in my defense, I have none.

Firenze | ft. Dominic

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    Si concesse un ultimo sospiro di fronte alla propria, impeccabile, figura riflessa nello specchio della stanza di Chelsey, poi si costrinse a ruotare i tacchi e uscire in soggiorno prima di ripensarci definitivamente.
    Perché di ripensamenti, Nice, ne aveva avuti fin troppo in quell'ultimo anno, ma mai sulla correttezza di quanto intrapreso con Dominic, nonostante molte volte potesse sembrare il contrario. Non aveva alcun dubbio su di loro, ma non poteva dire che valesse lo stesso per tutto il resto.
    Lo sapeva che Dominic si meritava di meglio, di qualcuno che non fosse così spaventata all'idea di essere felice da ostacolare (volontariamente) la propria felicità per contenere i danni; che l'infermiere meritasse, al suo fianco, una persona meno... Nice. Più aperta, più disponibile, più romantica, più buona.
    Non era una sprovveduta, sapeva benissimo che parte di ciò che aveva attratto Dominic era stata la sua aria da regina di ghiaccio e il modo in cui l'aveva tenuto sulle spine per quasi un anno, ma non riusciva a non domandarsi per quanto a lungo avrebbe potuto pretendere che lui stesse al gioco prima di stufarsi e decidere che, infondo, forse non ne valeva la pena.
    Il punto era che Nice, ormai, era giunta alla conclusione di essere felice per la prima volta in tantissimo tempo, e viveva con un peso sul petto che rendeva difficile respirare correttamente, e con il terrore che prima o poi sarebbe successo qualcosa di tremendamente tragico. Non poteva non sentirsi così, la storia (della sua famiglia) insegnava che ogni qualvolta le cose iniziavano ad andare per il verso giusto, succedeva sempre qualcosa che ribaltava la situazione e trasformava quell'enorme felicità in catastrofe.
    Tutte le mattine salutava Albie sulla soglia dell'ufficio dei magiavvocati e il cuore perdeva un battito, e la morsa si stringeva un po' di più il petto, perché — e se questa è l'ultima volta che lo vedo? Non aveva la certezza (non poteva avere la certezza) che il cugino si fosse unito alla resistenza ma lo conosceva, e l'Albert con cui era cresciuta non ci avrebbe pensato due volte prima di seguire le orme dei suoi genitori. Nice non riusciva a capire il perché; la resistenza aveva già tolto loro tantissimo, perché doveva rischiare di perdere anche l'unica famiglia che le fosse rimasta, in nome di una causa più grande? Perché?
    Erano risposte che Nice non trovava, ma certe volte le bastava stringere le braccia intorno alla vita del biondo infermiere e la stretta che le impediva il respiro si allentava un po' di più — prima che la consapevolezza tornasse a farsi largo, con forza e decisione, ricordandole che una persona amata in più, in quel mondo, era una persona in più da piangere in futuro.
    Nice Hillcox era spaventata all'idea di perdere qualcun altro, ma suo malgrado la lista di persone care si era inevitabilmente allungata dal suo arrivo in quel tempo, e ora non poteva più tornare indietro.
    Non con Hyde, non con Jek, non con Chelsey o Amalie; di certo non con Dominic.
    Era sempre stata brava a mentire, una figlia d'arte, e a lungo era stata in grado di ingannare persino se stessa; ma da un po' di tempo, ormai, le sue scuse non reggevano più e sapeva che trovarne di nuove, giorno dopo giorni, era ormai un'inutile perdita di tempo. L'amortentia che aveva bevuto a dicembre era bella che passata, uscita completamente dal suo sistema, eppure i sentimenti nei confronti del Cavendish non erano mutati né si erano smussati — anzi, se possibile, si erano persino intensificati.
    Sapeva che se avesse detto ad alta voce come si sentiva veramente, avrebbe rotto parte dell'incanto che aveva portato Dom dalla sua parte; se si fosse dimostrata per quello che era (impaurita all'idea di affezionarsi e perdere di nuovo) e avesse lasciato intravedere una personalità (fragile) dietro la spessa armatura di gelo che aveva tirato su con gli anni, sentiva che avrebbe comunque perso qualcosa. Forse credibilità, forse il vantaggio, forse parte del suo charme; forse avrebbe perso Dominic.
    Ma l'avrebbe perso ugualmente — se non si fosse decisa a fare qualcosa. Non poteva vivere per sempre a metà; non sarebbe stato corretto nei confronti dell'ex corvonero.

    Purtroppo, o per fortuna, aveva preso sempre a modello l'amore imperfetto, e per questo genuino, dei suoi genitori — e il loro modo di non fare mai assolutamente nulla di moderato: con gli zomeron era sempre così, o niente o troppo.
    E per Nice valeva lo stesso.
    Strinse le braccia al petto, mentre un leggero venticello le solleticava il collo e le gambe, e portava con sé una dolce melodia suonata qualche traversa più in là da un musicista di strada. Intorno a lei, le coppie passeggiavano, i loro passi risuonavano sul marciapiede di ciottoli e le loro risate affiatate strapparono un sorriso amaro alla stilista: sembravano tutti così felici, così innamorati.
    Lei, dal canto suo, non l'aveva mai cercato quel genere di sentimento eppure era riuscita comunque a trovarlo: quella persona che le facesse battere il cuore ad un ritmo un po' più incalzante, la persona in grado di sorprenderla con gesti inaspettati e premurosi.
    Non aveva mai creduto di poter essere in grado di far entrare qualcuno nel suo cuore nel modo in cui Dominic si era insinuato; e se era stato l'aspetto di Heathcliff a farla avvicinare, al suo arrivo nel 2020, era stato Dominic a farla innamorare. Non riusicva a crede a quanto sdolcinato suonassero quei pensieri — ma era così.
    E forse quella sera avrebbe trovato il coraggio di dimostrarglielo, in un ristorantino italiano in quel di Firenze, in maniera tutta sua.
    Doveva solo attendere che Dominic si Materializzasse nel luogo dell'appuntamento, perché era certa che l'avrebbe fatto, era troppo Dominic per darle buca senza neppure avvisare, ed allora, davanti ad una cenetta italiana perfettamente deliziosa, gli avrebbe offerto l'unica cosa onesta che poteva dargli: la verità.
    Per una volta nella vita, sarebbe stata sincera.
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    «dai Chel ma come sono uguali no che non lo sono, te l'ho già detto: questo è solo tulipani e questo invece è tulipani e rose, questo ha le sfumature con colori freddi e questo con colori caldi, questo ha il nastro rosso e questo è senza nastro» il viso del biondo, fino a quel momento nascosto dietro i due mazzi – diversi – di fiori, riemerse solo per sospirare un po' stanco e demoralizzato. Si prese del tempo per guardare ancora una volta attentamente le due composizioni e poi le posizionò con delicatezza sulla panchina opposta a quella su cui era seduta la battitrice, dandole le spalle e nonostante tutto continuando comunque a parlarle «cioè non ti chiedo mai niente, dovevi prestare attenzione solo per un attimo» si lamentò ancora passandosi una mano sul viso, poi tra i capelli «un» (1) enfatizzò alzando anche l'indice della mano destra «attimo solo, diamine» chiuse gli occhi e li strizzò con forza, mentre stringeva le dita intorno alle ciocche bionde dei capelli, ma non se li strappò – almeno non per il momento. Qualcuno avrebbe potuto pensare che quella disperazione fosse tipica dell’ex corvonero, già abituato a ingigantire questioni minuscole e insignificanti per adempiere al proprio ruolo di drama queen, o come conseguenza di un’ansia improvvisa e immotivata; ma a dire il vero, tutto quello era assolutamente insolito. Non erano le conosciute amiche di sempre confusione e incertezza a farlo stare fermo immobile davanti a quella panchina, con la gola secca e il fiato corto; non aveva mai provato quel vuoto allo stomaco così profondo da rischiare di fargli perdere l’equilibrio, o quel mal di testa così lancinante da desiderare di farsi esplodere la testa, non aveva mai avuto l’istinto di piangere e di urlare contemporaneamente, e poteva giurare che in anni e anni di amicizia non aveva mai e poi mai risposto male a Chelsey – anche quando era nella modalità fangirl più insopportabile. «non ha senso questa amicizia se poi non te ne frega un cazzo quando mi serve una mano e non ci sei mai» sbottò con uno sbuffo nervoso e un vago gesto della mano. Fortunatamente, Dominic si rese immediatamente conto della gran cazzata che aveva appena detto, e con uno scatto tornò a girarsi di nuovo di fronte alla battitrice, con il viso palesemente rosso dall’imbarazzo e l’espressione dispiaciuta. Si avvicinò lentamente – è pericoloso fare movimenti bruschi di fronte a un animale selvaggio – e arrivò a pochi centimetri dalla sua figura, portando la mano destra all’altezza del petto «scusa Chel, scusa, perdonami davvero scusami» e gli occhi lucidi potevano dimostrare che non fossero semplici parole di circostanza, ma che fosse davvero sincero. Prese posto accanto alla rossa sulla panchina, ma girò il mezzobusto verso di lei e allargò le braccia, lasciando il petto un bersaglio scoperto per la sua successiva proposta «colpiscimi dai, me lo merito» non che la Weasley avesse bisogno di una particolare autorizzazione per colpirlo, ma gli sembrava comunque un ottimo compromesso per raggiungere una parità – dopotutto, non aveva posto limiti a quanto potesse colpirlo, ed era anche abbastanza sicuro che Chelsey non riteneva le sue parole così serie e gravi quanto le ritenesse lui.
