your heart was glass, i dropped it

sort-of-2043 / ciao arci

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    edit breve: tw relazione ultratossica. giuro che nella nostra attuale timeline sono migliori ♥ barely ma ci stiamo lavorando


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    Sotto più punti di vista, quello era stato uno sbaglio.
    Lo aveva pensato nel momento stesso in cui l’idea gli era uscita dalla bocca quella notte di dicembre, con metà dei vestiti ancora dimenticati da qualche parte sul pavimento, e il cigolio del letto come unica testimonianza del fatto che Arci fosse in ascolto.
    E ancora, quando Arci gli aveva scritto un semplice sei ancora sicuro di volerlo fare? che, tornando indietro, avrebbe indubbiamente dovuto prendere come un qualche segno del destino: quando la persona più impulsiva che tu abbia mai conosciuto appare titubante, è forse il caso di fermarsi e riconsiderare le proprie scelte. Ma in quella domanda aveva letto un altro tipo d’insicurezza; e, forse, neanche troppo erroneamente. Insicurezza data da anni di (brevi attimi di) alti e (eccessivi) bassi. Erano stati piccoli, e poi erano diventati grandi, ed erano cambiati innumerevoli volte – e con loro era cambiata la natura del loro rapporto –, eppure la loro incapacità di mantenere un rapporto stabile era rimasta invariata. Aidan era sempre stato troppo orgoglioso per ammetterlo, ma difficilmente la colpa non era la sua. Sempre troppo impegnato, troppo difficile, troppo svogliato. Glie lo aveva detto scherzosamente la prima volta in cui ci avevano provato: sarò il peggior ragazzo che tu possa mai avere. E Archibald glie lo aveva ripetuto dieci anni dopo, al termine dell’ennesima litigata.
    Quantomeno a essere cattivi l’uno con l’altro erano sempre stati dei fottuti pro.
    Eppure, nel loro strano modo, si erano sempre danzati attorno – e amati, per quanto la parola gli risultasse ancora estranea e difficile da pronunciare. E non poteva, pronunciarla. Non nella stanza di un motel, nascosti da tutto e tutti. Non a quel punto, quando le loro vite erano andate avanti; separatamente, con persone diverse.
    Non era certo di sapere cosa volesse ottenere, con quel viaggio improvviso. La certezza che per quanto gli piacesse illudersi del contrario, non erano fatti per stare insieme e doveva farsene una ragione? O forse il contrario – che infondo, sotto circostanze migliori, loro due sarebbero potuti essere più di un segreto tra le lenzuola? Difficile dirlo: che la seconda si prestasse di più alle tendenze masochiste del Gallagher era vero, ma supponeva che dare le spalle a quello che era stato a tutti gli effetti l’unico amore della sua vita fosse altrettanto autodistruttivo.
    Poco importava. Berlino li aveva accolti in ogni caso; dapprima impacciati, poi spalla contro spalla, estasiati e nervosi come due adolescenti al primo appuntamento. Tutto era improvvisamente divenuto facile: il gelo di gennaio gli tagliava la pelle, e le mani di Arci erano subito nelle sue – accoglienti e calde e sicure a disegnare cerchi sul suo palmo.
    Poi quella fantasia idilliaca era andata a scemare. Piccole tracce di realtà, simili a ombre demoniache, si erano insidiate nuovamente tra di loro. Il lavoro, gli amici, la famiglia. I partner lasciati indietro – quelli casuali, quelli che subivano in silenzio.
    Qualche attimo e la lussuosa camera d’albergo sembrava essere stata inghiottita dai muri clastrofobici del Mollie’s. E di nuovo, i suoi vestiti giacevano per metà a terra, dimenticati, e di nuovo, il cigolio del letto era l’unica testimonianza del fatto che Archibald stesse ascoltando.
    «cosa stiamo facendo?»
    Appena un sussurro, il suo, i palmi a scorrere dalle ciocche scure alla fronte, scivolando infine contro le palpebre chiuse. «cosa stiamo facendo, Leroy?»
    Un enorme, stupido sbaglio.
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    sì è davvero brevissimo ma mi sono partite all too well e champagne problems una dopo l'altra e il mio cervello non mi avrebbe dato pace finché non l'avessi scritto
    :morgan:


    Edited by homini lupus - 29/9/2022, 02:43
     
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    «Lo ami?»
    Archibald non era gentile, non rientrava esattamente nella categoria, ma sapeva esserlo, quando voleva. «Non penso siano stragrancazzi tuoi, Reed» quando voleva.
    «Sono Harris adesso, te l'ho già detto»
    «come cazzo ti pare, Reed»
    Tiffany Reed non meritava la sua gentilezza, o una risposta più garbata e meno volgare; meritava a mala pena che lui fosse lì a parlarle invece che chiesto ad altri di buttarla fuori a calci, dimostrandosi l'adulto fra i due nonostante, all'apparenza, sembrasse lei quella con la vita più organizzata: Tiffany aveva un lavoro al ministero ben retribuito, era sposata con un uomo adorabile, viveva in una bella casetta con giardino, faceva volontariato, andava in palestra, era in un club di cucina. Dove Archibald lavorava ancora nella panetteria di famiglia e come security a Hogwarts (un lavoro di merda per il quale, in sostanza, guardava in cagnesco e a volte malmenava ragazzini), con una vita a pezzi e sogni infranti, lei era l'emblema della suburban mom, senza il mom.
    Almeno non per qualche settimana - mese? - ancora. Congratulazioni!
    La storia del bambino (il feto? il mostrillo che le cresceva in pancia? quella roba lì) non era stata ciò che aveva fatto scattare arci come un cane rabbioso, ma lo aveva aiutato a sistemare i pezzi del puzzle, a capire quanto stesse sbagliando su ogni fronte.

    «Sono incinta»
    «è mio?»
    Una risata «Che importa? Tom sarà il padre»
    «Non vuoi fare un... test, o qualcosa?»
    «Arci, non sarà mai tuo, test o no»


    Non avrebbe voluto quel figlio in ogni caso - non che avesse avuto il tempo di pensarci o elaborare la cosa - potevano tenerselo, ma si era reso conto che
    ...lei non avrebbe mai lasciato Thomas Harris per lui
    ...lo aveva usato per anni per sentirsi speciale e ribelle in quella vita perfetta
    ...arci neanche voleva davvero averla, Tiffany
    ...non la amava
    ....non gli interessava abbastanza di lei, di loro
    ....fino a quel giorno era solo troppo disperato per rendersene conto
    ....lei era stato l'opzione migliore, quando l'alternativa era rincorrere qualcuno che ancora meno di tiffany lo voleva.
    «Puoi dirmi se lo ami, sai?»
    «devi davvero uscire dal mio locale, o ti porterò fuori di peso»
    «Aidan»
    «Non c'entra niente con me e te, vattene»
    «Io credo c'entri» e sbattè i suoi grandi occhioni cioccolato, mentre le dita spezzettavano la bioches.
    L'aveva odiata, tempo prima, scambiando il sentimento per amore, per passione, ma adesso si rese conto che non era un odio viscerale, il proprio, era solo scazzo. Non poteva credere che lei gli avesse spiato i messaggi («non è colpa mia se appaiono i pop up sullo schermo !!! una pessima idea per qualcuno che ha una relazione segreta con una donna sposata, e con un'altra persona di spicco nel mondo magico, uh uh......»). Era abbastanza fastidioso che avesse scoperto, tempo prima, di Aidan, ma insopportabile che ora, dopo due giorni che Arci aveva chiuso la storia fra loro (di nuovo: una gentilezza che lei non si meritava), si fosse presentata al B&B e avesse fatto intendere di sapere del viaggio a Berlino. Che problemi aveva? «Pensi di amare Gallagher?»
    Quel pensi, la supposizione lo ferì. Ora non aveva neanche il beneficio del dubbio di conoscere i propri sentimenti? Pensava di cnoscerlo meglio di quanto lui conoscesse se stesso solo perchè avevano scopato per qualche anno?
    «Tiffany, perchè sei qui»
    «Siamo amici»
    «Ma anche no. Sei gelosa?»
    La ragazza spalancò gli occhi, Arci credette di averla presa in pugno. Poi lei scoppiò a ridere, cristallina e divertita. «Di cosa? Di... qualsiasi cosa malsana di tira e molla abbiate? Oddio, no.» si ricompose. «Te l'ho detto. siamo amici, arci. ci tengo a te. Ti a-»
    La interruppe prima che osasse ripeterglielo: «non siamo amici. Non siamo più niente. Devi andartene dal mio locale» prese un grosso respiro «devi andartene dalla mia vita»
    La vide triste. La aiutò ad alzarsi (era un mostro, ma era incinta), la ascoltò appena per le parole che disse dopo, ignorandola.
    Si sentiva... libero.
    Appagato.
    Nonchè felice di averla vista così delusa, onestamente. Persino quando l'aveva lasciata, lei non sembrava averlo preso sul serio, convinta che sarebbe tornato.
    Ma non l'avrebbe fatto.
    Forse ora l'aveva capito.
    «Ti spezzerà il cuore» mormorò ancora Tiffany prima di uscire. Arci roteò gli occhi. «ok»
    «Sarà un bagno di sangue. La vita di coppia non è per te. Solo un miracolo vi farebbe funzionare. »
    «addio, Harris» E le chiuse la porta alle spalle.
    Non c'era niente di male nel credere nei miracoli.

