I live my life a quarter mile at a time.

ouroblivion | ft. Meh

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    Hunter e Mehan si incontrano ogni mattina al parco mentre fanno jogging; giorno dopo giorno iniziano ad aumentare il ritmo per stare al passo con l'altro. Un giorno scatta silenziosamente la sfida per chi completa per primo il giro.


    HUNTER
    OAKES
    Ogni mattina a Londra, come sorge il sole, un Hunter si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di Meh, o non troverà più l’acqua calda sotto la doccia.
    Ogni mattina a Londra, come sorge il sole, Mehan si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di Hunter o farà la doccia ghiacciata.
    A Londra, nell’appartamento Losers, non è importante che tu sia un Hunter o un Meh, l’importante è che cominci a correre.
    Era iniziato tutto come un’attività leggera, da fare giusto per tenersi in forma e sfruttare le prime luci del mattino, quando la città era ancora addormentata e regalava attimi di quiete e solitudine. Una solitudine in compagnia, per essere precisi: sapeva che il Tryhard frequentava il suo stesso parchetto – nonché l’unico in zona – ma ognuno aveva la sua routine, i suoi tempi, il proprio passo.
    Poi, poi qualcosa era andato storto.
    Hunter aveva iniziato a prendere il caffè prima di chiudere la zip della felpa e di allacciare le scarpe, le orecchie tese per captare ogni movimento proveniente dall’altro appartamento. Gli sguardi non erano più di muta comprensione, ma si era acceso qualcosa negli sguardi che si scambiava col compagno ogni volta che si incrociavano.
    Percepiva della tensione, l’Oakes, ma non riusciva a capire cosa lo spingesse ogni giorno, alla stessa ora, a scendere dal letto con un unico intento: essere più veloce di Meh.
    Questo prima della tragedia che li aveva colpiti: la caldaia malfunzionante.
    Il Corvonero, pur ritenendosi in grado di riuscire a smontarla e a rimontarla anche senza l’aiuto della magia, aveva scelto di non farlo, per aggiungere un po’ di pepe in quella sfida silenziosa che, probabilmente, era tutta nella sua testa. Eppure, l’unica cosa – dopo tanto, troppo tempo – a farlo sentire ancora vivo, nonché un essere umano funzionale.
    Correre, ed essere il più veloce, significava solo una cosa: riuscire a beneficiare di ben 5 minuti di acqua calda. Un lusso di quei tempi.
    Ed eccolo lì, con le sue gambettine da fenicottero, pronto a lottare per l’onore, la gloria e la possibilità di lavarsi per primo.
    Aspettava solo il cenno, quello che avrebbe dato il via a quella silenziosa gara.
    Era pronto, come non lo era mai stato prima.
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    mehan
    tryhard
    per poter scrivere questo post, bisogna partire da un presupposto fondamentale — era tutto nella mente di hunter. ok, ci siete? avete capito? vi spiego: la tensione, il nervosismo, l'ansia della sfida, non avevano nulla a che fare con mehan tryhard, sebbene l'amico si fosse da tempo convinto del contrario.
    una classica incomprensione made in Losers che nessuno dei due si era sentito in dovere di spiegare all'altro, e che li aveva portati a correre facendo il giro del quartiere come ne valesse la loro stessa vita; se l'oakes non aveva ben chiaro quando fosse cominciata quella faida di equivoci e non detti, meh era certo di ricordare l'istante preciso.
    e le motivazioni, precise.
    perché di correre il tryhard non ne aveva mai avuta l'intenzione. odiava anche solo l'idea di fare jogging come passatempo, storceva il naso ogni volta che qualcuno (non beh) gli chiedeva di 'fare una corsetta' alle fucking cinque del mattino, non riusciva ad intravedere il fascino della cosa. forse, da ragazzino, aveva persino giurato a se stesso che non l'avrebbe mai fatto, magari dopo l'ennesimo allenamento estenuante cui chelsey costringeva la squadra di quidditch a giorni alterni.
    tempi bui, the darkest timeline.