    La cosa che tra le altre destava forse maggior preoccupazione nel biondo era proprio che non pensasse nulla di quello che aveva appena detto, e sapeva perfettamente che fossero tutte cazzate. Per quanto fastidiosa, rumorosa, petulante, ignara della necessità dell’uomo di avere uno spazio fisico proprio, e ancora rumorosa e petulante Chelsey fosse, c’era un motivo (a parte Elwyn) per cui Dominic passava così tanto tempo insieme a lei: in qualche modo i due si trovavano, e incredibilmente lei l’aveva aiutato tanto; quando aveva scoperto del 2043 e aveva avuto bisogno di parlare, Chelsey era addirittura riuscita a stare in silenzio per più di 2 minuti consecutivi, e quando era in crisi per Nice era andato a stressare Chelsey, che okay non l’aveva proprio ascoltato perché la rossa non ascoltava mai per davvero, però gli aveva comunque dato la possibilità di sfogarsi e soprattutto gli aveva passato importantissime informazioni sulla vigilante. Con queste premesse, quindi, è chiaro che le accuse di poco prima alla minore non avessero ragione d’esistere, e Dominic lo sapeva, ma non sapeva né perché né come gli fosse venuto in mente di dire quelle cose; beh, qualche motivo poteva trovarlo, ma insomma, non credeva fosse davvero sufficiente a scusare un comportamento di merda come il suo; ci provò ugualmente, comunque «scusa Chel davvero non lo penso davvero sono solo…» si passò una mano tra i capelli, poi affondò il viso nel palmo delle mani e sospirò «…stressato».
    Per quanto quella del Cavendish suonasse come una scusa banale e anche piuttosto paraculo, però, aveva detto la verità. È vero, Dominic diceva spesso di essere stressato, e in parte era vero anche quello, ma in quel periodo sentiva di essere arrivato quasi al limite, e anche le situazioni che avrebbero dovuto farlo sentire al sicuro lo stancavano mentalmente. Non sapeva dire esattamente come fosse cominciata, e si vergognava anche solo a pensare che la consegna della lettera da parte di Hunter, un evento successo ormai un anno e mezzo prima, fosse stato l’evento catalizzatore, ma senz’ombra di dubbio era stato un momento topico; tra gli altri, poi, sicuramente c’era da aggiungere la stessa storia confusa con l’ex serpeverde, l’anno di stallo, e poi i suoi rifiuti, e poi i suoi avvicinamenti (ma mai decisivi), e poi lavorare fianco a fianco con Dakota in infermeria, sbirciare con particolare attenzione gli allenamenti corvonero per poter osservare Joey e interessarsi particolarmente delle lezione degli special per prestare più attenzione a Hans – consapevole di cercare in entrambi il motivo della scelta di Heathcliff –, e l’essere divisi tra la consapevolezza di non essere davvero un Cavendish e la volontà, comunque, di essere all’altezza.
    Ci aveva provato, continuava a provarci, nonostante sentisse di essere sempre più lontano dai loro princìpi.
    Aveva deciso di lasciare Hogwarts perché non lo sentiva più un ambiente suo, non riusciva più a godersi come una volta il castello, non si sentiva più a suo agio in infermeria e con i diplomi prima di Nice, poi di Joey e Hans, sentiva di non avere neanche più un motivo per restare lì. Ai Cavendish, però, aveva biascicato solo qualcosa sul fatto che la scuola non fosse più come quella di una volta, che avesse bisogno di cambiare aria, e a quel punto si era meritato una vigorosa pacca sulla spalla dal padre, che fieramente aveva iniziato la sua filippica con parole che in tempi non sospetti Dominic avrebbe pagato per sentirsi dire «sono d’accordo, è una saggia scelta, sono molto contento che tu abbia preso questa decisione» che gli avevano fatto drizzare le spalle in un certo moto di fierezza, ma solo per un attimo. «penso anch’io che quella scuola sia degenerata, hanno fatto entrare chiunque, ci sono insegnanti scansafatiche e hanno dato troppo potere e spazio a questi special, dovrebbero fargli una scuola da parte e non farli mischiare con i maghi, vedrai che il San Mungo sarà il posto perfetto per te» allora aveva tirato un sorriso mesto e aveva chinato il capo, consapevole che se avessero saputo che uno dei motivi per cui lui era arrivato fin lì era proprio uno special, suo fratello, non gli avrebbero riservato affatto lo stesso sguardo pieno di ammirazione – e che quindi non sarebbe mai potuto essere pienamente se stesso – o il se stesso che stava scoprendo e che stava diventando, perlomeno.
    E il San Mungo sarebbe stato veramente il posto adatto per lui? Forse sì, forse no. Diciamo che se avesse avuto la certezza di aver avuto il posto di guaritore (e poi di responsabile?? scusa dom prima o poi farò la role di prova) per meriti esclusivamente suoi e non per il cognome che si portava dietro, si sarebbe sentito meno inappropriato; ma non era quello il caso, e che il Signor Cavendish avesse o meno fatto quella chiamata per assicurare al figlio un posto non importava davvero, perché l'ex corvonero continuava a sentirsi un impostore.
    Gli Almighty Gunners (nome forse non confermato, poi chiederò ad Alice, ora non è il momento sta giocando il Milan) erano stati per un bel po’ di tempo l’unico motivo per cui Dominic si era tenuto integro, complici l’esaltazione, la foga, l’emozione dei primi momenti; poi erano sopraggiunti i primi fattori di stress anche lì: la voglia di rendere fiero Elwyn, di fare qualcosa di importante, l’ansia di dover avere tutto sotto controllo, di assicurarsi che non ci fossero rischi di infortuni, che fossero tutti abbastanza in forma, che nessuno si facesse male.
    Insomma, solitamente Dominic si sentiva a disagio e desiderava sparire, ma nell’ultimo periodo sentiva piuttosto solo un forte bisogno di urlare così forte da stancarsi, accasciarsi a terra, e addormentarsi.
    L’unico momento in cui la sua testa riusciva a concedersi una pausa e il suo cuore a riposarsi un po’, a scaldarsi, e a battere in modo piacevolmente irregolare, era quando si trovava in compagnia di Nice; quando, stretti in un abbraccio, lei gli concedeva la possibilità di affondare il naso tra i suoi capelli, bearsi del loro profumo e lasciarle un bacio tra questi, o quando restava in silenzio a guardarla destreggiarsi tra diversi cartamodello o tra diversi tessuti, quando si rivestiva in fretta per andare al ministero la mattina, e quando restava a dormire da lui e si costringeva a restare sveglio due minuti in più di lei per prendersi il tempo per studiare i lineamenti rilassati del suo viso, la curva del suo collo, e passare lentamente la punta delle dita lungo tutto il suo braccio in una carezza appena accennata per non farla svegliare.
    Non sapeva come e non sapeva perché, non sapeva se era stata la sua freddezza iniziale, il suo continuo giocare con lui, il suo sorriso bastardo o il suo continuo allontanarlo e poi avvicinarlo, ma in un punto imprecisato tra tutti questi eventi Dominic si era innamorato. Non si dava pace, non se ne capacitava, non poteva essere vero, perché un saggio detto dice che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico, e innamorarsi un’altra volta di una ragazza che gli avrebbe sicuramente spezzato il cuore – ed era già sulla buona strada per farlo – era sicuramente un atto diabolico verso se stesso, e soprattutto perché per un ragazzo che da un anno e mezzo stava inseguendo disperatamente la verità, innamorarsi di una ragazza che non aveva fatto altro che mentirgli era veramente stupido – oltre che, anche in questo caso, estremamente diabolico.
