the subtle aches when the weather changes

ft. twat

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    203
    Spolliciometro
    +446

    Status
    Offline

    I'm just a broken machine with all the layers of dust;
    some things have started to fail...
    some things have —
    some-
    I'm just—
    «no»
    Che già erano due parole in più di quelle che si sentiva in dovere di condividere con Brienne. Uno sforzo enorme.
    «daaaaaaaiii»
    Roteò lo sguardo, dischiudendo appena le labbra per lasciar fuoriuscire un sospiro stanco. Era sempre stanco. Solo alla fine si concesse di posarlo sulla meteorologa, ancora lì; sempre lì.
    Strinse le palpebre, per metterla a fuoco e per farle capire che la stava osservando – per davvero. «okay» La vide illuminarsi come un albero di Natale e se avesse saputo come fare, si sarebbe sentito in colpa per la facilità con cui era riuscito a prenderla in giro. «davvero?!?!?!?» «no.» secco, diretto. Con un gesto pigro si alzò dal divano e si allontanò, gli insulti coloriti di Bri a scivolare contro le sue spalle curve ed esili; perdevano di consistenza ancor prima di raggiungerlo.
    Aveva già dovuto ripetere quella storia tre volte nelle ultime ore: prima con Swag (liquidato con un'occhiata scettica al «mio Padre ti punirà per questo»), poi con Narah (alla quale aveva semplicemente detto la verità: «non mi va», e lei non aveva insistito nonostante nello sguardo scuro e dolce di lei, Hans avesse riconosciuto una nota di vaghissima delusione per il suo non averci nemmeno provato), poi con Livy (con lei – con lei Hans aveva quasi ceduto: come si resisteva ad una Sullivan Hawkins?).
    Il tentativo di Brienne era stato coraggioso – ma inutile, alla fine dei fatti; forse sperava di prenderlo sullo sfinimento, di convincerlo quando ormai stufo di dire di no.
    Ma Hans non si stufava mai di dire di no.
    Quindi anziché dirigersi verso il campo insieme ai suoi amici, si era rifugiato nella propria stanza pronto a godersi la tranquillità di una Different Lodge semi deserta.
    Un sogno.
    Qualcuno bussò alla porta aperta.
    Dev'essere un incubo.
    Trascinò lo sguardo azzurro dalle pagine del libro appena aperto alla figura del cheerleader sullo stipite della porta. «oggi scioperi?» I Corvonero non l'avrebbero presa bene: forse Twat aveva istinti suicidi, si sarebbero spiegate tante cose. Insomma: non presentarsi alla partita........voleva davvero essere ucciso, o peggio: maledetto dalla Beckham.
    Senza attendere una risposta, allungò la mano verso il comodino e tirò fuori dal cassetto una bustina, che lanciò in direzione dell'emocineta. Pensò, distrattamente, che per scegliere di fare il cheerleader doveva essersi preso le peggio cose; ben peggiori di quelle che Hans gli aveva appena offerto.
    Ma non disse nulla, tornando al suo libro.
    Twat non ci provò nemmeno a chiedergli di andare; era anche per quello che Hans lo tollerava.
    Lesse la bellezza di una riga e mezza prima di sentire il rumore secco delle pasticche che toccavano terra. Ed ecco spiegato perché Tvättbjörn Cömmstaj tifava e non giocava: aveva una mira di merda – aveva mancato il cassetto di parecchio.
    (Un ricordo; una conversazione avuta tempo prima.
    «come ci sei finito»
    Una risata ironica.
    «minacce»
    Un cenno del capo.
    «immaginavo»
    Un silenzio di riflessione, da entrambe le parti.
    «sei ancora lì, mi pare»
    Un altro silenzio, che diceva tutto.
    E che chiudeva la conversazione.)
    Come nella stanza di Different Lodge, lo stesso silenzio.
    Hans era tornato ai suoi libri, Twat se n'era andato nella speranza che la droga iniziasse a fare effetto durante il tragitto verso il campo.