    (...)



    E poi, ogni tanto i miracoli accadevano.
    Non ricordava l'ultima volta che era stato così felice.
    Non appagato per il sesso, non soddisfatto per un obiettivo raggiunto, non divertito per qualcosa di stupido. Genuinamente felice. Quanti mesi prima? Un anno? Di più? La vita era stata così complicata ultimamente, e a volte anche essere lo zio più bello del mondo lo lasciava depresso per tutto il dolore che i suoi nipoti dovevano sopportare.
    Si rigirò nel letto, pancia nuda contro il materasso caldo, testa girata verso Aidan. Non aveva neanche la tentazione di prendere il cellulare per vedere i messaggi; la persona da cui li aspettava dopo il sesso con Tiffany era già lì.
    Non pensava a quanto sarebbe continuata ancora, che sarebbe finita, che sarebbero dovuti tornare a casa prima o poi o che Tiffany aveva avuto ragione: non sarebbe durata.
    Perchè farlo?
    Erano lì, ora.
    Era abbastanza.
    Ovviamente, la malinconia sarebbe arrivata. Arrivava sempre, la notte, o colpendolo di sorpresa in momenti casuali. Passavano le giornate mano nella mano, chiacchierando per le vie della città tedesca, ridendo come ragazzini per le sciocchezze più disparate come se non fossero scappati da vite disastrate o da una guerra. C'erano i baci, molti, ma più di quelli, o del sesso, c'erano i piccoli tocchi. Le dita a sfiorarsi mentre camminavano per poi intrecciarle senza chiedersi nulla come se fosse stato il gesto più naturale del mondo, le ginocchia l'una contro l'altra al tavolino del bar, la semplicità del sistemarsi i vestiti o i capelli quando erano fuori posto lasciando poi le mani più lungo del dovuto sull'altro. Era un sogno ad occhi aperti.
    Troppo bello per essere reale. Al buio, inevitabilmente, Arci se ne rendeva conto. Gli sguardi si facevano tristi. I pensieri cupi reali. Arci li scacciava il più possibile, ricordandosi che la sua vita viaggiava della filosofia del carpe diem, ma era difficile persino per lui vivere alla giornata al cento per cento, figuriamoci per l'altro.
    Il fu serpeverde fece per allungare una mano verso Aidan- «cosa stiamo facendo?»
    E infatti.
    Si fermò. «mh?»
    «cosa stiamo facendo, Leroy?»
    Aggrottò le sopracciglia, e buttò fuori una risata bassa. Imitò il tono di voce dell'altro, sussurrando: «perchè bisogna sempre fare qualcosa? Non possiamo solo essere Di nuovo, rotolò sul letto, mettendosi supino e stiracchiandosi. Nel farlo, toccò l'altro ma non se ne fece una colpa. «Io sono affamato. E se cercassimo un posto aperto tutta la notte dove prenderci qualcosa?» Perchè poco importava la sua filosofia, o la stanchezza: andare a dormire voleva dire chiudere quel giorno, e presto così facendo sarebbe arrivato il giorno in cui sarebbero dovuti uscire da quella bolla, e tornare a casa.
    Più stavano svegli, più durava.
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    tw: menzioni di tendenze autodistruttive. niente di.. intenso, è più autosabotaggio che altro, ma lo metto qui comunque per stare tranquilli



    (ascolto consigliato)



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    Premette con più insistenza le dita contro gli occhi, e considerò seriamente le sue parole. Non potevano solo essere, Aidan e Arci?
    Rise, a quel punto – una risata genuina, priva di malizia. Non rideva di lui; non più di quanto facesse solitamente, almeno.
    «non puoi crederci davvero.»
    Voltò la testa nella sua direzione, e stese il braccio sopra al suo per rendere quel contatto casuale più deciso, concreto. Gentile, il suo tono – al limite del condiscendente, perché gli anni e le cicatrici non erano riusciti a smussare gli spigoli che componevano Aidan Gallagher.
    «credo–» s’interruppe, i denti a premere dolorosamente contro il labbro. Non smise quando sentì il sapore di rame contro la punta della lingua; torturava quel taglio di pelle da giorni, e voleva che pungesse.
    Stava per dire: credo sia ovvio a entrambi che questa è solo una distrazione, ma lo era davvero? Ovvio. Lo era? Aidan era sempre stato abbastanza neurotico per entrambi. O forse, meglio, quello era un tratto – uno dei pochi – che li accomunava. La differenza stava in come lo esternavano: Arci si spingeva in avanti in cerca di un contatto che lo placasse, mentre Aidan arretrava contro il muro. Era stato divertente giocare al gatto e il topo, finché non aveva creato muri invalicabili tra di loro. Finché Aidan non aveva cominciato a sentirsi grande, un uomo di appena trent’anni che cercava disperatamente di sentirsi adulto, e anche i problemi più piccoli erano diventati impossibili da ignorare.
    C’era questo monologo interno; una voce velenosa e ringhiante. (Somigliava, stranamente, a quella di suo fratello.) Ci provava ogni volta a premere dita fredde contro la nuca, spegnerla e tornare alla realtà, ma non era mai stato così bravo con le tempistiche, Aidan. Michael, il suo bassista, non smetteva mai di ricordarglielo. Partiva sempre un po’ troppo in ritardo; la differenza di un millesimo di secondo che rompeva l’armonia come il rumore di un piatto sbriciolato a terra. Agiva, ma agiva quando ormai il danno era fatto.
    E anche quella volta – in quella stanza, con quella persona – sembrava si fosse perso la battuta d’entrata. Quello che siamo era diventato quello che saremmo potuti essere da un pezzo, ormai. C’era troppa storia, e molto raramente non era storia di piatti distrutti e di armonie spezzate. Quella volta in cui se n’era andato senza dire una parola e non aveva risposto ai suoi messaggi per giorni; quella volta in cui si era sentito così piccolo e insignificante da non riuscire a vedersi oltre le sue insicurezze, e aveva tirato fuori parole cattive e crude perché trovati qualcuno che sappia amarti era troppo umiliante, anche dopo tutto quel tempo; quella volta in cui aveva incrociato il suo sguardo a una festa alla quale era andato solo per farsi del male e vedere la persona che desiderava felice, finire per calpestare quella felicità, rovinare i piani d’entrambi, riportarli al punto iniziale; quella volta in cui aveva ferito solo per la certezza di avere ancora abbastanza potere, su di lui, da poter ferire; quella volta in cui lo aveva guidato verso la stanza anonima di un motel e aveva reso qualunque sentimento li unisse un’esplosione di rabbia e risentimento, e li aveva trascinati entrambi in un mezzo contatto che non aveva portato a nulla, se non ad altro dolore, altre insicurezze, altre mezze relazioni. Che fosse cosciente di essere una persona di merda non bastava, a conti fatti: perché erano ancora lì, Arci e Aidan, a fingere il contrario.
    …e lo stava facendo di nuovo. Pensare fino al vomito, intendo.
    Sospirò, e premette indice e medio contro la nuca. Silenzio.
    Si alzò per prendere il pacchetto di Marlboro dimenticato sul tavolo della suite, poi tornò sul letto per incrociare le gambe sulle lenzuola, il portacenere appoggiato precariamente sulla coscia. C’erano cicche depositate all’interno che minacciavano di macchiare il letto di cenere, ma decise che non gli importava abbastanza. Avrebbe lasciato una mancia particolarmente alta per il disturbo, al peggio.
    Lasciò che la fiamma bruciasse la carta della sigaretta più tempo del necessario; voleva che scottasse la sua gola. L’ennesima tra le brutte abitudini che sarebbero tornate a incularlo in un futuro non troppo lontano, ma quando Aidan distruggeva se stesso, a volte, finiva per essere più leniente sugli altri.
    «fa un cazzo di freddo, sii serio.»
    Passò la mano libera tra i capelli, e rilasciò il fumo dai polmoni. «chiama il servizio in camera.»
    Fece una pausa. Poi: «tu e reed siete ancora… in contatto?»
    Leggi: a volte era più leniente. A volte.
    Se ne pentì subito, quantomeno. Sempre meglio di chiedergli se avesse sentito una delle mille canzoni che aveva scritto su di lui. Non sapeva se fosse peggio scoprire che Arci cambiava stazione ogni volta che la sua band capitava in radio, o che il suo segreto malcelato era sempre stato appeso come una corda tra di loro.
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    magari un giorno rileggo perché sono le 2:30 e non so che ho scritto. magari no

    easter egg inutile: il bassista della band di aidan si chiama michael -- come michael balzary, in arte flea, bassista dei red hot chili peppers.