    Ma era successo. E ora gli restava ben poco da fare se non limitare i danni. Non voleva perderla, non poteva permettersi di perdere Nice, ma questo implicava non commettere neanche il minimo sbaglio, e quindi essere completamente e assolutamente non-Dominic. Aveva già sbagliato abbondantemente, l’ex corvonero, tentando di ricevere dalla vigilante delle risposte che lei non poteva (ma soprattutto non voleva) dargli, cercando di velocizzare le cose con lei, provando a trattenerla la notte del prom, chiedendole di ballare insieme – era stata una mossa stupida, folle, e un po’ adolescenziale, e a ripensarci voleva solo prendere a testate il muro –, cercando di dimostrare quanto significasse per lui con regali che pensava le avrebbero fatto piacere, e poi le canzoni, e… asfuhasyfhbaf a tratti voleva veramente strapparsi i capelli e prendersi a schiaffi da solo per tutti gli errori che aveva fatto e che continuava a fare, e per questo ora si sentiva sempre in bilico, sorretto da (un’insensata voglia di equilibrio) chissà quale pazienza che la stilista stava dimostrando nei suoi confronti. Per questo non poteva sbagliare più niente, non poteva permettersi di fare ancora domande stupide o bambinesche, o di metterla a disagio con regali e canzoni, e sentiva di non poter sbagliare neppure mazzo di fiori e rischiare di buttare al vento l’appuntamento che lei gli aveva dato.
    Alla fine si alzò lentamente dalla panchina e con un sospiro recuperò entrambi i mazzi di fiori per porgerne uno a Chelsey prima di salutarla con un bacio sulla fronte «questi dalli a Jekyll, apprezzerà sicuramente» perché era certo, anzi più che certo, che nelle mani dell’ex grifondoro sarebbero morti nel giro di tre nanosecondi.

    E la battitrice l’aveva colpito, eccome se l’aveva colpito, figuriamoci se avesse mai potuto farsi scappare un’occasione simile; avevano trovato un accordo, però, ed era riuscito a farsi risparmiare il viso, così quando arrivò nella cittadina italiana non aveva nessun occhio nero, si era dato una sistemata ai capelli e aveva indossato una nuova, pulita, stirata, e profumata camicia.
    Rimase in silenzio per un po’, le iridi azzurre fisse sulla figura di Nice, e il cuore che gli andava un po’ a vento. «scusa il ritardo» non era in ritardo, ma doveva dire qualcosa per rompere il silenzio e quella gli era sembrata la cosa meno stupida «ero indeciso, non sapevo che fare e…» iniziò a spiegare, ma poi si fermò per scuotere la testa con decisione e poi affrettarsi a correggersi «non su di te, ovviamente, volevo venire, non avevo dubbi su questo, erano solo…» la gola era iniziata a seccarsi, la bocca non era più tanto collegata al cervello, ed era sicuro di aver preso anche un bel colore rossastro sulle guance e forse un po’ su tutto il viso. Abbassò lo sguardo per l’imbarazzo, ma almeno aveva la scusa di guardare il mazzo di fiori «i fiori. sono per te.» magari se avesse usato solo frasi nominali avrebbe fatto meno casini «ero indeciso, c’erano diversi colori e tipi, non sapevo cosa preferissi, ho pensato che…» sospirò in evidente difficoltà poi allungò la mano che reggeva il mazzo verso Nice «spero ti piacciano» tagliò corto infine, e solo a quel punto alzò di nuovo gli occhi verso di lei e allungò l’angolo delle labbra in un sorriso imbarazzato. «sei bellissima» fu appena un mormorio, forse quasi involontario, perché subito dopo si morse leggermente la lingua e socchiuse gli occhi, consapevole di aver sbagliato. Ancora una volta.
    'Cause when I lay my head to rest
    I hope that it's always next to you

    il mio nuovo obiettivo personale è avere role di Dominic tutte con pv diversi, vediamo a quanti pv arrivo
     
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    Nice Hillcox non era abituata a sentirsi in apprensione per qualcosa e, francamente, odiava quella nuova, sconosciuta, sensazione; starsene lì, in piedi di fronte al ristorante, le braccia incrociate al petto e lo sguardo a saettare da una parte all’altra della via nella speranza di vedere spuntare il viso che stava aspettando (uno dei tanti, ciao zia) andarle incontro era davvero frustrante. L’inquietudine derivante dal non sapere come sarebbe andata a finire quella sera la stava gettando nello sconforto ancora prima di ritrovarsi ad affrontare davvero Dominic; non poteva negare di aver già ceduto abbastanza terreno al pessimismo in quei minuti di attesa, temendo di sapere, nel suo cuore, il possibile esito della cena.
    Se in quel momento fosse la sua parte razionale a suggerire che avrebbe fallito, o se fosse la parte di Nice più spaventata, che continuava a cercare di sabotare la felicità della stilista in qualsiasi modo, non era chiaro; sapeva solo che quella preoccupazione era lì, le attanagliava lo stomaco e le faceva tenere un tempo veloce e tutto suo con il dito picchiettato contro il braccio opposto. Logorava i nervi, avvelenava ogni pensiero positivo che lei riusciva, a fatica, a far sbocciare.
    Era un’agitazione diversa da quella che provava solitamente quando salutava Albie la mattina, sebbene anche quella aveva tutte le carte in tavola per distruggerla piano piano da dentro; questo nuovo veleno che aveva in corpo era un timore più viscerale, atroce — quello di fallire in qualcosa a cui teneva incredibilmente.
    No, anzi, non era nemmeno così che si sentiva.
    Moltissime notti era rimasta sveglia ad ultimare bozzetti, o a combattere con ago e filo senza badare alle dita sanguinanti e stanche: se pensava al fallimento della propria carriera (appena avviata) sentiva una ferocia nascerle da dentro che la spingeva a fare di più, a fare meglio. Quando temeva di non arrivare a realizzare i propri sogni, Nice entrava in modalità overachiever e chiudeva fuori qualsiasi dubbio e qualsiasi informazione non ruotasse esclusivamente intorno alla sua linea, alla moda, alla sua missione. Quel tipo di ansia l’aveva sempre aiutata a non fallire; aveva alimentato la sua ambizione e la sua ostinatezza, e l’aveva resa la giovane donna in carriera che era. Persino al ministero era riuscita a fare enormi avanzamenti grazie alla sua determinazione.
    Ciò che stava provando in quel momento, l’apice di qualcosa che si era accumulato nel corso dei mesi, era del tutto differente.
    Era come trovarsi di fronte ad un precipizio e avere ad un passo di distanza solamente il vuoto: terrificante. Sentiva già il terreno mancarle sotto i piedi, e una vocina nella testa che le suggeriva di tornare indietro, tornare al sicuro e allontanarsi da lì. Perché rischiare?
    Valeva la pena saltare , volare, se alla fine della caduta c’era solo la promessa di una sofferenza già scritta e fatale?
    Valeva la pena strappare via l’armatura e mostrarsi per ciò che era, col rischio di essere ferita?
    Perchè da quello non si tornava indietro. Non c’erano cerotti abbastanza grandi da applicare su un cuore infranto, e Nice sentiva che se avesse scelto di proseguire con il suo piano, avrebbero perso qualcosa entrambi.
    Doveva solo essere onesta con se stessa e ammettere se fosse disposta a soffrire ma regalare a Dominic delle verità che meritava già da tempo.
    Con un sospiro pesante, si rese conto di essere già a metà della caduta e di non essersene nemmeno accorta: la possibilità di tornare indietro era una fantasia nella quale si crogiolava nella speranza di potersi proteggere, ma non era davvero un’opzione fattibile.
    Perché Dominic era lì, e la osservava con gli occhi pieni di adorazione di sempre e Nice sentì di non avere alcun diritto di tenere quelle informazioni per sé; fingere di non sapere nulla poteva andare avanti solo fino ad un certo punto, e il treno di omissioni e diversivi su cui viaggiava la Hillcox aveva raggiunto il capolinea.
    «Non sei in ritardo,» si affrettò a mettere un punto al fiume di parole tipico del Cavendish — poteva anche cambiare taglio di barba e fingersi una persona diversa (badum tss) ma la parlantina nervosa e impacciata l’avrebbe tradito sempre.