    Non avrebbe saputo dire come s'era ritrovato, indefinite ore dopo, sulle sponde del lago nero.
    Pioveva – il che rendeva impossibile leggere senza rovinare le pagine del libro; ma, se avesse voluto davvero continuare a leggere, Hans sarebbe rimasto nel dormitorio. Invece aveva, a quanto pare, scelto di dirigersi verso il lago e sedersi con la schiena contro il tronco di un albero; perché?
    Forse perché
    il silenzio innaturale di Different Lodge lo aveva turbato.
    O forse perché
    aveva bisogno di aria fresca.
    Onestamente?
    Non lo sapeva – e non gli interessava. Assottigliò lo sguardo mettendo a fuoco l'orizzonte, laddove lago e cielo si fondevano; ogni tanto, in lontananza, sentiva le urla e i boati e i fischi e l'entusiasmo della partita in corso.
    Forse era uscito per quello.
    Con le loro chiacchiere, e i loro inviti, e la loro insistenza – avevano stuzzicato una curiosità che fingeva di non avere. Una curiosità selettiva.
    Richiuse gli occhi, la pioggia non lo preoccupava: non quando avrebbe potuto farla evaporare dai suoi vestiti e dai suoi capelli con un solo pensiero. Ma non lo fece. Rimase così, occhi chiusi e mente troppo intorpidita per pensare davvero; rimase lì, e per qualche istante dovette persino essersi addormentato, perché quando riaprì di scatto gli occhi, la superficie del lago era ancora più scura e il cielo nuvoloso impediva alle stelle e alla luna di illuminare alcunché.
    Aveva smesso di piovere.
    Si mise a sedere, stringendo le gambe al petto e posando il mento su di esse; notti del genere, senza stelle, lo tormentavano sempre.
    Fu a quel punto che udì nuovamente dei passi – forse gli stessi che lo avevano svegliato.
    Poteva essere chiunque, ma Hans sapeva già chi fosse.
    In silenzio, non si voltò, non chiese nulla, non si informò sul risultato della partita, sugli infortuni, sui decessi; rimase in attesa che il nuovo arrivato rompesse il silenzio.
    E forse sarebbero rimasi così per ore.
    broken machine
    broken machine
    nothing but thieves
    pyrokinesis
    ivorbone
    13.01.2004
    hans
    belby



    oggi è andata così

    e sì, te l'ho rubato, baci baci
     
    .
  2.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Muggle
    Posts
    261
    Spolliciometro
    +508

