[HAPPY BDAY OBLIVION - 9TH] I think I left my consciousness in the 6th dimension

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    lesbian from the next door

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    «guarda questo bellissimo pendente che ho comprato l'altro giorno!!» voleva davvero darsi all'ipnosi e quel pendente in quel negozio doveva proprio averla ipnotizzata costringendola a comprarlo. Ora non aveva la minima idea di come funzionasse e come basi aveva solo i film in cui lo lasciavano penzolare davanti al volto di chi doveva essere ipnotizzato e dicevano cose.. facevano cose... che non ricordava assolutamente. «tu verrai alla festa con me... tu verrai alla festa con me...» quelle parole dovevano bastare. O così avrebbe immaginato ma Hamal sembrava pensarla diversamente. «kayla... non mi hai ipnotizzato» damn, non vendevano più la roba di un tempo «questo è quello che ricordi» gli fece l'occhiolino e rimise il pendente al collo. «dovresti davvero venire, la tua vita è monotona, dovresti renderla più emozionante !!» Kayla viveva decisamente molto più libera dalle preoccupazioni e i mille dilemmi che Hamal si faceva. Le piaceva definirsi uno spirito libero. «la mia vita non è monotona... stamattina sono scivolato per le scale, un'oca assassina mi ha seguito con la naruto run e mi stavo cagando addosso, quest'inverno stavo per cadere dal tetto aiutando papà con le luci di natale, come non dimenticare quella volta che saltando sul letto sono scivolato e cadendo mi sono rotto il braccio, da bambino credo mi abbiano fatto sbattere la testa mentre mi lanciavano in aria usandomi come bambolotto... dovrei continuare?» la lista era infinita. Aveva un'affiliazione con l'ospedale e a momenti creavano una stanza col suo nome per ospitarlo almeno una volta al mese. Le infermiere comunque, già lo conoscevano. Erano diventate anche sue confidenti personali. Una volta che era stato ricoverato per qualche giorno, avevano preso anche the e biscotti assieme durante la pausa di alcune di loro e aveva gossippato. La sua vita era molto interessante!! Uno dei suoi sogni nel cassetto era pubblicare la sua biografia sperando che in futuro qualcuno l'avrebbe studiata. «questa si chiama sfortuna. o karma? hai conti in sospeso??» portò la mano al mento facendo finta di accarezzare un pizzetto e strabuzzando gli occhi guardandolo con fare sospetto. Inutile dire che era troppo innocuo per fare effettivamente danni che portassero ad una tale sfortuna. «nah, tu bello mio tieni il malocchio» gli fece pat pat sulla spalla. «occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio, ecco te battizzo contro il malocchio. puh! puh! e con il peperoncino e un po' d'insaléta ti protegge la madonna dell'incoronéta; con l'olio, il sale, e l'aceto ti protegge la madonna dello sterpeto; corrrrrno di bue, latte screméto, proteggi questa ché sa dall'innominéto.» peccato che non faceva effetto solo dirlo e non aveva tutti gli ingredienti. Vabbè ma tanto che ne sapeva lui, neanche lei la conosceva tale stregoneria, gliela aveva insegnata qualcuno mentre era mezza fatta. «vabbè senti, ascolta a zia kayla» si spolverò i jeans poi lo guardò negli occhi e venne interrotta. Anche se non stava parlando? Soprattutto se non stava parlando. «ma non sei mia zia» ma io sono giapponese vibes. Gli lanciò uno sguardo ammonitore e andò avanti ignorandolo completamente. «ti svelo uno dei miei trucchi» gli prese il cellulare aprendo la rubrica, iniziando a scorrere sui profili con gli occhi chiusi. «ogni giorno scorri a casissimo fra le chat, senza vedere ne scegli una e invii un messaggio random» cliccò un contatto aprendo la chat e sorrise scrivendo "Sto per essere trascinato ad una festa contro il mio volere. Ti aggiornerò riguardo il mio triste destino" e senza che Hamal potesse fermarla in tempo, inviò il messaggio. «sarà divertente»

    [..] «ho preso da bere!! ci servono energie per buttare giù questo posto!! ...volevo dire per fare baldoria» saltellò tutta eccitata sul posto porgendo un bicchiere a Hamal. Hamal non odiava le feste, gli piacevano, solo che amava più stare in compagnia e far gruppo perché odiava essere lasciato da solo e le feste erano sempre un problema da quel punto di vista. Divertenti ma dispersive. Per quanto riguardava Kayla, dovunque ci fosse una festa, c'era anche lei. Anche se non era invitata. S'imbucava e si credeva amica dei festeggiati per poi sparire se le cose si facevano drastiche. «kayla credo che qualcuno mi abbia drogato» disse Hamal poco dopo aver bevuto l'intero bicchiere in un unico sorso e Kayla quasi sputò il sorso che aveva appena fatto. «oh hamal se fosse così non credo te ne saresti accorto» ridacchiò appoggiando il mento sulla sua spalla. «no, kayla vedo un caleidoscopio di colori attorno alle persone» e gli occhi che saettavano fra le varie persone presenti la incuriosirono. «TROPPO FIGO» si riposizionò di fronte a lui con un saltello e lo guardò facendogli il finger guns «di che colore sono??» «rosso acceso» «troppo forte voglio drogarmi anche io» bevve l'intero bicchiere e sfarfallando la mano lo salutò prima di gettarsì su qualcuno con un «hey bro ma lo sai che sono rosso fuoco»

    kayla: are lobsters mermaid to scorpions?
    hamal: it's 4 am in the morning

    QUOTINA QUOTINA QUOTINA
    QUOTINA
    WHEN YOU ARE DOWNIE
    EAT A BROWNIE

    kayla & hamal
    INFO - INFO


    non fanno niente, disagiano fra di loro.
    kayla alla fine si getta su qualcuno (vuoi essere tu?) con un «hey bro ma lo sai che sono rosso fuoco» e hamal rimane da solo a fissare la gente e la loro aura ps. domani sistemo lo schemino

    drink verde (kayla) e drink celeste (hamal)


    Edited by sort(a) of motherfika - 29/4/2022, 02:29
     
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    «Ma secondo te?» Fece il verso al fratello con tanto di gesto con la mano (non so spiegarlo ma so che avete capito dai il becco di papera) e vocina stridula «gnegnegne» grande maturità di Lexi a parte, ma perché Francesco doveva essere sempre così… corvonero? Oddio non era che non lo avesse mai visto divertirsi durante un party ma pareva sempre avere un palo su per il cu…«Abbi un po’ di cuore!» ecco «Famme divertì, e magari vivi ‘npo pure tu eh Francè?»
    Recuperò l’accendino dalla borsa in cui, viste le dimensioni, probabilmente teneva solo quella; stava per accendersi la tanto agognata sigaretta ma qualche entità divina doveva probabilmente volerle male «ALESSÀ! grazie, troppo gentile, li faccio io due tiri con te, ho finito le sigarette. ao Francè, che è sta faccia?» alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente «Vedi te se sto scroccone pure qua me lo devo ritrovare, ma n’pacchetto di sigarette te mai eh Tupà?» Classic Alessandra storpiare ogni nome esistente, comunque, come per ogni incontro passato ad Hogwarts, passò a Tupac una sigaretta intera perché tanto le rubava dal padre mica le pagava lei, era fortunata che quel pover’uomo non tenesse il conto del tabacco fumato durante una giornata, altrimenti le sarebbe toccato fa qualcosa come aprire onlyfans per du’ pacchetti di sigarette e dubitava seriamente che le sue tette le facessero fa soldi facilmente «Famme sapè se ti serve pure n’polmone» Nel caso avesse voluto scroccarle pure quello insomma.
    «Famo così, te mi dai ‘na sigaretta sana poi voi smezzatevela come volete» eccallà pure il fratello scroccava, ma fino a cinque minuti prima non era quello che non viveva per paura de respirà?
    «T’avviso Francè domani rubi te dalla scorta di papà, non m’interessa.» detto ciò gli lanciò il pacchetto mezzo vuoto, tanto ne aveva uno nuovo di riserva, ma questo il fratello non doveva saperlo per forza.
    E poi arrivò Leo, e doveva essere vero il fatto che fosse lui il royal baby della famiglia Linguini (si chiama come il figlio della ferragni, È IL MINIMO) perché le allungò una sigaretta INTERA!!
    «Dev’essere un miracolo.» non poteva essere altrimenti in effetti. «Vuoi chiedere a tuo padre se vuole quello lì come figlio?» dopo aver afferrato la sigaretta dal cugino, e mica era scema, indicò Francesco con un cenno del capo mettendosi poi una mano sul fianco «Lo vedi Francè come ci si comporta? Prendi esempio» e niente la parte di non dirlo al fratello le doveva essere sfuggita, o come al solito l’aveva ignorata perché tanto ormai il fratello era abituato a vederla fumare persino sul water mentre si nascondeva da Erisha.
    MA BANDO ALLE CIANCE «Ma che è nessuno c’ha sete stasera? Eppure pe na banda de scrocconi come voi dovrebbe essere il paradiso visto che è gratis.» domandò mentre si avvicinava al bancone, tutti sapevano che la sigaretta era d’obbligo dopo un buon cocktail «Fai te amò» beh civettare con il barista era un must persino se i cocktail erano gratis, perché a cosa serviva essere donna se non a bere gratis in discoteca.
    In un bicchiere da Martini spiccava un liquido rosa shocking, Lexi non se lo fece dire due volte e prese il primo sorso: improvvisamente il mondo sembrò prendere colore, come se prima fosse stato completamente grigio, era quasi scintillante agli occhi della tassorosso.
    «Ma sapete che è popo bono?» prese un altro sorso «Me fa sentì come quando mamma sta in pasticceria tutto il giorno» mise un braccio intorno al collo del fratello tirandolo un po’ troppo verso di se «’Na favola»
    Rideva come una cretina e se possibile sembrava ancora più scoordinata nei movimenti «Prendine n’po Tupà» porse il bicchiere al ragazzo offrendogli il suo drink, almeno sarebbero stati in due a salire su un tavolo e a dare spettacolo fra qualche minuto.


    I am the
    Black sheep
    Of the family
    A LITTLE PARTY NEVER KILLED
    NOBODY
    HANGOVERS ARE TEMPORARY
    DRUNK STORIES

    ARE FOREVER
    Alessandra Naisha Linguini
    Lexi– 18 y.o.
    HUFFLEPUFF- STUDENT


    Parla con Francè e Tupà offrendogli da fumare, tesse le lodi di Leo e beve qualche sorso di un drink colore rosa shocking offrendone un sorso anche a Tupac
     
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    «per celebrare la nona edizione del Rito-rno, vi ho portato una sorpresa»
    che elíte rey jenkins non fosse il classico animale da festa, si sapeva. lo sapevano tutti quelli che gli gravitavano attorno, conoscenti stretti o meno: non ne faceva certo un segreto.
    «hanno fatto un lungo viaggio per arrivare qui. Potremmo quasi dire … mistico»
    se si era presentato quella sera, con un completo scuro dal taglio classico e un fottuto papillon a stringergli il colletto della camicia, era solo perché grey lo aveva costretto — ad andare e a vestirsi in quel modo ridicolo. anche se i membri del clown show erano tutti presenti, elíte si sentiva il più pagliaccio di tutti.
    «arrivano direttamente da un’altra dimensione. sono coloro che ci hanno salvati»
    non lo aveva nemmeno calcolato, l'esemplare di Percival selvaggio che si era affacciato alla balaustra per fare la sua acclamazione di rito, troppo impegnato a seguire con lo sguardo la quantità discutibile di bambini (più o meno cresciuti) troppo vicini agli alcolici — dopotutto, non si sa bene come, il Jenkins era un professore: tenere d'occhio i ragazzini era diventata una terribile deformazione professionale —, fino a quel preciso momento.
    «va che sei una merda» solo un sibilo soffiato tra i denti, le iridi grigio azzurre all'improvviso attratte dal movimento confuso alla base delle scale. non ci poteva fottutamemte credere «che figlio di puttana» si riferiva a Percy, ma anche più in generale. erano anni ormai che elíte jenkins ce l'aveva su con il mondo intero, con un milione e più motivi per volerlo spaccare e diatruggere e distruggersi.
    «UN APPLAUSO AGLI EROI DEL SOTTOSOPRA!!»
    si sentiva come congelato, il guaritore.
    un blocco di ghiaccio con miliardi di spilli a pungere la pelle dall'interno, che lo rendeva incapace di muovere anche solo un muscolo; avesse potuto, avrebbe girato sui tacchi e sarebbe scappato via, come il bambino che non era più e non sarebbe potuto più essere. quello stesso bambino cresciuto guardando troppe fotografie, un sorriso flebile stampato sulle labbra mentre fantasticava su genitori mai conosciuti; lo stesso bambino che a cinque anni si era visto abbandonare di nuovo, come fosse ormai una costante.
    si sentiva addosso gli sguardi preoccupati di Victoria e Barrow, ma non pensó nemmeno per un istante di voltarsi nella loro direzione, chiedere aiuto: avrebbe potuto, e loro gliel'avrebbero dato senza fare domande. ma era una soddisfazione che Elíte non aveva alcuna intenzione di dargli.
    se n'erano andati, giusto? per i cazzi loro, in un'altra dimensione di merda a cercare risposte per domande che non avrebbero comunque dovuto porsi in primis. lo aveva fatto anche lui, a vent'anni, quando la situazione era precipitata fino a toccare il fondo, senza lasciare solo nessun ragazzino — ma non era uno che portava rancore, il jenkins.


    «guarda jade, siamo vipsss!!!» era tutto bellissimo (oh mio dio è terribile): non lo aveva mai visto di persona, il sottosopra, e certo non aveva salvato nessuno durante l'infamous battaglia di qualche anno prima, ma non avrebbe certo rifiutato un invito da parte di (Barbie) Frankie Cobain a visitare il luogo mistico dal quale proveniva con tanto di festa in loro onore — quello dei morti, per essere sinceri.
    perché di essere crepato male insieme a Jade, Nate e decisamente troppi altri, euge lo sapeva bene. ci aveva pensato fergie a metterlo al corrente durante il tempo passato nella loro realtà, ed era quella merdina di suo fratello che gli mancava più di tutti: avere Jane accanto era diventato per il Jackson di vitale importanza, ma aveva anche imparato a scindere le due persone e a non aspettarsi più che la ragazzina potesse in qualche modo tornare ad essere Ferguson JacksonJackson. però il criminale gli mancava, sempre, forte «o meo deo, eccolo eccolo!!!€!1» se l'aveva riconosciuto al volo nonostante i nove anni passati in quella realtà? ma che domande fate: avrebbe scovato Fergie in mezzo alla folla anche se avesse avuto un pv diverso (.) «FERGALICIOUS!!!» diede uno scossone a Jade con la mancina, saltellando sul posto — un uomo adulto grande e grosso che dimostrava all'incirca l'età del bambino al quale la beech stava tenendo la mano. il quale se la rideva di gusto, povero Uran Elíte Beech-Jackson, assolutamente ignaro di dove fosse finito e perché.
    o di quali cose strane stessero per accadergli.
    poi Eugene corse.
    corse velocissimo come non correva da (anni) tempo, e di solito solo per salvarsi il culo.
    quella volta corse incontro a Ferguson Jackson, il quale aveva quasi la sua età e questo sì che era davvero strange forte.