    Non avrebbe mai ammesso, neppure a se stessa, che il pensiero di un Dom “indeciso” su cosa fare (probabilmente in relazione a quell’appuntamento) aveva contribuito a stringere la morsa al petto iniziata già da tutte le altre preoccupazioni. Il fatto che lui avesse sottolineato che non fosse quello il motivo non la tranquillizzava: Nice stava proiettando tutti i suoi dubbi, tutte le sue paure, su quella relazione, ed era convinta che Dominic ce l’avesse con lei, o che avesse davvero ripensamenti sulla loro storia.
    Ah, l’ansia. Che brutta bestia!
    Perché era così difficile provare emozioni? Terribile, non lo consigliava: c’era un motivo se aveva chiuso il suo cuore anni prima, dannato 2020 e dannato viaggio nel tempo! Stavano letteralmente sciogliendo tutte le sue difese; non era più l’Antartide, ma uno stupido pezzo di iceberg alla deriva: sapeva ancora fare danni, certo, ma il suo destino era segnato.
    Accettò i fiori, tenendo lo sguardo basso sui petali profumati perché era difficile ragionare a mente lucida se alzava le iridi azzurre e incontrava quelle altrettanto chiare del Cavendish. «Sono molto belli.» La prima verità della serata: quella, per lo meno, era stata semplice. I fiori erano davvero molto belli.
    Il mormorio di Dom la portò, infine, ad alzare la testa: perché era così... così.... cOsÌ dannatamente Dominic?
    Suo malgrado, Nice sentì le gote e le punte delle orecchie accendersi, nemmeno fosse una scolaretta alla prima cotta. Era una donna adulta, per Morgana!!!
    Nice Constance Cox-Hill, datti un contegno”, l’ammonì la voce nella sua testa — che suonava come quella di Florrie. Il fatto che si trovassero a Firenze non fece nulla per evitare il tuffo al cuore che provò al solo pensiero della sorella maggiore.
    Tirò le labbra in un sorriso sincero, spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mettendo in mostra gli orecchini che lo stesso (ex) infermiere le aveva regalato il Natale precedente. «Grazie.» Rispondere “lo so” sarebbe stato maleducato ma non una bugia: Nice indossava una sua creazione e nessuno sapeva valorizzare le sue forme come... beh, lei stessa. «Anche tu non sei niente male Sì ripeteva che doveva alleggerire un po’ l’atmosfera o non sarebbero arrivati vivi alla prima portata.
    Si avvicinò dunque al Cavendish, la mano libera dai fiori a posarsi delicatamente sulla barba curata dell’altro. «Hai qualcosa di diverso,» lo studiò un attimo più del dovuto, in punta di piedi e abbastanza vicina da respirare il suo profumo: Domenic Cavendish odorava di sigarette e prodotti per la barba — una fragranza così particolare e familiare che Nice avrebbe riconosciuto ovunque.
    Un pensiero, quello, in grado di terrorizzarla. Ma la piega divertita sulle labbra cremisi non vacillò. «Ti dona.»
    Poi, con molta calma ma senza dimostrare incertezza, chiuse definitivamente lo spazio che li separava, facendo scivolare la mano dietro la nuca del ragazzo, e gli lasciò un bacio a fior di labbra, il sorriso ad allargarsi un po’ nonostante tutto — perché checché ne dicesse lei, si era innamorata di Domenic Cavendish e quella era la seconda verità della serata.
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    scusa zia, scusa dom. ed è passato un sacco di tempo, mannaggia. spesso fallisco anche io çç PERDONATEMI VI AMIAMO UN SACCO
     
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    Non era stata colpa sua – non era stata totalmente colpa sua; lo sguardo languido e gli occhi sognanti, quelli erano stati decisamente pescati dal repertorio di Dominic Cavendish™, ma per una volta tanto non si sentiva di accollarsi la colpa anche di tutto il resto. Si potrebbe obiettare che dopo un anno avrebbe dovuto essere almeno un po’ abituato a quella sensazione, che si sarebbe dovuto far trovare pronto, ma, andiamo, chi lo sarebbe mai stato al posto suo?
    Gli capitava spesso di alzare in modo accidentale lo sguardo e di fermarsi a guardarla, e non per forza immaginando o desiderando qualcosa, la maggior parte delle volte, anzi, il suo era uno sguardo di pura e semplice ammirazione. Gli piaceva guardare il modo in cui sembrava così imperturbabile e rilassata mentre trasferiva su carta un modello che aveva in mente da tempo, come facesse sembrare assolutamente semplice passare il filo nella cruna dell’ago, come il movimento delle sue dita apparisse così naturale da sembrare impossibile ai suoi occhi; gli piaceva guardarla mentre si alzava dal letto, la schiena nuda a sollevarsi delicatamente dal materasso senza fare una piega neanche di fronte alle temperature inglesi più rigide, e come avanzava con così tanta leggerezza sul pavimento che Dominic aveva pensato per un attimo che stesse camminando in punta di piedi. Ancora, gli piaceva osservarla quando era sovrappensiero e arrotolava distrattamente una ciocca dei capelli attorno al suo dito, come arricciava la punta del naso di fronte a qualcosa che riteneva di cattivo gusto, o come distendeva le labbra in un sorriso quando il gatto le faceva le fusa. Ricordava perfettamente di essere rimasto a guardarla in silenzio e con la bocca spalancata per almeno venti secondi durante il loro primo incontro, e poteva giurare di sapere dire perfettamente il numero di volte che era solita scuotere la testa e far oscillare i capelli quando passava davanti l’infermeria a Hogwarts e continuava senza degnarlo di uno sguardo per i corridoi. Insomma, per uno che in tre anni di abbonamento premium al Lilum non aveva guardato neanche per sbaglio il profilo di una ballerina, c’è da dire che invece aveva studiato l’ex serpeverde molto attentamente – e ogni volta che l’aveva guardata e che continuava a guardarla, incredibilmente, ai suoi occhi diventava sempre più bella. In effetti, trovava che Nice fosse sempre bellissima, ma lo diceva poco, consapevole che qualsiasi parola di troppo, qualsiasi prova che il suo coinvolgimento emotivo fosse sempre maggiore, avrebbe potuto terminare per sempre il loro rapporto – e questa era l’ultima cosa che il Cavendish desiderava, posta addirittura dopo il fantomatico sogno di andare in vacanza con Elwyn alle Hawaii.
    E infatti Dominic sapeva bene cosa dovesse fare, si era preparato a dovere, si era ripetuto di non rovinare niente più e più volte davanti allo specchio prima di uscire, nel tentativo di autoconvincersi che non sarebbe successo; ma in qualche modo aveva fallito, c’era stato qualcosa che gli aveva fatto perdere di vista l’obiettivo, quick everybody act surprised.
    Comunque non era facile stabilire la causa di quel disastro, conclamato sebbene involontario, ma poteva giurare sulla sua barba che non fosse stata colpa sua – era stata la leggera brezza che ventilava lo stretto vicoletto, o il sottofondo musicale di un artista di strada poco distante che faceva immediatamente alzare il fattore romantico, era stato distratto da tutta l’ansia che si portava dietro da giorni per quell’appuntamento, e dagli occhi chiari dalla mora che riuscivano sempre a fargli perdere la lucidità, dal suo profumo, delicato e sensuale, ma allo stesso tempo forte e impossibile da ignorare, e senza dubbio era stato distratto da quello stramaledetto vestito che si era letteralmente cucita addosso e che le metteva in risalto tutte le curve giuste. Insomma, scusate tanto se Dominic aveva sentito una serie di errori susseguirsi nella sua testa – error 307 temporary redirect, error 400 bad request, error 403 forbidden, error 404 (brain) not found, error 503 service unavailable –, aveva avuto un blackout e si era resettato completamente; era anche comprensibile che in quel clima di scombussolamenti continui avesse dimenticato ciò che si era ripetuto costantemente allo specchio e avesse rovinato tutto con due semplici paroline: sei bellissima.