    Status
    Offline

    Leveling up, delete my history
    Choose how you see me
    and the future's easier
    Leveling up, in here, I'm winning
    Defeat the big boss,
    game over, your loss
    Quando il triplice fischio dell’arbitro si fece eco tra le mura dello spogliatoio, riverberando in ogni dove per giungere infine, ovattato e umido, alle orecchie di Tvättbjörn Cömmstaj, il ragazzo si concesse di dischiudere le palpebre, ritrovandosi a fissare immobile il soffione della doccia gettargli addosso acqua più pulita di quella che aveva preso fino a qualche minuto prima – quando ancora le pasticche facevano il proprio dovere, e lo special si trovava sotto l’acquazzone primaverile del campo da Quidditch.
    Inspirò più aria di quanta ne avesse bisogno in quel momento, lasciando che il flusso costante scivolasse tra i capelli corvini e sulla schiena, ed espirò piano e lento dalle narici, celando brevemente agli occhi scuri la vista delle gocce d’acqua per concedersi di pensare. A niente in particolare, soltanto a quanti minuti ci avrebbero messo i giocatori per raggiungere quel posto; a quanto tempo avesse lui per filarsela, prima che quella breve parentesi di pace venisse frantumata come la lastra di vetro sottile qual era.
    Non molto, contrariamente a quanto avesse sperato nel momento in cui i cercatori si erano messi ad inseguire lo stesso luccichio nel cielo grigio, ed aveva deciso che quella fosse l'occasione migliore per lui di uscire di scena.
    Posò lo sguardo sulla manopola dell'acqua calda e, suo estremo malgrado, la abbassò fino a quando le urla da stadio non vinsero sullo scroscio della doccia. Avrebbe potuto essere lì, tra quelle grida a metà tra il giubilo e le imprecazioni, ignorandole più di quanto non stesse facendo lontano dal resto del marasma studentesco. Ma se solo si fosse arreso a quella vocina nella sua testa che gli ricordava costantemente quanto fosse curioso – quanto, a prescindere dal fatto che il suo interesse fosse minore dello zero assoluto, provasse un certo piacere scientifico nel sapere come le cose andassero a finire per avere una visione d'insieme più completa e dettagliata –, sarebbe anche dovuto rimanere più del necessario sul campo e nello spogliatoio, sorbirsi la squadra dei Corvonero, qualsiasi loro frustrante emozione conseguente all'esito della partita, sopportare presenze che continuava ad evitare come la peste bubbonica.
    Non gli importava del risultato. Non gli interessava sapere come stessero - se tristi e felici di essersi garantiti la finale di campionato, o incazzati ma euforici di giocare per l'ultimo posto in classifica. Non aveva alcuna intenzione di intrattenersi e festeggiare, e partecipare a tutte quelle idiozie da cameratismo che si impossessavano dei loro corpi in quei frangenti. A Twat, a dire il vero, non fregava nulla del Quidditch, né del cheerleading: avrebbe dovuto fare un favore a se stesso, e scioperare come gli aveva detto Hans; non avrebbe potuto essere una brutta idea, sotto alcun punto di vista, rimanere in dormitorio con il pirocineta e limitarsi a droghe e nichilismo assoluto.
    Eppure c'era andato, e poca rilevanza avevano ormai i motivi per cui l'anno precedente aveva deciso di scendere in campo – le velate minacce di Jane, la passione per la danza. Aveva dovuto prendere tutto quello che poteva, certo, pur di dare un senso al perché una parte di lui ancora voleva essere lì.
    Ed era rimasto fino a quando l'euforia delle pasticche non era scemata in un senso di nausea; era rimasto fino a quando la stessa ragione che aveva voluto dimenticare per qualche ora non gli avesse ricordato che non era un posto per lui, che non voleva essere lì, e che poteva tollerare determinate presenze solo fino a che levitavano a diverse decine di metri sopra la sua testa.

    Testa che martellava e turbinava, turbinava e martellava, senza un motivo né uno scopo, poggiata alle travi esterne del campo e lontana da qualsiasi varco d'entrata o di uscita.
    Attendeva soltanto.
    Che passasse quel ronzio fastidioso, che quasi era riuscito a coprire sotto l'acqua ma che la pioggia battente si limitava ad amplificare.
    Che quel posto si liberasse anche degli ultimi, di quelli che per un motivo o nell'altro si intrattenevano sugli spalti o scendevano sull'erba incuranti del brutto tempo per fare casino.
    Che i vorticanti pensieri a farlo sentire un perfetto idiota prendessero un senso, o che più semplicemente venissero inghiottiti dall'oblio cui spettavano di diritto.
    Che il dì facesse spazio al crepuscolo, in cui muoversi senza essere visti sembrava più facile.
    Non che qualcuno lo avrebbe mai notato, ma non voleva correre il rischio di incappare in alcun essere umano capace di dargli fastidio – e quelli a non farlo, ormai, poteva contarli sulle dita di una mano. Anche per quello non era andato direttamente a Different Lodge, o a rifugiarsi in biblioteca, e tantomeno avrebbe fatto allora, quando aprendo nuovamente gli occhi ebbe appurato che la pioggia non fosse cessata, ma il sole fosse già una semplice macchia sulla linea d'orizzonte.