    Edited by homini lupus - 29/9/2022, 03:30
     
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    Voltò la testa quando Aidan stese il braccio sopra il suo, ancora ignorando i suoi occhi; la domanda di Aidan era stata troppo reale, troppo vicina ad un campo minato che non aveva ancora intenzione di percorrere, e finchè trascurava il suo sguardo, poteva fingere andasse tutto bene. Allungò il viso per posare le labbra sul suo braccio, lasciando un soffice morso sulla carne sporcata dall'inchiostro di mille tatuaggi. Il segno dei denti non sarebbe rimasto, nè gli aveva fatto male: stava solo giocando come un gatto, richiedendo che l'attenzione fosse posta sulle cose davvero importanti invece che su stupide parole che non serviva dirsi.
    «non puoi crederci davvero.»
    Fece una smorfia. «troppo filosofico?» strofinò il naso dove aveva posato i denti «devi ammettere che suonava bene» perchè dobbiamo sempre fare e non possiamo solo essere... dai, era un cazzo di jim morrison. «mettila in una delle tue canzoni» senza precisare che se l'avesse fatto certo, l'avrebbe sentita, le sentiva tutte. Forse non gli aveva neanche mai detto di conoscerle quasi a memoria. Erano nella loro bolla, in quel di Berlino, ma era ancora affezionato al proprio personaggio scortese che definiva le canzoni di Aidan Gallagher e del suo gruppo "musica triste per ragazzine emo"; mica poteva ammettere di essere una di queste.
    «credo–»
    Arci credeva avrebbe ignorato l'apparente stato emotivo dell'altro, tornando a concentrarsi sul suo braccio, posandoci prima la guancia in una carezza, di nuovo il naso, finalmente accarezzandolo con le labbra, più sensibili alla morbidezza della pelle...
    ...Tuttavia era difficile non far caso ad ogni movimento di Aidan, non sentirlo irrigidirsi, sospirare, pensare ancora e ancora. Spostò lo sguardo, un'occhiata veloce alle dita dell'altro che si torturavano. Non gli piaceva quando Aidan iniziava a pensare. Portava sempre a qualcosa di brutto, a parole cattive, a frasi sincere che non voleva sentirsi dire - a risposte ancora più maligne che Arci non pensava davvero ma che il dolore gli faceva sputare fuori peggiorando la situazione.
    «ti fai troppe seghe mentali» allungò la mano, e portò anche lui le dita vicino a quelle dell'altro sulla sua fronte, un tocco leggero. «ti verranno le righe»
    Quando Aidan si alzò, si sentì privato di qualcosa di importante, e non solo del suo calore. Sbuffò, sollevando gli occhi per seguire i movimenti calcolati dell'altro, la solita fitta al petto che provava ogni volta che il Gallagher era il primo a levarsi. Si disse che finchè erano a Berlino non lo avrebbe lasciato da solo fra le coperte a farsi sempre più fredde, ma era ormai una reazione di Pavlov: Aidan si alzava dal letto, la testa di Arci iniziava a girare: "se ne sta andando. Fai qualcosa. Dì qualcosa. Trattienilo. Digli che hai pagato per tutta la notte in ogni caso. Bacialo." C'era un motivo se aveva iniziato ad andarsene lui per primo, normalmente, e non era certo la voglia di tornarsene a casa.
    «fa un cazzo di freddo, sii serio. chiama il servizio in camera.»
    «sei proprio schifosamente ricco» Si puntellò sul gomito, scuotendo la testa con un sorriso. «il servizio in camera...»
    «tu e reed siete ancora… in contatto?»
    Strabuzzò gli occhi, irrigidendosi.
    Colse il pentimento anche nel viso di Aidan.
    Non è che non avessero mai parlato di Tiffany: quando avevano iniziato a incontrarsi, Arci non aveva nascosto il fatto di aver bisogno di una distrazione dal suo cuore spezzato, quindi in qualche modo la Reed era sempre stata parte della loro relazione. Nei momenti buoni per prenderla in giro insieme, o lamentarsi di questa o quella cosa che aveva fatto, nei momenti cattivi per rinfacciare ad Aidan che non aveva bisogno di lui, che Tiffany avrebbe risposto alle sue chiamate (bugia, ma bugia che Aidan non aveva bisogno di sapere - non quando certe cose le diceva per ferirlo al loro classico gioco "vediamo chi fa stare peggio l'altro").
    Il fatto che la relazione della Reed con Arci non fosse un segreto, tuttavia, non significava che Arci, in quel momento, avrebbe preferito non parlarne.
    Non era pronto a dirgli che aveva chiuso con lei - soprattutto per se stesso, ma anche un po' per Aidan.
    Non era pronto a dirgli che l'aveva rincorsa per tutti quegli anni perchè non poteva avere quello che voleva davvero, e credeva di meritarsi di soffrire.
    «perchè?» mentre lo chiedeva si mise seduto, prese la scatoletta di metallo (regalo di Lydia di anni prima) dove teneva le sigarette già rollate, e una volta messa in bocca si avvicinò al viso di Aidan. Mano alzata per fare da scudo contro un vento che non c'era, si accese la sigaretta con quell'altra, se non per altri motivi che poteva, che voleva.
    Fece cadere la cenere nel piattino preparato dal cantante e si rimise comodo, schiena contro i cuscini.
    inalò, espirò. «è incinta»
    Non voleva dirglielo - o meglio, credeva non glielo avrebbe detto. Ma ormai era uscito, e lì fra loro quell'informazione sarebbe rimasta. Che ne traesse le sue conclusioni.
    «non penso ci sentiremo per un po'. O per sempre.» si rese conto di non suonare triste, nel dirlo, nè sconfitto. Era calmo a parlare di Tiffany come non era- forse da tutta la vita.
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    E lui, di tutta risposta, aveva ingoiato la boccata di fumo ancora incastrata in gola – soffocandosi come un dannato adolescente alle prese con la prima sigaretta della sua vita.
    Cristo. Cristo. Morgana e Merlino e chiunque volesse ascoltarlo in quel momento. Strinse una mano attorno al collo, peggiorando la situazione esponenzialmente; e forse non era solo tosse, dopotutto. Forse era un po’, tanto, velato panico. Menomale che era Aidan quello con l’orribile vizio di schiaffare l’acqua gelata sulle teste di entrambi. Menomale che loro due potevano solo essere, e che il resto del mondo poteva scivolargli addosso.
    Un fottutissimo – spostò la mano tremante sul viso, e si focalizzò sul respiro.
    Uno, due, tre, quattro, cinque, sei.
    E ancora; riempi i polmoni, rilascia, riempi, rilascia – «incinta?»
    Non cercò lo sguardo di Arci. Non provò neanche a mascherare lo stupore. Una paura, viscosa e massiccia, che si depositava nel suo stomaco e anneriva i suoi polmoni.
    Alzò il palmo in aria per segnalare all’altro di non dire nulla e, gentilmente, mantenere le distanze, grazie. Non c’era davvero bisogno che scandisse a voce la domanda che continuava a girare e rigirare nella sua testa; implicita, volteggiava statica tra di loro.
    Eppure. «tuo.»
    Battè le palpebre, spingendo via le lacrime che si erano depositate sulle ciglia. Incredibilmente non ci era rimasto secco, ma forse era più un male che un bene, perché da morto non avrebbero dovuto affrontare quella cazzo di conversazione, quantomeno.
    «è tuo?»