    Certo, conoscendolo sarebbe potuta andare molto peggio, e le due paroline sarebbero potute essere altre, molto più serie e molto più gravi, ma quello step richiedeva una serie di capacità – coraggio, sicurezza, esecuzione d’opera – che il Cavendish aveva perso tempo fa, quando vestiva ancora la divisa blubronzo e quelle due parole non erano bastate a trattenere Olive Peetzah con sé. Non ci pensava più Dominic, quella storia era ovviamente acqua passata, ma non poteva ignorare di essere rimasto indubbiamente scottato da quella delusione adolescenziale, che questa avesse fatto crescere in lui tutte le incertezze che già aveva e fatto nascerne delle nuove assolutamente sconosciute e inaspettate, e che ora, nel rapportarsi con Nice, avevano creato un mostro di paure e insicurezze: la sua voglia di impegnarsi e il suo sempre crescente sentimento verso la vigilante cozzavano continuamente con la paura di provare quello stesso dolore che aveva provato a diciotto anni, di essere costretto a rivivere quello stesso finale crudele e bastardo, e di vederla andare via ancora una volta come la loro ultima notte a Hogwarts.
    Quindi, scusate tanto di nuovo se aveva socchiuso gli occhi e aveva abbassato le spalle con aria sconfitta, si era morso l’interno del labbro inferiore come punizione autoinflitta e ora aspettava solo di sentirsi dire che fosse patetico e imbarazzante, una folla di sconosciuti accerchiarlo per ridere tutti di lui all’unisono.
    E scusate tanto se quindi il «Grazie.» della ministeriale lo colse totalmente di sorpresa, gli fece inarcare un sopracciglio, e dubitare del reale avvenimento di quella scena, tanto più che invece della pacca sulla spalla e l’adiòs che si aspettava ricevette addirittura un complimento – o presunto tale. Era tentato di chiederle di dargli un pizzico sulla mano per verificare fosse effettivamente sveglio, ma il richiamo alla realtà che scelse l'ex serpeverde fu anche meglio. Si trovò di nuovo a socchiudere gli occhi, il petto finalmente sgonfio dal respiro che aveva trattenuto fino a quel momento e la testa sgombra da tutte quelle ansia che si erano susseguite: la sua carezza sulla guancia l’aveva sciolto, si era finalmente rilassato per la prima volta da quando aveva messo piede sul suolo italiano, e ora poteva respirare il suo profumo senza avere paura di non sentirlo più, distendere le labbra in un sorriso spontaneo, e far scivolare la mano sulla schiena della mora per andarsi a posare alla base e spingere delicatamente con le dita per avvicinarla ancora a sé, approfondire quel contatto, e impedirle di staccarsi. Ricambiò il bacio a fior di labbra, approfittò della vicinanza per rubargliene un altro ma non si azzardò a chiedere un contatto più profondo – il rossetto era parte integrante dell’outfit di una donna e non sarebbe stato certamente lui a rovinare quello perfettamente disteso della Hillcox –, ma si permise si muovere appena la testa per far sfiorare le punte dei loro nasi, mentre ora il sorriso che si era allargato sul suo viso era del tutto spontaneo e rilassato. «mh» non un commento, quanto più il monito che fosse vivo – il suo cuore stava effettivamente battendo un tantino più veloce del normale, è vero, ma contava di poter sopravvivere. «questo era per i fiori, per il nuovo balsamo barba, o per averti detto che sei bellissima?» perché doveva esserci una motivazione dietro il bacio regalato da Nice, doveva per forza, Dominic non era abituato a quella gratuità – né poteva sospettare che dietro quel gesto ci fosse l’effettiva volontà della ragazza, ancor meno che quella volontà fosse spinta da qualcosa di simile a quello che lui provava nei suoi confronti. Gli piaceva fantasticare, ma non così tanto.
    La tenne ancora vicino al suo corpo, lasciando la mano sulla schiena, ma si scostò appena col viso per guardarla negli occhi e alzare un sopracciglio con fare quasi giocoso. «posso continuare se vuoi» a portarle i fiori, a usare quel nuovo balsamo per la barba, e a farle i complimenti; probabilmente avrebbe continuato a prescindere, ma la prospettiva di ricevere qualche altro bacio come premio era un incentivo niente male quindi si portò avanti. Abbassò gli occhi quanto bastava per posare lo sguardo sulle labbra della mora «mi piace il rossetto, mette in risalto i tuoi occhi» solo per un attimo le loro iridi chiare si incontrarono perché poi il guaritore spostò subito l’attenzione altrove per evitare di arrossire; rimase ancora a un palmo di distanza da Nice senza accennare ad allontanarsi, ma prese giusto un po’ di spazio per abbassare la testa e studiare più attentamente il suo vestito, indugiando un po’ troppo con lo sguardo sulla scollatura – e questa volta non poté fare niente per non arrossire. «anche il vestito è bellissimo» ammise con un risolino un po’ imbarazzato «davvero molto molto bello» rincarò la dose concedendosi un’ultima sbirciatina all’abito, salvo poi alzare lo sguardo per guardarsi intorno incuriosito. Ora che era riuscito a rilassarsi, le solite paure e insicurezze gli avevano dato una tregua ed era tornato a respirare, poteva prestare anche più attenzione a dove si trovavano e apprezzare l’ambiente circostante: le luci soffuse, il chiacchiericcio delle persone che passeggiavano, i tavolini esterni dei ristoranti e l’odore di buon cibo che proveniva da quelli, si rese conto solo in quel momento di quanto l’atmosfera fosse perfetta. «e anche questo posto è bellissimo» commentò con lo sguardo attento e curioso ad esaminare ogni particolare di quel luogo, ora un po’ emozionato, quasi su di giri.
    «non sapevo ti piacesse Firenze» tornò a guardare la Hillcox con un commento che riconobbe anche lui come tristemente vero. Erano tante le cose che non sapeva di Nice, ancora di più erano le cose che lei aveva deciso di tenergli nascoste e le domande a cui aveva deciso di non rispondere; non condivideva appieno quella scelta, non la capiva, prima di tutto, e lo spaventava, in secondo luogo, ma aveva deciso che andava bene così, che poteva accettarlo, che i suoi interrogativi potevano essere accantonati per il momento e che poteva – voleva – godersi il presente con Nice piuttosto che ricercare in lei le risposte del suo passato.
    Piegò l’angolo destro delle labbra all’insù e allentò la presa della mano sulla sua schiena, così da darle la possibilità di allontanarsi da lui – se avesse voluto, altrimenti mica ne se ne lamentava eh – e guidarlo a cena. Poi se avesse voluto passare direttamente al dopocena si sarebbe accontentato anche di quello, just saying.
    'Cause when I lay my head to rest
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    Nice aveva cercato di approcciare quell’appuntamento nella maniera più distaccata possibile, calcolando, più che immaginando, ogni possibile scenario e ogni possibile sfumatura di conversazione; non voleva farsi trovare impreparata, non dopo tutto quel tempo.
    Non dopo tutti i silenzi ostinati e le omissioni e le mezze verità.
    Aveva scelto l’Italia, aveva scelto Firenze, perché le serviva un posto che non fosse solo familiare, ma che avesse anche una certa importanza sentimentale per lei, per i Cox-Hill; un luogo da cui trarre coraggio, e che le potesse infonderle la calma necessaria per fare ciò che doveva e non ciò che pensava di volere. Perché non poteva mentire, almeno non a se stessa, negando di aver pensato veramente a tutti i finali possibili — persino quello dove decideva, per il bene di entrambi (più suo, che di Dominic) di lasciarlo pur di non confessare tutti quei segreti rimasti taciuti tra loro per ben due anni.
    Non si considerava una vigliacca, ma neppure lei poteva negare che fosse più facile fare finta di nulla piuttosto che affrontare poi le consguenze delle proprie azioni.
    E invece no: non era andata lì con l’intento di distruggere nulla; voleva solo praticare qualcosa per cui non era propriamente nota, ed essere onesta per una volta in ventitré anni. Temeva che se ne sarebbe pentita, no anzi, ne era certa — e allora voleva rendere quell’ultima volta un po’ più speciale. Addolcire una pillola amara ma inevitabile. Per questo motivo non cercò di sfuggire alla presa dell’infermiere, ma lasciò che lui l’avvicinasse a sé, e lo lasciò persino rubare un secondo, fugace, bacio dalle proprie labbra.
    Glielo doveva.
    Solo alla fine, quando Dom fece sfiorare la punta dei loro nasi, Nice si permise di prendere fiato. Non sarebbe stato facile; erano lì apposta.