    «eli-»
    quando gli si era avvicinata Victoria Quinn? prima era dall'altra parte del patio, l'attimo dopo gli stava accanto, spalla contro spalla; non che servisse a qualcosa, comunque «non devi sentirti obbligato» solo allora Elíte piegò la testa, distogliendo lo sguardo dalla chioma bionda di Jaden per posarlo sul volto serio e imperscrutabile della ragazza; se fosse rimasta con lui, quand'era bambino, forse avrebbe imparato a chiamarla zia Vic «ah no? se ci fosse tuo padre non ti sentiresti obbligata?» chiuse per un istante gli occhi, le braccia a ricadere lungoni fianchi. sentiva il cuore martellargli nel petto ad una velocità difficile da sostenere, e non sapeva come farlo smettere «se ci fosse gwen» non la guardò, mentre pronunciava l'unico nome che sapeva di non dover dire ad alta voce; l'unico che sapeva di dover dire se voleva raggiungere lo scopo di ferirla «non ti sentiresti obbligata?» sapeva che se avesse voluto, Victoria avrebbe potuto colpirlo in quel preciso istante, e fargli il culo a strisce.
    ma lei non lo fece.
    «non sarebbe mio padre. non sarebbe Gwen. ma immagino sia giusto che tu lo veda con i tuoi occhi»
    a quello elíte rey non rispose — perché sapeva che aveva ragione lei e non voleva doverlo ammettere ad alta voce. rimase in silenzio e immobile il tempo necessario perché la biondissima Quinn decidesse di farsi da parte, accennando verso di lui un ultimo sorriso prima di tornare a fare da baby sitter a quei disagiati dei suoi amici (tra i quali, per inciso, c'era anche suo zio); poi si mosse. un po'di meccanico, avvertendo i muscoli troppo tesi ad ogni passo, le dita delle mani a muoversi convulse afferrando solo aria: non sapeva dove cazzo mettersele.

    «oooohh, ma guarda come sei diventato bello» erano già due minuti che Eugene teneva Fergie tra le braccia, i piedi del ragazzo a scalciare a mezz'aria; canon gli avesse fatto fare anche una piroetta, livello cinematic masterpiece. quando molló la presa, allontanandosi di un passo dal fratello, il Jackson (maggiore) aprì la giacca e controlló all'interno all'interno — no ok, il portafogli era ancora al suo posto «scusa, forza dell'abitudine» con un sorriso raggiante dipinto sul volto, euge si guardò finalmente intorno per la prima volta: aveva attraversato il portale senza pensare (strano), con jade e uran alle calcagna, pensando solo alle testine di vitello che avrebbe ritrovato dall'altra parte e non alle evidenti implicazioni. cioè, a quelle non stava pensando nemmeno adesso — conseguenze mistiche, rottura della membrana interdimensionale, morte e distruzione, l'apocalisse, l'inizio della quest 9 #cos: era troppo distratto concentrato sulla location «beh dai, bello. ma mai quanto il mio Bidet» lo lasceremo così, ominous e out of context. quando tornò a voltarsi verso il suo bro, non poté fare a meno di abbracciarlo di nuovo, quel piccolo kriminale «allora fergie, baby, cosa mi racconti? come stanno adina e timmy? »
    oh, Eugene Jackson era stupido, ma aveva una memoria di ferro: ricordava sempre gli sgagni che interrompevano lui e jade mentre facevano le cosacce «e barrow? dov'è quella testina, l'ha poi scritto il seguito dei Mayali Galattici???» euge big fan, fategli causa. vuoi poi che nel mentre non afferri un bicchiere a caso con dentro dell'invitante (no) liquido color slime — perché non sembra già abbastanza drogato di suo, ci vuole anche il drink alla cannabis.

    «io-» si rese conto che stava sudando quando ormai era troppo tardi. poteva solo sperare che lei non se ne accorgesse, e al massimo dare la colpa al clima mite della serata. portò la mano destra alla bocca, elíte, tossendo piano per schiarirsi la voce; avrebbe fatto meglio a portarsi dietro qualcosa da bere, prima di raggiungere Jaden Beech, così forse non gli sarebbe sembrato di avere la gola foderata di carta vetrata. riprovò «volevo solo darle il benvenuto» si trattenne a stento dal fare una smorfia, le iridi verde chiaro rivolte per un istante al pavimento — aveva davvero dato del lei ad una ragazza che avrà avuto si e no la sua età ed era identica a come appariva sua madre nelle fotografie ormai rovinate che si portava sempre appresso? dio, elíte, quanto sei caduto in basso «sono-» e si interruppe di nuovo, il Jenkins, perché incrociare gli occhi di Jade faceva un cazzo di male.
    perché erano uguali, lui e lei, e per quanto Idem glielo avesse ripetuto un milione di volte elíte non aveva mai voluto crederci fino in fondo: eppure la realtà era lì, davanti ai suoi occhi. avrebbe potuto dirle la verità, se solo da dietro le gambe della bionda non fosse spuntato il bambino, con la sua zazzera di capelli castano chiaro e gli occhi di un azzurro così intenso da ricordare il cielo terso d'estate — non gli somigliava per niente. e all'improvviso elíte Rey Jenkins capì cosa aveva voluto dirgli Tuoac Hamilto durante uno dei loro colloqui nel piccolo ufficio che Hogwarts gli aveva riservato, quando con sguardo distante e annoiato aveva tentato di spiegargli perché continuasse ad attentare alla vita di Noah Hamilton; «quello si è fottuto la mia vita, prof. cosa c'è da capire?» niente, in effetti. gli bastò uno sguardo per odiare quel bambinetto di merda attaccato a Jaden, stretto stretto ad una mano che non aveva mai tenuto la sua quando era piccolo.
    cristo iddio, datti una regolata «Rey Withpotatoes, professore di Corpo a Corpo» allungò la mancina verso Jade in modo molto polite, la voce tornata salda e stabile. non era nemmeno una bugia, e andava bene così: dopotutto, senza idem sarebbe cresciuto da solo sotto un ponte.


    euge
    elíte
    QUOTINA QUOTINA
    QUOTINA
    QUOTINA QUOTINA
    QUOTINA

    QUOTINA
    euge & uran
    euge & elíte
    31 & 30 - prof & prof.


    aiut. allora:

    euge arriva alla festa con Jade e uran, vede Fergie e gli corre incontro per fargli le coccole, poi beve un drink verde (cannetta)
    elíte si fa un sacco di pippe mentali, parla con Victoria, poi va da Jade e si presenta ihih (ci sei vero Jade???)
     
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    «Pronto, casa Kitch- ahem, HellKitchen» si costrinse a pronunciare quella correzione, roteando gli occhi ma concedendo comunque ad un sorriso divertito di piegare leggermente gli angoli della sua bocca all'insù: era da solo, nessuno che potesse vederlo o redarguirlo, ma Cole riusciva a sentire gli sguardi truci dei figli volare in sua direzione a quella “dimenticanza”; era una cosa (scema) buffa, ma tutti ci tenevano, anche lui. Continuò: «sono Co-»
    «PRONTO??? ZIO COLE???»
    «Non c'è bisogno che urli.»
    Cioè, che modi: aveva dovuto comperare occhiali da vista, non Amplifon. Ma guarda tu 'sti giovani.
    E poi, mica era colpa sua se le tesserine di Scarabeo erano così piccole e lo costringevano a strizzare gli occhi! E i caratteri della Gazzetta sempre più piccoli: come pretendavano riuscisse a leggere le definizioni dei cruciverba senza un piccolo aiuto?!?
    Ma andando avanti.
    «AH SÌ SC– sì, scusa CAZZO.»
    «... Dex? Tutto bene?»
    «Sono caduto, tutto apposto.»
    Ah sì, da quando. Era una novità.
    «Seeeenti... Tante volte, no, per caso... Passi per Cuba? Così, chiedo...»
    Okay che i suoi viaggi erano spesso “spontanei” (per la gioia di Teddy.) e (non) organizzati nel giro di poche ore ─ ma Cuba? Anche avesse potuto, era esagerato persino per lui.
    E comunque non poteva.
    «Non posso,» ma era un padre e uno zio responsabile, il Mitchell (fu Marshall, dont ask.), perciò dopo una piccola pausa aggiunse: «ma posso chiedere a Teddy di passarti a prendere con la metropolvere.» Perché solo uno ad HellKitchen era già tirato a lucido per la festa e non era il trentatreenne con le ciabatte ai piedi e l'asciugamano indossato a mo' di turbante.
    Annuì e sorrise ai saluti concitati di quel disgraziato di suo nipote, poi lo salutò e scese in cucina per informare Teddy che era appena stato offerto come Uber magico per andare a recuperare il criocineta in quel di Cuba.
    Vibrava già all'idea della sua reazione.
    E infatti: «CUBA???» *secondi necessari per fare la drama queen* «Ok.»
    Allargò il sorriso, dandogli una pacca affettuosa sul petto già fasciato dalla camicia e dal completo elegante. «you big softie» Era proprio così, mannaggia. «Va', prima che lo arrestino.» Come lo sapeva? Beh, non sarebbe stata la prima volta. «Ci vediamo alla festa!» ammesso che fosse riuscito a prepararsi in tempo e senza ulteriori imprevisti ─ che poi!! La serata Monopoli era tra due giovedì!

    Il bello di avere dei figli praticamente tuoi coetanei era (che non dovevi assumerti troppe responsabilità, erano grandi grossi e perfettamente in grado di badare a loro stessi) (were they....) beh dicevo: il bello era che in occasioni del genere avevi la casa tutta per te per poterti preparare in santa pace senza nessuno ad occupare il bagno per ore e senza nessuno a metterti (ansia) fretta.
    E okay. Ad essere del tutto onesti aveva spedito Teddy a Cuba perché di solito era l'Auror a ripetergli in continuazione, guardando l'orologio, che stavano facendo ritardo e a nulla servivano i «distrarmi dicendomi che sono in ritardo non aiuta di certo» di Cole che, con tutta la calma del mondo, continuava a scegliere quale cravatta abbinare e quale gemelli indossare con quel completo. Ora, nel silenzio quasi assordante della casa deserta, mentre stringeva il nodo alla cravatta e prendeva nota un'ultima volta della sua immagine allo specchio, un po' si pentiva di non essere andato con Theodore a recuperare quel disgraziato di Dex; non era abituato alla calma.


    «Nooooo» mano sul cuore, occhi e bocca spalancati e aria di chi non ha mai visto tanta riccanza prima d'ora (perché era così, baci.), Wren cercò di assimilare quanti più dettagli possibili tutti in una volta, dalle ampie scalinate («tutto cardio....terribile.») ai soffitti altissimi, dalle statue decorative agli affreschi sulle pareti; dalle colonne di marmo ai soprammobili che dovevano appartenere almeno al secolo precedente. Strinse la mano intorno al braccio del ragazzino al suo fianco per (non perderselo? ah ah no, vi pare.) attirare la sua attenzione. «baltyyyy guarda la!!!» la dove era difficile dirlo, dal momento che il geocineta continuava ad indicare un po' ovunque, tanto per confondere ancora di più il Tassorosso. Ma era giustificato!!!!! Ne aveva viste di feste fike, ma di solito rientravano negli standard di Lapo ed erano meno....come dire.....raffinate. Nulla a che vedere con la scintillante sfarzosità emanata dalla reggia e da( buona parte de)gli invitati.
    Wren era chiaramente underdressed, nonostante avese cercato di ascoltare i consigli del Monrique, e con la sua giacca di seconda mano, i capelli scompigliati e le converse ai piedi era chiaramente fuori posto.
    Aveva idea di come fossero finiti lì, e tanto meno del perché? Beh: no. Ma d'altronde era un po' ciò che si chiedeva ogni volta, in ogni situazione, quindi chissenefrega no? Una festa era una festa.
    Guidò Baltasar verso una delle sale, fingendo di sapere esattamente dove stesse andando, rivolgendo ogni tanto sorrisi cordiali a persone che gli sembrava di conoscere (ma anche a completi sconosciuti perché Wren Trevor Hastings era un ragazzone educato, okay?!), ed infine braccò uno dei camerieri per rubare due flûte di bollicine colorate. «non dirlo a mia mamma» ammonì Balt, allungando verso di lui uno dei bicchieri, «potrebbe arrabbiarsi» perché portava sulla cattiva strada i ragazzini, offrendogli alcolici e spacciando loro la droga? no, certo che no. «avrebbe voluto farlo lei» o, per lo meno, questo era quanto aveva detto al figlio la prima volta che gli aveva offerto una canna: «preferisco tu lo faccia con me, almeno posso controllarti» Wren immaginava che valesse lo stesso per l'alcol. Ma Balty era già un pezzo avanti, quindi non contava davvero.
    Il pasticcere fece tintinnare i loro bicchiere uno contro l'altro, prima di scolare il contenuto del suo con un unico, lungo, sorso.
    «cerchiamo qualcuno di divertente a cui accollarci???» ✨strategia✨


    «buonasera. buonasera a lei, salve, salve. la trovo bene. si grazie, a casa tutto bene,» per sua fortuna, il sorriso cordiale e lo sguardo attento non sembravano tradire ciò che Cole stava pensando in quel momento: “ma chi straminchia sei, amico, mai visto prima”. Decise comunque di intrattenersi con lo sconosciuto che sembrava, al contrario, conoscerlo molto bene. Forse era qualche collega di Teddy? O qualche amico dei suoi figli? Un misthero; che Cole non aveva voglia di risolvere, e la conversazione era durata anche troppo. «con permesso» si congedò, anche se così facendo condannò se stesso a vagabondare senza meta da una sala all'altra, scambiando ancora convenevoli educati e disinteressati con la stragrande maggioranza degli invitati. Non è che Cole fosse asociale – è che, semplicemente, non era molto bravo a fare chiacchiere leggere con gente in apparenza sconosciuta. Almeno su quello lui e Teddy andavano d'accordissimo. Meant to be.
    E a proposito del biondo: lo vide raggiungere Percy BMW e la donna che quest'ultimo teneva sotto braccio, e non aveva bisogno di essere lì per sapere che il Keen fosse entrato già in modalità Auror, pronto a fiutare anche il più piccolo dei problemi prima che sfociasse in qualcosa di irreversibile. In effetti, quella festa aveva un potenziale atomico enorme: troppa gente che non apparteneva a quel mondo, a quella dimensione, ma chi era lui per fare il guastafeste e farlo presente. C'era Teddy per quelle cose. (Un bacino al padre dei suoi figli: you're doing amazing sweetie.)
    L'avrebbe lasciato fare ancora un po', poi sarebbe andato in suo soccorso.
    Forse.
    Così, bicchiere in mano (ma... quando era successo, chi gliel'aveva dato – vabbè.) continuò a girovagare per la stanza, facendo cadere sguardi curiosi sugli ospiti dell'altra dimensione, persone che aveva conosciuto ma che dubitava si ricordassero di lui: era bravo a risultare anonimo ed era indubbiamente un volto facile da dimenticare; non gli piaceva occupare spazio nella vita delle persone, tanto meno nel cuore, perché non si reputava abbastanza bravo a rimanere. Già era difficile non deludere la propria famiglia – figurarsi se poteva sopportare il peso dell'aspettativa di gente che vedeva una volta ogni vent'anni, se tutto andava bene.
    Terribile.
    Lasciò perdere quei pensieri solo intravedendo un'Ake solitaria nella folla, alla quale decise di avvicinarsi per solidarietà. «com'era l'orata?» perché canon che i kitchen condividano un (1) neurone e pensino alle stesse identiche cose da dire. Sorrise dolcemente alla special, il bicchiere ancora stretto tra le dita: forse avrebbe dovuto bere prima o poi, ma non era certo di volerlo fare – chiamatela deviazione professionale, Cole sapeva bene che non era mai saggio bere intrugli sconosciuti e colorati; alle volte era pericoloso persino bere i miscugli che preparava lui stesso! Quindi insomma. Disturbato sì, ma scemo no.
    Non si soffermò sul fatto che fosse sola soletta, ma la capiva: essere sposati era difficile.
    (“ma Cole, tu non sei sposato” ah no? avrebbe giurato di sì.)
    «Ho visto le ragazze, poco fa. Pare si stessero divertendo.» Perché non aveva visto la loro espressione all'arrivo dell'assassino di Will, ma okay. Alzò lo sguardo sulla donna al suo fianco, in attesa. Dai, Ake, digli anche tu che hai visto i suoi ragazzi così può rilassarsi.
    Anche perché, di che parlano i genitori alle feste, se non di figli? Aiuto.
    I'm here for you
    Thanks! : ) I'm going through a rough time
    so it means a lot.
    and sorry, I lost all my contacts who is this?

    this is your Uber diver
    I'm here to pick you up.