    Si trascinò, incurante d'essere bagnato da capo a piedi e di quanto pesassero quei vestiti. Involontario più che automatico, sovrappensiero più che alla ricerca di uno spazio aperto dove nessuno sarebbe mai andato; distante, più che intorpidito da quella stupida giornata.
    Quando si sedette sulle sponde del Lago Nero, mascella serrata e spalle contro il tronco, lo fece sembrare una cosa naturale e normale. Non lo era – non per Tvättbjörn, non quando sullo stesso albero v'era rannicchiato già qualcun altro.
    Portò alle labbra quella stessa canna che il Jattelik gli aveva donato una vita prima, e di cui aveva approfittato solo per un paio di secondi prima che si spegnesse nel vento.
    Un tentativo.
    Due.
    Un terzo, le dita umide a scivolare sulla ruota zigrinata senza produrre alcuna scintilla.
    Al quarto, fallimentare, lasciò cadere l'accendino sulle proprie gambe. «'fanculo.» una sentenza, l'unica parola dopo chissà quanti minuti da che aveva preso posto accanto ad Hans, senza chiedergli il permesso.
    Allungò la mano verso di lui, piegando la testa contro la corteccia per rivolgergli lo sguardo a pochi palmi dal suo viso. «vuoi provare?»
    distorted light beam
    distorted light beam
    bastille
    emokinesis
    ivorbone
    22.12.2003
    TVÄTTBJÖRN CÖMMSTAJ



    mannaggia
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    203
    Spolliciometro
    +446