    Sostenne lo sguardo di Dominic e gli rivolse un mezzo sorriso quando lui chiese «questo era per i fiori, per il nuovo balsamo barba, o per averti detto che sei bellissima?» In effetti, una risposta già pronta Nice l’aveva ma non poteva di certo dirgli che quel bacio fosse stato uno “scusa” (non) detto preventivamente, che l’avesse fatto per alleviare un po’ i suoi stessi sensi di colpa per ciò che gli avrebbe poi confessato, per il modo in cui stava per distruggere la loro relazione solo perché non si reputava in grado di poter gestire le cose belle che la vita le offriva. Troppo rare, troppo fragili: non sarebbero sopravvissute nelle sue mani.
    Scelse di trasformare la piega delle labbra cremisi in un sorriso malandrino, intrecciando le dita dietro la nuca del suo fidanzato: era pur sempre una bugiarda, fatta e finita, e non avrebbe rinunciato a quel suo lato quando poteva, in realtà, aiutarla. «Per essere rimasto in silenzio quanto era il momento giusto», gli confessò, sperando che cogliesse l’hint e decidesse di non finire con lo straparlare anche quella sera: era Nice che aveva delle cose da dire, e se Dominic l’avesse interrotta, la ministeriale dubitava avrebbe trovato il coraggio di continuare, riprendere il filo e completare la strage.
    «posso continuare se vuoi» «Mh, interessante.» Inclinò maliziosamente il viso, senza smettere di osservarlo. Avrebeb voluto: e quella era un’altra verità.
    Avrebbe voluto che Dominic continuasse, e per quanto quel pensiero facesse riflettere e preoccupare la Hillcox, non poteva negare che fosse sincero; chi l’avrebbe mai detto che, fra tutti, sarebbe stato proprio Dominic Cavendish a fregarla. Aveva dell’incredibile.
    Quando il guaritore fece scivolare senza indugio lo sguardo sull’opera d’arte by Hillcox che aveva indossato per quell’occasione speciale (come distrazione? ebbene sì.), Nice alzò gli occhi al cielo.
    Sapeva già di creare pezzi unici che meritavano di essere osservati e adorati, e non indossava mai nulla se non i suoi pezzi migliori, quando l’occasione lo richiedeva; era perciò lusingata, ma non troppo sorpresa — conosceva i propri punti di forza, e il seno prosperoso – ereditato dal lato Cox della famiglia – era uno di quelli. Non si sentiva affatto in colpa per averlo messo in risalto, scegliendo di utilizzarlo come arma contro Dominic; aveva una bussola morale difettosa, la vigilante.
    «non sapevo ti piacesse Firenze»
    Ok, quello era un tasto dolente. Per affrontarlo, aveva bisogno di almeno uno o due calici di Montepulciano in corpo. «Ci sono un sacco di cose che non sai, Cavendish.» Voleva essere un commento malizioso e intrigante, ma le uscì vagamente ominous: bene ma non benissimo. Lasciò la presa e passò una mano sul braccio del ragazzo, indicando con un cenno della testa l’entrata del ristorante. «Vogliamo entrare?» Certo che volevano, non aveva finto di essere sua madre, al telefono, per ottenere un posticino in quel locale super chic per poi sprecare l’occasione!

    Una volta dentro, accomodati al tavolo in disparte – esplicitamente richiesto dalla Hillcox –, Nice si sentì ancora più in ansia: si domandava se sarebbe stata abbastanza coraggiosa da andare fino infondo con il suo piano, o se avrebbe fatto dietrofront all’ultimo minuto fingendo con nonchalance di aver trascinato Dominic fino in Italia solo per mangiare una fiorentina, e niente più.
    Fino ad ora, era riuscita a superare l’imbarazzo iniziale, la lettura del menù e la scelta del vino senza tradire troppo ciò che invece stava provando; ma non confidava molto nell’attesa delle portare, era notoriamene il momento peggiore di ogni appuntamento.
    E, proprio per questo motivo, quello perfetto per sganciare la sua bomba.
    Prima di farlo, però, ripensò all’ultima notte ad Hogwarts, e il ricordo dell’incoronazione a reginetta del ballo fu solo un momento fugace, passato in fretta; quello su cui Nice preferì soffermarsi, per un tormento autoinflitto, fu il dopo. O meglio: il dopo del dopo. Quando, a conclusione di una notte altresì perfetta, Dom le aveva chiesto implicitamente di rimanere. E di confessargli cose che sapeva lei sapesse.
    Nice aveva agito prima ancora di riflettere, conscia che fuggire fosse l’unica opzione: non poteva permettersi di rimanere, non se voleva fingere di avere ancora un margine per limitare i danni. Non se voleva convincere se stessa che fosse ancora in tempo per non affezionarsi a lui.
    Non era stato così, e quell’andarsene precipitosamente era stato solo un modo come un altro per proteggere se stessa da una fine già annunciata.
    Adesso, a distanza di un anno e più, Nice si sentiva pronta ad affrontare quella conversazione. A rispondere alle domande che Dominic le aveva rivolto nella speranza di ricevere, in cambio, onestà da parte sua. Ricordò di aver pensato, all’epoca, di credere che così facendo, rimanendo stoica nel suo silenzio, avrebbe potuto far credere ad entrambi che fosse solo una storiella passeggera, la loro.
    Non era così.
    Abbassò lo sguardo sul tovagliolo di stoffa poggiato sulle proprie gambe, e sospirò.
    «Mi conosci abbastanza bene, ormai, da sapere che non affronto spesso certe questioni, ma quando lo faccio mi piace andare dritta al punto. Non conosco un modo carino per dirlo, perciò lo farò e basta.» Un modo abbastanza ambiguò, il suo, per iniziare quel discorso ma— ma. Alzò solo a quel punto lo sguardo, per incrociare quello di Dominic e capire fino a che punto lo avesse preoccupato: non voleva romperlo prima del tempo. «Ricordi quello- quello che mi chiedesti, dopo il prom? Il motivo per cui volevi parlarmi.» Che poi avessero scelto di parlare solo alla fine, era un altro paio di maniche: l’intenzione era stata quella, comunque. Perlomeno, l’intenzione di Dominic. «Mi chiedesti perché ti avessi mentito... Perché avessi continuato a farlo per un anno intero e perché non avessi detto la verità da subito.» Tirò le labbra in un sorriso triste, e continuò. «Avrai capito che la risposta è una sola: sono fatta così. Mentire, mentire sempre. Lo faccio per me stessa, ovviamente. Per proteggermi. E non è una scusa — non voglio tu pensi che lo sia. Non mi- non mi sento in colpa per quella che sono.» Cameron l’aveva cresciuta così, e lei era fiera ed orgogliosa di essere esattamente come suo padre. «Ma avevo un altro motivo, al tempo, per tenere nascosta la verità.» Un motivo futile, col senno di poi, ma importantissimo all’epoca dei fatti. «Credevo— ero certa si corresse, con un sospiro, «che se tu non avessi saputo, se non avessi ammesso ad alta voce il motivo per cui ti avevo avvicinato, quella sera al pub, in mezzo a tutti, allora avremmo potuto continuare a fingere che non fosse nulla di serio.» Non distolse lo sguardo da quello del Cavendish, anche se avrebbe preferito farlo pur di non riconoscere le emozioni che si susseguivano in quegli occhi chiari che, oramai, potevano nasconderle ben poco. «Sapevo chi fossi. Heathcliff è stato il motivo per cui ti ho approcciato;» era giusto che, seppur con due anni di ritardo, lo sapesse, «Dominic Cavendish è il motivo per cui sono rimasta.» E quello era il punto cruciale, il nocciolo della questione, l'origine di tutti i mali: il fatto che una notte di fuoco fosse diventata, poi, molto di più. Non era stato contemplato i nessuno dei suoi piani. Maledetto Dominic, maledetto! Farle prova... Cose. Emozioni. Un affetto ben più grande di quello che avrebbe mai ammesso.
    Umettò le labbra, e fece cenno al guaritore di non interromperla: forse non aveva nulla da dire, forse aveva un sacco di cose, invece, ma Nice doveva finire prima di perdere tutto il ritrovato coraggio.