    Era evidentemente troppo presto per sentire il dolore lancinante che, ne era certo, lo avrebbe avvolto a scoppio ritardato. Non sarebbe stata la prima volta; o l’ultima, se per questo. Aveva perso il conto di quante volte, in quegli anni, si fosse accartocciato a terra con un po’ troppo alcol nel sistema, singhiozzi orribili a scuotergli le spalle. Qualcuno avrebbe detto: catartico. La verità era che dopo stava peggio di prima, umiliato e imbarazzato e pateticamente solo. Fonte di molta ispirazione, però. Rideva, Aidan, quando gli sistemavano microfoni sulla camicia e lo definivano bello e tenebroso, ma trovava in quei momenti la sua musa migliore.
    No. I sentimenti erano per il dopo. In quel momento percepì solo puro, incontenibile shock.
    Archibald Leroy. Quello a cui correggeva la zuppa con pozioni azzardate a scuola solo per cogliere il suo sguardo, avvertire la scintilla; quello che invece di stare nel letto di Tiffany Reed era lì con lui a cercare di ravvivare qualcosa che era morto da dieci anni.
    Un figlio. Divertente! L’insormontabile commedia della sua vita di merda.
    «archibald–un figlio?»
    Arcuò le sopracciglia, gli occhi strabuzzati alla e-me-lo-dici-ora. Sbuffò una risata incredula, al limite dell’isteria; anche quello, un messaggio in codice. Ma-sei-deficiente.
    «cosa.»
    Cosa.
    «la stai lasciando con un feto in grembo?»
    Perché era una persona pessima, Aidan Gallagher, ma persino lui riusciva a vedere come quella fosse una scelta oltre il discutibile. E lui di scelte stupide ne aveva fatte, nella sua breve – a detta sua, non abbastanza – vita.
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    Si mosse prima di poterci pensare, una mano tesa ad aiutare mentre l'altro soffocava nel suo stesso respiro. Un gesto istintivo, nonostante quell'Arci non avesse mai salvato la vita del Gallagher, da cui si riscosse presto quando si trovò il palmo dell'altra a bloccarlo.
    Ovviamente non aveva bisogno del suo aiuto, e ovviamente il fu serperverde aveva esagerato a preoccuparsi per il tossicchiare del minore. Non erano lì per salvarsi l'un l'altro, non ne erano capaci; non quanto di farsi male.
    «Incinta?»
    Si rese conto solo dopo che la mano tesa di Aidan non era lì per tranquillizzarlo.
    Gli stava chiedendo di stare zitto.
    «tuo.» Arci distolse lo sguardo, sistemandosi fra le coperte. Avrebbe preferito smettere di guardarlo prima, non notare lo stupore - il terrore - di Aidan. Bello come non solo la Reed, ma neanche lui, nessuno, riuscisse a immaginare il Leroy padre. Grazie tante, eh, lo sapeva che sarebbe stato un genitore di merda, ma non serviva essere così sconvolti. Una possibilità avrebbero potuto anche dargliela.
    «è tuo?»
    Forse.
    Ce l'aveva lì, in gola, pungente. Forse era suo, e quindi? Gli avrebbe detto anche Aidan che non faceva per lui, che avrebbe solo rovinato la vita del piccolo? Forse sarebbe stato padre. Non era a conoscenza delle tempistiche esatte, ma era quasi certo di poterci rientrare.
    E lo stava anche per dire-... tuttavia, quel forse non lo sentiva vero. Non era più così arrabbiato, e dpo giorni dalla scoperta, quel feto non lo sentiva suo. Era conscio che il sangue non facesse una famiglia, e se la Reed voleva che il padre del bambino fosse l'Harris, lui sarebbe stato.
    Totalmente.
    «non ha molta importanza» confessò quindi. Ok, biologicamente parlando poteva essere padre, ma non lo sarebbe stato davvero. Mai.
    «archibald–un figlio?»
    Apprezzò che almeno l'altro lo trovasse divertente.
    Lui era ormai nella fase della negazione slash accettazione ma di certo non l'aveva presa così bene all'inizio.
    «cosa. la stai lasciando con un feto in grembo?»
    «dio» roteò gli occhi. «mi fai sembrare un mostro» fece un tiro, e sospirando posò la testa contro il muro dietro di sè, guardando il soffitto. «guarda che è sposata. Un padre ci sarà»
    Inclinò leggermente la testa, osservando di nuovo il Gallagher.
    Chiedendosi cosa pensasse.
    Attese qualche secondo, prima di chiedere: «Da quando ti interessa di lei?» non ricordava fossero mai stati grandi amiconi. Lo stava giudicando perchè lo riteneva in grado di abbandonarla da sola gravida? Lo riteneva una merda a tal punto?
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    Stese le labbra in un sorriso teso, acido ai lati.
    «e quel padre», perché Aidan era, se non altro, un ormai-uomo pertinace. «sei tu?»
    Non gli piaceva come Arci stesse ignorando la domanda, conscio o meno. C’erano segreti che potevano tenersi stretti al petto gelosamente, ma quello lasciava un sapore acre nella sua bocca. Ci avrebbe pensato fino alla fine – l’inevitabile momento in cui Arci sarebbe tornato da lei a testa bassa per far fronte a obblighi e doveri causati dalla sua stessa disattenzione. Forse quelli erano gli ultimi vestigi della sua educazione a parlare, e meno un’onesta riflessione sul carattere di Archibald. Forse era il pensiero delle mani rugose di sua nonna strette in grembo, le spalle e il mento alti e la rigidezza nella postura a riflettersi nelle iridi smeraldo. Impensabile sotto più punti di vista: la leggerezza con cui Arci stava affrontando il discorso, la facilità con cui stava permettendo che un altro uomo prendesse il suo posto. A volte gli piaceva immaginare di poter sentire ancora la sua voce, cristallina e severa, bacchettarlo per un motivo o per l’altro. Non riusciva più a manifestare il suo accento, le sfumature roche del suo tono. La persona che nella sua testa recitava il copione – è un bastardo, ma il sangue della tua famiglia gli scorre nelle sue vene e ti ho cresciuto meglio di così e è improprio non rimediare ai propri errori – era un’estranea, la vaga sagoma di ricordi passati incastrati tra loro in un patchwork imperfetto.
    E poi voleva sapere. Semplicemente. Una curiosità malsana, forse. Prese un lungo tiro dalla sigaretta, e spostò lo sguardo sulla montagnetta di cenere che, precaria, sostava sull’anello di fuoco che mangiava via la cartina. Il cuore non aveva smesso di battergli violentemente contro la cassa toracica, ma era divenuto meno insistente, meno assordante.
    «non m’interessa.»
    Perché avrebbe dovuto? Lui e Tiffany Reed, d’altronde, non avevano nulla in comune se non un problema – quello che Aidan si ritrovava accanto, per giunta. Un errore dalla quale lei stava man mano fuggendo. Aidan… beh. Non ci aveva davvero provato. Non aiutava a colmare quelle differenze così implacabili, sicuramente; persino le loro vite sentimentali dubbie non s’incrociavano più. Aveva provato ad odiarla ma non ci era riuscito, nonostante tutto. A scuola si erano a malapena scambiati uno sguardo fra i corridoi; con il passare degli anni il suo nome era persistito nella memoria di Aidan, ma era rimasta un fantasma alla coda dei suoi occhi. Sempre lì, a deriderlo, eppure non sostava mai nei suoi incubi come il resto dei suoi spettri. Non era il suo pentimento, Tiffany; era quello di Arci. Si chiese brevemente se in contesti diversi avrebbero trovato un common ground, in quella loro realtà strana, ma il pensiero morì prima ancora che potesse veramente fermarsi nella sua coscienza.
    Scrollò le spalle, e picchiettò la Marlboro contro il posacenere.
    «tiri fuori una bomba simile senza aspettarti domande?»
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    chiedo scusa @ altre role a cui devo rispondere da vent'anni the brainworms be brainworming
     