    Status
    Offline

    I'm just a broken machine with all the layers of dust;
    some things have started to fail...
    some things have —
    some-
    I'm just—
    E in effetti, il silenzio si era protratto a lungo.
    L'arrivo di Twat non aveva portato con sé chiacchiere inutili e vuote ─ Hans non era certo di poterle reggere, non in quel momento (né mai, in effetti) perciò fu grato all'altro Vega per non averci nemmeno provato. E lui, dal canto suo, non era intenzionato ad intavolare alcun tipo di conversazione; per fargli capire di aver registrato la sua presenza, aveva solo piegato di pochi millimetri il volto osservando Twat sederglisi accanto, poi era tornato a fissare il crepuscolo, braccia avvinghiate intorno alle ginocchia e testa abbandonata contro di esse, cullato di nuovo verso l'oblio dal rumore dell'acqua che si infrangeva contro le sponde, e dai tentativi fallimentari del Cömmstaj di vincere contro l'accendino scarico. Non si rese conto di essersi appisolato (un'altra volta.) fino a che l'imprecazione seccata non giunse alle sue orecchie, improvvisa e sgradita.
    Si costrinse a voltare nuovamente il capo in direzione del norvegese, e solo dopo secondi interminabili di intensa osservazione, decise che valesse la pena riservargli un sopracciglio a svettare verso la fronte, e un'espressione un po' meno vuota del solito.
    Sciolse l'abbraccio intorno alle proprie gambe e le allungò, non senza timide proteste da parte di quest'ultime per la posizione scomoda in cui erano state costrette troppo a lungo e per l'umidità che ora sentiva fin dentro le ossa; le ignorò, poggiando la schiena contro il tronco dell'albero, le iridi incupite dal cielo terso ancora puntate su Twat: era fradicio, forse per la pioggia, forse per una doccia appena fatta, forse perché aveva deciso di arrivare fin da lui a nuoto ─ quale che fosse il motivo, era piuttosto irrilevante. Della personale crociata dell'emocineta contro l'accendino, Hans non si curò.
    Distolse l'attenzione e la riportò sulla distesa scura davanti a loro, facendo schioccare la lingua contro il palato: non sarebbe stata una pessima idea, in effetti, fare una nuotata.
    (Di fatto sarebbe stata una terribile idea.)
    Chissà quanti cadaveri nascondeva, quel lago. Che era un pensiero alquanto sconnesso, ma non era una novità che la sua mente viaggiasse su lunghezze d'onda diverse rispetto a quelle degli altri. E rimaneva una domanda interessante.
    «vuoi provare?»
    Lentamente, ma senza dimostrarsi sorpreso, ruotò la testa verso Twat osservandolo ora con la più stanca e vuota delle espressioni: era uno degli effetti collaterali del problema che, da qualche mese a quella parte, gli si era presentato e che non aveva ancora trovato un modo per risolvere (se non ricorrendo ad altre droghe nel momento stesso in cui sentiva l'astinenza fare capolino); odiava quegli sbalzi d'umore ─ perché (stava a significare che ne avesse davvero uno, di umore) non lo facevano sentire tranquillo, non lo facevano stare al sicuro ─ se non poteva sapere quando avrebbe colpito la prossima risata isterica, come poteva sperare di non perdere il controllo e bruciare qualcosa?
    Uno immaginava che dopo anni di lezioni quotidiane di “controllo poteri” avesse imparato a tenere il suo potere a bada, a controllarlo almeno un po' ─ eppure... non è così, baci : - )
    Non si mosse subito, ai suoi muscoli occorrevano svariati minuti per muoversi in accordo con gli stimoli che arrivavano (quando arrivavano.) dal cervello; solo dopo quelle che sembrarono ore si decise a sfilare la canna dalla presa morbida di Twat per portarla alle sue labbra. Poi senza ancora dire una parola, infilò una mano nella tasca della divisa e tirò fuori un accendino, con il quale bruciò l'estremità della canna perfettamente rollata; non aveva bisogno di chiedere di chi fosse per sapere che apparteneva alla scorta di suo cugino.
    La fiamma moderata illuminò per qualche istante il viso del pirocineta, impegnato a incanalare nei polmoni quanto più fumo possibile prima di restituirla al cheerleader. Trattenne il respiro appena più del necessario, il fumo a bruciare nella gola ma in una maniera piacevole e gli occhi socchiusi, per poi costringersi a soffiarlo via in una nuvola densa e dolciastra e prendere una boccata di vero ossigeno.
    Una volta liberate le mani dalla canna, rimase a giocare con la rondella dell'accendino, osservando senza interesse la fiamma generata. Il sottile confine tra pigrizia e barare, certe volte, Hans lo superava senza nemmeno accorgersene.
    Un altro lungo silenzio andò ad occupare l'esiguo spazio tra i due special. Era quasi confortante.
    Non accettò, almeno per il momento, un altro tiro dalla canna di Swag (i cui effetti, conoscendo lo sververgese, miravano quasi certamente a farsela prendere bene o a rilassare talmente tanto da raggiungere il Nirvana e credere di parlare con suo Padre ─ quindi grazie, no grazie) ma si ritrovò suo malgrado a respirare l'aria pregna dell'odore dell'erba; non aiutava del tutto a tenere a bada l'astinenza, ma era comunque qualcosa.
    Come se non avesse delle pasticche a pesargli, più metaforicamente che altro, nella tasca della divisa ─e una voglia assurda di cedere alla tentazione e annullarsi per qualche altra ora.
    Si ritrovò, senza volerlo, ad aprire bocca per dire qualcosa ma nel momento stesso in cui si mosse, il pensiero svanì dalla sua mente; assottigliò le palpebre per cercare di ricordare a cosa stesse pensando, cosa volesse dire, ma rimase poi in silenzio stringendosi nelle spalle. Infondo, conoscendo Twat, se era finito a sedersi accanto a lui con tutti gli ettari del castello a sua disposizione, di certo non lo aveva fatto per parlare, ma per fumare in santa pace lontano da compagni molesti e in vena di chiacchiere.
    broken machine
    broken machine
    nothing but thieves
    pyrokinesis
    ivorbone
    13.01.2004
    hans
    belby



    insulto del giorno: sei utile come le virgolette colorate in un post di hans
     
    .
  4.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Special Muggle
    Posts
    261
    Spolliciometro
    +508