    oh

    'cause nobody wants to do it
    on their own;
    and everyone wants to know
    they're not alone
    I'm (NOT) gonna trade this life
    for fortune and fame
    I'd (WON'T) even cut my hair

    and changed my name
    maddox rory &
    wren hastings
    cole mitchell &
    Matías Sebastián monrique
    33, potionist | 35, empathy


    - wren: arriva con balt, prende da bere (drink giallo - effetti nel prossimo post #wat) e poi propone di accollarsi a qualcuno
    - cole: arriva da solo, intravede teddy con lupe, percy & co. ma non si avvicina, va da ake (dai eli dont leave me hanging)
     
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    E quando pensi che siano arrivati tutti i Linguini ecco che entra nella sala in tutto il suo splendore la seconda royal baby della famiglia: Victoire Linguini, l’altra figlia di Lapo, per intenderci.
    Victoire non sembrava essere italiana, e soprattutto non sembrava essere una Linguini, chiunque l’avesse vista da fuori l’avrebbe trovata bellissima nella sua semplicità in quell’abito bianco e la pelle eburnea, ma si sa l’apparenza inganna ed infatti con lei probabilmente i geni francesi avevano preso il sopravvento trasformandola in una baguettara con la puzza sotto il naso, quel tipo di ragazza che sembra disprezzare pure l’aria che respira «Hanno già cominciato a comportarsi come dei caciottari?» perché a Vic a differenza del fratello proprio non interessava ingraziarsi la famiglia, la domanda era rivolta proprio a quest’ultimo che aveva affiancato e al quale diede un bacio sulla guancia, stampandogli l’alone del rossetto, in segno di saluto «Ho fatto tardissimo, papà non ne voleva sapere di uscire dal bagno senza aver provato il nuovo prodotto da skincare che ha comprato.» schioccò la lingua sul palato facendo un rapido conto nella propria mente «Con questo siamo a 16, chissà se spenderà tutti i suoi soldi per arrivare ad avere la pelle luminosa come quella di Edward Cullen» esposti tutti i problemi mentali del padre che sembrava essere in crisi adolescenziale, LUI CHE AVEVA DUE ADOLESCENTI IN CASA, si guardò intorno beandosi alla vista di quella sciccheria che tanto le piaceva, non pacchiana ed elegante « A Maman piacerebbe questo posto.» appuntò mentalmente di scattare qualche foto con lo smartphone per mandargliele, e si sa dopo le cose belle c’è sempre lo schianto, così passò in rassegna ad uno ad uno tutti i membri della sua disastrata famiglia.
    « La fai bere? Guarda che poi tocca a te portarla a casa» guardò con un sorrisetto il più grande dei Byrne-Linguini « Però potrebbe essere divertente lasciala fare» incrociò le braccia al petto osservando Alessandra che tornava dal bancone con un drink dal colore discutibile, al delirio non ci fece mica caso, non era tanto diversa dal solito dopotutto; la vide offrire quel drink a Tupac e si rivolse nuovamente al fratello «Scommetto tre galeoni che tra poco uno dei due vomita» sussurrò di fianco alla spalla di Leone, beh poteva non amare la sua famiglia, ma zia Crez di sicuro le aveva insegnato come, quando e su chi scommettere e di sicuro quella era un’occasione da non perdere.
    «Il colore promette bene!! Dai assaggia prima tu così poi facciamo un sorso tutti» si rivolse a Tupac con la sua solita espressione angelica, non avrebbe mai bevuto quella roba ma per vincere la scommessa una piccola bugia poteva starci, in fondo era a fin di bene, no?




    Some people think luxury is the opposite of poverty. It is not. It is the opposite of vulgarity.
    Embrasse-moi mon soleil
    Say you'd die for me, baby
    You like my hair?
    Gee, thanks! Just bought it

    I see it, I like it
    I want it, I got it
    Victoire Linguini
    Vic, Vittò- 14 y.o.
    Ravenclaw- student


    non fa niente che non sia snobbare i cugini, è di fianco al fratello e scommette che uno fra Tupac e Alessà vomiti a breve
     
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    Poteva essere lì per il caos, certo. Poteva essere lì per non perdersi la possibilità di vedere il mondo cambiare, per non perdersi punto, per seguire una storia che amava apprendere e criticare direttamente sul campo, ma non erano quelli i motivi che avevano spinto CJ Knowles, incrociate le iridi verdi di un CJ Hamilton seccato e arrogante, ad entrare nella dimensione alternativa.
    Erano un paio d’occhi blu che aveva visto solo una volta, anni prima, e che avevano lanciato esche pur essendo il lago ancora privo di pesci. Il Tassorosso aveva incrociato Adelaide Milkobitch per poco tempo, un addio prima ancora di essere un bentornato, e non aveva avuto i mezzi per comprendere la portata, ancora ignaro di cosa il battito frenetico fra le costole significasse. Sapeva, perchè lo sapeva, che in quel mondo aveva deciso di rimanere; che per qualche fottuto motivo, l’Hamilton infame e bastardo che calpestava la Londra dell’AU, se l’era meritato di più - e voleva capire perché; voleva risposte, ma senza realmente fare domande.
    Voleva solo vederla, almeno una volta. Non era tipo da soffrire di solitudine, il Knowles, ben contento di tenere compagnia a se stesso e nessun altro, ma c’era qualcosa di… delicato, nel non avere gli stessi fili che i suoi amici sembravano possedere. Si sentiva meno ancorato a terra, con BJ Reynolds in giro per il mondo ed una sorella che aveva scelto di abbandonarlo due volte. Meno reale. Meno permanente. La cercava nell’enorme sala riccamente – un po’ troppo per i suoi gusti – decorata senza farlo realmente, lasciando che gli occhi chiari veleggiassero pigri sulla folla immagazzinando più dettagli di quanto fosse conscio sul momento. Cercava di associare volti a nomi e ricordi; di completare il puzzle cercando di capire chi, quelle persone, gli rimembrassero, trovandolo ironico e divertente e fottutamente assurdo ed impensabile.
    «è come giocare ad indovina chi» commentò placido, abbassando il capo verso l’orecchio della Kavinsky e lo Skylinski, dopo aver fatto la ridicola ed esilarante walk of honor di fronte a tutti, prendendosi applausi e foto che non meritava – che non avrebbero, loro, aver anche solo pensato di fare, sapendo cosa il Knowles ed i suoi compagni rappresentassero.
    Si vedeva, che non ci fossero stati. Che non capissero.
    Riportò poi lo sguardo sull’Hamilton, il cardine della sua attenzione sino a quel momento – e sapeva fosse reciproco. Non sapeva, né voleva sapere, quale fosse la scusa del telepata, ma gli sorrise arcuando ambedue le sopracciglia. Dal primo, fottuto, istante in cui l’aveva visto, aveva sognato il momento in cui gli avrebbe spaccato il culo. :glitter: terapia :glitter: Lo odiava per motivi che comprendeva, ed altri che preferiva rimanessero ignoti. Il fatto che fosse… adulto, lo disturbava ed affascinava in egual maniera, conscio che lui, alla sua età, probabilmente non ci sarebbe arrivato: era una finestra su un futuro possibile ma non assicurato.
    E lo odiava anche per quello.
    Magari, ed era un grosso ipotetico, non sarebbe stato il primo ad alzare le mani, ma non significava che non potesse divertirsi.

    Avrebbe dovuto ucciderlo quando ne aveva avuta la possibilità. Chiuse gli occhi, un lieve tic al sopracciglio mentre la sottile, grezza, copia di se stesso bombardava la sua coscienza con cruente immagini che sembravano ricordi, sogni, memorie, e che per non essendo alcuna delle tre, logoravano la sua già scarsa pazienza facendolo digrignare i denti. Cristo santissimo. C’erano centinaia di persone lì dentro, e l’Hamilton sembrava incapace di scollarsi quella zecca, sintonizzato sulle sue frequenze con un’affinità che non possedeva con nessun altro – neanche con RJ, quello nato ventisette anni prima da Roy Harvelle e Gemes, probabilmente perché quel CJ era il più tarocco di tutti quelli in circolazione.
    Avrebbe preferito ignorarlo per il resto di quella pagliacciata? Sì. L’avrebbe fatto? Eh. Si parlava pur sempre dell’Hamilton, e l’ultima parola doveva sempre spettare a lui. «ridicolo» lanciò un proiettile mentale dritto al Knowles, preciso come un cazzo di cecchino, e lasciò che le labbra si curvassero in un sorriso appena percettibile quando lo vide sussultare. Solo allora abbassò il capo verso la ragazza aggrappata al suo braccio, sentendo solo marginalmente - sempre e solo marginalmente, che era comunque più di quanto chiunque fosse mai riuscito a scalfire – la propria tensione sciogliersi, ammorbidendo lo sguardo.
    Meara Cooper. Per qualche, inspiegabile, motivo, sua moglie e la madre dei suoi figli.
    «sarebbe davvero una mossa stupida presentarsi qui» prese uno dei bicchieri offerto dai camerieri, ma dopo averne osservato il contenuto, lo riciclò offrendolo al fratello di Meara, sorridendo piatto e scarsamente empatico. «quindi: non mi stupirebbe.»
    FUCK YOU
    : very much
    : to hell & back

    i hate everything
    & we're not friends
    & he smiled
    with a mouthful

    of bloody teeth
    cj knowles
    cj hamilton - 32
    telepath - fiketto

    breve e indolore come piace a me.
    cj knowles: vi osserva tutti. sentitevi liberi di dire FORTE E AD ALTA VOCE come si chiamano i vostri genitori, se siete legacy. siamo curiosi. parla con sersha e barry
    cj hamilton: vi odia tutti. non fa davvero niente. parla con meara (e moore?) e dà da bere a barrow (cooper)

    cj passione legacy akerrow in tutte le vite ♥
     
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    «cioè capisci perché non sono proprio fatti l'uno per l'altra?»
    «lo so» Richard Mitchell-Keen gonfiò le guance con puro, e sincero, oltraggio, spostando i piatti con le tartine per potersi sedere comodamente sul tavolo. Chiuse la vestaglia (ogni anno sceglieva un pov diverso su come presentarsi al Rito; quell’anno era toccato a “vedova ricca e madre single che veste procace cercando di far arrossire gli amici del figlio e di far colpo sui loro padri in versione casalinga”) con un secco gesto del braccio, schioccando la lingua sul palato e poggiando innervosito il mento sulla mano.
    Rich si portava appresso tre grandi traumi.
    Il primo trauma erano Teddy e Cole. Quando un adolescente Rich era stato accolto in casa loro, aveva davvero creduto che in cambio volessero favori sessuali – come i suoi fan in webcam – ed invece ancora niente; siamo una famiglia gli avevano detto, più volte negli anni, abbracciandolo. Like what? Assurdo. Riceveva soldi senza fare nulla. Gli voleva benissimo.
    Il secondo ed il terzo trauma, riguardavano entrambi Ryder Hamilton, l’importante signore della casa discografica che non aveva assolutamente sedotto per i propri CD o quelli di suo fratello slash coinquilino, ma vi pare, che rozzo.
    Ok sì. Ovviamente l’aveva fatto per quello, e perché voleva una relazione proibita!! dirty talk nella notte! Nudes inopportuni!! UN AMATORE ESPERTO!! VOLEVA ESSERE IL PICCOLO SEGRETO DI QUALCUNO! FARE ZOZZERIE IN UFFICIO! E cosa aveva ottenuto? Un lavoro da baby sitter: non lo pagava per fare sesso, e neanche per fare sesso con suo figlio, ma per esserne...l’amico. UGH! INGANNO E SLEALTà! Come se non bastasse, aveva una crush storica per qualcuno che si era smarrito negli anni, era rimasto giovane per sempre, aveva dei figli (piccoli e adolescenti??), una relazione stabile, e SE BISOGNAVA ESSERE PROPRIO ONESTI, era anche bruttino. Non c’era paragone con Rich, giovane bello ed aitante – nonché famoso: tutti conoscevano Poornostar. Era un affare. Una catch. Chiunque avrebbe voluto essere al suo posto! Ma niente, Brodaddy l’aveva recluso al misero, meschino ed infame lavoro di badante ad un criminale in erba.
    Affogò il proprio dispiacere in una torta al caramello. Si sarebbe allenato il doppio l’indomani, ma se lo meritava, ok?
    «è che mia madre si aspettava tanto da mio padre, era un uomo ambizioso da giovane, avevano dei sogni...»
    «uh-uh»
    «una volta mio padre mi ha chiesto se avevo i suoi stessi sogni, se i suoi sogni si sarebbero mai realizzati, se i miei l'avrebbero mai fatto»
    «tu pensa»
    «e io avrei solo voluto dire: pa' io di risposte non ne ho»
    «assurdo»
    «mai avute e mai ne avrò, ma di domande ne ho quante ne vuoi»
    «ma pensa te»
    «tipo: vuoi vedere i miei 33?»
    Non aveva ascoltato una parola. Figurarsi, pensava l’avesse approcciato perchè volesse un autografo. La domanda però la comprese, ed alzò lo sguardo squadrando finalmente l’individuo con cui aveva condiviso gli spazi fino a quel momento.
    Ma chi era.
    Prese un bicchierino blu, buttandolo giù come uno shottino. Indicò se stesso, poi arcuò le sopracciglia. «amo? non te lo puoi permettere» aveva la faccia da povero, Rich aveva naso per quelle cose. E vorrei dire che senza bere il veritaserum farlocco non l’avrebbe ammesso ad alta voce, ma duh. Certo che l’avrebbe fatto. Il suo tempo era denaro, e quello sembrava non possederne neanche per comprarsi jeans senza buchi. «PAPINO» gridò poi, senza contesto, giusto per vedere in quanti si sarebbero girati. Un esperimento sociale.

    «guarda,» posò una mano sul fianco di Will, passandogli di fianco per potersi mettere dalla parte opposta, ed avere una visuale migliore della sala. Le dita della mano libera le strinse attorno al mento di quel demente, ritardato, ma che cazzo ci faccio con te da tutta una vita di William Barrow II il cui metodo di adattamento aveva previsto assumesse una nuova faccia - non efficacemente quanto avrebbe desiderato, evidentemente - voltandolo verso la zona desiderata, quella da cui un paio di ragazze lo osservavano con studiata intenzione.
    «hai dei fan» bisbigliò piano, così che potesse sentirlo solo lui, sorridendo come se quella situazione fosse divertente.
    Un po’, la era.
    Jameson Black Barrel Hamilton era appena uscito da un turno estremamente noioso, più del solito, al Ministero, ed indossava ancora la divisa da Cacciatore, quando passando da Hogsmeade aveva incontrato CJ. Non CJ il tirocinante di Gemes Hamilton, quello tutto lividi e ghigni beffardi e occhiate che parevano lungimiranti pur senza sapere un cazzo - l’altro. Non era il ragazzo con cui aveva combattuto quasi fianco a fianco, ma l’aveva riconosciuto subito. L’aveva sentito vibrare nelle ossa con quel fastidio con cui solamente in pochi sapevano riverberare, e gli era stato confermato dall’occhiata saccente del trentenne dal cappotto scuro e l’espressione impenetrabile.
    Ovviamente, qualcosa non andava. Aveva eretto le adeguate protezioni mentali, si era assicurato di essere sveglio e non allucinato, e l’aveva avvicinato cercando di capire se stesse impazzendo, un’opzione sempre più probabile mano a mano che passava il tempo in quel tugurio del twentysomething, o se qualcosa fosse andato nuovamente a puttane. Nessuna delle due, a quanto pareva; avevano trovato un modo per bucare la realtà ed erano tutti invitati ad una festa.
    Così.
    Come se fosse stato normale.
    Jamie aveva riso, poi aveva capito fosse serio, allora aveva mantenuto il sorriso e aveva educatamente risposto con «ok.» dopodichè aveva scritto a Gugi dove incontrarlo senza offrire alcun contesto. Per quanto ne sapeva, poteva essere una booty call – ed ancora, l’Hamilton, non l’avrebbe escluso.
    Quindi.
    Avevano oltrepassato il portale pur sapendo quanto alte le probabilità fossero che il mondo sarebbe imploso o che sarebbero stati sbalzati in un’altra epoca – Medioevo vero e proprio, forse; magari dinosauri. - ed il cronocineta aveva sempre mantenuto il sorriso, perché quando la tua vita diventava così senza senso, rimaneva ben altro poco da fare. «non essere rude, saluta.»
    - hey i'm rich!
    - good for you
    i told you
    i never

    lose
    poor & jamie
    richard "rich" mitchell-keen
    23 y.o. - former gryff


    vorrei che i miei post avessero senso, invece questo è quello che vi beccate:
    rich parla con trent. beve la cosa magika blu. grida papino. sentitevi liberi di approcciarlo
    jamie parla solo con gugi. perchè questi sono i miei pg anti social.

    besos!!
     