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    Si pentiva su così tanti livelli di averglielo detto. Che lui e Aidan non fosse un match made in Heaven era ormai ovvio a entrambi da anni (semmai, Dio e tutti i santi si strappavano i capelli quando li vedevano insieme), ma iniziare a litigare per quella puttana di Tiffany? Davvero? Ci aveva messo anni a liberarsi di lei, della presa che aveva sulla propria vita, sul proprio cuore, e ora era costretto a parlarne con Aidan - con tutte le cose che avrebbe preferito dirgli?
    Il Gallagher poteva mettersi a leggere poesie noiose, poteva spiegargli come funzionava passo a passo l'incisione di un disco o la storia del ministero della magia e Arci sarebbe stato ad ascoltarlo affascinato - annoiato, ma affascinato dall'emozione che l'altro metteva nelle cose che gli piacevano - ma parlare di Tiffany non rientrava nella categoria.
    E poi che cazzo si sorrideva.
    «e quel padre sei tu?»
    Non voleva leggercisi un "saresti un padre di merda", "spero tu non lo sia per il bambino" ma era lì. L'accusa. Riusciva a sentirla.
    «biologicamente parlando? Potrei» agitò la mano libera in aria mentre prendeva un'altra boccata. «ma non preoccuparti, lei non mi farà fare il test per scoprirlo.» gli era uscito acidamente, ma dopotutto era Archibald Leroy: quando mai non suonava cattivo al primo stuzzicare?
    Si spostò per far cadere la cenere nel piattino di Aidan, e lì rimase mentre gli rispondeva: «tiri fuori una bomba simile senza aspettarti domande?»
    Un'idea divertente gli passò in testa: Aidan era così interessato non tanto per il bambino in sè, ma perchè si chiedeva se sarebbe stato il suo patrigno. Se avrebbe dovuto sorbirsi un marmocchio a cui fare regali di natale, se avrebbe dovuto essere cogenitore dell'errore di arci. Per qualche istante si permise di fantasticare sulla cosa - di non vedere quello che Aidan avrebbero fatto davvero se Arci fosse diventato padre (sparire), o di non pensare che quei giorni passati fra bar e hotel erano solo una parentesi di breve durata.
    Prese un respiro profondo. Finchè erano a Berlino, nella loro bolla, poteva permettersi di sognare, anche se solo per poco.
    «puoi chiedere» circa. Sentiva la pelle scaldarsi, il cuore farsi più pesante contro il petto; presto quel discorso l'avrebbe fatto sbottare cattiverie che non pensava. «ma non so se ho le risposte che cerchi» o se voleva dargliele.
    Mosse la gamba, per toccare la coscia dell'altro. Un piccolo supporto morale per sè - per calmarsi, per far defluire il sangue dalla testa e tornare più lucido. «...non ho chiuso con lei perchè è incinta. Puoi credermi su questo?» sorrise leggermente. «so che non hai un'alta considerazione di me, ma provaci» era cresciuto senza genitori. Abbandonato dalla prima persona che l'avesse mai chiamato famiglia - che fra l'altro si era anche portata via il bambino per il quale aveva creduto di poter esser migliore. Suo fratello non l'aveva mai filato di pezza.
    Aidan poteva dargli una possibilità? Credere che, avendone l'occasione, Arci avrebbe provato a spezzare quel ciclo di dolore evitando ad un bambino senza nome lo stesso destino, piuttosto che affogare nei propri traumi?
    Non sapeva se l'avrebbe fatto (Tiffany non gli aveva dato il tempo di pensarci) ma gli piaceva crederlo.
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    «puoi chiedere ma non so se ho le risposte che cerchi»
    Alzò un lato della bocca nell’imitazione di un sorriso – affilato, come d’altronde era il suo sguardo.
    «non ce le hai mai.»
    Si scostò, a quel punto, dall’ennesimo tentativo di contatto dell’altro; lui non lo voleva, quell’attimo di calma placida che Arci tanto bramava. A essere sinceri più passavano i secondi e più sentiva il risentimento riempirgli il petto – una rabbia rivolta a tutto e niente. Aveva da tempo rinunciato a razionalizzare la tempesta che erano i suoi stati umorali: a volte qualcosa tornava a galla, altro si quietava. Qualcosa su anni e anni di sentimenti repressi che poi lo prendevano in un unico colpo d’assestamento nei momenti più inaspettati, e a quel punto scoppiava. Forse.
    O forse si era semplicemente rotto il cazzo, Aidan. Non erano, e non sarebbero mai stati se lui ne avesse avuto voce in capitolo, la coppia felice che Arci fingeva che fossero. Dopo tutti quegli anni ancora non aveva imparato nulla.
    Schiacciò il resto della sigaretta nel posacenere, passando la lingua sui denti; quindi strinse le braccia attorno alle ginocchia, ritirandosi in sé. Un chiaro segnale: mantieniti alla larga (che mordo).
    «non giocare alla vittima.»
    Inclinò lateralmente la testa, uno sbuffo ad accompagnare il gesto. Prese a studiarsi le mani, il quadro della disinvoltura.
    «andiamo, Arci – ti conosco da quando eri un coglioncello di un metro e sessanta col pugno facile. Non puoi di certo credere di avermi dato troppi motivi per avere un’alta considerazione
    Lo disse con tono leggero; nonostante tutto, non era di certo lì per fargli una ramanzina. Da che pulpito.
    Masticò l’aria per qualche secondo; inspirò e aspirò dalle narici. Un po’ meno una merda poteva esserlo, se ci si impegnava.
    Tipo: «significa anche che ti conosco troppo bene per pensare che tu possa considerare una cosa simile.»
    Che era vero. Archibald aveva sempre avuto troppo cuore per entrambi. Emotivo fino all’osso – un fardello che lo aveva seguito dall’infanzia e che era stata, inevitabilmente, la sua rovina. Per quanto ci provasse a fare il muso duro rimaneva, al suo nucleo, un eterno people pleaser. Non faceva di lui una persona buona. Dio, no: non erano brave persone, Arci e Aidan. Tra i due, Aidan era solo quello che lo mostrava più sfrontatamente. Non gli interessava cambiare, migliorarsi. Sarebbe rimasto marcio fino al midollo. Era troppo tardi per qualunque cosa, in ogni caso. Non c’era redenzione che potesse salvarlo da decenni di antagonismo; era nel suo codice genetico, ormai.
    «…e ti conosco abbastanza al punto da credere che tu sia totalmente in grado di cercare una via di fuga dai tuoi errori. Lo fai, non sarebbe un concetto così nuovo.» chissà se era di cattivo gusto definire un feto ancora in grembo un errore in faccia al suo probabile-padre.
    Boh, chissà: lo aveva detto, quindi non era più un suo problema.
    «è per questo che sei venuto qui? Non volevi affrontare la realtà? Preferisci nasconderti qui e fingere di avere dieci anni in meno per dimenticare che non ti è rimasto nulla? Neanche – tuo figlio, che crescerà con un padre diverso, lontano da te, indipendentemente da quale sia il risultato del test di paternità? Che non vuoi fare in ogni caso, perché se poi non c’è il tuo nome là sopra non sai manco come potresti reagire.» Non una domanda, l’ultima: posta come dato di fatto, perché non credeva nel contrario.
    “puoi chiedere” chiese.
    «osservazioni in amicizia, ovvio.»
    E gli rivolse un altro sorriso; mieloso, stavolta.
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    «non so se ho le risposte che cerchi»
    «non ce le hai mai.»
    «e questo che cazzo significa?» rise, non propriamente divertito ma neanche arrabbiato; c'era giusto giusto un cucchiaino di scazzo perchè, sul serio, cosa intendeva? Quando mai Aidan aveva avuto domande per lui? Se ne aveva poste, erano sempre state così nascoste dietro spine appuntite e insulti ricercati che non le aveva colte. Sempre che non intendesse che avrebbe voluto Arci fosse la sua risposta a una domanda non detta... sicuramente no. Aidan sapeva che il Leroy non poteva essere la soluzione ad alcun problema, al massimo un effetto collaterale.
    Non si mostrò ferito quando l'altro si spostò, ma lo era, ovviamente (e i suoi occhi scuri, sempre troppo grandi, troppo espressivi, avrebbero svelato il mistero se Gallagher avesse voluto vederlo).
    Porca puttana: erano a Berlino, erano nella bolla. Non avrebbero dovuto scoppiarla. Dovevano salvaguardarla farla durare il più a lungo possibile-
    «forse fai le domande sbagliate»
    Ritirò la mano, mordendosi l'interno della guancia prima di tornare appoggiato al muro, tornare a fumare. Lui si allargava, occupando quanto più spazio poteva, Aidan si rimpiccioliva, le braccia a stringersi le ginocchia come un bambino. Di nuovo, una fitta di dolore alla realizzazione che non lo volesse essere toccato, che non volesse lui.
    E Arci non era mai stato bravo a capire come reagire al dolore emotivo.
    «non giocare alla vittima. andiamo, Arci – ti conosco da quando eri un coglioncello di un metro e sessanta col pugno facile. Non puoi di certo credere di avermi dato troppi motivi per avere un’alta considerazione
    «ma vaffanculo» scosse la testa, sbuffando un'altra risata, scrollando di nuovo le spalle - il tutto in maniera sempre più secca man mano che la discussione proseguiva, e il buco nel petto si allargava.
    «significa anche che ti conosco troppo bene per pensare che tu possa considerare una cosa simile.»
    Ecco.
    Si ammorbidì di nuovo, immediatamente calmato dalla fiducia del fu grifo come un cane picchiato per mesi a cui offri un biscotto e che lo accetta senza farsi domande. Tutto perdonato.
    Era sempre stato un po' lunatico quando si parlava di Aidan Gallagher. Poteva arrabbiarsi, odiarlo, giurare di non avere bisogno di lui o volerlo, dirgli che gli piaceva fotterlo sotto per il gusto di sentirlo creta sotto le sue dita - ma nel momento in cui l'altro gli mostrava un sorriso sincero, gli chiedeva di vedersi, dimostrava un qualsiasi segno di affetto, era lui a sciogliersi, cadendo di nuovo nella trappola. Aidan sapeva essere uno stronzo colossale, in grado di lanciare sale su ferite aperte come nessun'altro, capace di aprirne di nuove in luoghi inaspettati, ma la giusta parola, un sorriso carino, e Arci tornava ai suoi piedi pronto a idolatrarlo, a scusargli tutto.
    Non ne andava particolarmente fiero.
    «…e ti conosco abbastanza al punto da credere che tu sia totalmente in grado di cercare una via di fuga dai tuoi errori. Lo fai, non sarebbe un concetto così nuovo.»
    Non andava neanche particolarmente fiero del brivido di piacere all'idea che Aidan lo conoscesse.
    «è per questo che sei venuto qui? Non volevi affrontare la realtà?» A questo la testa di Arci scattò verso di lui per guardarlo.
    «eh?»
    «Preferisci nasconderti qui e fingere di avere dieci anni in meno per dimenticare che non ti è rimasto nulla? Neanche – tuo figlio,» per poco non si strozzò col fumo «che crescerà con un padre diverso, lontano da te, indipendentemente da quale sia il risultato del test di paternità? Che non vuoi fare in ogni caso, perché se poi non c’è il tuo nome là sopra non sai manco come potresti reagire.»
    Non rispose immediatamente, ancora troppo stupito dal veleno appena ricevuto. E in fondo, cosa vuoi rispondere a valanghe di merda? Cosa vuoi rispondere, quando sei quasi certo ti stiano dicendo cazzate, ma non totalmente. E se aveva ragione? Se era lì non per egoismo di voler essere felice, di sognare come sarebbe potuto andare se lui e Aidan non avessero reso arido il terreno della loro relazione, ma solo per non pensare ad un bambino che non avrebbe mai avuto? Era lì per-... Tiffany?
    ...No.
    No, era lì per Gallagher. Lo sapeva essere quello il motivo - lo sapeva di essersi liberato del peso di Tiff. Lo sapeva di non saper dire di no ad Aidan, di provare per lui più di quanto potesse, volesse. E lo faceva ancora più arrabbiare che non fosse ovvio.
    «osservazioni in amicizia, ovvio.»
    «fottiti»
    Non era bravo con le parole.
    Non era bravo in niente, probabilmente, ma con le parole ancora meno. E i sentimenti. E le scuse. E l'autoconservazione. E-
    Si spostò, piazzandosi di fronte ad aidan in ginocchio, invadendo i suoi spazi. Il gallagher mordeva, ma ad Arci era sempre piaciuto farsi male pur di non pensare, o non sarebbe stato lì.
    «noi non siamo amici» gli ricordò. Amanti? Da dieci anni. Confidenti? A giorni alterni. Amici? Non lo erano mai stati, troppo falsi e alla ricerca di tornaconti personali, per considerarsi tali.
    C'erano momenti in cui avrebbe voluto esserlo, in cui si sarebbe accontentato pur di averlo più a lungo, ma si era reso conto da tempo non fosse la loro strada. Ci avevano provato, avevano fallito, bocche affamate a reclamarsi al primo shottino e parole acide all'ennesima constatazione che non volevano le stesse cose.
    «quindi non sono cazzi tuoi. psicanalizza quanto ti pare, se ti fa felice - ma tieni le stronzate per te»
    Posò entrambe le mani sulle sue cosce. «sono qui perchè voglio. perchè posso.» perchè se lo meritava - essere felice, essere ferito da aidan per la millesima volta «perchè tu me l'hai chiesto
    Strinse la presa, avvicinandosi ancora. «Tu invece?» sbuffò una risata «che bisogno ha mr popolarità di essere qua con questo caso umano, se non per scappare dalla sua vita di merda?»
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    vorrei cambiare anche le gif dei code prima ma? boh. quasi quasi le lascio di ricordo
     
