For one last time

ft. liz

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    Ezra Nott
    CIRUZZO
    Non aveva sentito il triplice fischio.
    In realtà non aveva più sentito nulla dopo l’esultanza al 75esimo.
    Era rimasto con la mente lì, cristallizzata in quel momento preciso in cui Vlahovic, si è girato apposta per abbracciare Paolo, il braccio teso nella sua direzione. E Paolo non se lo fa ripetere due volte: sfruttando ancora la velocità dell’azione, corre incontro a Dusan, rallentando appena verso la fine, ma solo per prendere meglio le misure e saltargli in braccio, le gambe strette attorno alla vita del serbo, come a non volersi staccare più. Tutto sotto gli occhi di un attonito Danilo, terzo incomodo di quello che era soltanto il preludio di quanto sarebbe accaduto qualche istante dopo. Perché i compagni accorrono, accorrono tutti attorno al piccolo gigante, con Dybala ancora aggrappato a lui. Dusan esulta con la mano, il volto ormai scomparso nell’incavo del collo dell’argentino. L’abbraccio continua, sembra che il loro momento sia passato e invece… invece Vlahovic si gira e cinge con le mani il volto del maggiore, fronte contro fronte e gli dice qualcosa, quel tanto che basta a rompere Paolino, a spingerlo a stringere le mani prima attorno al busto del suo baby e poi dietro al collo. Le dita di una mano stringono la maglia del più piccolo, che continua a sussurrargli cose, mentre l’altra gli sfiora leggermente il capo.
    Continuano ad abbracciarsi, gli occhi pieni di lacrime e dolore. Lo stesso che colpisce Dusan quando ormai ha capito che questi sono gli ultimi momenti insieme, gli ultimi passaggi, gli ultimi palloni giocati insieme. Lo si vede da come porta la mano sugli occhi, dalla disperazione di quel gesto, da come continua a stringere Paolo a sé.
    C’è chi in quell’abbraccio ha visto la fine di una storia d’amore e chi mente.
    Ciruzzo era lì, gli occhi umidi incollati allo schermo del bar dello sport, ancora in piedi per quell’esultanza che aveva avuto il più amaro dei retrogusti. Non avrebbe mai dimenticato il momento in cui sentì il suo cuore spezzarsi e andare inesorabilmente in frantumi.
    Non parlò, non finì la birra che aveva ordinato pochi minuti prima, non reagì a nessuna delle provocazioni. Percepì a stento la mano di Gigio sulla schiena, quell’unico stimolo esterno che gli fece capire che stavano rientrando al Castello.
    Doveva essere felice per quella vittoria, eppure non provava nulla. Nulla che non fosse un dolore sordo che dal petto si propagava in ogni cellula del suo corpo.
    Il Grifondoro non era mai stato uno di quei tifosi alla Lollo, non sarebbe mai morto per la sua squadra del cuore; era più un estimatore di quello sport, guardava tutte le partite in compagnia dei cugini e man mano allungava la lista dei suoi protetti. Tifava i calciatori e non tanto la loro maglia di appartenenza – tranne l’Inter, l’Inter si odiava e basta – e inutile dire chi aveva, negli ultimi sette anni, occupato il primo posto.
    Una volta tornato al Castello, non sapeva cosa fare: non se la sentiva di tornare in dormitorio con Romolo e Remo, c’era ancora così tanto da metabolizzare che non avrebbe chiuso occhio per tutta la notte, benché meno si sentiva dell’umore di condividere con i due la bottiglia di tequila inconsapevolmente gentilmente offerta da Gin.
    Ciruzzo era consapevole solo di due cose: voleva ubriacarsi e gli servivano sale e limone, un po’ l’evoluzione del latte e miele corretto di nonno quando la notte non riusciva a prendere sonno.
    Una volta aperto il passaggio segreto per le cucine – prima e probabilmente unica cosa che aveva imparato a Hogwarts – si fece luce con la bacchetta verso le credenze per prendere tutto quello che gli serviva per provare a dimenticare e, magari, riuscire ad andare avanti. Spoiler: non lo avrebbe mai fatto.
    Prese posto a un tavolo, uno qualsiasi e, dopo aver affettato il limone e riempito il bicchierino, alzò il braccio verso il cielo, immaginando fosse rivolto verso Torino.
    “A Paulo.”
    E ancora non era la sua ultima partita in bianconero.
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    Cosa succede se abbini il malumore ad una non sana dose di ecstasy?
    Lizzie era l’evidente esperimento di quell’accoppiata.
    Spesso, sempre, le persone guardandola pensavano che il suo ossigenarsi i capelli le avesse bruciato il cervello, insomma non era da tutti andarsene in giro con infinite bustine di essenza rosa d’Ibiza in borsa come se fosse zucchero da mettere nel tè (spoiler: lo usa davvero così), ma nonostante ciò Lizzie non era affatto stupida; piuttosto nel suo caso valeva la regola ”Altissima, Biondissima, Fattissima”, infatti non ricordava un momento nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, in cui fosse lucida, quando lo era, quelle brevissime volte, era perennemente depressa.
    Preferiva di gran lunga l’essere fatta alla depressione: vestirsi di lustrini rosa shocking non era lo stesso senza una buona dose di euforia; senza quella polverina magica che assumeva, inoltre, Lizzie diventava semplicemente… Lissette.
    Era una cosa brutta? Ovviamente si.
    Lissette non era divertente, sfrenata, colorata come Lizzie, era maledettamente normale, e non le piaceva per nulla.
    «Mierda» imprecazione sussurrata dopo aver sbattuto il fianco contro un qualcosa di non definito, la mano dalle unghie lunghe e fluorescenti andò a toccare il punto dolente, stava iniziando a girarle la testa e ciò voleva dire solo una cosa: doveva prenderne ancora.
    Si era recata in cucina perché le sue pillole non andavano mai prese da sobri (tipo le controindicazioni che dicono: non prendere a stomaco vuoto!, ecco queste non vanno prese da sobri), quindi le serviva almeno un po’ di tasso alcolemico nel sangue, si sarebbe accontentata anche del vino se proprio non avesse trovato lo champagne.
    «Senti tu…» rivolse uno sguardo ad uno degli elfi domestici che le dedicò la sua attenzione «Si, proprio tu, baby: potresti portarmi qualcosa con cui possa deglutire le mie medicine?» poggiò il sacchetto trasparente sul tavolo, all’interno tre pillole di un rosa sgargiante.
    «Qualcosa di alcolico preferibilmente, giuro che sono maggiorenne»
    Il concetto venne enfatizzato con un’espressione angelica e le mani alzate in segno di resa, ma quando l’elfo iniziò a sudare freddo e a blaterare qualcosa sul non poter dare sostanze alcoliche agli studenti, Lizzie sbuffò guardandosi finalmente intorno.