    e quindi, direte voi, cosa aveva dato il via a quel magico rituale quotidiano mattutino? beh (e non suo fratello), questo è un aneddoto davvero divertente che vi racconterò per prendere tempo mentre Meh si fa la doccia e consuma tutta l'acqua calda prima di uscire di casa. tutto era cominciato una normale mattina di qualche mese prima, a così tanto tempo dal giorno in cui il tryhard e Erin Chipmunks si erano messi ufficialmente insieme che mi fa male il cuore scriverlo; perché vedete, fino a quel preciso momento, mehan non aveva trovato il coraggio per dirle, urlarle!!! quello che provava davvero per lei. certo, glielo dimostrava in ogni momento possibile con tutta una serie di love languages e intricated rituals che abbondavano di quel sentimento mai tenuto celato, ma le due famigerate paroline magiche non gli erano ancora uscite dalla bocca — se ne stavano li, impigliate alle labbra, a volte così sporte sulla punta della lingua che ricacciarle indietro provocava più dolore fisico che sollievo. il perché non riuscisse a pronunciarle ad alta voce, era un mistero.
    ma, dopotutto, aveva aspettato un anno solo per confessare che erin gli piaceva (e altri sei mesi per parlarle di nuovo), e quello era un passo importante. così importante da creargli mille dubbi, non tanto sui propri sentimenti (di quelli era assolutamente certo), ma sul come e dove certe parole fondamentali andassero dette: ci voleva l'occasione giusta, un'organizzazione impeccabile, la certezza™ che la chipmunks non si sarebbe esibita in un panic moonwalk di tutto rispetto. sembrava tanto sicuro di sé, mehan tryhard, ma dopo tutto quel tempo stava ancora a chiedersi come lei avesse potuto scegliere proprio lui.
    anyway, come stavamo dicendo, era una mattina come tante, e meh aveva aperto gli occhi con un profumo di vaniglia a solleticargli le narici, un sorriso ebete stampato sul volto; accanto a lui, Erin dormiva rannicchiata su un fianco, braccia e gambe avvolte in modalità koala attorno... a Nicky. si, quando facevano i pigiama party poi dormivano tutti insieme, ok???? il ragazzo si era alzato piano, cercando di non far rumore, aveva scavalcato una halley placidamente addormentata secca sul pavimento con ancora delle briciole di brownie attorno alla bocca e aveva fatto quello che faceva normalmente prima di andare a lavoro. non pensava si sarebbero svegliate, nessuna di loro, e forse per questo una volta arrivato alla porta d'ingresso dell'appartamento aveva sobbalzato nel sentire due braccia sottili (ma decisamente forti) stringerglisi attorno alla vita.
    che abbia cacciato un urlo lo state dicendo voi, non io.
    «AAAH-ah sei tu!» Erin aveva soffocato una risata nella sua spalla, e poi poggiato sopra il mento «te l'avevo detto di non guardare the Blair Witch Project ieri sera» «non mi sono mica spaventato, figurati» lei lo aveva guardato (giustamente) scettica, ma senza infierire; piuttosto si era messa a sbatacchiare un sacchettino di carta a mezz'aria «ho pensato volessi portarti via qualche brownies.. ce n'è anche per Turo» e a quel punto mehan capitomboló. non fisicamente, perché per qualche strana ragione le gambe lo reggevano ancora, ma qualcosa dentro di lui si fece tanto pesante da avvertirne la caduta libera: era il suo cuore che si esibiva in un mic drop, e non c'era niente che il ventenne potesse fare per evitarlo — non una volta incrociato lo sguardo luminoso di una Erin Chipmunks che si era svegliata apposta per preparargli la colazione al sacco. mentre le stringeva le braccia attorno alla schiena, nascondendo il volto tra i capelli che profumavano di vaniglia, non aveva idea di cosa stesse succedendo; ma il cuore aveva fatto un tuffo di troppo e in acque troppo profonde, risalire era impossibile «grazie Erin, ti amo» era stato poco più di un sussurro nell'orecchio di lei, ma sufficiente.
    avete presente la scena di OC in cui marissa dice per la prima volta a Ryan che lo ama? ecco, i cinque secondi successivi a mehan ricordarono quel preciso momento della puntata, solo che lui si sentiva contemporaneamente marissa e ryan 'gino' atwood: un mix di shock, terrore, ansia e speranza. insopportabile. e se Erin gli avesse risposto, dopo una pausa silenziosa e per niente imbarazzante, grazie? il tryhard sarebbe morto li, sulla soglia di casa, e behan con lui perché il contratto gemellare prevedeva una dipartita in contemporanea o la vita eterna per entrambi — there's no in between. la cosa divertente (non per meh) era che la chipmunks gli aveva concesso ben due secondi senza dire nulla, le labbra piene dischiuse per qualcosa che non era esattamente sorpresa: dentro di sé, Erin già sapeva da tempo. ma sentirselo dire così con nonchalance per la prima volta poteva fare un certo effetto, e un vecchio vizio aveva approfittato di quell'interruzione nello spazio tempo per fare nuovamente capolino.