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    La vita di Sam era l'insieme delle scelte azzardate compiute dallo special nel corso degli anni, messe una dietro l'altra e unite da congiunzioni più o meno sensate, fino a renderla un qualcosa che si avvicinava molto più ad un patchwork di avvenimenti e conseguenze (causa ed effetto) che non ad una vera e propria biografia.
    Alcuni avrebbero avuto l'ardore di paragonarla alla trama sconclusionata di una sit-com scadente e─ beh, la sola differenza stava nel fatto che, per quanto lo riguardava, il suo format era decisamente meno divertente di quelli trasmessi dalle tv babbane.
    Eppure non si rammaricava delle scelte fatte, non rimpiangeva nulla ─ se non quello che non era riuscito a fare.
    Proteggere chi amava.
    A ventinove anni poteva dire di aver vissuto (ben più di quanto credesse possibile.) una vita dignitosa; come e in che maniera era arrivato a viverla era un problema che non occupava troppo spazio nella sua mente. Gli piaceva guardare avanti ─ fintanto che poteva permettersi di farlo. Non c'era tempo per vivere nel rimpianto, o nei "se".
    Il suo presente era la diretta conseguenza di ciò che aveva vissuto; il suo passato, un insieme di indizi che rendevano più chiaro il caso.
    Erano testimonianze.
    Exhibit A:
    ─ era uno Special, ma aveva deciso di mandare a quel paese quanto appreso durante gli anni di scuola per mettere a disposizione la sua mente (e il suo dono) alle forze d'ordine babbane. Aveva preso il suo lavoro di medico legale molto sul serio - ma dava manforte a Frankie e Barrow quando piazzavano scommesse sulla causa del decesso di questa o quell'altra vittima.
    Exhibit B:
    ─ era un marito, incredibile ma vero, legato ad una donna che meritava di meglio, ma che non riusciva a lasciare andare; si erano scelti perché simili, perché soli, perché danneggiati. Quello che lui e Ake condividevano poteva essere chiamato in tanti modi, ma definirlo amore era esagerato; si volevano bene, quello era indubbio, ma l'amore di Samael era stato sotterrato anni addietro insieme al ragazzo che aveva rubato il suo cuore.
    Exhibit C:
    ─ era un infedele, e un codardo, e un bugiardo; scappava dalle sue stesse menzogne rifugiandosi nel lavoro e passando in obitorio più tempo di quanto necessario, e poi rifilava sempre le solite scuse, convincendosi che prima o poi avrebbe smesso, che prima o poi avrebbe confessato la verità. Ma non lo faceva mai, e quella storia extraconiugale andava avanti da ormai troppo tempo per poter continuare a fingere fosse solo una cosa momentaneo. Aveva bisogno di quei momenti con lui per fuggire da tutto il resto.
    Exhibit D:
    ─ era Samael.
    Era complicato, era scostante, era egocentrico, era tante cose tutte insieme; ma era esattamente ciò che aveva scelto di essere, per quanto giusto (poco) o sbagliato (tanto) fosse.
    «Ho bisogno di bere, vuoi qualcosa?»
    Era alla festa, perché per quanto lo irritasse l'idea di doversi mescolare ad altre persone, non poteva sottrarsi a quell'incombenza.
    Lo sguardo azzurro cercò brevemente quello di Ake, prima di defilarsi altrove: era difficile, ultimamente, guardarla negli occhi e mentirle. Lo lasciò vagare per la sala, incontrando più persone di quante lo facessero sentire a proprio agio, e portò una mano ad accarezzare i capelli cortissimi, poi la barba curata. Sentiva gli occhi della gente su di sé ─e lo odiava. «Vado...» andò.


    Nel frattempo, dall'altro lato della sala, qualcuno con gli stessi occhi azzurri ed un sorriso più genuino, veniva molestato verbalmente da una Florence Cox-Hill particolarmente in vena di chiacchiere. Annuì con educazione, Theo Hamilton, rivolgendo un cenno all'Auror al suo fianco come se avesse una minima idea di cosa stesse dicendo.
    No, per la cronaca, non aveva letto Asimov; a dire il vero, non era proprio un fan di quel genere letterario e, in tutta onestà, robot e automi gli mettevano un po' di ansia. Anche il solo parlarne lo faceva stare a disagio. Istintivamente andò a cercare il nodo della cravatta per allargarlo un po', fingendo che bastasse quel gesto per sentirsi più a suo agio, e meno........ meno Theseus, ecco. Come facesse a parlare tutti i giorni davanti ai suoi studenti era un mistero per tutti (per lui in primis) ma tutti attribuivano quello slancio di carisma e autostima all'amore per la sua materia.
    «Queste cose fanno letteralmente implodere il mondo» «Da-davvero?» Poteva succedere sul serio? C'era una reale possibilità che ciò accadesse???? Qualcuno lo aveva detto a Percy?????
    «Detto questo, ovviamente è una figata. Spero che -» la guardò con un'espressione mista tra il terrifacto e il vagamente pronto a correre per tutta la sala urlando di cercare riparo. «una figata?» forse aveva preso troppi schiantesimi e non era più molto centrata di testa (avrebbe spiegato tante cose.)
    Al sentir nominare possibili doppelgänger di universi paralleli, storse il naso con un cipiglio contrariato. Sarebbe stato veramente.... qualcosa, in effetti. Ma Theo non moriva dalla voglia di conoscere il se stesso dell'altro posto, non quando aveva passato gran parte dell'ultimo decennio a cercare di instaurare un rapporto con l'altro se stesso di quel mondo che, per tutta risposta, gli aveva riservato l'equivalente di un dito medio in trattamenti silenziosi e porte sbattute in faccia. «...meh.» insomma, immaginava dipendesse dai punti di vista.
    «Tu-»
    «Scusami un attimo»
    «...okay?»
    Si ritrovò solo e con un piattino di cibo non suo e una domanda a morire sulle labbra, Theo Hamilton, incerto su dove andare, cosa fare, chi avvicinare. Vide Elite e per un attimo pensò di accollarsi a lui per poter sopravvivere a quella serata, ma quando la folla si spostò notò la donna bionda con un ragazzino nascosto dietro le gambe e capì che non era il momento; non era di certo la persona giusta per offrire supporto morale in situazioni del genere, era fin troppo disagiato di suo per essere un vero aiuto.
    Si dondolò sui talloni, un uomo di trent'anni fasciato in in completo costoso, ma con lo sguardo perso, a disagio. Quanto meno, c'era cibo e alcol a volontà.

    «Grazie,» prese il calice e voltò le spalle al cameriere, ritrovandosi faccia a faccia con un viso fin troppo conosciuto e che cercava di evitare il più possibile. Non erano sufficienti tutti i modi in cui Sam aveva provato a differenziare il loro aspetto: erano praticamente gemelli.
    «Ci siamo proprio tutti, che bello.» e mandò giù il bicchiere di Eppi blu che gli era stato offerto, inconsapevole degli effetti che avrebbe avuto. «Vorrei essere ovunque tranne che qui.» difficile dire se fosse il drink a parlare, o se fosse Sam che già era arrivato al limite massimo di sopportazione per quella sera.
    Lasciò l'Hamilton al bar a scolarsi il proprio drink, inutile e codardo come al solito: minchia se lo odiava. Lui poteva avere esattamente tutto quello che a Sam mancava e non faceva nulla per ottenerlo.
    Lo guardò un'ultima volta, da lontano, prima di infilarsi nella folla e sparire il più lontano possibile da lui, da Ake, da Moore e Meara e da chiunque potesse decidere di rivolgergli la parola.
    'cause I feel like I'm the worst
    so I always act like I'm the best

    some people fear
    the end
    but I carry it,
    it's in my pocket,

    it keeps me safe
    arturo maria hendrickson
    & river lou crane
    samael 'sam' moriarty
    & theseus 'theo' hamilton
    29 & 30 | medium


    non ho riletto perché sono in ritardo ohmy beccatevelo così


    scusate, volevo accollarli a qualcuno ma alla fine non fanno nulla.
    - sam arriva alla festa con ake, poi beve (blu) e poi si mischia nella folla
    - theo parla con florrie, poi rimane solo e va a bere (azzurro)

    chissà, forse c'è anche turo da qualche parte ma non ho ancora deciso stay tuned
     
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    Il come Heidrun Ryder Crane, Milkobitch a tempo perso, fosse arrivata all’Aetas, non ci è dato saperlo. Lei certe cose le sentiva, con quella connessione tutta speciale che possedeva per il caos e le feste; se c’erano guai in vista, la Crane era in prima fila e con tanto di striscioni. Non era mai finita in quella dimensione per errore: ci era andata per scelta, alla richiesta d’aiuto di un ragazzino uguale a Barbie ed una sorprendentemente felice Jericho. Combattere guerre non sue, d’altronde, era una specialità della mimetica.
    Ne era rimasta impressionata, e non solo perché avesse visto morire il loro Jeremy.
    C’era qualcosa di… assurdo, e confortante, nel rendersi conto che in una vita al contrario e tutta diversa, tutto tornasse (tranne Lemon e Ham, ma che ne sapeva la Crane). Che ci fosse Roy, non Run, e che avesse il suo stupido, adorabile Gemes; che fosse amica di Vic, di Murphy. Che i Milkobitch fossero comunque finiti sulla sua strada. Per una, fottuta, volta, anziché sentirsene imprigionata, si era sentita libera - libera di essere; di avere; di permettersi una vita che credeva di non meritare. Ecco perché quando aveva scorto quella breccia, per quanto assurda ed irreale e pericolosa, aveva trascinato con sé chiunque le fosse capitato a tiro: era l’avventura di una vita.
    «è un’esperienza che non puoi perderti», aveva detto a Lupe, tirandola per il braccio.
    «ti voglio bene», aveva detto a Mac, guardandolo solenne prima di trascinarlo per la spalla.
    «e poi, mica vi abbandono!»

    Aveva mentito.
    Ma in quel momento, non le importava. Era tutto insensato, e bellissimo, e per qualche folle e fantastico motivo c’era un Mac (e non aveva visto l’altro!!) anche lì, il che implicava che avessero avuto Bodie. Un Mac GRANDE! Che PARLAVA CON LE PERSONE! ORGANIZZAVA FESTE! APRIVA PORTALI DIMENSIONALI! Aveva proprio preso tutto da mamma, e poco importava che in quel mondo (manco nel suo? quisquilie) non la fosse. C’erano un CJ ADULTO! Con DEI FIGLI – li aveva visti! E C’ERANO QUELLE FANTASTICHE BEVANDE COLORATE E BELLISSIME.
    (E non aveva ancora conosciuto IL MEGLIO: due turo! Una nipote! UNA SORELLA CHE NEANCHE SAPEVA DI AVERE NEL CANON!)
    L’universo avrebbe potuto aprirsi ed ingoiarli tutti, ed Heidrun se ne sarebbe andata con il sorriso sulle labbra.
    Aveva abbandonato la maglietta da un pezzo, arrotolandola sulla fronte come una bandana, e si trovava cvhiaramente al centro di quella che credeva essere la pista da ballo – e che se originariamente non la era, la era appena diventata. Il fatto che anche nell’AU Lady Gaga fosse un must delle feste, la diceva lunga su(lle priorità di Run.) come il destino, talvolta, esistesse.
    Neanche immaginava quanto.
    «Hello, hello, baby / You called, I can't hear a thing »
    «I have got no service / In the club, you see, see»
    Scontato e naturale, che avesse trovato una compagna di danze. Non la guardò realmente, ma ne percepì la presenza; lo scuotere degli ingestibili capelli bruni le impediva di cogliere dettagli sulla sua nuova migliore amica - era bionda - a cui si avvicinò saltando, euforica all’idea di mettere in imbarazzo la Roy Harvelle di quell’universo.
    «Wha-wha-what did you say? / Oh, you're breaking up on me»
    «Sorry, I cannot hear you / I'm kinda busy»
    «k-KINDA BUSY»
    «K-KiNdA bUsy»
    «sorry i cannot hear you»
    «I’M KINDA BUSY!»
    E fermandosi, pronta a gridare il ritornello con quanto fiato avesse in gola, ebbe – ebbe uno di quei momenti. Quelli che sapevano di già visto, e di già vissuto. Quelli che le facevano sorgere più domande di quanto fosse avvezza farsene, e che pungevano il piccolo lato di lei logico e sensato; quelli che demandavano delle risposte, a cui, puntualmente, la Crane si rifiutava. Un prurito fastidioso al palato, ecco di cosa si trattava. Una sensazione a cui si era abituata, ed a cui non aveva più dato peso - sbagliando: avrebbe sempre dovuto fidarsi del suo istinto; stomaco e cuore sapevano cose che la testa rifiutava di credere. Quando aveva iniziato ad usare la testa?
    (come meccanismo di difesa, per proteggersi da un ovvio a cui non sarebbe stata pronta)
    Non aveva mai collegato lo sguardo giada di CJ al proprio. Non si era mai interrogata sulla ragazza incontrata anni prima, quasi una vita, che le aveva sorriso un addio pur senza conoscerla. Non si era fatta domande su Amalie e Maeve fino a che non aveva saputo; su Kieran e Murphy; e, senza conoscenze pregresse, avrebbe continuato a non farsene su Turo e i fratelli Daniels. Non avrebbe saputo dire, guardandosi intorno, chi fosse figlio di chi, né avrebbe saputo riferire a Murphy quali delle proprie OTP fossero endgame nell’AU.
    Eppure. Qualcosa, nei luminosi occhi chiari della ballerina al proprio fianco, bloccò tutti i processi in corso, costringendola a bocca aperta e cuore sulla lingua. Familiare c’entrava poco, e c’entrava tutto, con il vuoto allo sterno che sentì, quasi gliel’avessero scavato in quel momento e non un’esistenza prima. Era qualcosa di più primordiale. Era qualcosa per cui si svegliava al mattino, ogni tanto; che la teneva sveglia di notte, che soffocava in un bicchierino di whiskey in più; qualcosa a cui si appellava quando cercava, a suo modo, di cambiare il mondo in meglio.
    Qualcuno.
    ”Raccontami qualcosa di te”
    Indietreggiò. Indietreggiò. Ed indietreggiò ancora, cercando di placare un battito folle ed insensato. Sapeva tanto di attacco di panico, quella roba lì – quella in cui il fiato non arrivava nei posti giusti, e la testa non stava all’altezza giusta – ma non poteva esserlo, no? No non avrebbe avuto senso, perchè avrebbe dovuto, non.
    Non. Scosse la testa cercando di ridere, finendo solo per fare una smorfia buffa e spaventata.
    Forse c’era qualcosa nel drink. Anzi, sicuramente c’era qualcosa nel drink, perché toccandosi il ventre scoperto, lo trovò umido di sudore freddo. Una reazione decisamente spropositata ed inappropriata, e non nel senso divertente con cui era solita reagire alle cose.
    Quello, era diverso. Sapeva di polvere e di legno marcio e di colpi di fucile e di addio.
    Erano passati sei anni. Credeva che dopo tutto quello accaduto nel mezzo, l’avesse superata. La vita di Run era una vita fatta principalmente di errori, e ne era perfettamente consapevole. Non li rimpiangeva; magari si odiava un po’ per quanto fatto, ma non l’avrebbe fatto in altro modo: nel bene o nel male, l’avevano portata ad essere quello che era, dov’era e com’era, e negli anni aveva cercato di rimediare ai danni passati al meglio possibile.
    Ma uno.
    Uno sbaglio. Un fallimento. Qualcosa a cui non poteva rimediare con un paio di parole dolci, o una torta dalla glassa colorata. Non era colpa sua, ma ne sentiva comunque la responsabilità come lo fosse stato.
    Perchè
    ”Posso restare un po’ con te?”
    Perchè
    ”Papà dice che sono un mostro”
    Perchè
    ”Devo portare un messaggio”
    Afferrò il braccio di qualcuno di passaggio (ciao Ford) strizzandolo fra le dita e deglutendo febbrile. La conosci, avrebbe voluto chiedergli, per assicurarsi di non essere pazza. Come si chiama, perché era impossibile e voleva farsi una risata e bersi un goccio (bottiglia) di Tequila. Aveva intravisto Wren, da qualche parte; magari oltre ad un bambino, aveva portato qualcosa da smezzare con cui passare il tempo. «sono più simpatica di roy» umettò le labbra, mollando la presa e cercando di racimolare dignità e senso. Tentò un sorriso, scollandosi i capelli dal collo e le spalle. «dimmi i fun facts del tuo mondo e ti dirò quelli del mio»