    E… Oh My God. Cosa vedevano i suoi fantastici occhi.
    «Ma guarda guarda, qualcuno fa festa senza Liz.»
    Se Maometto non va dalla montagna…
    «Che ne dici di condividere? si posizionò di fronte al grifondoro e poggiò le mani sul tavolo. «Magari ti si leva questo muso lungo che hai.»
    Cioè beveva tequila, era l’alcolico da festa per eccellenza!
    Ci voleva un po’ di allegria, Buon Dio, o quello sarebbe stato davvero tanto buon alcol sprecato per della stupida tristezza.


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    Edited by Empress. - 5/6/2022, 03:14
     
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    Ezra Nott
    CIRUZZO
    Se Ciruzzo avesse potuto vedere il futuro, probabilmente avrebbe sperato de morì prima.
    Anzi, sicuramente lo avrebbe fatto. Fortuna voleva che non gli funzionasse il terzo occhio, perché altrimenti quella serata lo avrebbero mandato dritto in terapia, con un biglietto di sola andata verso la valle di lacrime che avrebbe lui stesso generato.
    Non voleva pensare al futuro, a quella che sarebbe stata l’ultima partita di Paolino allo Stadium, a quello che sarebbe stato il non saluto della dirigenza, di quell’amico che Paolino cercava in tribuna al numero 10 della Juve, a quello che doveva essere – e che aveva sempre voluto essere – l’erede di Del Piero. Perché il 16 maggio quel sogno definitivamente infranto sarebbe stato chiaro agli occhi di tutti.
    L’argentino, anni prima, in una diretta del compagno di squadra Danilo, aveva detto col sorriso che lui era amato dai tifosi della Juve – e non -, le stesse parole che i cronisti sportivi avevano ripetuto mentre il volto distrutto del calciatore passava davanti allo schermo. Quel volto pulito, ancora da bambino, che non riusciva più a trattenere l’emozione per quegli anni trascorsi in bianconero e il dolore per non aver avuto la possibilità di continuare il suo percorso indossando quei colori, quella fascia di capitano che gli spettava di diritto.
    Ciruzzo era cresciuto con Dybala e non avrebbe retto il colpo di quelle immagini. Non lo avrebbe retto nessuno. Tifosi e non. Appassionati di calcio o meno.
    Si sarebbe detto che almeno Dusan e Alvaro erano con lui, che neanche loro volevano abbandonare il prato verde dello Stadium, restando lì da soli, nutrendosi dei ricordi di quello che era stato e delle fantasie di un futuro che non ci sarebbe stato più.
    Certo, Vlahovic si sarebbe buttato su Chicco e sul numero 9 con i cadaveri ancora caldi di Paolino e Alvaro, MA non era questo il punto. Era che Paolino voleva bene a tutti e quel bene prima o poi ritorna sempre.
    Il Nott non ci voleva pensare, non voleva neanche provare a immaginare una Juve senza il suo numero 10, ma quello shot non aveva fatto altro che solletico a quei pensieri che continuavano a vagare senza meta, rivivendo in loop solo alcune immagini di quella ship che avevano deciso di far affondare. Eppure… eppure lui nutriva ancora la speranza che il puledro sarebbe rimasto, perché solo uomini crudeli avrebbero potuto farlo continuare a soffrire così tanto. Perché se fosse tornato Pogba, e fosse rimasto anche Paolino, avrebbero potuto davvero provare a conquistare il mondo.
    Ezra sollevò lo sguardo sulla nuova arrivata solo quando sentì la voce provenire da un punto piuttosto vicino a lui, così fastidiosamente vicino da interrompere il flusso dei suoi pensieri, da far sfumare lungo i bordi quelle immagini che non riusciva a dimenticare.
    “Sei davvero maggiorenne?” Chiese riempiendo il bicchierino che aveva davanti – il suo, non era poi così generoso – e portando il vetro della bottiglia a sfiorargli la pelle del viso, stringendola quasi con fare protettivo – così come avrebbe fatto Dusan con Paolino o, meglio, come avrebbe dovuto fare la Juve per impedire che l’argentino finisse tra le merde infami – ormai conscio che, attirando l’attenzione della serpeverde su di sé, sicuramente questa avrebbe puntato al prezioso liquido che gli faceva compagnia.
    “Non è una festa, Liz Sicuro non l’avrebbe chiamata Imperatrice di sto cazzo per quanto gli riguardava, benché meno quando la ragazza usava il proprio nome “è il primo atto di un funerale.”
    Leccò la pelle prima di prendere del sale e lo posizionò sul dorso della mano, poi scelse accuratamente la fettina di limone da sacrificare sull’altare della tequila. Un sorriso spento si formò sulle labbra del ragazzo, prima di buttare giù il liquido ambrato e concludere l’opera con gli altri due ingredienti, fissando il volto della studentessa.
    “Preferiresti ci fosse altro di lungo?” L'avrebbe capita, eh, ma lo chiese comunque, consapevole di quanto potesse essere squallida quella battuta, ma la verità era che, in quel momento, la sua vita calcistica stava andando a rotoli e il suo ultimo pensiero era quello che avrebbe potuto pensare la sua interlocutrice di lui. Senza contare che era sempre fatta e che difficilmente avrebbe potuto ricordare quella conversazione.
    “Cosa proponi di fare?” Domandò poggiando il fondo del bicchierino sul tavolo, mentre andava indietro con la schiena, poggiandosi contro il muro dietro di lui, la bottiglia ancora al sicuro tra le sue mani, ancora troppo lucido per lasciarla davanti a quella che aveva tutta l’aria di essere una predatrice di alcolici. “E, soprattutto, cosa mi dai in cambio?”
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    Sul fatto che Liz fosse perennemente fatta, non c’era alcun dubbio.
    Era una lunga storia d’amore, quella tra lei e la 2C-B, e che non sarebbe finita facilmente, l’alcol la aiutava a incrementare l’effetto di quella polverina rosa che, col passare degli anni, aveva perso il suo effetto miracoloso. “Sei davvero maggiorenne?”