    in poche parole, mehan era scappato.
    non senza averle prima dato un bacio sulla fronte, ma il succo rimaneva ugualmente che una volta fatto questo aveva ingranato la marcia e se l'era data a gambe; correndo come un matto giù dalle scale della palazzina, quasi schiantandosi contro il portone d'ingresso che si apriva tirando e non spingendo, precipitandosi in strada con un'urgenza che gli infiammava le guance e contorceva lo stomaco. nemmeno si era reso conto di aver marciato a tutta velocità, stantuffando quelle ginocchia secche come pistoni di una macchina da formula 1 (non la Ferrari), e al secondo giro di isolato era tornato all'ovile con i capelli scarmigliati e senza più una sola oncia di ossigeno nei polmoni — ma con una voglia matta di baciare Erin e ripetere quelle due parole altre cento volte (se poi lei gli ha tirato anche una ceffa in faccia non lo so, sta a freme decidere).
    giustamente voi direte 'ma che c'entra tutto questo col fatto che mehan corre???' allora, innanzitutto con quella corsa imbarazzata che li per li era sembrata più una fuga in piena regola, il tryhard aveva scoperto che il jogging sostenuto lo aiutava a mettere insieme le idee, nutrire il neurone, trovare la famosa quadra; in secondo luogo, ma non meno importante, avevo bisogno di mettere per iscritto il mio headcanon sulla prima volta in cui meh ha detto ti amo a Erin e ora mi sento molto meglio, grazie dell'attenzione, scusa babbi.
    scusa anche te hunter, a nome di tutti e due: perché mehan tryhard, come detto, quella mattina una doccia se l'era già fatta (si, andava a lavoro sudato e si lavava di nuovo lì, fa il bagno con gli animali ma che volete oh) — di acqua calda, per gli appartamenti 2a e 2b, non ne era rimasta nemmeno l'ombra. ma questo hunter non doveva saperlo per forza, tanto lo avrebbe comunque scoperto da solo a tempo debito ٩( ᐛ )و.
    arrivó al parco portandosi dietro una scia di bagnoschiuma delicato alla lavanda, il ventenne, e gli occhi nocciola che già sapevamo dove cercare trovarono subito la figura del maggiore: non vedere quello stambecco di hunter sarebbe stato difficile anche in mezzo ad una folla «CHI ARRIVA ULTIMO È PIRLA» — cit.


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    ok mi è leggermente sfuggita la mano. scusa babbi puoi non leggere è quasi tutto un flash back/headcanon mio, sappi solo che meh comincia a correre #cos
     
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    HUNTER
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    Era sempre stato corretto, l’Oakes. Troppo rigido per poter anche solo pensare di fare un ipotetico sgambetto a qualcuno, così incapace di mentire da risultare per chiunque un libro aperto. Troppo onesto e rispettoso da arrivare quasi a pensare che anche gli altri fossero come lui, che ci fosse una sorta di onore in ogni sfida, in ogni competizione, in qualunque gara.
    Per questo un sorriso genuino – e ancora ignaro – sbucò sulle labbra di Hunter quando vide l’altro Loser spuntare nel parchetto, la tipica camminata leggiadra del Tryhard riconoscibile anche a metri di distanza, quando ancora non era poi così definito a causa della distanza.
    Come già detto, Hunter era carico come una molla, pronto a scattare in avanti e a ingaggiare quella consueta gara, dove la velocità delle gambe, l’inerzia e la fisica potevano ben poco contro il horto muso.
    Non si intendeva di ippica, il Guaritore, ma aveva letto da qualche parte che lì dove la stanchezza faceva venire meno le forze e la capacità di lottare, sarebbe bastato buttarci il cuore arrivare al fotofinish con la punta del suo naso. Bastava solo avere un decimo di secondo in più nel piede più dell’altro contendente per portare a casa la doccia del vincitore.