    «Avrei potuto— no, avrei dovuto dirtelo prima. E capirei se ti sentissi offeso, ma non era mia intenzione prendermi gioco di te. Heathcliff...» c’era nostalgia in quel nome, nel tono di voce usato dalla Hillcox; nostalgia per un tempo che Nice non avrebbe più rivisto, per una famiglia che aveva volontariamente scelto di lasciare indietro e per degli amici che aveva perso senza poter dire la sua o fare nulla per farli rimanere. «Vedo molto di lui, in te. Ma c’è così tanto di diverso, di nuovo, che non ho più pensato a lui dopo quella prima notte.» Non aveva mai detto così tante verità in una sola sera, Nice. Si sentiva stanca, prosciugata da ogni energia. Ma voleva continuare. «Non è di lui che—» prima di poter andare oltre, si interruppe, scuotendo la testa. Avrebbe dovuto dirlo, quella era la sua occasione, ma non voleva incastrare Dominic in una bambola russa di questioni spinose. «Sei tu la persona che ho scelto di avere al mio fianco, Dominic E si, era assurdo e sconvolgente esattamente quanto suonava. «Vuoi sapere una cosa divertente?» Beh, gliel’avrebbe detta comunque. «Con Heathcliff non avrei mai avuto alcuna chance.» Uno sbuffo in parte amaro, in parte divertito, soffiò via dalle labbra della stilista. «Ero seriamente convinta non ne avrei avute nemmeno con te. Ma poi—» abbassò lo sguardo, arrossendo suo malgrado. «Tu non mi hai riconosciuta. E sapevo che il contrario fosse praticamente impossibile, che in alcun modo avresti potuto sapere chi ero ma... volevo provarci. Sentivo di meritarmelo. E tu non hai opposto resistenza, al contrario—» non staremo qui a citare i famosi dadi, ma . «Incontrarti ad Hogwarts, il giorno dopo, è stato un vero shock. Credevo fosse uno scherzo infame del destino; che si stesse burlando di me per aver osato tanto. Sì, insomma, lo sai: il karma è stronzo eccetera eccetera.» Ancora un sospiro profondo, ma allungò comunque la mano sul tavolo per cercare quella del medico: sperava lui l’avrebbe incontrata a metà strada.
    Sempre che non lo avesse definitivamente rotto in maniera irreversibile.
    «Sai che non ho rimpianti, e non ho rimorsi.» Altrimenti non avrebbe mai scelto di viaggiare nel tempo sapendo di non avere alcuna chance di tornare indietro e ritrovare le cose così come le aveva lasciate, «ma se avessi continuato a omettere questa verità, probabilmente li avrei avuti in futuro. Ti meritavi di saperlo,» alla buon’ora, «ma sappi anche un’altra cosa: tutto il resto,» per lo meno tutte le parti non inerenti al 2043, ecco, «era vero. È vero. Il mio essere così... fredda,» per usare un eufemismo, «non vuol dire che sia meno coinvolta. Anzi sbuffò nuovamente una risatina difficile da interpretare.
    E dopo un altro, grande sospiro, cercò di sorridere al Cavendish. «Questo è il momento giusto per farmi delle domande, Dominic. So che ne hai molte, e che hai sempre cercato di nasconderle per... paura. Ma adesso puoi farle, se vuoi.» Era implicito cosa stesse cercando di dirgli: non andrò da nessuna parte.
    Al massimo, temeva che sarebbe stato lui quello ad abbandonarla, per processare quelle informazioni. Lo avrebbe lasciato fare.
    «Sarò sincera con te, te lo devo No, non era solo per quello: e se voleva che Dom le credesse, doveva essere sincera su tutto.
    Beh, quasi tutto.
    Mandò giù una buona parte del vino che il cameriere le aveva appena versato, e guardò nuovamente il Cavendish. «Voglio essere sincera.» E lui avrebbe fatto meglio ad approfittarne.
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    Edited by ad[is]agio - 25/3/2023, 16:15
     
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    «Ci sono un sacco di cose che non sai, Cavendish.» quelle parole gli suonarono come un sensuale invito a dare la caccia a parti di lei ancora inesplorate, e al contempo come uno spietato promemoria che ci fossero zone grigie che la ragazza non gli avrebbe mai lasciato conoscere, livelli che semplicemente non potevano essere sbloccati. Curiosamente, quella dicotomia sembrava essere anche la descrizione più precisa e veritiera dell'ex serpeverde: seducente e crudele, ammaliante e impietosa, impossibile da capire ma ugualmente desiderosa che gli altri fallissero nel provarci – e l’esito dei continui tentativi di Dominic sembrava star andando proprio in quella direzione.
    Era vero: c'erano un sacco di cose che l'ex corvonero non sapeva, e Nice Hillcox era solo l'ultima aggiunta alla lunga lista, insieme alle leggi di Keplero, alla perfetta ricetta per la cheesecake, perché ci fosse tanto scetticismo intorno all'allunaggio, e come cazzo avessero fatto a costruire le piramidi gli antichi egizi. E tante altre cose ancora – innumerevoli.
    Eppure, c'erano anche cose che il Cavendish conosceva a menadito, e tra queste, indubbiamente, figurava come comportarsi in un ristorante di classe.
    Anni e anni — decenni — a seguire l'educazione Cavendish erano serviti ad assorbire perfettamente le regole di un fine gentiluomo; anni e anni – decenni – a seguire l’educazione Cavendish erano serviti anche a imparare a nascondere che l’ansia lo mangiasse vivo nella maggior parte di quelle situazioni formali. Un sorriso tirato e grandi respiri profondi tra un sorso e l’altro di vino erano sempre bastati a convincere i genitori e i loro ospiti che stesse bene, anche quando le manie di controllo e di perfezione della madre sembravano metterlo a dura prova, ma nonostante tutto l’allenamento al quale si era sottoposto, piccoli gesti come quelli non sembravano sufficienti quando si trattava di Nice.
    Perché certo, la stilista era fenomenalmente bella, irresistibile ai suoi occhi, ma più di tutto sembrava essere incredibilmente brava a quel gioco, praticamente impossibile da battere. Riusciva a tenerlo costantemente sulle spine, esposto alle intemperie come in mare aperto durante una tempesta, e allo stesso tempo a cullarlo e a convincerlo di essere al sicuro; gli toglieva il fiato, poi decideva di restituirgliene giusto quanto gli bastasse per rimanere vivo, e poi lo colpiva dritto sul petto per fermargli di nuovo la respirazione, in un circolo vizioso dal quale Dominic non riusciva ad uscire — e dal quale, onestamente, nemmeno desiderava farlo.
    Quelle parole ebbero perciò il duplice effetto di bloccarlo lì sul posto per un attimo, conscio che quei vuoti nella sua conoscenza difficilmente sarebbero stati tappati, e quello di renderlo ugualmente e immediatamente pronto a seguire i movimenti dell'ex serpeverde.
    Era come vivere in due realtà contemporaneamente, ed era più stancante di quanto sembrasse.
    Chiuse per un attimo gli occhi e si morse la punta della lingua quanto bastava perché il dolore gli ricordasse che fosse effettivamente vivo in quella dimensione e che, se proprio il suo cervello non riuscisse a pensare alla cosa più giusta da fare, sarebbe stato meglio lasciare che il suo corpo decidesse autonomamente, o il suo cuore, o chi per lui, insomma.
    I lunghi anni d’allenamento agli eventi dei Cavendish provarono di esserne valsi la pena, perché nonostante l’ansia palpabile, per la prima volta da quella sera sembrò sapere esattamente cosa fare; quindi, accennò un sorriso e seguì appena il movimento della mano della ragazza sul suo braccio, per afferrare solo un paio di dita tra le sue e seguirla all'interno del locale fino al loro tavolo, dove le spostò la sedia per farla accomodare, e poi prese posto di fronte a lei.
    Erano piccole cose, ma quando si trattava del guaritore anche minuscoli traguardi come quelli erano da considerare incredibili in qualche modo. E dopo la scelta delle portate, una volta che si fosse assicurato che effettivamente Nice non l'avesse portato lì solo per farsi servire il suo cuore su un piatto d'argento e divorarlo, forse poteva addirittura concedersi il lusso di rilassarsi. O così aveva sperato per qualche istante, tuttavia già al primo sospiro della ministeriale gli fu chiaro che non sarebbe andata in quel modo. Il campanello d'allarme scattò immediatamente, mentre alle parole successive l’emergenza era già in atto: il cuore gli parve saltargli direttamente in gola, e lì dare il via a un countdown frettoloso in attesa che esplodesse definitivamente come se fosse una bomba.
    Trattenne il respiro e rimase immobile – aveva paura che se avesse fatto il minimo movimento sarebbe scattata una trappola, che se avesse provato a respirare avrebbe realizzato di non avere più fiato, e che se si fosse guardato allo specchio in quel momento avrebbe visto una versione più piccola e immatura di se stesso vestire la divisa di corvonero. Perché erano bastate poche parole a catapultarlo sul pavimento di un cubicolo del bagno delle donne, o sul letto nel suo dormitorio, troppo stretto per starci in due, e tutte le altre volte che aveva irrigidito le spalle e la mascella perché Olive doveva dirgli qualcosa – dritta al punto.