    Liz lo osservò con un sopracciglio alzato «Da un paio d’anni.» almeno nel mondo magico, s’intendeva, ma sembrava davvero minorenne? boh. non aveva problemi ad entrare nei locali fin dai suoi 13 anni quindi non ci aveva mai fatto caso “Non è una festa, Liz” ah no? e allora cosa ci faceva con una bottiglia di tequila se non festa “è il primo atto di un funerale.” un principio di risata fuoriuscì dalle labbra ancora truccate «Ti è morto il canarino?» circumnavigò il tavolo dove l’italiano si stava servendo, ignorandola del tutto, e con un balzo si sedette sullo spigolo più vicino al suo interlocutore, battè un paio di volte le mani sulla giacca alla ricerca di qualcosa, e quando infilò le mani in una delle tasche tirò fuori un pacchetto di sigarette che poggiò sul tavolo in segno di condivisione, ne portò una alle labbra pronta ad accenderla quando percepì lo sguardo preoccupato di un elfo domestico su di lei «Cristo, siamo maghi, cosa vuoi ci succeda, hai paura scatti l’allarme antincendio?» ignorò completamente quell’essere accendendosi la stecca di nicotina e prendendone il primo tiro “Preferiresti ci fosse altro di lungo?” sbuffò via il fumo insieme ad una risatina «Non si disdegna mai.» gli disse cob un toni di voce divertito «Certo che per essere un grifondoro sei proprio esilarante » perché di solito erano un ammasso di muscoli senza senso dell’umorismo, quindi eccome se si sarebbe ricordata di quella conversazione mistica che stavano facendo nelle cucine fuori dall’orario consentito, se li avessero beccati probabilmente sarebbero andati direttamente entrambi in sala torture senza battere ciglio.
    “Cosa proponi di fare?” pensandoci bene, il Nott non pareva molto propenso a cederle l’alcol, ora lei avrebbe potuto semplicemente andare in camera e recuperare una delle tante bottiglie di riserva che teneva nel baule, trasfigurate in boccette d’inchiostro, ma così si sarebbe persa tutto il divertimento «Divertiamoci, no, bebé l’ultima parola pronunciata in spagnolo mentre lo osservava divertita “E, soprattutto, cosa mi dai in cambio?” accavallò le gambe nude, poi spense la sigaretta ancora a metà sul legno del tavolo infischiandosene del segno che sarebbe rimasto; prese quindi dalla tasca della giacca altre due bustine, una con delle pillole, l’altra con una polverina, entrambe le cose estremamente rosa., ed un lecca lecca a forma di cuore.
    «In cambio posso darti questa.» sorrise, poi scartò il dolciume che aveva recuperato poco prima «ma ad una condizione» portò la caramella fra le labbra, poi nella bustina, in modo da farci attaccare la polverina, poi porse il dolce al ragazzo «oppure così.» con la mano libera prese una pillola fra l’indice e il pollice, per poi poggiarsela sulla punta della lingua, la scintilla divertita nello sguardo ceruleo dimostrava solo una cosa: Liz lo stava provocando; si aspettava che la baciasse? assolutamente no, ma la Monrique poteva perdere occasione di divertirsi? chissà, magari avrebbe ottenuto una qualche reazione interessante,
    era quello il suo strambo modo di divertirsi quando non si imbottiva di sostanze chimiche, e poi dopotutto non stava parlando con un grifondoro? voleva testare il coraggio, aspetto fondamentale di chi faceva parte di quella casata: cosa avrebbe scelto, se avesse scelto, tra le due alternative? Si chiese quindi se Ciruzzo Linguini avrebbe continuato a fare lo spaccone o si sarebbe tirato indietro, al momento non aveva ancora una risposta, ma le sue aspettative erano basse: chissà se l’italiano le avrebbe superate.

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    Ezra Nott
    CIRUZZO
    La cosa peggiore di tutta quella situazione è che Ciruzzo stava davvero soffrendo per uno che si era affidato al peggiore degli incompetenti e che gli stava per rovinare la carriera. Roba che, senza troppi giri di parole, lui e Gigio avrebbero decisamente saputo gestire meglio la situazione. Sempre se avesse avuto la Vista, che ringraziando la Madonna dell’Incoronata non aveva – sai che strazio passare la vita sapendo esattamente quello che sta succedendo??? Uno spoiler continuo -, avrebbe scorto che nell’immediato futuro sarebbero uscite altre news su Paolino e che queste non erano proprio delle migliori. Avete presente quando nel febbraio 2022 Arrivabene aveva detto che ci sono calciatori più attaccati ai procuratori che alla maglia? ECCO, SI RIFERIVA PROPRIO A LUI. Strano non abbia chiamato i morti del procuratore in questione, soprattutto se dovesse poi venir davvero fuori che in fase di trattative, anzi ancor prima di sedersi al tavolo delle trattative, Antun ha alzato la cornetta per prendere contatti con Marotta, sputando non solo su tutta la Juventus, ma anche sui tifosi e su quei 7/8 milioni che la società era disposta a offrire per tenersi stretta la Joya. Poi, sarebbe anche girata voce che Arrivabene, saputo dell’infamata di quella merda di Antun, avrebbe strappato in mille pezzi il contratto di Dybala davanti allo stesso calciatore.
    Ora, vorrei avere più dettagli a riguardo, ma ciò che conta è che tutto il dolore che l’italiano provava in quel momento si sarebbe presto trasformato in rabbia e poi in odio, in rancore e disprezzo, tali da arrivare ad augurare all’Argentino di restare disoccupato. No, non di finire la carriera al Monza da Berlusca, ma proprio di non toccare più un pallone a livello agonistico, arrivando così a fargli pure saltare il mondiale, perché sì. Perché il suo nome non sarebbe mai dovuto essere accostato ai colori della feccia di Milano.
    Ma, a quanto pare, per maggiori dettagli su questa telenovela dobbiamo aspettare il prossimo post. E non stiamo ancora toccando l’argomento del Fideo. Perdonaci Liz, ma Ciruzzo è italiano vero e il rispetto viene prima di tutto, soprattutto quando si tratta della vera e unica fede, quella calcistica. Oh, può anche non tifare nessuna squadra, ma il Linguini è pur sempre un appassionato, un estimatore, un esperto di questo sport. Troppo libero per poter scegliere dei colori, troppo infoiato con i cugini per non essere sempre aggiornato su tutti gli spostamenti di mercato.
    E lui quella sera era lì, a versare internamente fiumi di lacrime per… per… PER UNO SCOSTUMATO! E ci fermiamo qui perché la situazione potrebbe letteralmente sfuggire di mano, costringendolo a 40 minuti di monologo in cui viene insultata, per la maggior parte del tempo, tutta la razza degli interisti.
    Liz aveva una lunga storia d’amore con la 2C-B? Non aveva idea di quello che era il calcio con gli italiani, quello sport che, a dirla tutta, era meglio della droga. Ugualmente devastante. Poteva portarti su vette altissime e poi distruggerti e abbatterti come la mancata qualificazione per il mondiale.