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    «fottiti»
    Roteò gli occhi al cielo, un sospiro stanco a svuotare i polmoni.
    «poeta.»
    Dopotutto era Aidan, il cantautore cliché con la risposta sempre pronta; Arci poteva benissimo permettersi di bilanciare con grugniti e insulti poco creativi. E poi lui ci aveva provato ad allargare i suoi orizzonti e tentare la fortuna con persone dell’industria – uomini intelligenti e introspettivi e tremendamente noiosi. Abbastanza chiaro, ormai, che il suo canone fosse un altro.
    E che canone. Il dolce suono di non siamo amici quindi non sono cazzi tuoi.
    Annuì, e allargò il sorriso. «vero.»
    Che non erano amici, ma anche che non fossero cazzi suoi. Lo avrebbe fermato dall’infilarsi di cattiveria in tutti i suoi affari? Certo che no. Avere ragione, con Aidan, non era mai bastato: non abbassava la testa per nessuno.
    Afferrò le sue mani, a quel punto, e le guidò attorno alla sua vita; poi inclinò appena il mento, e incontrò il suo sguardo. C’era una scintilla, negli occhi di Aidan, che non prometteva nulla di buono; un cocktail di divertimento, sadismo e curiosità. Che modo interessante di cercare le sue attenzioni, quello. Invece che cancellare le loro differenze e portarli nuovamente a un equilibrio pericolante non aveva fatto altro che espandere il divario – accentuare gravemente i loro ruoli in quel gioco di potere. Rizzò la schiena, obbligandolo ulteriormente a farsi schiacciare dal suo giudizio in un modo che raramente gli era concesso. Perché mentre a parole Aidan era tagliente come lui non era mai stato, fisicamente non aveva nulla che tenesse testa ad Arci: anche in età adulta le sue spalle erano più larghe, la presa delle mani più ferrea, e gli svariati centimetri d’altezza che si passavano erano stati in grado innumerevoli volte di fargli stringere la lingua fra i denti e ammettere sconfitta. Così – in ginocchio e vulnerabile… beh. Era alla completa mercé di Aidan. L’equivalente di scoprire lo stomaco a un predatore affamato.
    Passò un indice sotto la mandibola di Arci, trascinandolo con deliberata lentezza fino al mento; lì lo fermò, le iridi smeraldo a perlustrare ogni centimetro del suo volto.
    «è forse importante, il motivo per cui sono qui?»
    Eliminò la distanza fra di loro con un movimento fluido; abbastanza vicino da poter unire le loro labbra, ma non era ancora momento di dargli quella piccola soddisfazione. Voleva che sentisse il respiro caldo contro la sua pelle – fargli bramare qualcosa di così insignificante, nel grande schema delle cose.
    «tu mi hai seguito in ogni caso.»
    Era così facile ottenere cose da una persona che, pur riconoscendoti un ladro, tornava sempre a servirti quel che volevi su di un piatto d’argento. Come non si fosse ancora annoiato era un mistero per lui tanto quanto lo era, probabilmente, per Arci.
    «dimmi, non lo trovi ironico?»
    Solo allora si concesse di cedere alla debolezza e premere la fronte contro la sua; chiuse gli occhi, e raccolse la guancia di Arci nel palmo.
    «…non importa», sussurrò. Dolorosamente onesto di punto in bianco. Si fece cullare dai loro respiri congiunti per qualche secondo – il tempo necessario per lavare via l’atmosfera ostile che si era creata, e sostituirla con una più umida malinconia.
    «non importa più. Lasceremo questo posto, e torneremo alle nostre vite, e nulla avrà più senso. Quindi perché–» trascinare l’inevitabile. Perché farsi del male con delle verità che sarebbero rimaste sospese nel vuoto, in quella camera d’hotel, e mai più sfiorate. A cosa serviva sentirlo ammettere che se era lì era perché lo amava? Quello di Aidan era, in ogni caso, un affetto genuino ma soffocante. Non era tagliato per i sentimenti, si stavano solo ferendo a vicenda.
    Serrò la mascella. «non è una confessione di cui hai bisogno, arci; è tardi.»
    Per qualunque cosa. Non disse: mi dispiace, e vorrei poter ingoiare il mio stesso cuore così che tu non possa sentirlo più battere e pensare, erroneamente, che significhi che sono vivo. Perché non lo sono. Non lo sono.
    Imitò il gesto di poco prima, piuttosto; stavolta portando la mancina contro l’altra guancia. Carezzò uno zigomo con il pollice, e lasciò che le spalle scivolassero verso il basso.
    «sarai sempre il mio più grande rimorso.»
    Aprì di nuovo gli occhi, ora sinceri e velati di una tristezza ancestrale.
    «ti devo lasciare andare.»
    Perché quelli erano i patti. E non poteva fare altrimenti.
    Un addio prematuro, il suo, ma d’altronde si era imposto di chiudere quella vacanza idilliaca voltandogli le spalle in silenzio. Conscio del fatto che se avesse esitato – se gli avesse baciato la guancia, e recitato quelle stesse parole tra i corridoi dell’aeroporto – la risolutezza con cui aveva affrontato quella situazione sarebbe crollata. Inevitabilmente si sarebbe perso di nuovo in quel mezzo rapporto, senza mettere fine a un ciclo infinito che non li portava da nessuna parte.
    No, doveva cogliere il momento. Approfittare delle ultime ore a loro disposizione.
    In quello spazio, dove erano soli e tutto andava bene, potevano regalarsi un epilogo dolce.
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    Lasciò che le sue dita venissero guidate sulla pelle tiepida, distraendosi al tocco come se già non conoscesse a memoria i fianchi del ragazzo. C'era stato un tempo in cui si chiedeva quanto sarebbe durato il proprio interesse, quando avrebbe iniziato ad annoiarsi di quel corpo. Aveva avuto per un certo periodo quasi la certezza che a piacergli fosse il semplice fatto che non sapeva mai se quella sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe avuto fra le mani... ma si era reso conto, dopo anni, che l'abitudine non era diventata noia come faceva di solito, ma sollievo. Persino nei modi di fare aggressivi e meschini di Aidan c'era un qualcosa di confortante. Di casa. Questo poteva dirla lunga sulla sua storia familiare, ma preferiva pensare semplicemente che fosse più facile farsi insultare, bloccare al muro Aidan Gallagher, che fosse meglio pensarsi l'unico in grado di farlo stare zitto, che pensare a tutto il resto.
    Espirò piano quando il fu grifo mosse le mani su di lui, carezzandogli piano la mandibola. Strinse la presa sui fianchi stretti. Era tragicomico il modo in cui bastasse così poco per fargli desiderare di più, per farlo sentire pellegrino assetato - e disperato - nel deserto. Aidan era in grado a farlo passare da cane che abbaiava a gatto che faceva le fusa in tempo zero.
    «è forse importante, il motivo per cui sono qui?» sbuffò piano una risata, il respiro che sapeva di fumo soffiato sulla bocca di Aidan il quale, ostentatamente, non si allungò oltre per baciarlo. L'infame. Non sarebbe stato neanche Arci a cedere così veloce, non quando veniva sfidato così.
    «tu mi hai seguito in ogni caso.» E ne era felice. Aveva fatto un fottio di errori in vita sua, ma Berlino non l'avrebbe considerato fra quelli; non gli importava (ancora) della coltellata che avrebbe avuto una volta tornato alla realtà, e i conti che avrebbe dovuto fare con questa. Un giorno, magari, Aidan non sarebbe stato un tale punto debole, e Arci avrebbe smesso di seguirlo in ogni caso. Ma non ancora.