    Tuttavia, fu proprio quella calda ricompensa a immobilizzare l’ex Corvonero sulla linea di partenza.
    C’era stato il segnale del Tryhard, ma anche qualcosa in più. Qualcosa che non si aspettava e che avrebbe potuto cambiare le sorti di quella gara ancor prima di iniziarla.
    Una delicata scia di bagnoschiuma delicato alla lavanda.
    Infamia.
    Ignominia.
    Inganno.
    Slealtà.
    Non erano mai stati quelli i patti, in realtà non c’erano mai stati degli accordi, ma sorvoleremo su questo punto.
    Spalancò le labbra indignato, troppo colpito dalla cosa per poter proferire parola, lo shock ben visibile nei suoi occhi. Non ci poteva, né voleva credere l’Oakes, che viveva nel suo mondo giusto e corretto, dove i cattivi erano… beh, non erano Mehan Tryhard.
    O, almeno, non lo erano stati fino a quel momento.
    Qualcosa scattò, in un punto non precisato, dentro Hunter. Qualcosa che gli fece accendere lo sguardo e muovere i primi passi, incerti e ancora confusi da quello schiaffo morale che aveva appena ricevuto, ma via via sempre più stabili, fino a prendere il ritmo, fino a sentire il sangue pompare nelle vene con la stessa intensità con cui aveva appena urlato “MEHAN TRYHAAAARD.
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    per scattare, Mehan era scattato.
    il problema vero si presentava nel momento di fare i conti con se stesso e con la realtà: non ja poteva fà. va bene la resistenza, ok le gambe muscolose da ballerino, ma il tryhard non era nato per spintare come un velocista — il quarto di miglia alla volta di solito lo macinava von andatura lenta e cadenzata, quasi una marcetta.
    un po come ogni altra cosa nella vita, perché chi andava piano andava sano e lontano (?)
    «CHI ARRIVA ULTIMO È PIRLA» poteva essere l'ultima cosa che avesse mai detto: letteralmente, perché dopo cinque secondi netti di corsa forsennata catapultato in avanti grazie alla sola forza dello spirito di sopravvivenza, meh si sentì morire.
    «basta, pausa» e li cadde come corpo morto cade, stendendosi a pancia in giù sul vialetto del parto, del tutto insensibile ai /colleghi/ joggers che, passandogli accanto nei loro completi quechua in tessuto tecnico altamente trasparente, lo squadravano giudicanti dall'alto verso il basso «é finita, lo ammetto, mi sono lavato» ruotó su se stesso, mani giunte sul petto come il cadavere che era certo di essere in quel momento, gli occhi nocciola velati dalle lacrime (stava soffrendo ok???) rivolte verso l'amico «e dovrò rifarlo, visto che mi sto rotolando per terra come un- ma quanto sei alto, per Merlino» visto da sotto era davvero angosciante.
    e anche un po' irrispettoso, se vogliamo proprio dirla tutta.
    «senti, non è colpa mia, è la doccia che mi chiama. lei mi desidera. io la desidero. siamo fatti per stare insieme» strinse le spalle, riuscendo a mettersi in posizione seduta, due chiazze rosse sulle guance e uno sbuffo di polvere sulla punta del naso. parve pensarci su un attimo, l'ormai ventenne, mentre si spolverava maglietta e le ginocchia «sai.. ho deciso di lasciare Hogwarts. cioè, cambiare lavoro» fare l'assistente non gli dispiaceva, ma nell'anno durante il quale aveva lavorato affianco della de13 si era reso conto di un dettaglio che prima aveva ignorato: odiava andare a scuola senza i suoi amici. anche se non era più uno studente, la sensazione di camminare per i corridoi di Hogwarts assomigliava incredibilmente alla claustrofobia, e osservare la disperazione di tutti quei ragazzini dall'esterno lo faceva sentire persino peggio.
    non lo aveva ancora detto a nessuno, però.
    eccetto hunter in quel preciso momento «sono sicuro che la professoressa capirà. pensavo di chiedere al Serraglio se hanno bisogno..» di nuovo quell'alzata di spalle, le mani poggiate sui fianchi. nel rialzarsi, mehan si era spazzolato anche il sedere: non si lasciava mai niente al caso (?) «che dici?» chiese, dopo un istante di silenzio, osservando il ragazzo dal basso.