    Il calcio creava dipendenza e nessun Linguini era ancora pronto ad affrontare un’estate senza maxi schermi e sedie di plastica da sistemare nella piazza di Canosa, senza Dreher ghiacciata da sorseggiare sfoggiando con orgoglio la propria abbronzatura (da muratore per Giacomino che si dilettava a zappare la terra quando gli altri erano collassati a mare), senza quel clima di festa e attesa e gioia che si respirava ogni qualvolta gli azzurri dovevano scendere in campo. Erano emozioni che non avrebbero provato per altri quattro lunghi anni, emozioni di cui erano stati spogliati, il tutto senza il loro consenso. La Uefa Nations League? Mio dio, sarebbe stata un’altra delusione difficile da spiegare. Almeno a parole. Per i fatti sarebbe bastato guardare le loro facce, più o meno la stessa espressione che si sarebbe ripetuta per ogni Gran Premio di F1, sui loro volti e su quello di Leclerc. Avrebbero potuto organizzare un viaggio a Lourdes? Certo, se solo non fosse stato in Francia. Disperati sì, ma fino a un certo punto. Non si scherza su certe cose!
    “Ma pensa… anche tu inguaribile romantica come Lollo, che non riesce a diplomarsi perché la scuola gli mancherebbe troppo?” Fece roteare piano il bicchiere tra le mani, prima di poggiarlo con un piccolo tonfo sul tavolo di legno. "Oppure è la tua fedina penale il problema?” Le labbra gli si incurvarono appena in una smorfia vagamente simile a un sorriso, da cui traspariva che quello fosse il motivo per cui lui era lì in quel momento e non altrove a gestire e sperimentare il suo sexy shop. Era genuinamente curioso di sapere perché la sedicente imperatrice non avesse pagato qualcuno per spianarle la strada ed avere già il MAGO in tasca. “O il papi non sborsa abbastanza galeoni per il via libera di prigione?” Per molti la scuola era al pari di un istituto penitenziario, per lui era semplicemente un modo come un altro per continuare a far casino con i suoi cugini e tenere sempre la famiglia a portata di sguardo. Saperli e non altrove era quasi… confortante. Come sapere che casa era Canosa e che Nonno Lino e Nonna Rosetta lo avrebbero sempre accolto a braccia aperte e non perché fosse un peso, un impiccio non programmato da dover gestire.
    Scacciò via quei pensieri calandosi un altro shot di tequila, questa volta più abbondante, direttamente dalla bottiglia. Wow, era davvero facile quando era in quel mood far deragliare i suoi pensieri, tornare in posti dove aveva giurato se a se stesso che non ci sarebbe più stato.
    Ciruzzo era in quelle cucine lì ed ora, e avrebbe dovuto restarci ancorato ancora per un po’, almeno fino alla prossima delusione, che sperava non arrivasse così presto. Anzi, sperava non arrivasse affatto.
    “Peggio: è morta la mia fiducia per il calcio.”
    Drammatico come solo lui sapeva essere, portò la bottiglia al cuore e voltò la testa di lato, prima di volgere nuovamente lo sguardo sulla ragazza, che si stava avvicinando sempre di più. Aveva chiaramente puntato la sua bottiglia e questo non gli faceva molto piacere in quel momento, non aveva visto che ne aveva dannatamente bisogno???. Anzi, no, forse, forse aveva anche bisogno di una sigaretta.
    Riempì il bicchierino di tequila e lo poggiò accanto al pacchetto di sigarette, prima di prenderne una e portarsela alle labbra. Guardò dal basso la Serpeverde, studiandola di sottecchi mentre sbottava contro l’elfo in fibrillazione. “Compa’, se avessi voluto brucia’ sto posto mi sarei chiamato Nerone.”
    Alzò i palmi delle mani come a voler dire: invece so’ Ciruzzo e non vengo neanche da Roma.
    “Però, abbiamo un’intenditrice.” Commentò accendendo la sigaretta e aspirando piano, soffiando il fumo verso la ragazza. “E, sentiamo, cos’altro non disdegneresti?” Domandò con finta innocenza, poggiando un gomito sul tavolo e la testa sulla mano libera, continuando a osservarla con una punta di malizia. “Sai, per essere nella stessa Casata di Lapo e Gigio, non sei un palo in culo.” Per non parlare degli altri membri – letteralmente – Serpeverde. “È vero quello che si sente in giro sul vostro dormitorio? Tutti tristi e solitari?” O, meglio, tristemente solitari (eh, Costas?). JJ gli aveva raccontato delle storie agghiaccianti sulla sua permanenza nei sotterranei, shockanti al punto da farlo quasi intenerire e fornirgli asilo nei dormitori rosso-oro. Tuttavia, era pur sempre un Ciruzzo e questo comportava anche fosse uno stronzo: pacchetta sulla spalla di incoraggiamento, raccomandazioni sul tunnel carpale del cugino, visita oculistica di controllo appena tornati a Canosa già prenotata e via, verso nuove avventure.
    Finalmente Gigio aveva trovato qualcuno in grado di fargli quasi rimpiangere i cugini e questo non poteva che essere un bene. Solo così si sarebbe fatto le ossa!
    Ma, a distrarlo dalle disavventure dell’altro Linguini, fu un movimento della Serpeverde. Seguì le gambe di lei accavallarsi con la coda dell’occhio, portando prima lo sguardo sulla pelle nuda e poi sulle dita che trafficavano nelle tasche della giacca.
    “Hai la mia attenzione, guapa.” Aspirò ancora una volta dalla sigaretta che aveva acceso in precedenza, solo che, a differenza della ragazza, non la spense. “Non amo molto il rosa, ma questa sera potrei fare un’eccezione.” Piegò la testa di lato, incurvando le labbra, negli occhi la stessa scintilla che illuminava quelli dell’imperatrice.
    Continuò a seguire ogni movimento di Liz, mentre un’idea si faceva spazio nella sua mente. Era indubbiamente carina, pericolosamente sexy in quel momento, ma non era la sola a conoscenza delle regole di quel gioco. Ezra viveva di provocazioni e più una cosa era proibita, più ne veniva irrimediabilmente attratto. Più qualcosa era vietato o immorale, più sentiva di doverlo fare, anche solo per esperienza personale.
    Prese il lecca lecca dalle mani della ragazza, nonostante quella non fosse la sua scelta finale. Aveva un piano il Nott ed era intenzionato a non fermarsi, non se la Monrique gli offriva della sana trasgressione su un piatto d’argento. Passò la lingua sul dolce, ben attento che la ragazza seguisse ogni suo movimento. Se avesse letto nei suoi occhi iniziale delusione l’avrebbe decisamente presa come vittoria. Giocò con la caramella fino a quando non fu abbastanza sicuro di averla <i>ripulita<i>, per poi puntare al bicchiere di rum ancora intonso che aveva servito prima alla ragazza. Si alzò in piedi e lo prese in mano, avvicinandolo alle labbra della ragazza. Sfiorò la pelle nuda delle gambe della Serpeverde, chiedendole il permesso di posizionarsi davanti a lei per rendergli più facile il lavoro.