    «Sai essere molto persuasivo» scherzò. Non avrebbe ammesso ad alta voce che non era quello il motivo - tanto il fu grifo lo sapeva già che bastava un niente per convincerlo, no? altrimenti, perchè approfittarsi di lui?
    «dimmi, non lo trovi ironico?» Loro? Berlino? Che Arci non avesse mai voglia di fare niente, ma avesse sempre voglia di lui? Che non fosse in grado, o non volesse, dare un nome a quello che provava, ma che se fosse stato necessario uccidersi con un proiettile per salvarlo avrebbe chiesto "testa o cuore"? Un'altra cosa a cui non gli andava di pensare, e che preferiva ingoiare insieme all'alcol e alle parole gentili.
    «perchè me l'hai chiesto» la domanda uscì bassa e roca nel silenzio, affrettata, come se fosse sfuggita dalla sua bocca senza che Arci glielo avesse permesso - cosa che, a conti fatti, era successo.
    Lui non voleva davvero quella risposta, perchè anche se sapeva che non sarebbe stata quella che voleva, ci sperava.
    Disperatamente.
    Se c'era una cosa peggiore del non sentirsi mai abbastanza, era la speranza vana di poterlo essere per qualcuno. Voleva sentirsi dire che Aidan era lì per il suo stesso motivo. Voleva sentirsi dire che non sarebbe potuto esserci nessun altro se non lui.
    «…non importa»
    «Gallagher-...»
    «non importa più. Lasceremo questo posto, e torneremo alle nostre vite, e nulla avrà più senso. Quindi perché–» scosse la testa contro la sua
    «Non dobbiamo per forza-» chi l'aveva deciso che dovessero tornare? Che non potessero restare lì? Potevano andarsene. Riniziare. Scordare gli errori, nascondere con cerotti le ferite aperte. Il mondo era abbastanza grande per accogliere tutti i loro sbagli.
    «non è una confessione di cui hai bisogno, arci; è tardi.»
    «vero» sia che era tardi, ma soprattutto che non gli serviva una confessione. Si staccò leggermente, non abbastanza da far lasciare ad Aidan la presa sulle sue guance, ma a sufficienza per guardarlo negli occhi. Affondò di più le dita nella sua pelle per impedirgli di scappare. «Ma da quando mi dai di cosa ho bisogno "Dimmelo lo stesso", lo stava pregando con lo sguardo. "Dimmi che non sono stato così stupido da seguirti qui quando tu non avresti fatto lo stesso per me. Dimmi che abbiamo una possibilità. Dimmi che avevi bisogno di me quanto io ne ho di te. Che anche se non saprò ma renderti felice, ti faccio sentire vivo, ed è abbastanza".
    «sarai sempre il mio più grande rimorso.»
    Un groppo alla gola.
    Non era certo se perchè era, in qualche modo, la confessione che voleva, o perchè rimorso sapeva disperatamente di fine. "Non arrenderti con me. Non arrenderti con noi".
    «ti devo lasciare andare.»
    E lo sentiva nel tono di Aidan, che lui voleva restare civile.
    Che stava dando loro quell'ultimo momento, come aveva dato loro Berlino, per concedersi un ricordo che non sfrigolasse il cuore ogni volta che pensavano l'uno all'altro.
    Ma non era da loro chiudere le porte dolcemente: se le sbattevano in faccia, tanto forte che la maniglia non scattava bene lasciando l'uscio sempre socchiuso e pronto a venire riaperto.
    Non gli avrebbe permesso di chiuderlo definitivamente fuori. Non gli avrebbe concesso gentilezza, qualcosa così distante da quello che erano sempre stati.
    Non gli avrebbe concesso di saturare le ferite e dimenticarlo, lasciando che quegli anni insieme fossero solo un vago ricordo di giovinezza.
    «mi devi lasciare andare sbuffò una risata amara. Tolse finalmente la mano dal suo fianco (dove probabilmente ormai c'era un segno rosso), per posargliela al petto e spingerlo indietro sul letto, seguendolo nel movimento mentre si metteva a cavalcioni sopra di lui, torreggiandolo con le mani ai bordi del suo viso. C'era un che di minaccioso nel suo linguaggio del corpo, quello di un animale ferito messo alle strette e pronto a fare un ultimo disperato tentativo per salvarsi. Era una pistola a cui già era stata tolta la sicura e che, se non maneggiata con cura, avrebbe sparato.
    Ma non per forza ad Aidan.
    «non sono un cane» Anche se come un cane era sempre pronto a scattare quando Aidan muoveva la mano per lanciargli un bastoncino, dimenticandosi ogni volta della possibilità che la sua mano fosse vuota, non bastava togliergli il guinzaglio perché se ne andasse. rispondere a ogni chiamata di Aidan non significava non scegliesse di seguirlo ogni volta. «tu non mi lasci andare. Sei tu scacciarmi» Spostò una mano, tenendosi sollevato sopra Aidan solo con l'altra, per spostargli dei capelli dal viso.
    «Non giocare con le parole: dimmi che non mi-» ami? Aveva ancora un gusto amaro quella parola. «vuoi» si umettò le labbra abbassandosi di più su di lui, ma come prima aveva fatto Aidan, non abbastanza da annullare le distanze. Mosse il pollice ruvido sulla guancia, con dolcezza, fino a portarlo sulle labbra dell'altro e accarezzare queste. Ora il tono di voce era un sussurro, un segreto: «o puoi essere sincero, per una cazzo di volta, e puoi chiedermi di restare» "E fallo, per favore". Che era sempre stato bravo a impicciarsi e stare dove non era voluto, ma non quella volta.
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    Avrebbe dovuto aspettarselo.
    Le brutte abitudini che non ce la facevano proprio a morire; anche quando lui stesso – lui – aveva ormai scavato la fossa, e ancora reggeva la paletta in mano. Per un cadavere morto già da un pezzo, per giunta. Lasciò comunque che quel sospiro stanco si trasformasse in uno sbuffo, impattando contro le lenzuola e mantenendo lo sguardo fisso su Arci. Che davvero non ce la faceva a capire quand’era il momento giusto per spingere e quando, ormai, bisognava lasciare la presa.
    Non c’era più nulla per cui combattere. Lo sapeva lui, e doveva saperlo anche Arci; si era convinto, forse ingenuamente, di questo semplice dato di fatto. Un messaggio mal recepito.
    Avrebbe davvero voluto rimanere impassibile a quel monologo che aveva del tragicomico, appena protagonista di una serie adolescenziale. E per un po’ ci riuscì; stringendo la mandibola nel sentire tutti quei punti di contatto che non voleva, ma mantenendo comunque l’apparenza di calma placida sotto i nervi tesi.
    Finché.
    Eh, finché.
    «dio.» strinse il palmo della mancina attorno al suo polso, l’altro a spingere contro il petto di Arci per creare nuovamente distanza tra di loro. Spazio per respirare, per calmare i fulmini nel torace, per spingere la lingua contro i denti e ricordarsi che non fosse lì per litigare, ma per mettere un educato e definitivo punto a quella storia. La risata che gli smosse il petto, nonostante le migliori intenzioni, uscì comunque macchiata di un disprezzo difficile da celare.
    Per una volta. Per una cazzo di volta che si concedeva di essere aperto, invece che nascondersi dietro alla solita corazza di ghiaccio, veniva ripagato in quella maniera.
    Non giocare con le parole.
    «ma quanti anni hai.» facile, ricadere in quel ruolo. Una seconda pelle per lui; mai stato bravo con le parole, tranne quando dovevano affondare nella carne come lame. Lo scostò un po’ di più: una separazione fisica che voleva mettere un nuovo muro tra loro due. «hai bisogno che io ti rassicuri—» roteò gli occhi al soffitto. Ma davvero faceva. «di qualcosa che già sai, e per cosa? Una gratificazione temporanea?»