    Status
    Offline

    Leveling up, delete my history
    Choose how you see me
    and the future's easier
    Leveling up, in here, I'm winning
    Defeat the big boss,
    game over, your loss
    Schioccò la lingua sul palato, immobile nell’osservare la fiamma danzare sull’accendino del Belby e davanti il suo volto, rapito in qualche modo da quella debole, effimera fonte di colore su uno sfondo che viveva unicamente di tonalità fredde. Ivi rimase lo sguardo, impassibile ed imperscrutabile, anche quando il fuoco si spense, e la testa della canna ad illuminarsi tiepida rimaneva tutto ciò che si stagliava in contrasto all’ambiente circostante.
    Avrebbe potuto dirgli, quando e se mai il pirocineta si fosse accorto degli occhi scuri – pece nell’ormai inoltrata serata priva di stelle a specchiarsi nel Lago Nero; spenti, ancor più di quanto già da sé non fossero, da un meteo avverso il cui grigiore trovava facilmente dimora nelle iridi ambrate – fissi sul proprio profilo, di essersi semplicemente distratto. Non sarebbe stato strano, né sarebbe stata la prima volta: quanto più, sarebbe stato verosimile. Forse non del tutto sincero, ma verosimile.
    Perché del vero c'era, e su questo nessuno avrebbe avuto a che ridire.
    C'era, nel fatto che si assentasse a sé stesso e agli altri - che si perdesse ad ammirare il vuoto, laddove la vista andava a smarrirsi in punti fissi in lontananza e che dell'orizzonte avevano soltanto la stessa, infinita distanza. O nel fatto che cercasse quell'annichilimento, e che per raggiungere quel livello di disinteresse assoluto per cui il nulla gli suscitava molto più interesse della realtà circostante - e più tranquillità, più serenità -, facesse scivolare sotto la lingua o fino in fondo all'esofago quelli che in molti avrebbero definito come la "peggio roba", ma che al Cömmstaj piacevano e consentivano di sopportare un minimo tutto quanto. Era anche vero che tante volte fingesse, anche senza aiuti chimici o naturali, o con la testa che non schizzava alla ricerca di altri stimoli impossibili da vedere all'occhio umano, nella vana speranza che chi avesse vicino capisse l'antifona e decidesse di lasciarlo in pace - prima che tirasse fuori un coltellino: a quel punto lo spazio all'interpretazione altrui veniva un po' accompagnata, ma era consapevole che quel mondo fosse in grave deficit di neuroni e che tante volte le persone avessero bisogno di una spintarella verso una migliore comprensione.
    Tutte cose che non andavano in conflitto con il diciottenne in quel momento. Era stanco; era in bilico tra un umore ancora alterato dalle pastiglie che gli faceva pulsare la testa come un muscolo cardiaco in bradicardia, e un'astinenza che non aveva intenzione di sfiorare nemmeno per un istante, nella speranza che il più blando effetto dell'erba potesse compensare quella mancanza; era frustrato per motivi che a volte non riusciva a capire, e ciò lo faceva incazzare ancora di più; odiava tutto e tutti, ma questo era un sentimento che trascendeva quello specifico e singolo attimo dell'esistenza.
    Le ragioni per cui Twat avrebbe potuto alienarsi coesistevano tranquille in un caos perfettamente ordinato, eppure non era distratto. Era attento, era vigile e presente a sé e ad Hans - e alle onde del Lago sospinte dal vento, alle gocce di pioggia che vibravano di note asincrone sulla superficie scura.