    “Penso che possiamo fare uno scambio equo.” disse ben attento a non far dissolvere la polverina rosa che ancora aveva sulla lingua. “Come hai detto prima…” portò il vetro del bicchiere a contatto con il volto della Monrique. “Divertiamoci.” Suggellò quella promessa portando le sue labbra a contatto con quelle della ragazza. Non sarebbe stato il solo a drogarsi quella sera, non sapeva neanche se, alla fine di quel bacio, sarebbe stato lui a vincere la pillola o se si sarebbe “accontentato” della polverina.
    Le uniche cose certe erano due: Ciruzzo Linguini non era tipo da tirarsi indietro e Lizzie Monrique si era appena guadagnata la sua dose di Nott bottiglia di tequila.

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    Se a Liz avessero detto qualche giorno prima che si sarebbe trovata seduta nelle cucine, su un tavolo, a notte inoltrata per consolare (circa) Ciruzzo Linguini, anche per lei si chiamava così ormai, da una delusione calcistica probabilmente avrebbe riso chiedendosi se quel qualcuno che le aveva riferito quell’informazione avesse assunto una buona dose della sua polvere magica.
    E invece, contro ogni aspettativa, si trovava lì con le gambe accavallate a… flirtare con l’italiano, e a dirla tutta lo trovava esilarante, quasi divertente “Ma pensa… anche tu inguaribile romantica come Lollo, che non riesce a diplomarsi perché la scuola gli mancherebbe troppo?” arricciò le labbra, pensierosa «Mh, diciamo così.» la sigaretta fra le dita quasi dimenticata, mentre liz lo osservava giocare col bicchiere dall’alto "Oppure è la tua fedina penale il problema?” scosse il capo incurvando automaticamente le labbra, vedendo quelle del proprio interlocutore fare lo stesso «È stranamente pulita, ora che mi ci fai pensare, dovrei provvedere?» una domanda ironica, e retorica, probabilmente la sua fedina penale era davvero pulita, ma per opera del padre che riparava ai suoi errori da adolescente sborsando soldi, per mantenere la loro immagine pulita “O il papi non sborsa abbastanza galeoni per il via libera di prigione?” a quel punto rise di gusto «Sento mio padre si e no… tre volte l’anno, e ti assicuro che la mia istruzione è l’ultimo dei suoi pensieri» poteva anche essere l’ereditiera, ma probabilmente avrebbe passato il resto dei suoi giorni a far festa e non curarsi di nulla, la rendita dei suoi locali le bastava ed avanzava per vivere una vita agiata «Non sono impaziente di fare l’adulta, me la prendo con comodo, stare a scuola mi diverte.» puntò lo sguardo ceruleo in quello scuro del ragazzo «E poi c’è mio fratello, scommetto che senza di me si sentirebbe solo.» finalmente si decise ad accendere quella sigaretta , dopo aver litigato con l’elfo ed averne offerta una al ragazzo, lo osservò riempire il bicchiere e posarlo di fianco al pacchetto di sigarette, ma non allungò la mano per prenderlo, non era a quello che puntava in quel momento, o meglio non solo; passò in rassegna il viso dell’italiano, mentre le sorrideva con malizia “E, sentiamo, cos’altro non disdegneresti?” Liz sorrise felina, poggiando la mano destra, quella libera, accanto al bicchiere pieno, in modo da avvicinarsi col viso al grifondoro «Cosa fai lanci la pietra e nascondi la mano? Ovviamente intendevo quello che hai detto tu» ritrasse poi la mano ritornando dritta “Sai, per essere nella stessa Casata di Lapo e Gigio, non sei un palo in culo.” aspirò un altro tiro di sigaretta ignorando la cenere che cadeva sulle proprie gambe nude, scortandola leggermente «E tu per essere sei un grifondoro sei…» attraente? si, ma se lo sarebbe tenuto per se «Simpatico» schioccò un paio di volte la lingua sul palato . “È vero quello che si sente in giro sul vostro dormitorio? Tutti tristi e solitari?” fu quello il momento in cui liz spense la sigaretta sul tavolo, e rivolse la sua completa attenzione al proprio interlocutore «Giudica tu, ti sembro triste e solitaria?» e poi arrivò la proposta, quella fatta da liz, quando le era balenata in mente quell’idea non aveva pensato al fatto che proprio Ciruzzo Linguini potesse giocare al suo stesso gioco, certo era attraente e accattivante, ma non lo conosceva abbastanza da dirlo coraggioso da accettare, ed infatti quando lo vide alzarsi e scegliere l’opzione più semplice piegò leggermente, ed involontariamente, gli angoli della bocca verso il basso, se lo aspettava? si, ma era comunque rimasta un po’ delusa, con la pillola ancora sulla punta della lingua, provò ad abbassare lo sguardo verso il bicchiere che prima l’italiano le aveva versato, la sua azione venne però interrotta dalle dita del Linguini che, sfiorandole le gambe, e provocandole la pelle d’oca, le chiese di posizionarsi dinnanzi a lei “Penso che possiamo fare uno scambio equo.” la scintilla che aveva da poco abbandonato i suoi occhi torno a farsi viva, liz lo assecondò slegando le gambe dalla posizione di poco prima, e divaricandole leggermente, in modo da rendergli possibile starle davanti “Come hai detto prima…” schiuse leggermente le labbra sentendo il sapore del liquido alcolico sulla lingua, stando però ben attenta a non ingoiare ciò che era il bottino di guerra del nott “Divertiamoci.” il contatto delle loro labbra fu inizialmente leggero, liz ebbe un’idea (malsana), con gli incisivi tentò di spezzare un parti uguali la pillola, poi con la lingua avrebbe sfiorato il labbro inferiore del ragazzo come a chiedergli il permesso, se questo glielo avesse accordato la monrique avrebbe condiviso con lui parte della pillola insieme al sapore della tequila di poco prima, la polverina sulla lingua di lui inoltre, avrebbe pizzicato labbra e lingua di entrambi iniziando a fare effetto.