    Timothy Cohen, ancora accaldata dalle danze scatenate di poco prima, rimase: interdetta. Si guardò attorno, occhi azzurri pieni di confusione e senso di colpa. Aveva – aveva detto qualcosa di sbagliato? Strinse le labbra fra loro, una mano ancora allungata, e mai stretta, verso la finta Roy a cui si era approcciata per ...per? Includerla, forse. Non sapeva esattamente come quello scambio dimensionale fosse successo, ma se le stelle l’avevano permesso, doveva essere giusto; senza contare che, malgrado tutti negli anni le avessero detto di non farlo, Tim si fidava di Percy.
    D’altronde, Tim si fidava di tutti.
    Indossava le emozioni come un profumo costoso, lasciando la loro impronta ovunque andasse. Si era sempre definita innamorata prima ancora di amare effettivamente qualcuno, perché lo era stata: del sole e della pioggia, delle piante e gli animali, delle persone e gli eventi. Dell’oroscopo, e le stelle, e le galassie sconosciute su cui era certa esistessero altre forme di vita. Della sua famiglia.
    Entrambe, le sue famiglie.
    Amava suo padre, Robert Hale. Ricordava come le accarezzasse sempre i capelli prima di andare a dormire, e le dicesse fosse la bambina più brava del mondo.
    (Non ricordava di come l’avesse guardata, quando aveva scoperto avesse la magia; di come le avesse gridato fosse un mostro, tirandole i capelli fino a strapparli alla radice).
    Amava i Cohen che l’avevano adottata quand’era solo una bambina terrorizzata. Amava lo zoo che avevano inaugurato cinque anni prima, ed in cui lavorava a tempo perso, quando non era impegnata a prendere appunti per Elite (prendere appunti: guardare serie tv con arti marziali e non!! segnare le scene di lotta più belle da far vedere in classe!! JACKIE CHAN GURU). Amava il potere che le avevano donato nei Laboratori, e che le permetteva di curare la natura e comprenderla.
    Amava i suoi cugini, i Cooper.
    (Ed amava Rowan Quinn, ma quello era un altro discorso.)
    Da un grande amore derivavano grandi responsabilità, nel suo caso occhi pieni di lacrime e sguardo abbassato verso il pavimento al primo accenno di aver sbagliato qualcosa, o aver deluso qualcuno. Lì puntò lo sguardo in quel momento, lasciando che la canzone finisse e ne iniziasse un’altra. Non avrebbe pianto alla festa di Percy. Non avrebbe pianto alla festa di Percy dove stavano ospitando persone provenienti da una dimensione diversa. NON AVREBBE PIANTO ALLA FESTA DI PERCY DOVE STAVANO OSPITANDO PERSONE PROVENIENTI DA UNA DIMENSIONE DIVERSA ED IN CUI C’ERA DI SICURO GENTE Più TRISTE PERCHè MORTI VARI ECCETERA ECCETERA COME AVEVA POTUTO PERMETTERSI DI ESSERE COSì EGOISTA E SENZA CUORE. Deglutì, stringendo i pugni e drizzando le spalle.
    Non cercò Elite per piangere un pochino, sarebbe stato davvero sus (...sì, lo fece, ma - ma, era decisamente impegnato), né andò da Vic, anche se sapeva che gliel’avrebbe permesso perché un po’ le voleva bene, né da Barrow o Meara. Si stampò un sorriso allegro sulle labbra, avvicinandosi invece ai suoi studenti. «la danza non è il mio forte» indicò un punto imprecisato alle proprie spalle, aggiustando i due space bun disfatti dal movimento e giustificando la fuga della ragazza dalla pista da ballo. Corrugò lievemente le sopracciglia verso Hamal, una smorfia amichevole in direzione della ragazzina lanciatissima (letteralmente) sulla folla. «vi state divertendo?»

    - hai un sogno, run?
    - arrivare in tempo
    - è così difficile?
    - per me, sì
    the ghost

    in the back of your head
    i am the problem
    that's why

    i need to go
    heidrun crane
    adelaide hale timothy cohen
    26 - geok.


    ok. e quindi
    run si spoglia (perchè ha bevuto il cosino colorato ? anche) e balla lady gaga con tim. poi sclera perchè ha chiaramente problemi come tutti i i pg di sara, e molesta ford
    tim ballava con run, poi non capisce che succ, e alla fine si avvicina a Hamal e fa due paroline !!!!


    Edited by idk‚ man - 30/4/2022, 23:23
     
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    Era ricomparsa nella sua vita senza un preavviso. Lei, e tutto quel mondo, l'avevano fatto senza avvisare. E, così come la prima volta, l'avevano sconvolta: c'erano giorni in cui amalie credeva di aver superato il trauma. Di non aver visto erin morire davanti ai suoi occhi , così come hyde e jekyll, jade ed euge.
    Non erano stati solo copie delle persone che amava, per lei: amalie ci aveva vissuto insieme cinque mesi. E quella convivenza aveva in parte colmato la distanza da casa, l'assenza dei suoi cari, e c'erano stati momenti in cui aveva dato per scontato che loro sarebbero stati il suo futuro. Era quasi arrivata ad accettarlo.
    Nell'upside down, erano stati innumerevoli i pomeriggi passati insieme ad erin a guardare film della disney, sedute a mangiar pop corn sul pavimento del quartier generale. Jade le aveva insegnato a tirare un pugno ben assestato, euge ad affinare le sue skills da psycho shipper. Con hyde e jekyll erano state tante, le volte in cui aveva parlato del passato, e per la prima volta la shapherd aveva avuto uno scorcio di ciò che era stata la sua vita nel 2043. E per la prima volta ne aveva sentito la mancanza, pur non avendone memoria, e pur non avendo la certezza che quei hyde e jekyll avessero vissuto con mabel la stessa vita dei suoi, di fratelli.
    Poi li aveva visti morire.
    E una parte di lei aveva desiderato non averli vissuti mai, quei mesi nell'upside down. Perchè sapeva che non li avrebbe mai dimenticati, e che il dolore non sarebbe stato mai meno forte. Che gli incubi sarebbero rimasti, e che non ce l'avrebbe mai fatta, a superarli sul serio. Ed a sentirsi sempre un po' in colpa nei confronti della sua controparte in quell'universo: avevano vissuto come sorelle, gemelle, e poi amalie l'aveva abbandonata a fare i conti da sola con quelle perdite, mentre lei tornava in un mondo dove quelle persone erano ancora vive.
    poi però aveva perso anche la sua, di erin
    solo che un mese dopo l'aveva riavuta indietro.
    amalie dallaire non aveva avuto lo stesso privilegio, ed era l'unica cosa alla quale la shapherd riusciva a pensare, mentre vedeva la sua controparte lì davanti ai suoi occhi. Una amalie più grande dell'ultima volta che l'aveva vista, più matura, più forte - ma quello lo aveva sempre pensato, fin dalla prima volta in cui l'aveva vista. Una amalie che però, a differenza dell'ultima volta, tra le braccia teneva stretta una bambina «si chiama erin»

    «si chiama erin» non pensava affatto che portare sua figlia ancora neonata ad una festa fosse una cattiva idea. per niente. per prima cosa, perchè le idee di amalie dallaire non erano mai sbagliate. in secondo luogo, perchè non aveva la minima intenzione di separarsene, nemmeno per un istante: era patologica? un pochino, ma era cresciuta con fin troppi cattivi esempi a riguardo: uno si allontanava un giorno, rimaneva bloccato in una dimensione alternativa e TAAAC, tornava indietro e ritrovava i figli cresciuti di quindici anni (ciao flos, ciao ford, mamma mia tutti figli miei che genitore orrendo che sono.) quindi NO!, amalie non se l'era sentita di lasciar erin a casa. E poi era davvero davvero felice di poterla far conoscere alla shapherd: un tempo, anni ed anni prima, loro due avevano vissuto per mesi insieme. ed erano state le stesse, le lacrime che avevano versato sul corpo senza vita di erin. Gli anni erano passati, il dolore non era mai andato via, ed era stato naturale chiamare sua figlia in onore della migliore amica che aveva perso. Perchè amalie aveva creduto che non si sarebbe mai più ripresa, eppure con il tempo aveva imparato a conviverci ed, infine, a tornare a vivere. «per ora sembra esser ... normale» se la strinse al petto, la sua bambolina: non piangeva mai per far capricci ma solo quando le persone le rivolgevano attenzioni per troppo tempo - un'asociale, proprio come la mamma. - aveva sempre gli occhi attenti pronti a captar ogni cosa succedeva attorno a lei e mangiava senza far storie. era una figlia perfetta. «non so quando i geni cooper entreranno in azione» sinceramente? sperava mai.
    no dai SCHERZO BARRY TI AMA!!!!! non ha ancora capito perchè «spero solo...» «mA CIAAAAAAO!!!!»

    ROWAN QUINN ERA EUFORICA!!!! TANTI AMICI!!!!!! TANTE PERSONE!!!!!!!! BEN «DUE MADRI!!!!!» si lanciò su entrambe, piazzandosi tra loro ed abbracciandole, stampando poi un bacino in fronte alla «MINI ME!!!!!!» COME VOLEVA BENE AD ERIN COOPER-DALLAIRE, ERA BELLISSIMA E DOLCISSIMA ED ERA UNA MINI LEI!!!!! L'AVREBBE VISTA CRESCERE!!!!! LE AVREBBE FATTO DA SORELLA MAGGIORE!!!!!! ERA TUTTO TROPPO BELLO UNA MEGA FAMIGLIA ENORME E BELLISSIMA E POI LEI E BARRY L'AVREBBERO PORTATA A GUARDARE IL CIELO ED ACCIUFFARE GLI ALIENI E INVECE DICK LE AVREBBE FATTO UN PO' DA NONNO PERCHÈ ORMAI ERA VECCHIO E INZOMMA VIC DA ZIA SICURO E POI SAREBBERO STATI TUTTI UNA MEGA FAMIGLIA FELICE CHE AVREBBE AVUTO UNA VITA FELICE E BELLA E!!!!! «row???» fu strappata via dai suoi pensieri dalla voce di sua madre, e... a giudicare dall'espressione sul suo volto e dell'altra amalie... non era più certa, che i suoi fossero stati solo pensieri. forse aveva detto tutto ad alta voce. forse... «ti sei drogata?.» e poteva anche avere venticinque anni - sulla carta. - ma si sentiva comunque super super super in colpa e noooo non voleva deludere sua madre!!! «nooooooo ho solo bevuto!! una bevanda ROSA!!!! LI AVETE ASSAGGIATI I DRINK??? SONO BUONISSIMI E COLORATISSIMI E BUONISSIMI GIÀ DETTO????» COM'ERA FELICE!!!!!! e fatta come una pigna «dAI ANDIAMO!! VIIIC, PAPAAAA, DOVE SIETEEEE» ERA CERTISSIMISSIMA DI AVERLI GIÀ VISTI!!! «mAMMA PICCOLA» aka: amalie . «DEVO PRESENTARTI ASSOLUTAMENTISSIMAMENTE LA MIA FIDANZATA SI CHIAMA TIM È BELLISSIMA ORA LA TROVIAMO!! TE LA PRESENTO!!!! tu ci stai ancora con il tuo barry??? SI VERO????? BRAVI COSÌ POI NASCO ANCHE AU!!!!!» che magnifica roba, il multiverso!!!
    reactions to being told "I love you"

    ams!au: can I get a refund?
    ams: ...I'm sorry??
    row: *cries* I LOVE YOU TOO!!

    Feelin' lost in every crowd
    I feel ten feet off the ground
    In my head,
    I make a mess of it
    gettin' tired

    of feelin' delicate
    amalie shapherd
    row & amalie (+erin) - 25 & 32


    non fanno assolutamente niente.

    row ha bevuto il drink rosa, e trascina le amalie a cercare tim, vic e barry
     
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    Barrow Cooper era notoriamente astemio.
    (e già con questa frase potremmo considerare il post finito, chiudete l'internet, spegnete tutto)
    questo non escludeva che nei momenti clou della vita non si facesse un goccetto, come alle feste di Capodanno con il classico flute di champagne per un brindisi, o prima di entrare in sala parto — ma quello era stato un errore dettato dalla disperazione per il quale aveva già pagato a sufficienza: gli insulti che si era beccato da una molto gravida e molto sofferente Amalie Dallaire, mentre lui ubriaco perso flirtava con l'infermiere di turno, erano stati brutali e onesti, ma giusti.
    «aww grazie, troppo gentile» come dicevamo, barrow Cooper era astemio, ma quando Cj Hamilton gli mise tra le mani un bicchiere di dubbia provenienza contenente del liquido rosa fluo, l'agente non accennò nemmeno un tentativo di rifiutò; al contrario, sulle labbra gli si dipinse un caloroso e sincero sorriso. come potesse mettere in galera spacciatori e signori della droga con quella faccia da himbo che si ritrovava rimaneva per tutti un vero mistero «ma solo un sorso, eh, che poi-»
    che poi
    che poi
    «ma ve l'ho già detto che stasera siete più carini del solito???» normalmente avrebbe saputo di rischiare la vita passando un braccio attorno alle spalle dell'Hamilton (cj, non Freddie. Freddie poteva spupazzarlo come e quanto voleva ♡), ma in quel momento l'alcol/pozione magica stava già kicking in e barrow viaggiava su un treno ad alta velocità chiamato amore — della rottura di cazzo che era l'architetto delle mie brame non poteva fregargliene di meno. perché gli voleva bene, a quella faccia di merda, quasi quanto ne voleva a Meara: mise l'altro braccio proprio attorno alla vita della sorella, appoggiando il mento sulla sua spalla sfiorandole poi la guancia con un bacio «uuuHHH, ma quello è-»
    Trent.
    Rich.
    wren.
    amos.
    «aaaaahhh e quella è-»
    run.
    soledad.
    Vic (la sua, non lapina).
    a tutti e tutte barrow arrivò rumorosamente alle spalle, annunciando se stesso con abbracci e strusciamenti e bacetti più o meno casti; nel percepire i vibes non proprio positivi emanati dalla Crane, la paternità del trentacinquenne venne a galla in tutta la sua gloria, e nel farle pat pat sulla testolina si soffermò anche a sfiorarle la fronte con le labbra socchiuse. era quello che faceva sempre con le sue bimbe (la piccola Erin, ma anche Row) quando soffrivano — e barrow soffriva con loro.
    poi ripartì, girando su se stesso come una magnifica trottola, il bicchiere portato di nuovo alle labbra tese in un sorrisetto: l'aveva vista. una chioma bionda inconfondibile, quella di Amalie Dallaire, che per anni il Cooper aveva solo potuto sognare di accarezzare; da ragazzo immaginava come sarebbe stato giocare con quelle ciocche dorate, respirare il suo profumo tenendola stretta tra le braccia. ci aveva messo UNA VITA!!!! per conquistare la ragazza dei suoi sogni, ma alla fine (contro ogni scommessa fatta da quelle bestie sataniche dei suoi amiki) era riuscito nel suo intento: portarla ad un livello tale di disperazione da innamorarsi.
    non smettete mai di inseguure i vostri sogni, kids.
    «baaAAAaaby ritorna da meee e metti via quella pistolaaa» dondolandosi sul posto barrow arrivò alle spalle di Amalie, la fece roteare su se stessa pronto a concederle un casquè; cosa che effettivamente fece, ma all'amalie sbagliata — ma barrow cooper non era jayson, nemmeno da ubriaco, e fu abbastanza reattivo per riconoscere il suo errore prima di compierlo (anche questa volta l'achievement lo facciamo domani) «tu non sei ams» fronte corrugata sotto ciuffi scomposti di capelli biondo cenere, lo sguardo del poliziotto passò molto lentamente dal volto della Shaperd ad una sola spanna dal proprio, a quello della Dallaire che lo fissava dall'alto come si guardano i peggiori errori mai compiuti nella vita.
    e questo, bitches, it's called love.
    «ciao ams!» le sorrise, ancora con l'altra Amalie tra le braccia, cosa di cui si rese conto solo in seguito come un internet explorer qualunque «scusa, vabbè, questo è un sogno, forse una favola.. sono barrow!» nel caso la bionda non avesse capito «e quelle sono le mie bimbe» indicò row ed erin, mentre la prima gli si buttava addosso e barrow la afferrava al volo svolgendo in modo egregio i suoi compiti di padre «MY BABY» che ve devo dí, è fatto cosi «ma barruly c'è? È ARRIVATO?» non piangere barrow non piangere trattieniti!!!!!! «BA/AAAAA/RRY :')»