    da molto in basso «é che non sono fatto per insegnare, capito? voglio dire, se fai l'assistente è per diventare poi professore, no? almeno, ne ero convinto» una piccola smorfia si dipinse sul volto dell'ex grifondoro, prima che mehan la facesse scomparire con un leggero scuotimento del capo «decisamente non fa per me. anche se-» un sospiro, la mano destra premuta sul cuore «mi mancherà pomiciare con Erin nelle serre» le priorità del tryhard erano chiare, soprattutto perché all'epoca della role ancora Mac non era scomparso e nessuna crisi mistica aveva ancora fatto capolino all'orizzonte.
    e comunque poteva sempre pomiciare con la chipmunks quando si trovavano a casa Losers, no? eh!


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    . non avevo riletto il vecchio post e non ricordavo di aver scritto che meh già lavora al Serraglio.
    dai babbi fingiamo sia ambientata prima di settembrex, abbonamela tvb bacione ❤
     
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    HUNTER
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    Non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta e, per definizione, quello dei Losers ne era pieno.
    Per questo motivo, non v’è da stupirsi se Hunter, prima ancora di vederlo, percepì il corpo di Mehan cedere sotto lo sforzo di quello sprint durato non più di qualche passo. L’ex Corvonero era un ragazzo intelligente, generalmente privo di ogni spirito competitivo – lasciava fosse Halley a sprecare le energie dietro attività che richiedevano un particolare entusiasmo o sforzo fisico -, che provava un certo gusto nel vedere la materia decomporsi sotto il suo sguardo vigile, altrimenti non avrebbe scelto di passare il 90% delle sue giornate chiuso nel seminterrato del San Mungo.
    Capite ora perché si era goduto a fondo ogni istante? Dal momento in cui i muscoli delle gambe dell’amico si erano tesi un battito di ciglia troppo a lungo, alla comparsa prematura del sudore sulle tempie del ballerino, al respiro sempre più corto che diventava strozzato.
    L’affanno era musica per le sue orecchie e il volto provato di Mehan era una stupenda sinfonia.
    Era arrabbiato come solo un Hunter poteva essere, in quella maniera passivo-aggressiva che non richiedeva sforzi particolarmente eccessivi e che era estremamente funzionale allo scopo.
    L’Oakes non era un torturatore, per quanto lo fosse stato in un brevissimo periodo della sua vita, ma doveva infliggere la sua punizione.
    Quando Mehan cadde come corpo morto cade, stramazzando agonizzante al suolo, da buon amico qual era, fece un passo avanti, poi un altro ancora, assicurandosi che l’altro realizzasse.
    Hunter era davanti a lui, un centimetro oltre la linea immaginaria tracciata in maniera perpendicolare al punto più estremo del cadavere del Tryhard.
    “Non sono ultimo.” E, se i sillogismi erano un caposaldo della filosofia di Aristotele, l’Oakes non era un pirla, a differenza del suo interlocutore.
    Lo guardò dall’alto – molto alto, era pur sempre un lungo manico di scopa – al basso, le braccia sui fianchi come ogni volta che si apprestava a fare una ramanzina. Non voleva essere quel componente del gruppo, ma si era reso conto che qualcuno doveva pur farlo, altrimenti il caos avrebbe regnato sovrano.
    Prese un lungo respiro, imprimendo nella mente l’immagine dell’amico morente al suolo, affinché potesse ricordarla e dargli conforto nei momenti tristi, che pareva per lui non fossero destinati a finire.
    “Nessuna pausa, ti sei ritirato.”
    Non una domanda, quanto una semplice affermazione. Se una volta a casa non avesse integrato potassio e magnesio, probabilmente i crampi muscolari avrebbero dato al Loser il benservito, una punizione corporea ben più appagante di quanto il Guaritore non potesse immaginare, soprattutto perché lui sarebbe magicamente sparito, diventando irreperibile per qualche ora. Non era cattivo, non lo era mai stato, ma il patto della doccia era sacro e uno di loro era venuto meno.
    Tuttavia, negli ultimi mesi, si poteva chiaramente dire che qualcosa era cambiato in Hunter. C’era stato uno shift, una leva che era stata tirata, ma non nella giusta direzione, qualcosa che lo stava spingendo ancora di più verso il baratro.