    Liz si staccò per riprendere fiato, con la mano sinistra andò a cercare la cravatta di Ezra e con un movimento di polso l’arrotolò leggermente intorno al palmo, per poi tirare verso di se, se fosse riuscita ad averlo vicino, molto vicino, si sarebbe accostata al suo orecchio «Sei un po’ ingiusto, ti ho dato due opzioni e tu le hai prese entrambe» gli avrebbe morso poi il lobo dell’orecchio, forse in segno di dispetto, prima di allontanarsi ed osservarlo; aveva un leggero alone di rossetto sulle labbra e un residuo di polvere rosa all’angolo della bocca, un residuo sul quale liz passò l’indice prima di portarselo fra le labbra e ripulirlo «Secondo me ti sbagliavi, il rosa ti sta molto bene» lasciò la presa sulla cravatta, poi la mano sinistra andò a rubargli quel lecca-lecca, che lui probabilmente aveva ancora fra le mani, per iniziare di nuovo a passare la lingua sulla caramella proprio come aveva fatto lui «Ora la vera domanda è, vuoi ancora divertirti?» lo sguardo andò a cercare quello di ciruzzo, non troppo lontano viste le circostanze «Ne vuoi ancora?» cosa non era specificato, ma probabilmente il Nott avrebbe capito a prescindere di cosa stesse parlando.

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    Ezra Nott
    CIRUZZO
    Eccoci qui, probabilmente per la puntata finale del Dybaldrama che avrebbe, nei giorni successivi, impegnato gran parte delle energie e del tempo dell’Italiano. In fondo, la vita non era altro che un pendolo che oscillava tra le sofferenze provocate da quella finestra di calciomercato e i disastrosi risultati portati in pista dalla Ferrari. Ma Ciruzzo era un ragazzo semplice: al sabotaggio del Cavallino Rampante ai danni del suo primo pilota ci avrebbe pensato dopo, con calma, all’ennesima strategia fatta da quel muretto composto da clown sotto acidi.
    Sempre se avesse avuto il dono della vista, dopo una clamorosa smentita di Marotta sulle trattative riguardanti il suo argentino preferito, si sarebbero succeduti diversi giorni concitati in cui Napoli e Roma si sarebbero contesi le prestazioni della Joya. Ora, se tutto fosse andato secondo i piani, Paolino avrebbe dovuto sputare sulle offerte di ADL così come il patrono della squadra partenopea aveva continuato a fare nel corso delle trattative per la cessione, poi sfumata, di KK. Poteva anche evitare rocamboleschi comunicati stampa in cui si copriva di ridicolo, era pur sempre un ex giocatore della Vecchia Signora, la classe e lo stile venivano sempre prima di tutto, tanto i fatti avrebbero parlato molto più delle parole.
    Ciruzzo, con buona pace anche di Gigio e Lapo, avrebbe trovato pace soltanto verso la seconda metà di luglio, quando, buttato giù dal letto alle due di notte da un urlo disumano di Lollo, avrebbe appreso la notizia dell’ufficialità di Paolino alla corte di José Mourinho.
    Le immagini di un Dybala triste e solo seduto sull’erbetta dello Stadium sarebbero state sostituite da quelle di una Joya che osservava la sua nuova tifoseria, lo sguardo finalmente puntato su un futuro decisamente meno incerto. Non sarebbe stato facile tornare a Torino per la terza di campionato, ma almeno avrebbe potuto farlo a testa alta e non sarebbe stato solo.
    Cosa che il Grifondoro non poteva affermare con assoluta certezza quando si parlava della Monrique. No, non parlava della prima parte, quando della seconda: le dinamiche all’interno di Serpeverde non gli erano ben chiare, a differenza di quelle di altre Casate, e le lamentele imbruttite del milanese e gli occhi vacui del sabaudo non erano fonti che avrebbe propriamente considerato attendibili.
    “Penso preferiresti un altro tipo di torture a quelle che offre lo staff di questa scuola.” Ammiccò percorrendo con la mano tutta la lunghezza del braccio della ragazza, per poi farla ritornare al punto di partenza. Non amava la politica di Hogwarts, da quel punto di vista, poteva ammettere con tranquillità che gli mancava Bei Bestioni, le risse spesso impunite nei corridoi, i cori che partivano in ogni angolo della scuola, l’aver aiutato a ricostruirla. Quando Giacomino era stato espulso dalla scuola francese, non avrebbero potuto immaginare uno scenario così distante da ciò cui erano abituati. Ma erano Linguini e, nonostante tutto, adattarsi ad ogni circostanza, anche quella più avversa, era una loro specialità.
    “Un padre decisamente adorabile.” Un po’ il buon caro, vecchio Nott sr, che si era lavato le mani non appena appresa la notizia dell’arrivo di un bambino nella sua vita. Troppo aristocratico per sparire del tutto, aveva concesso che parte del suo patrimonio confluisse per le spese del bambino, ma aveva tagliato i fondi non appena saputo che la donna che aveva ingravidato li sperperava in altri lidi e per ben altri piaceri. Si era preoccupato di mandargli qualche lettera negli anni, di spedirgli regali di rito, di accettare di buon grado che per limitati periodi di tempo il figlio fosse parcheggiato in una delle sue dimore, ma non aveva mai mostrato affetto nei confronti di quella piccola piaga, di quel problema di cui non era mai riuscito a liberarsi del tutto. Non riusciva ad essere empatico, il Grifondoro, perché quella per lui era la normalità. Se ne aveva sofferto, era stato bravo a nascondere tutto, a stipare i traumi in un angolo irraggiungibile della sua mente.
    Se c’era una cosa che la madre gli aveva involontariamente insegnato, era come sfruttare gli altri, nozioni sapientemente messe a punto quando aveva avuto l’idea di aprire la sua attività nottetempo. L’unico freno che si sarebbe mai imposto Ciruzzo, riguardava la sua famiglia, quella considerava tale, quella che gli risultava impossibile tradire.
    E no, il Linguini non era tipo da provocare per poi nascondersi, anzi. Sprezzante delle regole e delle convenzioni sociali, sarebbe andato fino in fondo pur di provare il suo punto, pur di dimostrarsi all’altezza di ogni situazione. Per essere un Grifondoro essere soltanto simpatico era alquanto riduttivo e pensare che si sarebbe tirato indietro davanti a una sfida, soprattutto di quel tipo, era davvero un errore da dilettanti.
    “Mi sembri una persona che…” passò la lingua sulle proprie labbra, cercando così prelevare ogni residuo di polvere, il sapore della tequila smorzato dalla stessa caramella cui la Serpeverde stava dedicando attenzioni. “… non se la spassa decentemente con qualcuno da tanto.” La provocò prima di rompere la metà di quella pastiglia piacevolmente concessagli dalla ragazza e mandarla giù con un altro sorso di liquido ambrato. Da un lato sperava che Gigio si fosse dimenticato della sua proposta di bere qualcosa insieme nelle cucine, dall’altro non si sarebbe fatto particolari problemi ad aggiungere un’altra variabile a quell’equazione.
    Il pizzicorio sulle labbra, però, lo costrinse a riportare la sua attenzione sulla bionda davanti a lui, la stoffa della sua cravatta ancora tra le dita di lei, così vicina che poteva sentirne il respiro sulla pelle.