    Era ipnotizzato. La carta che bruciava seppur umida, il suo crepitio soffocato, i giochi d'ombra che andavano a macchiare la pelle dello svedese, la nuvola di fumo densa a scivolare via: aveva un che di magnetico. Sicuramente era ancora fatto; non esisteva una sola fibra del suo corpo che sentisse d'essersi lavata via di dosso quel miele, tanto dolce quanto appiccicoso.
    Accettò tra le dita quel magnanimo dono prima di voltarsi nuovamente a rimirare la riva erbosa del Lago Nero, limitandosi a sollevarla di qualche centimetro in un vago cenno di gratitudine. Non riteneva ci fosse bisogno di espletare il proprio riconoscimento a voce, e sapeva che all'Hans non avrebbe fatto né caldo né freddo, e forse nemmeno se lo aspettava da parte sua: non aveva mai avuto molto di cui essere grato, Tvättbjörn, e faticava a masticare quelle poche lettere tra i denti anche in quei pochi momenti in cui qualche cosa nel suo cervello scattava, suggerendogli che fosse il caso di imparare che suono avesse la propria voce nel dirle.
    Trattenne il fumo, e lo soffiò via.
    E lo soffiò, e lo trattenne, e lo soffiò.
    E la offrì, e non avrebbe saputo dire se l'altro avesse mai accolto l'invito o avesse continuato a rifiutarlo prima di trattenerlo, e soffiarlo nuovamente fuori dai polmoni.
    Dieci minuti, o dieci ore. Quando tossì e si rese conto che i polpastrelli iniziavano a scottarsi, avrebbe potuto essere trascorso qualsiasi lasso di tempo senza che lo special se ne accorgesse.
    Aprì gli occhi - li aveva chiusi? -, osservando come la canna avesse ormai raggiunto la propria fine.
    Bussò con le nocche alle spalle del Belby, un po' per accertarsi fosse ancora lì oltre che per richiamare la sua attenzione. Si umettò le labbra, deglutendo saliva dal sapore agrodolce. «L'onore di finirla e spegnerla è tuo.» perché si sa, secondo un detto chiaramente scandinavo, che chi arriccia, appiccia e spiccia - ma Swag, che aveva arricciato, non era lì con loro; automaticamente, Hans dopo aver appicciato avrebbe dovuto spicciare.
    Logico.
    Gliela passò, e chiuse gli occhi premendo la nuca contro la corteccia. Molte parti di lui avrebbero voluto approfittare dell'effetto del THC che velocemente saliva per spegnersi, schiacciare un pisolino - o una dormita, considerando che oramai doveva essere sera inoltrata. Twat non era d'accordo: si sentiva troppo... esposto, in quel momento, per abbassare la guardia.
    Di nuovo, la lingua andò a inumidire una bocca che sentiva troppo secca, e prima di aprire bocca dovette pensarci un po': voleva parlare?
    Razionalmente: no.
    Idealmente: nemmeno.
    Da fatto di marijuana: eh.
    Così, senza nemmeno la certezza che ci fosse ancora l'altro, decise di fare la cosa più intelligente - sopracciglia corrugate, palpebre pesanti ancora calate e spalle morbide contro la corteccia. «Vuoi parlare?»
    Rigirargli la domanda.
    Chissà, magari avrebbe risposto di no ed avrebbero risolto ogni problema.
    distorted light beam
    distorted light beam
    bastille
    emokinesis
    ivorbone
    22.12.2003
    TVÄTTBJÖRN CÖMMSTAJ