    «è come giocare ad indovina chi» detto tra noi, barry ne avrebbe fatto volentieri a meno. l'ultima volta che aveva messo piede attraverso un passaggio intradimensionale non era andata proprio benissimo, per usare un eufemismo — basti dire che morire, alla fine di tutto quel casino, non era stata la cosa peggiore «e infatti fa schifo» commentò, altrettanto placido, osservando più che altro il pavimento lastricato davanti ai suoi piedi; l'idea di ritrovarsi in mezzo a quella gente lo faceva sentire a disagio, non tanto per gli applausi e le urla e tutte le altre cazzate.
    barrow skylinski non pensava mai al futuro, preferendo vivere la sua vita un quarto di canna alla volta, e li il futuro glielo stavano praticamente tirando in faccia; con una randellata sui denti «chissa cosa cazzo c'hanno da applaudire» una domanda sincera, quella del corvonero. erano passati solo tre anni (solo????) da quando, intrappolati nella realtà alternativa, avevano dovuto affrontare per l'ennesima volta i loro demoni — versioni improbabili di loro stessi, volti amati a sporcarsi di sangue e fango, rumori assordanti e poi troppo silenzio. ma non ricordava nulla, barry, che giustificasse quell'eccitazione generalizzata, quegli sguardi di meraviglia e stupore. forse perché chi li stava accogliendo con tanto calore quel giorno non aveva visto un beneamato cazzo.
    sollevando le iridi grigio azzurre lo skylinski incrociò per un istante quelle altrettanto chiare di Victoria Quinn; non sorrideva affatto. «madonna se sei uscito brutto» commentò, quando, fermando il passo accanto a Cj, ne seguì lo sguardo trovando ad attenderlo dall'altra parte della sala una versione invecchiata male dell'amico «pensi di mandarlo o state a farvi gli occhi dolci tutta la sera?» dopo tutto non erano li per quello?
    picchiare l'Hamilton, non la cosa degli occhi dolci.
    «BA/AAAAA/RRY :')» oh no «ah, cazzo.» sentendo prima di tutto il gomito di sersha che gli si ficcava nel fianco destro, barry ruotó su se stesso.. e affrontò il suo destino: non tanto barrow cooper— anche lui entrato nella fase calante della sua vita con molta poca grazia (barry ma taci poteva andarti molto peggio ti sei mai visto allo specchio???????), quanto, beh, le amalie «ams?» ce n'erano tre, ok? una era sicuramente la sua - nemmeno barry era come jayson Matthews -, una stava per qualche strano motivo abbracciata a koala sulla schiena di barrow e l'altra doveva essere la Dallaire.. con in braccio un neonato? lattante? sgagno???? «che succ.» «BARRY CE L'HAI FATTA SEI VENUTO ANCHE TU!!! MI RICONOSCI???» ಠಿ_ಠ
    «no»
    «SONO BARROW, BARROW COOPER!»
    ma perché urlava
    «GUARDA, HO UNA FIGLIA!!!»
    barry sbatté le palpebre due volte, rapidamente: i pretend i don't see «bravo, buon per te. ams-»
    «Ah, e indovina!!!! MI HANNO PROMOSSO ALL'ANTIDROGA»
    finalmente, barry aveva toccato il fondo.
    con il dramma negli occhi e nel cuore, si voltò verso sersha e cj, che aveva chiaramente altri problemi ma sticazzi! quella era un'emergenza «torniamo indietro» e sta a vedere che non potevano.

    barrow: guess what I'm about to get
    barry: on my nerves
    likes: money,
    fighting with everyone
    detective: [kneels down looking over a dead body]
    hm. gross.
    two sides of the same coin
    barry & barrow
    21 & 32 - freak & DEA


    SCUSATE POST RANDOM!!

    barrow: parla con cj Hamilton e Meara, beve il drink rosa, va a fare il molesto (abbracci, baci, si struscia) con un sacco di genre - ho fatto l'elenco nel post; raggiunge le Amalie(s), parla con loro e barry

    barry: parla con cj e sersha, Amalie e barrow, gli prende un colpo
     
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    “Vado a cercare” che nella lingua di Demi si traduceva in: “fuggo nel bagno più vicino e mi chiudo lì per tutta la sera.
    Kenneth non sarebbe stato fiero di lei, ma allo stesso tempo: sti cazzi. Non era proprio nella posizione più giusta per giudicare (e giudicarla) quindi poteva tenersi i suoi commenti e le occhiate sbieche per sé.
    Chiuse il getto d'acqua con cui si era rinfrescata la faccia (cons dell'essere on fire ventiquattro su ventiquattro, la sua temperatura era sempre elevata e le guance arrossate come quelle di una bambola di porcellana) e si soffermò ad osservare il proprio riflesso nello specchio elegante e antico. Era un vero disastro: i capelli sfuggivano dall'acconciatura realizzata in fretta e da mani poco esperte (le sue.) (nell'AU non ha avuto sorelle e cugine con cui far pratica) e ciuffi rosa e biondi cadevano ribelli un po' ovunque; il trucco era colato intorno agli occhi e il rossetto sbafato per colpa del tramezzino che aveva divorato non appena arrivata. Demetra Kingsley non era fatta per feste del genere; e feste del genere non prevedevano mai, nella lista degli invitati, le Demi di quel mondo.
    O di qualsiasi altro mondo.
    In un impeto di ira nei confronti dei mondi, dell'ingiustizia e anche un po' di se stessa, rifilò alla Demetra nello specchio un bel dito medio – poi come se non fosse abbastanza per sfogare la propria rabbia (non lo era), diede un calcio al secchio riversando il contenuto di fazzoletti bagnati sul pavimento lucido. Si concesse anche un urlo con tanto di pugni stretti lungo i fianchi, prima di marciare fuori dal bagno con passo pesante e sguardo più risoluto: ogni tanto doveva lasciare andare la propria frustrazione per poter tornare ad essere un essere umano semi funzionale. Meglio farlo lì, al riparo da sguardi criticanti e bocche pronte a giudicarla, piuttosto che rischiare di sbottare contro qualcuno dei partecipanti.
    Quando tornò a girovagare nella folla di invitati imbellettati, si sentiva quasi bene.
    Uno dei camerieri le passò davanti e automaticamente la pirocineta alzò una mano per afferrare un bicchiere, finendo invece con l'accarezzare involontariamente le dita di qualcun altro. Le iridi verde bosco della special incontrarono quelle grigio-azzurre di un Percy con qualche anno di meno, che visto il disguido si affrettò ad allungarle uno dei bicchieri che il povero cameriere, spettatore silenzioso di quella scenetta, aveva ancora sul vassoio.
    «Oh, grazie!» E dopo aver fatto toccare il suo bicchiere con quello dell'ospite dell'altro mondo (sì, dai, era abbastanza sveglia da esserci arrivata!) mandò giù il primo sorso di Eppi rosso. «Anche tu ti chiami Percy?» chiese al minore, incuriosita. E basta, non conosceva abbastanza il BMW per poter chiedere se avessero altri punti in comune. «Io sono -»
    «DEMETRA»
    Di poco non le scivolò il flute dalle mani nel sentire quella voce chiamarla dall'altra parte della sala. Spalancò gli occhi rivolgendo al suo compagno di bevute un'espressione impossibile da decifrare, poi lentamente si voltò in direzione di Florence.
    «VIENI SUBITO QUI.» Doveva proprio?
    Senza perdere di vista l'Auror, si avvicinò con la testa al biondino e sussurrò: «mi aiuti a sparire, miao perché non è che avesse molta voglia di farsi fare una tirata di orecchie davanti a tutti. Solo con un secondo di ritardo si rese conto di aver miagolato. Ad alta voce. Cioè, lo faceva spesso quando parlava con la sua micetta ma... era la prima volta che le capitava in pubblico. CARINO!!! «Lei è-» si strinse nelle spalle, riflettendoci, poi optò per un semplice «mia sorella, miao Non poteva raccontare tutto tutto al ragazzo, non aveva molto tempo: Florence camminava sorprendentemente veloce pur indossando scarpe che sembravano tutto fuorché comode se paragonate ai Doc Martens che Demi aveva ai piedi (indossati sotto alla gonna di tulle rossa). «Ti prego non mi lasciare, okay? Miao» Magari la presenza dell'ospite di un altro mondo avrebbe dissuaso Flo dal commettere un omicidio: poteva dirlo dal mondo in cui stringeva le labbra e dallo sguardo azzurro incupito come il cielo scozzese in inverno che non l'aveva ancora perdonata per il loro litigio.
    E pensare che Demi aveva voluto cercarla per parlare con lei........ ora non era più così sicura di riuscire a farlo.
    «Posso tenerti la mano? Miao Una richiesta peculiare – così on character per una Demi. Alla fine, però, scosse la testa. «No, anzi. Non vorrei bruciacchiarti involontariamente. Miao» Era già successo in passato con il povero Albie.
    Quando la maggiore era ormai a pochi passi, Demi alzò entrambe le mani pronta a chiedere pietàperdonoscusa. «Flo, io -» ma l'altra non la lasciò finire, avvolgendola in un abbraccio inaspettato. Demi spalancò gli occhi, portandoli brevemente su Mac prima di ricambiare l'abbraccio della Cox-Hill. «Parliamo.» «O-okay, ma prima ti presento il mio nuovo amico! Miao» In che senso non erano nuovi amici scusa tanto.
    «Lui viene da-» ed indicò verso l'alto, poi ci ripensò e indicò il basso. Poi, confusa, lasciò perdere. «Sì, insomma! È uno di loro Ma loro chi? Boh, loro.
    E con un paio di ultimi «miao!», mandò giù il resto del drink.



    «Sono in ritardo? Ti sono mancato?»
    «Sì e no.» Non rispondevano necessariamente in ordine alle domande poste, ma tanto Kenneth non aveva dubbi che Dex non desse molto peso alle risposte, avendo già scelto l'esito della conversazione nella propria testa. Ed infatti continuò imperterrito. «Ah, che domande, certo che ti sono mancato.» Non si scansò quando lo special cercò il contatto fisico e lo lasciò fare, prendendo intanto nota dell'outfit particolare con cui aveva deciso di presentarsi. «Dex, lo sai che non è una festa in pisc- OHI.» Gli mise una mano sulla faccia, cercando di allontanarlo: non era quello il momento di titillare buchi come una Rob qualsiasi. (Sì c'è una Rob in qualsiasi au, e tutte titillano buchi).
    Quando aveva letto quel “Cuba, perché?” non ci aveva pensato più di tanto, come se fosse una cosa estremamente normale; e se conoscevi Dexter Chesterton, lo era. Ma non avrebbe mai pensato si sarebbe presentato conciato così alla cerimonia del Rito.
    «Aggiornami Kenny, cosa mi sono perso?»
    «Così su due piedi,» sorvolò – almeno per il momento – su quel “Kenny”, preferendo studiare il look da spiaggia del criocineta dalla testa ai piedi. «direi i vestiti E, puntuale come non lo era mai, Dex pensò bene di liberarsi anche dell'unico strato di stoffa che copriva il fisico allenato e abbronzato.
    «Okay, signor Baywatch.» Quello era il suo segnale: doveva intervenire. Si tolse la giacca e la passò sulle spalle dell'altro, «e non mi interessa se hai caldo, non mi faccio cacciare dalla festa per i tuoi atti osceni in luogo pubblico» anche lì: non sarebbe stata la prima volta.
    Lo guidò appena fuori il cerchio di gente, lasciando che la distrazione Eugene Jackson rubasse le attenzioni degli altri presenti. «Ma quale menopausa.» Con due dita a stringere il mento del minore, lo costrinse a guardarlo negli occhi, cercando in quelli scuri di Dex prove che avesse fumato qualcosa. O peggio. «Hai di nuovo accettato caramelle da sconosciuti?» Mantenne salda la presa e il contatto visivo ancora per qualche istante, attento, poi abbassò giusto un secondo le palpebre quando capì. «Hai bevuto.» Fergie gliel'aveva detto, no? Che i drink quella sera erano speciali e che “diversi colori avevano diversi effetti”. Lasciò andare il viso di Dex, ma gli lasciò anche la giacca. «Allora forse sì, potresti avere la menopausa.» Insomma, nessuno gli aveva detto quali effetti avessero, quindi poteva essere di tutto. Era solo molto ironico che il criocineta avesse le vampate. E infatti, Kenneth si lasciò sfuggire una risatina prendendo nota dello stato (pietoso, smack) del Chesterton.
    «Beh, adesso non fai più le battute sui bollenti spiriti, eh?» Tutto facile quando quello con la temperatura corporea elevata, tra i due, era Kenneth. Piegò il volto leggermente da una parte, sempre ridendo. «O sul bisogno di docce gelate.» Era proprio: uno scemo.
    (Ma era il suo scemo.) (Ahilui)
    Gli diede qualche secondo per (rispondere) ricomporsi, poi chiese: «è passata? No, chiedo... perché non hai molto altro da togliere.» E insomma: dubitava che il BMW volesse spogliarellisti alla festa (unless).
    Troppo vicino per non sentire le parole di Eugene, scambiò un'occhiata confusa con Dex a cui chiese: «Mayali Galattici? Voglio... sapere?» Probabilmente no. Ma incrociò comunque le braccia al petto prestando attenzione al professore dell'altra Hogwarts, troppo curioso (Kenneth as in incuriosito dal tutto, ma anche Euge as in che persona peculiare.)
    I'm going to stand outside;
    if anyone asks,
    I'm outstanding.

    a point where two worlds collide
    and we run
    and we run
    and we-
    someday
    you're gonna be
    the only one you've got

    so, fall in love with yourself
    hans belby & minnie sage
    kenneth & demetra
    28 & 25 | pyromaniacs



    -demi: accetta il drink offerto da mac, becca quello rosso, poi viene raggiunta da flo e le presenta mac
    -kenneth: viene molestato da dex, e sono sempre con frankie, fergie ed euge
     
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    Si era ripetuto di lasciare fuori le emozioni da quello scontro, e così fece. Si ripeté che quello non era il suo William quando puntò il fucile verso di lui, si costrinse a credere che erano due persone completamente differenti. Poi sparò una pallottola alla sua testa, e all’improvviso non ne fu più così sicuro.