    “Dovevi essere più specifica.” Puntualizzò mentre inclinava la testa, offrendole il suo lobo e lasciandole ampio margine di movimento. “Se posso, prendo tutto.” E, nel dirlo, portò le mani sui fianchi di Lizzie, spingendola contro di lui, approfondendo ancora di più quel contatto. “Tu che dici?” Domandò mentre si chinava su lei, mordendole piano le labbra senza mai interrompere il contatto visivo, sfilando dall’asola uno dei bottoni della camicia della divisa e prendendo la bustina abbandonata sul tavolo accanto alla sua sigaretta ormai spenta. “Credo che il rosa stia meglio su di te.” Liberò un altro bottone e scoprì una spalla della cheerleader, facendo scorrere un po’ di polverina sulla sua pelle, tra la scapola e la spalla, lì dove sarebbe stato più facile accumularsi.
    Sempre.” Perché non sarebbe stato né Ezra, né Ciruzzo se avesse rifiutato quell’offerta, perché gli eccessi erano parte di lui e della sua natura fin da quando era troppo piccolo anche solo per capire quello che stesse accadendo attorno a lui. Era extra in tutti gli aspetti della sua vita, non avrebbe certo smesso in quel momento, non quando la Monrique aveva la sua stessa propensione a fare salti nel vuoto.
    “Quanto tempo abbiamo prima che faccia effetto?” Chiese mentre le baciava la pelle del collo, scivolando sempre più verso la polvere magica, mordendola piano per non lasciare nessuna traccia del suo passaggio, soffermandosi qualche istante di più lì dove c’era il suo bottino, prima di tornare nuovamente a torturare le labbra di lei, in attesa che accettasse la sua nuova offerta di condivisione, sfilandole completamente la camicia.
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    Una cosa di cui Liz era sicura, drogata o no che fosse, era di essere una seduttrice: ci provava gusto, l’ispanica, ad osservare come chi le stesse dinnanzi vacillasse man mano dinnanzi ai suoi sguardi muti, alle sue carezze senza mani.
    Non sapeva se quell’aspetto fosse sempre stato parte di lei, e poi con una buona dose di sicurezza fosse semplicemente venuto fuori, oppure l’avesse sviluppato dopo aver provato il potere che le dava l’arte della seduzione.
    Fatto stava che ormai era parte di lei, e non avrebbe mai potuto farne a meno, il modo in cui vestiva, in cui si muoveva, era tutto dettato da quel particolare del suo carattere che non tutti sembravano approvare, non quando le davano tutto ciò che voleva con un suo sfarfallio di ciglia.
    Ecco, ad essere immune a quella sua piccola magia erano in pochi, e date le circostanze, Erza Nott era uno di quelli.
    Poco prima aveva pensato di sfidarlo per vederlo tirarsi indietro, figurarsi se l’avrebbe baciata, quello aveva pensato poco prima, sbagliando completamente.
    Lo aveva scoperto poco dopo quando i baci roventi del Grifondoro avevano iniziato a farle girare la testa, più dell’alcol, più della droga.
    Liz Monrique stava vacillando, se non fisicamente, mentalmente, se ne accorse dopo aver ascoltato il primo ansimo lasciare le proprie labbra «E tu? A me pare che nessuno abbia placato la tua sete di divertimento fino ad ora, o mi sbaglio?» non gli avrebbe detto che in quella scuola erano tutti bacchettoni e ligi al dovere, non quando era con le labbra sul suo collo, dopo aver infatti lasciato in pace il lobo passò al collo, mordendo e leccando leggermente, per non lasciare alcun segno sulla pelle dell’italiano, poi ci soffiò su, se avesse funzionato gli avrebbe provocato una leggera pelle d’oca «Non ti ho mai vietato di prendere tutto» pronunciò quelle parole con la testa ancora poggiata nell’incavo del suo collo, mentre con due dita risaliva e percorreva la lunghezza della gola, soffermandosi leggermente sul pomo d’Adamo, per poi scendere di nuovo alla cravatta, al nodo, cercando di scioglierlo, ecco perché non la indossava mai, quella maledetta «Io dico che si può fare» disse tornando a guardarlo negli occhi, con un sorriso soddisfatto, mentre la mano destra lo aveva finalmente liberato da quel pezzo di stoffa ingombrante, giusto in tempo per sentirsi tirare verso la fine del tavolo, ora le sue cosce toccavano i fianchi del ragazzo, così Liz incrociò le caviglie dietro la sua schiena spingendolo ancora di più verso di se «Sei fortunato che io non indossi quella maledetta-» venne interrotta dai denti del ragazzo che le catturarono le labbra in una morsa maledettamente piacevole, lo sentì armeggiare con i bottoni della propria camicia scoprendo prima un lembo di pelle, poi l’intera spalla, inerme lo osservò riafferrare la bustina dimenticata e posizionare la polverina nel solco della propria clavicola, senza pensarci la mano andò a spostare qualche ciocca scura, che copriva lo sguardo del Grifondoro, dalla sua fronte; quel contatto visivo, per quanto intenso, durò ben poco perché al contatto delle labbra di Ezra con la sua pelle nuda Liz serrò le labbra, in modo da non emettere alcun suono, e chiuse gli occhi, stringendo leggermente la presa sulle ciocche scure del grifondoro «Fa effetto in una decina di minuti, su per giù, ma si è ancora lucidi se non se ne usa troppa, il suo compito è amplificare il tutto» le sue labbra incontrarono ancora quelle di Ezra, la mano libera dalle ciocche del Nott andò di nuovo verso il suo collo, poi scese alla camicia ancora perfettamente abbottonata, le dita quasi tremanti della Monrique iniziarono a sfilare dalle asole i bottoni dell’indumento, quando riaprì gli occhi, lei era rimasta in lingerie bianca ma che di puro non aveva un bel niente, mentre il torace del ragazzo era completamente libero dalla stoffa; così Liz, rivolgendogli uno sguardo più che malizioso riafferrò la bustina contenente ancora un po’ di quella sostanza magica, a differenza del cacciatore però non scelse la clavicola, ma si calò e leccò una parte d’addome, quello più vicino al petto, poi ci versò su la polvere rimanente, facendola aderire «Suppongo tu abbia già bevuto sale, tequila e limone.» sorrise afferrando la bottiglia che poco prima era stata oggetto della sua attenzione, non si preoccupò di versarla in un bicchiere «Solo che non abbiamo ne sale ne limone, quindi sarà un po’ diverso» detto ciò si fiondò a recuperare il suo bottino, dopo che fu sicura di aver ripulito tutto si rialzò, prendendo quindi un sorso di tequila, abbandonando poi la bottiglia sul tavolo si sarebbe riavvicinata alle labbra del grifondoro per condividere, per l’ennesima volta quella sera, quel mix di alcol e droghe.
