendo la sua bugia scoperta da qualcun altro e non era proprio lucida.
    pervenche
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    «Scusa, stai bloccando l’uscita.»
    Ma non mi dire.
    «A forza de magnà lumache avete sviluppato una percezione sovraumana, eh.......» a questi francesi non sfuggiva proprio nulla. «Semmai la vera domanda è chi sei tu, non ho tempo per questo. Chi blocca la strada a una sconosciuta??» Vabbeh, ma allora lo stava facendo proprio apposta. GLIELE STAVA TIRANDO FUORI SENZA NEMMENO FARE FINTA DI SFORZARSI. Ad una domanda del genere c’era solo una risposta. Romolo serrò brevemente le palpebre, fece un respiro pronfodo e channelizzò il suo inner Albertone eeee «IO SO IO E VOI NUN SIETE UN CAZZO» mi dispiace (saretta) Perv, non la potevamo risparmiare.
    Avrebbe voluto anche ribattere che aveva perfettamente senso bloccare il passaggio ad una che non gliela raccontava affatto giusta, ma poi la storia “Lilac-non-Lilac” prese il sopravvento e buggò il romano (e romanista).
    «LILAAAAC????????????????????»
    Ancora, e sempre.
    Non serviva essere un campione di empatia (o uno con percezione +1, che era più di quanto avesse Romolo di solito) per capire di aver fatto centro. Gol. Colpo di testa al 93esimo e partita chiusa. Lo si poteva leggere chiaramente negli occhi scuri della lupacchiotta, presa contropiede, la difesa troppo alta e una prateria tra loro e la rete: Lollo aveva avuto tutto il tempo per controllare il pallone, cominciare e correre e andare dritto in porta. Francia non aveva avuto scampo. «Tu cosa? EH? EHH???» Oh mio Totti, non ci poteva credere.
    NON.
    CI.
    POTEVA.
    CREDERE.
    Ma cosa stava succedendo al mondo.
    E soprattutto: Lilac aveva un fisico del genere e andava tutti i giorni in giro con quella faccia da stoccafisso?!?! PERCHÈ???? Era come dire che ... Boh, Sabrina Ferilli passava la vita con l’aspetto di Angelo Pintus — non c’entrava un cazzo, esattamente.
    «Non sai niente di Lilac.» Al ché, fece una smorfia di semi approvazione, dimenticando per un attimo l’incredulità. «Beh, fratè... cioè... Sorè???» oddio?? «Si va beh, quello. Voglio dì, nun è che so molto di “LILAC”» con tanto di virgolette mimate in aria e nome pronunciato con fastidiosissima enfasi. «Nemmeno prima sapevo niente.» Tendeva a non dare confidenza a due (tre) categorie di persone: i laziali, i corvonero un po’ sulle sue (e a Lapo, faceva categoria a sé). Lilac rientrava su una delle due.
    Ma chi ptoeva escludere che rientrasse anche nella prima. TUTTO ERA POSSIBILE.
    All’improvviso, per non darle modo davver di sgusciare via, chiuse il poco spazio che rimaneva tra lui e la porta con un braccio. «Tu non te ne vai di qui fino a che non mi spieghi che succede.» E, considerando quanto fosse biondo, di solito, la cosa avrebbe potuto impiegare un bel po’ di quel lunedì mattina. Menomale che erano entrambi scusati per le lezioni, in quanto reduci dalla sbronza luna eccetera eccetera.
    «Dimmi una cosa, tanto per cominciare.» Aveva tipo tremila domande ma non sapeva quante risposte con l’orribile accento francese sarebbe riuscito a sopportare, prima di cedere. «Perché -» mentire, avrebbe chiesto qualcuno. Ma Lollo, being Lollo e non un futuro cacciatore: «hai scelto una faccia tanto scema, come copertura.» Era davvero confuso dalla cosa. L’idea che l’avesse fatto per nascondersi meglio non gli era proprio manco lontanamente balenata per la testa. RIchiedeva un lavoro di neuroni che era un po’ troppo, per lui. «....e ti chiami davvero Lilac? Lo sai che è un nome di merda, sì?» Tante cose potevano dirsi di Romolo Linguini, ma non che non fosse onesto!!!!
    romolo
    Linguini
    I give it all my oxygen,
    so let the flames begin ©
     
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