    Sinceramente? William non pensava che sarebbe finita in quel modo. E come sarebbe dovuta andare? Non ne aveva idea, ma era convinto che Barrow I non si sarebbe fatto piantare una pallottola nelle cervella in primo luogo- che, almeno, avrebbe provato a difendersi. Il biondo aveva ancora gli occhi puntati sul suo omonimo, quando questi crollò scomposto a terra. Non si avvicinò al corpo, limitandosi ad abbassare la canna del fucile– non la sentì, Stark, quando gli urlò qualcosa contro, limitandosi a fissarla senza vederla davvero.
    Ignorò la figura di Roy ad avvicinarsi al cadavere, voltandosi dall’altra parte: era più facile non guardare, non era fatto per quel tipo di addii. In fondo, lo sapeva di non aver avuto altra scelta e di aver agito nel modo più consono alla situazione. Se da una parte si sentiva un mostro per quello sparo, dall’altra non poteva che prostrarsi al volere del Fato: era fatto così, ligio al dovere fino alla fine.

    «non dovevi ucciderlo per forza, lo sai?»
    «ho fatto quello che dovevo» era la verità, e non si sarebbe scusato per aver agito come più credeva giusto – l’etica era un qualcosa di flessibile e soggettiva per il Barrow, quindi che la Sargent se ne tornasse nel suo paese degli unicorni.
    «anche lui aveva una famiglia»
    «non è l’unico, kier.»

    /stacchetto/

    Aveva ucciso diverse persone nella sua vita, William Barrow, un’azione che con il tempo diventata sempre più meccanica e spassionata. Tuttavia, c’erano state delle eccezioni, come quando aveva puntato la canna della pistola alla testa del Barrow I. Non pensava che quattro anni dal fatto le conseguenze delle sue azioni sarebbero tornate a tormentarlo, ma si sapeva che Gugi non aveva la migliore delle fortune. Certo, se qualcuno l’avesse avvisato della loro destinazione forse le cose sarebbero andate in modo diverso.
    Tipo, non si sarebbe nemmeno presentato.
    Quando Jamie gli aveva scritto comunicandogli di raggiungerlo dopo il suo turno, William non aveva fatto una piega. Non era la prima volta che il suo ragazzo lo trascinava fuori di casa senza dargli alcuna spiegazione prima, lo conosceva da più di un decennio e sapeva quanto piacere traesse dal tormentarlo con i suoi enigmi. Forse, però, il Barrow aveva intuito qualcosa (no) e decise finalmente di usare la pozione polisucco che teneva per le occasioni speciali (quali). Vorrei spiegarvi il perché Gugi si stia comportando così, ma è meglio che non sappiate dei retroscena della dinamica Gugel.
    Solo una volta attraversato il portale situato all’Aetas, William comprese in quale merda l’avesse trascinato l’Hamilton. Si voltò a lanciargli un’occhiata tradita e furiosa, le mani a prendergli dal bisogno di annegarlo nella fontana di cioccolato. «sei davvero un bastardo» strinse i pugni lungo ai fianchi, prendendo un respiro profondo nel tentativo di calmarsi- più facile a dire che a farsi quando c’era un intero clan di Kardashian biondi pronti a menarlo. «guarda, hai dei fan» una volta aveva fan veri, grati della sua magnanimità nell’ospitarli nella sua villa, e poi la sua vita era andata a puttane. Distolse lo sguardo dalla prole di William I prima che potessero notarlo; non sembravano aver capito fosse lui, sebbene il suo aspetto risultava alquanto simile all’originale da destare dei dubbi. «non essere rude, saluta» era indubbio il fatto che Jamie provasse un perverso piacere nel farlo innervosire, e che William fosse troppo uno stinco di santo per ricambiare con la stessa moneta. Il Barrow andò a coprire la mano del cronocineta sul proprio fianco con la sua, per poi stringere la presa e iniziare a trascinarlo via «col cazzo che li saluto, sei te che mi hai trascinato qui almeno assumiti le tue responsabilità» approfittò della confusione generale per scendere le scale e mischiarsi tra la folla, si voltò qualche volta per controllare che nessuno li stesse seguendo prima di fermarsi dietro una statua dalle sembianze antropomorfe e la parete «almeno renditi utile e nascondimi» soffiò contro l’Hamilton, la schiena premuta contro il muro e la testa china a poggiare sulla spalla dello special.


    «Oggi ho letto l’oroscopo, e mi ha detto che troverò l’amore. Secondo me è un segno che dobbiamo sposarci.» Era così che era iniziata la sfortunata avventura di Akelei Beaumont (Moriarty? Halvorsen?), della serie che avesse letto un libro al posto dell’oroscopo si sarebbe risparmiata un’intera stagione di Beautiful di sventure. Purtroppo Santa Akelei era fatta così, impulsiva e fin troppo felice di lasciarsi travolgere dal flusso della vita. Non era come l’altra Akelei, quella dell’universo parallelo, non aveva sviluppato denti velenosi e parole altrettanto aguzze per fare a pezzi il mondo prima che potesse farlo con lei.
    Ma cosa aveva spinto Akelei a sposare Samael? La risposta cambiava in base a chi si trovava davanti o a come erano allineati i pianeti, capricciosa ed imprevedibile ma sempre con uno scorcio sulla verità. Ai suoi figli aveva rifilato la versione Hallmark a cui nemmeno un bambino avrebbe creduto, ai suoi amici aveva parlato di partner spirituale e di me lo sento nel chakra. L’aveva buttata sul ridere, perché nessuno voleva sentire la storia di una giovane donna a cui era morto il primo marito ancora prima che potesse imparare ad amarlo, per poi rimanere incinta di un uomo che non aveva fatto in tempo a vedere il volto dei suoi figli prima di morire. Ammettere che il suo secondo matrimonio era stato nulla più di uno sbaglio, un momento di euforia portato da un stato di ebbrezza, l’avrebbe fatta sentire un fallimento di persona. E Akelei Beaumont si rifiutava di essere definita sulla base di uno stupido errore. Nonostante tutto, era riuscita a trovare un posto affianco a Samael e nel corso degli anni aveva sviluppato un tepido affetto per il compagno.
    E andava bene così, c’erano peggiori finali per una storia iniziata con tali disastrose premesse.
    «Ho bisogno di bere, vuoi qualcosa?» si voltò verso Samael, lo sguardo cristallino a perdersi per qualche momento oltre alle sue spalle. Ci volle qualche momento perché la sua mente tornasse al presente, ma quando finalmente riuscì ad elaborare la domanda del marito questi decise di defilarsi tra la folla. Aprì la bocca per chiuderla un momento dopo, mano ancora estesa verso la schiena di Samael. Avrebbe potuto richiamarlo, attirare la sua attenzione in qualche modo, ma decise di lasciarlo andare a godersi la festa in qualche angolo remoto del salone. La Beaumont non era interessata agli Eroi dall’altra dimensione, fin troppo familiari per suscitare qualsiasi tipo di stupore in lei: ci aveva vissuto, ci aveva combattuto e versato sangue. Decise invece di concentrare la sua attenzione sul flûte che aveva soffiato da un cameriere, osservando il liquido rosa con un misto di apprensione e curiosità. Chissà se era alla fragola o al lampone, quelle erano le domande della vita. Al portarlo alle labbra, poté constatare che non si trattasse di nessuno dei due sapori, ma semplicemente di una miscela dolce e con un retrogusto di bubble gum. Ma che era quella merda. Fosse stata in un altro stato psicologico, la Beaumont si sarebbe sentita fortemente offesa, eppure riusciva a provare solo un forte senso di euforia al momento. «com'era l'orata?» al suono della voce di Cole, la Beaumont sussultò tanto da rovesciare parte del drink sul proprio vestito. Batté una mano sulla propria fronte, scoppiando a ridacchiare fino a sentire le lacrime formarsi agli occhi «oddio che scema, non ti avevo proprio visto!» eh, tingersi di biondo l’aveva anche deprivata della sua passata intelligenza. «l’orata era buonissima!! pensa, ho trovato questa ricetta sul libro di suor germana che spiegava come farla con le arance?» e qui è partita su una tangente su come non si aspettava che l’orata si accoppiasse così bene alle arance, ma non ci interessa davvero. «Ho visto le ragazze, poco fa. Pare si stessero divertendo.» GASP! Akelei portò una mano alla guancia, un sorriso vagamente ebete a piegare le labbra. «davvero? sono felice che si stiano divertendo» senza di me, ma quello sembrava essere un denominatore comune. «Penso di aver visto i tuoi prima. Credo. Non lo so, questo drink è davvero strano mi sento euforica e confusa» - cit elisa che posta alle 4 senza capirci più niente. «VUOI?» poco importava che l’uomo avesse il suo, si sapeva che il rosa era molto più bello. «possiamo essere confusi insieme!!!» ah, ma non lo erano già?
    akelei: several bad puns later
    william: merry crisis
    We had scraped up feet
    Barefoot on the sidewalk
    Right next to me
    A little midnight heat
    All he saw was a silhouette of a gun
    Far away on the other side
    4 a.m. in the morning
    Carried away by the moonlight shadow
    william barrow II
    28 - future boi
    akelei beaumont
    38 - sugar mommy


    - will parla con jamie e si nasconde dalla prole inferocita
    - ake parla con cole e beve (rosa)
     
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    maybe in your eyes.

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    Lambert se ne stava seduto sulla poltrona, il libro di filosofia morale in una mano mentre sorseggiava lentamente il suo caffè e aspettava che l'alto si svegliasse. Un'attesa che si rivelò lunga, ma per fortuna lui era un tipo paziente e ragionevole. Non a caso, quando Mason aveva riaperto gli occhi, si era limitato a chiudere il libro con un gesto lento della mano, aveva preso un altro sorso di caffè e si era limitato a un banale «buongiorno» che poteva sembrare un amichevole saluto tra coinquilini, ma l'ex corvonero ci tenne particolarmente a non smentirsi neanche quella mattina, quindi puntò con il dito delle macchie sul pavimento «ieri hai calpestato della cacca di cane» numero uno; spostò il dito verso il tappeto «hai sporcato di sangue il tappeto» numero due; puntò il dito verso il divano sul quale era steso il biondo «e ti sei steso – ti sei addormentato – sul divano con i vestiti di ieri sera, quindi va lavato il copridivano», in conclusione: «buon divertimento a ripulire tutto, oggi» e con una pacca sulla spalla del maggiore, levò le tende (non letteralmente, anche se forse avrebbero avuto bisogno di una ripulita anche quelle) e tornò a crogiolarsi nel suo divertimento più grande: i libri.
    Non lo faceva apposta, non voleva dare fastidio e essere pedante, ma c'erano delle regole stabilite e andavano rispettate, e c'erano anche delle regole non stabilite verbalmente ma che qualsiasi persona degna di buon senso avrebbe rispettato, e tra queste figuravano senz'ombra di dubbio anche il rispetto dell'igiene e degli spazi comuni. Certo, avrebbe potuto aspettare che l'altro si svegliasse, avrebbe potuto dirglielo in modo più carino, avrebbe potuto fare tante cose diversamente, ma se l'avesse fatto non sarebbe stato lui, e non si era guadagnato il soprannome Lame mica per caso.
    D'altra parte, l'appena sveglio (e forse neanche troppo) Mason aveva fatto sprofondare di nuovo il viso nel cuscino del divano, incurante che il sangue incrostato sotto il naso potesse sporcarlo e che gli toccasse lavare anche quello; aveva sbuffato, ma non aveva detto niente in risposta.
    Non poteva dire niente perché così stabilivano i patti. E quando sei un ventottenne non del tutto fallito ma quasi, con la fedina penale non proprio immacolata, con una insana passione per gli incontri di boxe clandestini (e di rimando, risse varie per strada), e che sopravvive con pochi galeoni raccattati con il lavoro da meccanico, bisognava rispettare i patti – anche se erano ingiusti e a tratti una gran rottura di palle. Soprattutto perché l'ex corvonero 23enne intellettuale e un po' nerd Lambert era stato l'unico ad accettare di subaffittargli una stanza, e se avesse deciso di buttarlo fuori – e ne avrebbe avuto tutto il diritto – si sarebbe ritrovato a dormire sui materassi accanto ai bidoni della spazzatura. Che forse, a dirla tutta, sarebbe stato meno da sfigati che condividere l'appartamento con un ragazzo più piccolo e strano come Lame; ogni tanto Mason pensava davvero che avrebbe giovato di più alla sua immagine lasciare quella casa e vivere alla giornata più di quanto non facesse già, ma poi si ritrovava sempre a preferire di pulire il tappeto o togliersi le scarpe prima di entrare in casa (quando non era ubriaco e se ne ricordava), o pulire i cuscini del divano e non mettere il cartone del latte vuoto in frigo.
    Con uno altro, rumoroso, sbuffo, si alzò ancora barcollando dal divano e si passò una mano sul viso, rimpiangendo tutto e ripensando le sue scelte di vita.
    Anche se, alla fine, Lambert non era così male; erano indubbiamente tanto diversi, e mentre Lambert passava ore in bagno a curare la barba e scegliere la crema per il viso perfetta, Mason preferiva tagliar via tutto o lasciare crescere tutto selvaggiamente e riteneva un privilegio anche solo rinfrescarsi il viso con l'acqua fresca corrente, ma avevano trovato il loro equilibrio: Lame faceva la coscienza, Mason faceva il braccio – spesso armato.

    «potevi andare meno veloce» si lamentò scendendo dalla moto e sputacchiando qua e là «ho un sacco di drosophile melanogaster tra i denti»
    «...»
    «moscerini»
    Mason, che era di poche parole, si concesse comunque una risata sorda e un sincero commento accorato, mentre affondava le mani nelle tasche della giacca di pelle: «è perché parli troppo, dovresti provare a tenere la bocca chiusa ogni tanto»
    Lambert: not impressed.

    Mort Rainey, ormai era noto a tutti, non aveva proprio un cazzo da fare – oltre ovviamente portare sulle spalle il peso di una casata intera (Serpeverde: ah sì?), di una squadra intera (Costas: cosa?), della scuola tutta (la scuola tutta: mh?), e del bene di ogni studente minacciato dalle inimicizie e dalla falsità di alcuni suoi detrattori. Sapete già di chi stiamo parlando.
    Quindi, messi da parte libri, e la divisa da cercatore di Quidditch, indossava quella più impegnativa da cavaliere oscuro di Hogwarts, per cui la sua missione principale era sostanzialmente una: seguire McKenzie Hale (e Arturomaria, ma un po' di meno). «sta tramando qualcosa di losco» era nascosto dietro un albero quando l'aveva visto attraversare il portale; recuperò il registratore portatile dalla tasca dei pantaloni ed espresse le sue più profonde preoccupazioni: «il sospettato McKenzie Hale si è addentrato in uno strano passaggio, temo abbia in mente un piano malefico. Lo seguirò nonostante il pericolo, ma se non dovessi tornare lascio tutto il mio materiale di indagine a Rick. Auguratemi buona fortuna» ma nessuno gli augurò buona fortuna, chiaramente, perché spense il registratore e seguì il battitore corvonero attraverso il passaggio.
    Il problema è che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare sì, ma soprattutto il mare di sfiga in cui nuotava il Rainey, perché sarebbe stato facile seguire Mac se si fosse trovato in un boschetto vuoto in cui si sarebbe ritrovato con cinque persone; ma non era quello il caso, perché nel mare di sfiga trovò anche un mare di pesci, ergo persone, tutti invitati (invitati???) a quella festa a cui aveva deciso di partecipare anche il corvonero. «un falso» sputò con rabbia Mort, mentre si faceva largo tra le persone per seguire l’acerrimo nemico. Un falso, sì, perché millantava sempre di essere membro onorario dell’antisocial social club k skifo le perzone xdxdxd ke anzia la vita E POI SI PRESENTAVA A UNA FESTA CON TUTTE QUELLE PERSONE «proprio un falso» con la fronte ancora corrugata, si fermò a debita distanza perché… un mac? due mac? TRE MAC? Ma quello era un incubo la prova che avesse veramente un piano malefico!!! Continuò a seguire la figura del battitore e alla fine fece la sua mossa, correndo velocemente verso la ragazza bionda a cui l’Hale aveva offerto il drink e allungando la mano – in una scena al rallenty – per farle cadere il bicchiere e non permetterle di bere «umpf, per un soffio» meno male che il cavaliere oscuro era intervenuto in tempo «non puoi fidarti di lui» dito puntato, ovviamente, verso Mac «è malvagio, se berrai questo drink ti clonerà, diventerai il suo quarto clone!!» ah-ah sei stato beccato Mac, ha scoperto il tuo piano.