     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Bolla
    Posts
    203
    Spolliciometro
    +446

    Status
    Offline

    I'm just a broken machine with all the layers of dust;
    some things have started to fail...
    some things have —
    some-
    I'm just—
    Ammettilo, sarebbe esilarante il post di una riga con un semplice 'no'” ─ assolutamente, ma poi ci parli tu con il mio lato (disturbato) infp e virgo per spiegargli cosa sta succedendo e per cercare di placarlo.
    Una tentazione davvero, davvero, spericolata che però mi sento di dover declinare e fingere di saper scrivere un post semi-decente che, alla fine, si concluderà inevitabilmente così, solo che mi piace essere (prolissa) descrittiva.

    E quindi.
    Ancora una volta le iridi azzurre cercarono con pigrizia e una punta di fastidio la figura del compagno di scuola, le sopracciglia a svettare impercettibilmente come a chiedere: “e mo' che voi”, as un Linguini would say.
    «L'onore di finirla e spegnerla è tuo.»
    E l'accettò, più per assicurarsi di mettere fine a quella distrazione che altro; non era ancora intenzionato a provare sulla sua pelle gli effetti dell'erba di Swag, ma poteva tenere lui la canna e lasciare che il vento la finisse al posto suo – uno spreco, vero, ma non c'era molto altro da fumare arrivati a quel punto; aveva a malapena lo spazio per tenere la cicca senza rischiare di bruciarsi i polpastrelli. (Non che avesse davvero sentito il calore sulla propria pelle, ma insomma.)
    Alla fine, quando ormai non c'era più niente da soffiare via, nemmeno per il vento che muoveva le abiti e le foglie sopra le loro teste, Hans decise di spicciarla facendo strusciare l'estremità sull'erba umidiccia.
    Percepì Twat muoversi al suo fianco, troppo vicini per ignorare la spalla dell'altro ragazzo che sfiorava la sua nel cercare supporto contro la corteccia dell'albero, o per non notare il respiro acquietato dalle proprietà magike della canna, e suo malgrado rimase ad osservarlo per un po', mente svuotata da qualsiasi pensiero – come piaceva ad Hans, prima di abbassare lo sguardo. Avrebbe voluto anche lui rilassare i muscoli e concedersi l'ennesimo riposino della giornata, ma c'era una parte di lui che non ne voleva sapere di distendersi e lasciarlo in pace, come una sensazione di pizzicore sotto la pelle; il timore più che il sospetto, che presto o tardi non avrebbe più potuto fingere che tutto andasse bene, che prima o poi, tutto il tempo rubato da Novembre a quella parte avrebbe finalmente bussato per riscuotere il suo pagamento.
    Non poteva negare che fossero stati mesi difficili, un vortice di episodi e situazioni che avevano portato ad alienarsi ancora più del solito; per lo meno non aveva bisogno di inventare scuse quando qualcuno provava a chiedergli come se la passasse, perché lo sapevano bene che era meglio non chiedere – e infondo una risposta, Hans, non ce l'aveva.
    Quindi sì, avrebbe voluto godersi un vero momento di calma, per quanto effimera, ma non avrebbe rischiato di cercarla nella canna del Jättelik; sapeva che la quiete precedeva sempre uno stato (solitamente di esuberanza) che al Belby stava stretto. Ed ebbe la conferma di aver fatto la scelta giusta quando Twat, indeterminati minuti dopo, parlò di nuovo.
    Aveva ancora gli occhi socchiusi e non lo stava guardando, perciò l'occhiata indecifrabile di Hans andò a scivolare sul muro fatto di indifferenza che la canna aveva eretto in vece dell'emocineta, ma a quest'ultimo probabilmente non sfuggì il modo in cui i muscoli del minore si irrigidirono, seppur solo per qualche istante, a quella domanda.
    Che poi: era una domanda davvero stupida.
    No che non voleva parlare – quando mai?!
    Di cosa avrebbe dovuto parlare?
    (Di un sacco di cose.)
    Cos'aveva da dire?!
    (Un sacco di cose.)
    Sospirò, quasi tradito da quello che considerava il suo compagno di silenzi e domande per lo più intelligenti (quando si degnavano di farne). «No.»
    Che poi, davvero, era tutto ciò che aveva da dire in quel momento.
    Con gli occhi sull'orizzonte, pensò che era molto più facile quando a parlare erano gli altri – e che spesso non si rendeva conto di essere abbastanza fortunato da avere intorno persone che parlavano al posto suo.
    Era molto più facile quando Bri lo tempestava di chiacchiere e di insulti e lui doveva solo darle fastidio bruciacchiandole i capelli; quando Livy raccontava con passione qualcosa riguardo il Quidditch, o le sue amiche, o suo fratello, o chissà cosa e ad Hans bastava annuire fingendo di averla ascoltata per rendere felice la Tassorosso; quando Taichi – no, Tyler. – gli riversava addosso i suoi problemi e Hans li accoglieva volentieri perché significava non dover parlare dei suoi.
    Ma non era facile parlare quando non aveva la minima idea da quale punto iniziare.
    In silenzio, lasciò che i secondi trascorressero inesorabili e mettessero un punto fermo a quella conversazione, rendendo inamovibile la sua posizione. Poi, con una smorfia appena visibile nella luce crepuscolare, aggiunse: «non abusare della roba di Swag, rischi di diventare come lui.» Scemo? Sì, beh, anche ma soprattutto: socievole.
    broken machine
    broken machine
    nothing but thieves
    pyrokinesis
    ivorbone
    13.01.2004
    hans
    belby



    beh dai, mi vuoi bene anche se non rileggo, no? 💛❤️
     
    .
4 replies since 24/4/2022, 16:46   163 views
  Share  
.
Top