    «sono fatta così. Mentire, mentire sempre»
    Temeva che quella paura che aveva provato da adolescente non l’avrebbe mai effettivamente lasciato e che avrebbe sempre sentito un peso sul petto, che avrebbe sempre pensato di essere un tatuaggio temporaneo per le persone, l’ennesima bugia; e cosa peggiore, temeva che Nice fosse la persona a fargli provare tutto quello.
    Di nuovo, non mosse un dito e non deviò lo sguardo – l’unica prova che fosse vivo e che, cosa ancora più importante, stesse effettivamente prestando attenzione alle parole della Hillcox, era data dal sopracciglio inarcato e dalle labbra premute tra di loro in un’espressione tesa.
    «ero certa che se tu non avessi saputo, se non avessi ammesso ad alta voce il motivo per cui ti avevo avvicinato, quella sera al pub, in mezzo a tutti, allora avremmo potuto continuare a fingere che non fosse nulla di serio.»
    Solo in quel momento abbassò appena gli occhi e fissò lo sguardo sulla tavola, giocando distrattamente con l’anello che portava al dito, crucciando un po’ l’espressione del viso e premendo i denti sull’interno del labbro inferiore.
    La cosa positiva era che l’ansia stava pian piano svanendo. La cosa negativa, invece, era che stava per essere sostituita da un altro stato d’animo ancora poco definito, uno più simile a un intruglio di emozioni alle quali non era abituato e che di certo non gli piaceva provare, come rabbia, rancore, e tristezza.
    Era abbastanza sicuro, a quel punto, di provare per Nice qualcosa che si avvicinasse spaventosamente e pericolosamente all’amore – e forse era stato repentino, visto che per gran parte dell’anno scolastico che avevano condiviso (uno nei panni di una studentessa, uno nei panni di infermiere) si erano ignorati, e più specificamente era stato costretto a provare ad ignorarla, ma d’altra parte Dominic non aveva mai negato l’immediato effetto (no, non parliamo di un fantomatico durello, che evidentemente c’era comunque stato) che la Hillcox aveva avuto su di lui. Sapere quindi che al polo opposto la ragazza avesse deciso di avvicinarlo solo perché aveva riconosciuto in lui Heathcliff aveva sferrato un colpo sinistro alla sua psiche, e tutte le altre parole dopo quella prima confessione, per quanto fossero comunque arrivate forti e chiare alle sue orecchie, passarono immediatamente, seppur involontariamente, in secondo piano.
    Irrigidì le spalle e la mascella, e si sfilò l’anello dal dito solo per avere qualcosa da torturare con le sue dita al ritmo delle confessioni dell’ex serpeverde. Era difficile anche per se stesso decifrare il modo in cui si sentisse: non era personalmente offeso, forse non era nemmeno offeso in generale, e a dire la verità non era nemmeno del tutto sorpreso, perché una parte di lui sapeva già che il loro primo incontro fosse andato in quel modo, eppure…
    «Heathcliff… Vedo molto di lui, in te»
    – eppure, non riusciva a togliersi dalla testa che Nice avesse cercato nelle sue parole quelle di qualcun altro, nei suoi occhi uno sguardo non suo, nei suoi gesti quelli che si sarebbe aspettata da Heathcliff. Si mosse solo per allungare una mano sul tavolo e raccogliere il calice di vino per berne un sorso – per poi ripensarci e mandare giù anche il resto del liquido nel bicchiere. Forse, in effetti, il problema era proprio quel nome: Heathcliff. Dominic non provava nemmeno vera rabbia, si rese conto anche con sua sorpresa di covare un certo risentimento verso se stesso perché non riusciva a capire, non ci era mai riuscito, nonostante tutte le volte che avesse letto e riletto la lettera dal 2043. Sentiva che la vita che fino a quel momento pensava fosse stata dettata dalle sue scelte e dal suo personale cammino non gli fosse mai davvero appartenuta, e tutto ciò che Dominic credeva fosse suo in realtà fosse solo un lascito del Wayne-Maddox, e la cosa peggiore era che per quanto quel pensiero gli pesasse sulla bocca dello stomaco come un macigno, non c’era nessuno che potesse incolpare.
    Non di certo Nice.
    Gli aveva indubbiamente fatto storcere il naso il pensiero che lei non fosse stata attratta e sedotta dal suo naturale e irresistibile fascino, ma a) non poteva davvero biasimarla, b) non riusciva ad avercela completamente con lei.
    «tutto il resto, era vero. È vero. Il mio essere così... fredda, non vuol dire che sia meno coinvolta. Anzi.»
    Alzò lentamente gli occhi solo in quel momento, ricambiando il suo sguardo. Dapprima sembrò studiarla, ancora un po’ crucciato in viso, e si prese il suo tempo per farlo, facendo scorrere lo sguardo da un particolare all’altro, passando dai capelli che ricadevano sulle spalle, alle labbra tirate in un sorriso morbido ma un po’ teso, e agli occhi chiari che nascondevano una punta di insicurezza dietro la solita e ormai conosciuta convinzione.
    Forse le paure che aveva provato da adolescente non l’avrebbero mai abbandonato, e forse Nice gli stava solo dicendo l’ennesima bugia, ma Dominic ormai non era più un adolescente, e quindi non si alzò dal suo posto per andarsene come avrebbe fatto a diciassette anni, non lasciò che le sue ansie prendessero una decisione al posto suo, ma prese un profondo respiro e poi distese lentamente i muscoli, piegando le labbra in un sorriso morbido appena accennato.
    «anzi» ripeté le parole della ragazza sbuffando a sua volta una risatina un po’ divertita, poi allungò lentamente il braccio sul tavolo per raggiungere la sua mano e far incastrare le dita tra quelle di lei, giocandoci distrattamente.
    Aveva deciso di restare, alla fine, e abbracciare quelle paure risvegliate, farle sue per poterle finalmente vincere; forse Nice non sarebbe mai stata pienamente sincera con lui, forse avrebbe sempre avuto bisogno di porre un cuscino fra lui e la sua storia, forse, invece, aveva solo bisogno di tempo per fidarsi davvero di lui, ma Dominic avrebbe lottato in qualunque caso per lei.
    «non mi devi niente, Nice» lo credeva davvero, perché sebbene la verità dietro i gesti della ministeriale fosse difficile da digerire, non pensava che lei fosse in debito di qualcosa nei suoi confronti. Dominic non sapeva – quasi – niente della sua storia, delle sue ragioni, del suo viaggio, e non poteva nemmeno immaginare cosa l’avesse spinta a tanto, o quanto potesse essere difficile desiderare qualcosa di familiare in un’epoca che non ti apparteneva. Seppur discutibili, Nice aveva avuto i suoi buoni motivi, e su quello Dominic non avrebbe mai provato a sentenziare perché, semplicemente, non poteva capire.
    Strinse l’indice attorno a quello della mano di lei, in modo discreto e quasi infantile, passando poi lentamente il pollice sul suo dorso in una carezza lenta «e ho tante domande da farti» com’era Heathcliff, com’eri tu, com’era la nostra vita, chi c’era con noi, perché siamo partiti, perché hai voluto ricordare tutto… «ma» scosse appena la testa «resti qui con me stanotte?» era quella la sua prima domanda; eventualmente, il momento le risposte che attendeva da un anno sarebbe arrivato, ma Dominic voleva avere la certezza che Nice non sarebbe scappata di nuovo, che, come lui, avesse deciso anche lei di lottare per loro due contro le paure di entrambi, e che quella notte non sarebbe finita nello stesso modo in cui era finita quella del prom, che sarebbe rimasta accanto a lui nel letto, che avrebbe parlato (o forse no), e che sarebbero rimasti svegli fino all’alba per poter vedere il sole sorgere sull’Arno. Tra le tante domande, era di certo quella la più importante per lui in quel momento.
    'Cause when I lay my head to rest
    I hope that it's always next to you


    CITAZIONE
    il mio nuovo obiettivo personale è avere role di Dominic tutte con pv diversi, vediamo a quanti pv arrivo

    evidentemente l'unico obiettivo che riesco a perseguire . massì, proviamo anche quest'altra faccia

    piano piano arriverò a chiudere tutte le nostre role così posso finalmente rubarti per altre 🫶🏻
     
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5 replies since 19/9/2022, 19:33   263 views
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