    Cristo santo, Arci. Non era manco passata un’ora dall’ultima che aveva avuto, ma l’impellente bisogno di sentire il calore della nicotina scivolargli in gola suggeriva il contrario. Per concentrare la mente altrove, forse; per occupare le mani, avere una scusa per sgusciare ancora più lontano da lui.
    «non ti chiederò assolutamente nulla. E se sei venuto qui pensando che qualcosa potesse cambiare, hai calcolato decisamente male.» alla fine le premette contro le palpebre, le dita; massaggiando le ciglia, e poi spingendo fino ad avere la vista ricoperta da puntini bianchi. Più difficile di quanto avesse immaginato. E dire che lo stava facendo per entrambi, quel teatrino: avesse voluto essere il solito egoista megalomane del cazzo dalle tendenze masochiste non ci avrebbe manco provato. Magari lasciando che le cose sfrigolassero nell’oblio come loro solito — qualche litigio di troppo, l’astio a rendere impossibili anche quei brevi momenti di ricongiungimento, e via. Ciascuno per la sua strada finché non tornava la necessità d’imprimere i polpastrelli contro la pelle dell’altro, marcare un territorio che non era mai veramente stato suo. Ricominciare il ciclo e guardarlo finire e riniziare in un loop eterno, ancora e ancora.
    «se sentirti dire che mi fai schifo renderà la cosa più semplice per te, va bene.» si strinse nelle spalle, il gesto limitato dalle coperte strette attorno alla sua figura. Che era a pochi secondi dallo scattare via e infilarsi in quel fottuto aeroporto prima del tempo stabilito, se quello era l’andazzo.
    «oppure potresti accettare la realtà, per una cazzo di volta, e mollare l’osso.»
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    Pensò di zittirlo baciandolo, perché non voleva ascoltare quello che aveva da dire. Perché non voleva sentire quella risata finta. Perchè ci voleva ancora sperare. Perchè avrebbe voluto Aidan combattesse per lui, piuttosto che scacciarlo via con tanta calma - dimostrando che non gli interessava abbastanza.
    Pensò di fare forza contro la mano sul proprio petto, rischiare di fare male al fu grifo col solo obiettivo di avvicinarsi ancora e fargli dimenticare che cosa gli stava dicendo spingendo col ginocchio fra le sue gambe.
    Avrebbe potuto farlo.
    Forse avrebbe funzionato.
    Non avrebbe risolto il problema sul lungo periodo, ma sarebbero tornati nella loro bolla, per un po'. Arci avrebbe rubato altro tempo insieme e se lo sarebbe fatto bastare, davvero, questa volta se lo sarebbe fatto bastare-...
    Non lo fece.
    Una parte di lui era ancora abbastanza razionale - o abbastanza disillusa da aver già accettato che quel momento sarebbe arrivato, sebbene il cuore non volesse accettarlo. Abbastanza da capire che non poteva fargli male. Abbastanza da capire che non sarebbe bastato scopare Aidan per farsi amare come voleva, come serviva. Per farsi amare e basta. Abbastanza razionale da riconoscere che Aidan lo avrebbe abbandonato lo stesso, che non avrebbe scelto lui, loro, perché preferiva essere felice che essere insieme. Abbastanza razionale per sapere che ci aveva provato - in tutti i modi sbagliati, ma l'aveva fatto - e non era stato sufficiente. Arci non era sufficiente.
    Il Gallagher aveva fatto la sua scelta, e non aveva scelto lui.
    «-se sei venuto qui pensando che qualcosa potesse cambiare, hai calcolato decisamente male.»
    Sbuffò una risata in risposta alla sua, ancora restio ad alzarsi. Ancora qualche secondo, solo- solo un attimo ancora- «Ho rovinato la scenetta che ti eri pensato?»
    Aidan sembrava così... stanco - e non come al solito per gli orari di merda che faceva, o perchè sceglieva di farsi sbattere e dimenticarsi il proprio nome piuttosto che dormire. Stanco della situazione. Di Arci.
    «...-oppure potresti accettare la realtà, per una cazzo di volta, e mollare l’osso.»
    Accettare la realtà.
    Certo.
    «Per? Farti sentire meglio? È per questo che mi hai chiesto di venire qui, darmi il contentino finale prima di chiedermi di levarmi dai coglioni?» sbuffò, e con non poco sforzò (mentale, più che fisico) si alzò, finalmente, smettendo di guardarlo nel cercare i propri vestiti per la stanza.
    Lo odiò. Odiò lui, odiò Tiffany che in qualche modo aveva peggiorato le cose, e odiò se stesso un po' più del solito.
    "non avresti dovuto chiedermi di seguirti", voleva dirgli. Non avresti dovuto farmi vedere quello che avremmo potuto avere se tu fossi stato diverso, se io fossi stato diverso. Non avresti dovuto farmi credere di meritarmi di meglio di quello che potevo avere. Non avresti dovuto farmi sentire come se non avessi perso tutto, ma ci fosse ancora qualcosa per cui fosse degno lottare, qualcuno per cui lottare, con tutti i tuoi cazzo di difetti e il tuo veleno perchè sei uno stronzo ma lo sono anche io-...
    Invece quello che uscì dalle labbra fu: «Vaffanculo, Gallagher» e ridacchiò, di nuovo, nel prendere le sigarette e l'accendino dal comodino, e ficcarsele in tasca. Non c'era davvero un cazzo da ridere, la testa gli stava fischiando, il peso sul petto diventava insopportabile. Se continuava a muoversi, era perchè temeva che fermandosi sarebbe esploso.
    «Non darai la colpa a me perchè non riesci ad essere felice» infilò la maglietta, scuotendo la testa fingendosi divertito. «Nessuno dei due si è mai meritato meglio di questo» Lo pensava, non lo pensava. Era certo che Aidan ne sarebbe uscito più forte, che in poche settimane si sarebbe scordato di lui, che sarebbe stato felice. Che sarebbe stato amato e avrebbe ricambiato.
    Ma non lo voleva. Era stupido, ed egoista, ma sperava il Gallagher stesse male, che si pentisse delle proprie scelte, che soffrisse tanto quanto - Arci immaginava - avrebbe sofferto lui.
    Afferrò lo zaino abbandonato per terra. «Ma che ne so, dopotutto. io scappo dagli errori» parafrasò quanto gli aveva detto prima, sorridendo «Mi pento solo di non essere scappato prima da te»
    Si diresse alla porta, ma non resistette alla tentazione di voltarsi ancora una volta.
    Di guardarlo.
    Non voleva davvero elaborare che potesse essere un addio a lungo preventivato. Non voleva pregare, chiedergli ancora di cambiare idea. Di amarlo Piuttosto, cercò di ricordare le cose negative, gli insulti, le notti insonni, la considerazione che aveva di lui.
    Gli aveva detto pochi minuti prima che non gli era rimasto niente - e aveva ragione.
    Ma forse niente era davvero meglio del male che si erano fatti per anni, anche se non era ancora pronto ad accettarlo.
    «Non mandare il tuo agente a farmi firmare cose o puttanate simili: non parlerò di te in giro» scrollò le spalle «non avrei comunque un cazzo da dire. Non sei così importante»
    Lasciò la stanza.
    L'hotel.
    Berlino.
    E più cuore di quanto avrebbe voluto o pensato.
    Reed aveva detto che solo un miracolo li avrebbe fatti funzionare. Forse avrebbe dovuto smettere di credere potessero capitare a lui.





























    (taylor swift: unless...?)
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