    Non lo si poteva vedere, né percepire chiaramente, ma le sue ossessioni verso gli special, la cura e la morte lo stavano segnando più di quanto lui stesso non fosse in grado di immaginare, tanto meno ammettere.
    “Se non fosse illegale e, soprattutto, se non fossi un mio amico o se fossi credente, farei in modo tu possa lavarti nell’acido, per ripulirti dai tuoi peccati.” Rispose con un sorriso a dir poco rassicurante, niente che l’Oakes non potesse recuperare dal suo laboratorio. Stese ancora di più le labbra, pensando a quanto sarebbe stato esilarante vedere i tessuti dell’epidermide sciogliersi e sfrigolare a contatto con le soluzioni chimiche. “Puoi sempre lavarti con le tue stesse lacrime. Ti conviene metterle da parte perché te ne serviranno un bel po’.” Lapidario sistemò il giacchetto sulle spalle, evitando che quel poco di sudore gli si raffreddasse addosso, costringendolo a prendere un giorno di malattia. “Ma non eri fatto per stare con…???” avrebbe voluto aggiungere un Erin, alzare gli occhi al cielo e dire che le docce non provano sentimenti e che una sua personificazione poteva significare una certa pulsione sessuale nei confronti della sua ragazza e che, in quel caso, avrebbe dovuto smettere di trastullarsi in un ambiente comune, accertando prima che l’amico avesse messo in atto il protocollo igienico del bagno ogni volta che ne faceva uso per altri fini.
    Eppure, tutto gli morì sulle labbra davanti a quelle due semplici frasi. Non sapeva cosa fare, non era molto bravo con l’empatia ed era certo che fosse proprio quello di cui Mehan aveva bisogno in quel momento. E invece si ritrovava davanti il loser più cinico e razionale del gruppo.
    “Se non ti rende felice, è giusto che tu scelga di fare altro.” Fece segno di sedersi sulla panchina più vicina, perché sapeva non fosse un discorso da affrontare in piedi, al crocevia di un parco. Forse avrebbe dovuto offrirgli un po’ della sua bevanda multivitaminica, ma gli rodeva ancora per la doccia, quindi niente.
    “Oltre al Serraglio, hai altre alternative? Hai pensato a cosa fare se non avessero bisogno di un aiuto?” Hunter aveva piena fiducia nelle capacità del Tryhard, ma era pur sempre stato chiamato a fargli da voce della coscienza e non poteva tacere un punto così fondamentale. Si torturò la punta delle dita, le unghie limate da poco che cercavano un appiglio qualsiasi, perché non si sentiva tagliato per poter dare consigli. Lui aveva deciso che sarebbe diventato Guaritore e non aveva mai preso in considerazione la possibilità del fallimento o che non gli potesse piacere, aveva fatto l’impossibile per raggiungere quello scopo e, se anche non fosse stato il lavoro che aveva immaginato fin da bambino, avrebbe continuato a farlo perché così aveva deciso, perché quello era il suo destino. O quello di cui l’Oakes negli anni si era convinto.
    “A prescindere da quello che dirà la professoressa, sei molto coraggioso.” E no, non era scontato lo fosse solo perché Grifondoro. “Magari adesso non hai ancora un’idea precisa di quello che vuoi, ma hai ben chiaro ciò che non fa per te.” Portò la schiena indietro, entrando a contatto col freddo della panchina e rabbrividendo appena. “Prima però non lo sapevi. Essere assistenti o tirocinanti è mettersi alla prova, sperimentare un po’ quello che poi sarà il futuro. Alla fine quest’esperienza ti è comunque servita a qualcosa e ti ha fatto crescere. Non è detto che la professoressa non ti raccomandi al Serraglio, o ovunque tu scelga di lavorare e…” chiuse gli occhi, portandosi due dita a stringere il ponte del naso. “Nelle serre? Mehan, potevi trovare un posto più comodo!” E lui ne sapeva qualcosa. “Ok, magari trovi eccitante l’odore di terriccio e di piante verdi, o gli esemplari carnivori a ogni angolo pronte a staccarti il membro a morsi, ma… c’è un intero parco del Castello! Oppure… beh, altro E no, non parlava di casa Losers. “Davvero avete pomiciato solo lì?”
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