    Nel frattempo, le mani ormai libere, avrebbero traversato il torso del ragazzo arrivando alle spalle, cercando così di sfilare quell’indumento inutile che era diventata la camicia, in quel modo sarebbero stati pari, ed entrambi avrebbero sentito la sensazione della pelle nuda sotto le dita.

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    “E invece…” sospirò piano, inclinando il collo, mentre faceva scorrere le dita tra i capelli della ragazza e si sistemava meglio contro di lei. “… ti sbagli.” Scrollò piano le spalle, un leggero brivido a percorrergli il corpo accaldato quando la Serpeverde soffiò sulla sua pelle stimolata, così estremamente reattiva. “Ho avuto un San Valentino piuttosto movimentato.” Le labbra del Grifondoro scattarono in alto al ricordo; non capitava tutti i giorni di trasformare un mutaforma, facendolo diventare uno special della moltiplicazione. Ciruzzo sapeva di essere capriccioso e difficilmente accontentabile, ma nessuno si era spinto al punto da cambiare il suo potere per soddisfare ogni sua voglia, contemporaneamente. La verità, come sappiamo, è ben diversa, ma per il Linguini – ignaro di questo switch – i fatti si erano svolti esattamente in quel modo. Le fantasie sul Withpotatoes e sulle sue copie si erano sprecate, così come non riusciva ad andare oltre alla possibilità che chiunque con quel potere fosse in grado di creare e partecipare ad orge con sé stesso, tutto un altro livello che sarebbe stato più che lieto di esplorare.
    Il Cercatore, poi, non era tipo da ricondurre tutto al sesso. Ci sapeva fare, certo, ma il suo essere particolarmente espansivo poteva generare confusione: non si faceva problemi a baciare o tirare pacche sul culo dei cugini, così come non aveva idea di cosa fosse la decenza o il senso del pudore. Se glielo avessero chiesto, avrebbe tranquillamente girato nudo per tutto il castello, senza preoccuparsi minimamente di dover indossare la divisa per prendere parte alle lezioni. Non lo faceva perché egocentrico o altro, semplicemente perché gli andava di farlo. La nudità lo accompagnava fin dall’infanzia e, solo dopo diversi anni, aveva notato che non tutti i bambini erano a proprio agio a vedere le proprie madri senza vestiti o in atteggiamenti, come dire, particolarmente affettuosi con i propri partner. Era cresciuto senza regole, in ambienti dove il concetto di decoro aveva come unica accezione quella di abbellimento e nulla più. Erano dovuti intervenire i suoi nonni per provare a portare un po’ d’ordine nella sua vita, ma non erano ancora riusciti a fargli indossare un pigiama contro la sua volontà, benché meno a renderla un’abitudine.
    Era sempre a proprio agio con se stesso, in ogni circostanza, e questo poteva essere un grande pregio o un grande limite, qualora non fossero viste di buon occhio la sua sicurezza e la sua autostima.
    Era consapevole di essere bello, era consapevole di essere desiderato, era consapevole di essere molto di più e che il sesso non era l’unico piacere della vita. C’era altro, c’era decisamente molto altro.
    Il suo concetto di divertimento spaziava in lungo e in largo, includendo qualsiasi cosa e qualsiasi persona fossero in grado di tenere alto il suo morale, di farlo sentire vivo. Gli piaceva credere di essere un ragazzo genuino, che prendeva la vita con quella leggerezza che mancava a Hogwarts e che ritrovava solo in presenza dei cugini.
    Si muoveva flessuoso, seguendo un ritmo tutto suo, dettato da quella testa sempre più leggera, mentre si lasciava trasportare dai movimenti della Monrique, lasciando che il suo corpo aderisse a quello della ragazza, che accompagnasse i suoi movimenti alla ricerca di nuovi stimoli, così vicino da sentire la propria pelle sfregare contro i pochi millimetri di stoffa che li separava.
    “Sono tentato… molto tentato.” le mormorò a fior di labbra, la punta del pollice che andava a farle schiudere, prima di concentrarsi sulla sua schiena, prima di baciarla di nuovo, prima di osservare le dita tremanti della Serpeverde. Voleva chiederle perché. Perché quella reazione, a cosa era dovuta, perché aveva bisogno di amplificare il tutto.
    Socchiuse gli occhi, continuando ad osservare Lizzie attraverso le proprie ciglia. Era eccitato, carico di quell’aspettativa che lo rendeva ancora più cosciente. Un sorriso gemello a quello della ragazza gli illuminò il volto quando la sentì sulla pelle.
    Si chinò per baciarla, incurante del fatto fosse nei piani della bionda o meno, le dita che si insinuavano nuovamente tra i suoi capelli, tirandoli piano, concedendole qualche secondo di respiro mentre le torturava il collo, confondendo ancora di più il suo profumo, il suo sapore, con quello della droga e della tequila.
    “Non abbiamo molto tempo, allora.” Ponderò facendo scorrere lo sguardo sulla lingerie bianca della ragazza. Poteva fare molte cose in quel momento, poteva continuare a spogliarla, poteva scoparla, poteva prendersi tutto quello che voleva da lei in quella cucina e lasciare che la droga facesse il suo corso mentre era dentro di lei, ma non era quel tipo di persona. Non aveva bisogno di una spinta per provare più o meno piacere. In quel momento si sentiva leggero, si sentiva in grado di raggiungere, e far raggiungere, picchi altissimi, ma c’era una linea che non avrebbe superato. Una linea che non era né labile, né poco visibile.
    Non aveva paura di farsi odiare da Lizzie, di essere giudicato da lei, delle voci che avrebbe potuto mettere in giro, quanto di quello che avrebbe visto l’indomani allo specchio se si fosse spinto troppo oltre sotto effetto di stupefacenti, se avesse fatto qualcosa di sconsiderato senza rendersene conto, troppo inebriato dalle circostanze e dalla droga.
    “Ma possiamo sfruttare al meglio il tempo che ci è rimasto.” Continuò afferrando le cosce della ragazza, portandola contro di sé mentre la sollevava dal tavolo, le mani che andavano a stringerle i fianchi e le natiche mentre la sbatteva, con tutta l’eleganza di cui era capace, contro il primo muro, tormentandole le labbra e iniziando ad avventurarsi sul suo seno. Sarebbe stato troppo semplice andare oltre con lei, soprattutto in quelle circostanze, ma una parte di lui era consapevole di quanto proprio le circostanze fossero sbagliate, di quanto non fosse giusto approfittarne.
    “Non vorrai mica che domani mattina ci trovino così. Non credo sarebbe l'ideale.” Soffiò piano sulla sua pelle, guardandola negli occhi, sperando che capisse.
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