    «dovresti smetterla di seguirmi e trovarti degli amici»
    «non mi piacciono tutte queste persone, mi mettono ansia»
    «a nessuno piacciono, per questo esiste l’alcool»
    E infatti Mason, che aveva a cuore la salute del non-amico, cacciò la mano dal luogo sicuro della tasca del giubbino di pelle solo per raccattare un drink (di… qualche colore????) da un vassoio e porgerlo gentilmente a Lambert. In realtà sperava solo che si ubriacasse e la smettesse di seguirlo come un cagnolino ma eh che ci vuoi fare.
    «g..grazie? tanto è inutile che fingi, tu sei solo qui per-» prese un sorso del suo drink, ma non fece in tempo a finire la frase perché la scena che aveva tanto temuto, ma che sentiva sarebbe arrivata, si palesò davanti ai suoi occhi: mentre camminava, Mason urtò contro la spalla di qualcuno che era troppo impegnato ad urlare «PAPINO» e allora Lame, softly «oh no», mentre gli occhi del biondo diventavano rossi dal trigger e lui si avvicinava a muso duro al riccio, che aveva detto una (1) cosa, ma era la cosa sbagliata.
    «sai cosa mi piace dei figli di papà?»
    e poi conoscete il resto.
    love is:

    - a losing game
    - noise
    - all you need

    like, what's up danger?
    don't be a stranger
    cause I like
    high chances

    that i might lose
    dominic (heathcliff) & swag & mort
    mason & lambert + mort
    28 yo & 22 yo | bad one & soft one + angry penguin

    non fanno proprio niente scusate, volevo anche farli interagire ma in realtà non so neanche cosa facciano i vostri? mi sono persa molti post e soprattutto chi è chi + non so assolutamente se le età sono giuste + non ho capito i drink colorati, ovviamente.
    (quindi perché hai postato, alessia? - perché mi andava di scrivere random!!! - per quello esistono le ff, alessia - avete ragione, mea culpa scusate, in realtà avevo il trigger pv che ho sempre voluto usare quindi è andata così, ignorateli pure!!! tanto non so se riuscirò effettivamente a postare di nuovo)

    mason aka chiunque tu vuoi che io sia: fa lo sborone con Richard
    lambert: non fa niente, assiste e beve
    mort: è mort, e segue mac, poi butta il drink di demetra a terra per motivi sicuramente validissimi
     
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    In linea generale, non era strano sentir bussare alla propria porta. A casa di Stiles e Connor? : nessuno li cercava direttamente al loro appartamento, se non testimoni di Geova e il signore delle caldaie a cui Stiles, da venticinquenne maturo qual era, faceva sempre rispondere il Walsh. Sporse la testa fuori dal bagno, lo spazzolino ancora fra i denti. Gli occhi color miele rimbalzarono da una parte all’altra della stanza cercando qualcuno (chi) che rispondesse al suo posto, e non trovandolo, si obbligò a
    … Aprire? Ovviamente no.
    A nascondersi, ed ignorare in prima persona.
    Ma l’ospite non demorse, persistendo nel battere le nocche contro il legno finchè non scoprì l’esistenza del campanello, ed a quello si aggrappò come se ne andasse della propria vita. Non capiva esattamente per quale motivo un suono così innocente gli causasse un tale ingente afflusso di adrenalina, ma lo Stilinski aveva imparato che c’era ben poco da capire, nell’universo ed i sistemi e quello strano corpo in cui si ritrovava da un quarto di secolo: ogni tanto, andava così. Non avevano uno spioncino (Stiles l’aveva fatto rimuovere per il timore di affacciarsi e trovare boh, una maschera ad osservarlo impassibile da attaccato al vetrino) e per quanto l’idea di infilare un coltello sotto la porta come in Sign per osservare l’intruso lo titillasse, decise contro perchè aveva già abbastanza problemi senza accollarsi una denuncia per tentato omicidio, o la nomea da inquietante serial killer.
    Quindi insomma. Era adulto e vaccinato. Ingoiò il dentifricio con una smorfia, leccando i rimasugli agli angoli delle labbra e togliendo l’eccesso con il dorso della mano, e con lo spazzolino ancora stretto nel pugno pronto ad essere usato come arma contundente (già riusciva a vedere i titoli dei giornali locali: ”Bravo ragazzo della porta accanto schiva l’assalto grazie all’Oral B dalle setole dure”), aprì la porta.
    «ma cosa» Battè le palpebre, prendendo nota dei dettagli in un misto di paranoia e terrore ed angoscia esistenziale che solo in pochi potevano dire di aver provato - lucky him! « ma cosa» lasciò cadere lo spazzolino a terra, spalancando la porta e lasciando entrare il ragazzo sporco di sangue e polvere ??? !!!! ???? !!!!!! E nell’esatto momento in cui dalla bocca di Stiles uscì un confuso e impanicato « mAC?» l’altro disse «oh, andrew» e si guardarono una manciata di secondi senza battere ciglio. Stiles ebbe la netta impressione di aver sbagliato, da qualche parte.
    Cioè. Non aveva ancora fatto niente, e già percepiva la delusione del Corvonero come dita a tamburellare sulla spalla. Il suo era quasi un super potere; gli altri potevano solo sognare di avere quella rapidità nell’infrangere i sogni di gloria di chicchessia. «mac?» Vorrei dire che in quell’istante Stiles comprese, e tutto ebbe senso, ma ovviamente non fu così. Come avrebbe potuto? Erano passati così tanti anni da quello strano crossover - e, insomma, nel mentre era anche morto - che aveva iniziato a dimenticare; i dettagli si erano fatti sfocati, e quello che un tempo aveva avuto senso, aveva smesso. Quand’era tornato in vita, si era detto che Mckenzie e Barbie fossero iquietantemente uguali a Frankie e Percy; che Madelaine e Sam fossero due gocce d’acqua; conoscendo gli altri tre, aveva… cambiato priorità, ecco, dicendosi che si trattasse solo di una somiglianza, e che capitasse di continuo - chi era lui per giudicare, con due gemelli!
    Quindi.
    «mckenzie?» aveva preso una botta in testa? Amnesia? L’aveva - l’aveva offeso? Fu rapido, ma colse comunque il briciolo di gelo e disappunto negli occhi grigi dell’Hale.
    «percy»
    «la memoria?» cosa perse.
    (sono troppo simpy)
    Quando lo guardò come se fosse veramente stupido, ebbe un vago senso di deja vu. Non era da molti riuscire a farlo sentire così demente, ed in così poco tempo (...comunque più della media per chiunque altro, ma non così tanti. E mai Mac) ma l’altro ci riuscì benissimo.
    E la sofferenza che fino a quel momento aveva contorto i tratti del giovane, si appianò come non fosse mai esistita.
    «percival. buckingham meadows volkswagen. sotto sopra» il calore abbandonò il tono di voce, lasciandolo distaccato e con quello che sapeva tanto di rimpianto, ma Stiles non avrebbe saputo dire per cosa.
    « oh» ah ecco, quello spiegava tante cose.
    « oh???» No, in effetti non spiegava assolutamente niente.
    Aprì la bocca e la richiuse, ancora lasciandolo sanguinante sull’uscio della porta, osservando un punto oltre le sue spalle come se avesse avuto tutte le risposte. Non le aveva, e dopo secondi che parvero anni, Percy si schiarì la voce e sospirò rauco. «posso entrare?» il tono sofferto era tornato, e Stiles si prodigò come il bravo infermiere che non era, perchè in effetti era uno Psicomago e (non. comunque) si vedeva. Quando l’altro disse fossero solo graffi, e che gli sarebbe bastato sciacquarsi il viso, Stiles lo lasciò fare, riflettendo su -
    Beh
    Sicuramente qualcosa, anche se quando l’altro uscì dal bagno tamponandosi il viso con l’asciugamano, non avrebbe saputo dire cosa. Gli offrì qualcosa da bere e da mangiare; l’altro rifiutò con un tono asciutto che un meno sconvolto Stiles avrebbe compreso fosse scetticismo, ma quello Stiles accettò annuendo distratto.
    « sei uguale»
    «…»
    « a mac, dico. ma uguale»
    L’espressione del BMW era indecifrabile; da narratore onnisciente, vi dico che gli girassero i coglioni. «ok»
    Si guardarono.
    «ma anche a percy»
    «oh, mio. sono sconvolto»
    « no, nel senso, sono passati tre anni…?»
    «non per me»
    Chissà. Forse Percy aspettava che fosse Stiles a fare le domande intelligenti. Forse nei nove anni di distanza dallo Stilinski, si era dimenticato con chi avesse a che fare. Stava di fatto che rimasero un’altra manciata di secondi in silenzio, e lo Psicomago potè quasi giurare di vedere un’ombra divertita nell’espressione dell’altro - ma doveva chiaramente essere un’impressione, perchè se si trovava lì, nel loro mondo, non doveva esserci nulla di cui ridere.
    « quindi.» E visto che Percival non era rinomato per la sua pazienza, sospirò drammatico ed iniziò a raccontare:
    di come per loro fossero passati pochi mesi da quando si erano incontrati;
    di come il portale ed i viaggi avessero causato una contrazione di quanti e metà del mondo così come l’avevano conosciuto fosse sparito in uno schiocco di dita;
    che avessero bisogno di aiuto e risposte;
    che avesse necessità di sapere cosa fosse successo dopo la loro partenza.
    Così, Andrew Stilinski raccontò.
    L’ultima disperata battaglia a scuola. Il sangue - tutto quel sangue - e la sua morte. Non nascose nulla al ragazzino del sottosopra, descrivendo come si fosse svegliato dopo giorni ore o mesi, come non riuscisse a dormire, come sentisse che la propria autonomia fosse limitata, come i vuoti di memoria si facessero sempre più frequenti; l’ascesa di Seth; la sua scarsa presenza pubblica, tanto che in pochi ricordavano la sua esistenza, ed anche loro tendevano a scordarlo.
    La prigione sotterranea.
    «ho bisogno di vederla»
    L’aveva portato ad Hogwarts, prestandogli una divisa vecchia - e sudando per tutto il tragitto, conscio di aver portato fra le mura del castello un intruso, consolandosi solo conscio del fatto che sembrasse Mac: bastava solo non gli parlassero e non lo guardassero e non lo ascoltassero. - e gli aveva mostrato la targa con i nomi.
    Percy li aveva letti tutti, qualcosa - qualcosa - nello sguardo e la linea delle labbra.
    Poi: «ora possiamo andare alla festa»
    Cosa?

    Cosa.
    Andrew era certo di non volerlo sapere. Con ogni cellula, fibra del proprio corpo, era sicuro di non voler avere la minima idea di cosa stesse succedendo, perchè la consapevolezza avrebbe implicato che facesse qualcosa in proposito, e lui era stanco di quelle puttanate.
    Chiuse gli occhi, massaggiando la radice del naso.
    Non partecipava mai volontariamente alle feste del Rito per due motivi: toglievano tempo che avrebbe potuto usare per, scioccante, lavorare; non approvava un così plateale spreco di risorse per qualcosa di stupido come una festa per celebrare martiri e vittime. Chiamatelo pragmatico e poco empatico, ma così stavano le cose. Al contrario di un’alta percentuale dei presenti, Andrew Stilinski c’era stato dall’inizio, ritrovatosi da subito con le mani gonfie di responsabilità per persone che a malapena conosceva. Era stato l’unico a mantenere un buon autocontrollo, ed era stata la sua condanna: la gente si fidava, di lui; l’aveva seguito, disperati di qualcuno che potesse tenere le redini ancora un poco, e Andy l’aveva fatto, perchè nessun altro si era offerto per farlo al suo posto.
    Non aveva mai capito le persone ambiziose. Lui, tutto quel potere, avrebbe preferito non averlo. L’unica cosa positiva, era che gli permettesse di fare la differenza su una scala maggiore.
    Cambiare più vite.
    Evitare che altri combattessero guerre già vinte e perse.
    In quanto Andrew Stilinski, la sua presenza era all’incirca obbligata. Così, ogni fottuto anno, si metteva a lucido e sorrideva ai presenti come se avesse partecipato all’organizzazione dell’evento, e quella fosse la cosa giusta da fare. Rivoltante. Non sempre, però, era possibile scegliere quale emozione indossare - non per un bene superiore.
    Ma chi cazzo aveva messo il nome di Percival nel calice in lista.
    Il fatto che quell’anno toccasse a lui organizzarla, era … qualcosa. Per diverse ragioni. E se c’era qualcuno di cui si fidava meno, ed a cui non avrebbe affidato neanche una pianta grassa, era Percival - c’era da dire che fosse di parte, perchè sapeva per esperienza fosse un piccolo bastardo manipolatore. Con quei languidi “è anche colpa tua se sono così, sai?” che sapevano di verità e menzogna, ed a cui si ritrovava sempre privo di replica.
    Insomma. Era innervosito dalla vita.
    Figurarsi quando vide loro.
    «merde» dopo anni passati in GB, l’accento francese spuntava poco nel parlato, ma sempre nei momenti del bisogno.
    Mantenne sangue freddo.
    Decise che i problemi andavano risolti in ordine d’importanza e gestione.
    Quindi:
    «ai minorenni non può essere servito alcun alcolico.» tolse i bicchieri dalle mani degli sgagni, di cui uno era suo …nipote, all’incirca. Aveva un rapporto troppo peculiare con Freddie Hamilton per dare un’etichetta ai suoi figli. «e se vi rivedo con un cocktail in mano, chiamo i vostri genitori e vi faccio uscire scortati dalla sicurezza. sono stato chiaro?» non attese risposte che non voleva. Era un uomo abituato a dare ordini, non ad attendere che venissero compiuti.
    Guardò i contenuti dei flute che aveva sequestrato, ed arricciò il naso. Alzò poi gli occhi sulla folla, sospirando greve. «ho bisogno di qualcosa di più forte.»


    « MI HAI MENTITO!!!???!! COME HAI POTUTO» Era offeso. Oltraggiato. Indispettito oltre ogni misura. E quell’INFAME DI PERCIVAL NEANCHE LO GUARDAVA, ammirando come scintillassero le unghie sotto la luce dei candelabri. «non so se andrò avanti» a quanto pare andò avanti (cit) perchè sparì nella folla, abbandonando un boccheggiante Stiles ad una FESTA DI PERSONE CHE CONOSCEVA E NON CONOSCEVA E OH MIO DIO ERA IN UN’ALTRA DIMENSIONE MA CHE SIGNIFICAVA. Era stato tratto lì con l’inganno!! IL MONDO NON ERA A PEZZI! ERANO PASSATI NOVE ANNI! per riprendersi, avrebbe dovuto ascoltare Olivia Rodrigo in loop.
    Lui davvero. Boh. MA DAI NON ERA MICA GIUSTO.
    « ma hai sentito???????? NO VABBè» scrollò le spalle di Amo(s), senza sapere che fosse Amos.
    O che fosse del suo mondo.
    O che avesse una bambina in braccio, perchè aveva altre priorità, tipo FREAKIN OUT.

    if you're a something don't ask for nothing
    if you're a nothing don't ask for something

    don't look at me, i do not lead
    i'm just in front
    & they're all following
    how much would
    a bag of popcorn

    cost in dnd world
    stiles
    andy stilinski - 35 y.o.
    boss degli auror

    non fanno niente ma devo andare e voglio finire sto post.
    andy toglie l'alcool ai minorenni e poi parla da solo
    stiles approccia amos, ma non lo riconosce davvero

    manco ricordo se si conoscessero prima che amos sparisse. ma secondo me sì. da ora sì. baci
     
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