Waiting for a miracle

elwyn x margaret

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    «Novità?» conosceva già la risposta, il mercenario, ma rimase in attesa, mentre le iridi chiare incontravano quelle dell’elfo che si era materializzato a pochi passi da lui. Sarebbe bastato un nome, un luogo, un indizio qualunque per dare uno scossone alle indagini – e l'Huxley, per una volta, avrebbe persino accettato l'idea che la creatura con cui collaborava da anni avesse avuto successo laddove lui aveva ripetutamente fallito. Invece, la risposta era sempre la stessa. «Gli incantesimi?» aveva continuato, mantenendo un tono piatto. Se non poteva anticipare le mosse del suo avversario, non gli restava che difendersi a partire dalle uniche informazioni in suo possesso: una data e il modus operandi. Spostò lo sguardo sulla bacheca che aveva realizzato per l’occasione e si soffermò sul numero cerchiato in rosso. Mancavano meno di ventiquattro ore a quel giorno nefasto e tutto sembrava tacere – nessuna voce di corridoio, nessun invito accattivante, nessun movimento sospetto. «La copertura?» solida, anche quella. Si era volontariamente lasciato sfuggire, in presenza di Chelsey e Dominic, che sarebbe partito per una località situata dall'altra parte del globo, cosicché potessero rendere quella notizia di dominio pubblico; aveva poi confermato la sua temporanea assenza a Bells (che avrebbe ricordato cosa volesse dire vivere senza un sottofondo di borbottii costanti); infine (e quella era stata l’impresa più ardua) lo aveva riferito a Zachary, inventando una scusa sul perché avrebbe dovuto fare da solo quel misterioso viaggio e intimandogli di non avvicinarsi all'appartamento per organizzare una sorpresa delle sue. Anche perché la vera sorpresa sarebbe stata trovare Elwyn davanti alla finestra, intento a scostare le tende per registrare attività insolite; e scoprire, poi, che non solo il mercenario non era su una spiaggia da sogno in compagnia di se stesso e di un cocktail, ma che aveva trascorso così, da stalker psicopatico recluso, anche i quattro giorni precedenti.
    Una scelta slegata dalle pause che, di tanto in tanto, decideva di prendersi dal genere umano – fugaci periodi di tempo accolti con immensa gioia dai suoi conoscenti. E non aveva nulla a che vedere neppure con il suo lavoro – di mercenario, non di illuminato imprenditore, di artista rivoluzionario, di lungimirante finanziatore di startup o di testimonial di slip edibili; incarico, l’ultimo, che non aveva ancora deciso se accettare nonostante il Linguini lo stesse tempestando di oggetti promozionali – e il costante rischio di essere smascherato e dover far perdere le sue tracce.
    L'unica ragione per cui aveva deciso di restare tra le sicure mura domestiche era evitare l'ennesimo San Valentino con uno sconosciuto e tutte le sfiancanti conseguenze che ne sarebbero derivate – socializzare senza dire cose fuori luogo, cercare di non essere assassinato o tentare di non scoprire nuovi modi per mettersi in imbarazzo, per citarne alcune.
    E l'unica eccezione a quella regola aveva un nome.
    Oltre a un pessimo tempismo nello scegliere quando venire al mondo, ma, con grande rammarico dell'Huxley, non avrebbe potuto farle pesare un simile dettaglio né limitarsi a recapitarle un biglietto di auguri pregno della sua stitichezza emotiva, se avesse voluto illudersi di avere ancora una possibilità. Ciò che poteva fare, invece, era evitare di andare da lei nel giorno del suo effettivo compleanno, in modo che quella sciagurata coincidenza con la festa degli innamorati non facesse deragliare i pensieri della proprietaria del Lilum – complicando una situazione sufficientemente confusa anche senza l'aggiunta di ulteriori variabili.
    Per questo motivo, si era presentato al locale prima dello scoccare della mezzanotte e, da qualche minuto, se ne stava fuori dalla porta dell'ufficio della donna, in attesa di decidersi a bussare. Aveva pensato a lungo al da farsi, l'ex-giocatore di Quidditch. E come sempre, in quei casi, era riuscito a creare un problema laddove nessuna persona sana di mente – nessun individuo appartenente a quell'enorme fetta di popolazione che non era afflitta dai suoi stessi problemi – sarebbe riuscita ad intravederlo. Ad esempio, aveva valutato se darle appuntamento con moderato anticipo, così da permetterle di organizzare i turni di lavoro e non lasciarle credere che la sua presenza fosse frutto di un pomeriggio all’insegna della noia. Sarebbe stato corretto, nei suoi confronti. Forse avrebbe persino giocato a suo favore, se il mercenario non si fosse convinto che l'attesa avrebbe creato una serie di aspettative – sull'abbigliamento, il locale, lo svolgimento della serata – il cui peso lo avrebbe schiacciato ancor prima di dimostrare di essere perfettamente incapace di soddisfarle. Quindi, quando si decise a battere le nocche contro la superficie in legno davanti a sé, lo fece nel pieno rispetto delle tradizioni – vale a dire, in qualità di ospite sgradito a sorpresa.
    «Permesso» cui avrebbe potuto far seguire un educato «disturbo?» se avesse avuto voglia di sentirsi dire che, , presentarsi senza invito o senza annunciarsi con sufficiente anticipo, non era poi quel grande onore che il mercenario credeva di concedere. Inoltre, era convinto che l'ex-serpeverde fosse piuttosto brava a lanciare frecciatine senza doverle servire l'occasione su un piatto d'argento. Attese un segnale e fece capolino nella stanza, guardandosi bene da non abbandonare quella posizione. «Hai tempo per un brindisi?» forse anche un dolce, che avrebbe mangiato lui stesso dal momento che la proprietaria del Lilum trovava nell’aria i nutrienti necessari alla sua sopravvivenza. Sapeva cosa le stava chiedendo – e quanto quello sforzo si ingigantisse in relazione al suo attaccamento al lavoro. Sapeva anche che avrebbe potuto domandarlo in mille modi diversi, ma sarebbero stati soltanto dei giri di parole per nascondere l'essenza della questione. E sapevano, entrambi, che la risposta ne avrebbe racchiuse molte di più. «Non offerto dal Lilum. Né dal Sub»
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    Margaret Piper
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    Il 14 febbraio era una data peculiare, carica di aspettative che, negli anni, era stata pronta a disattendere con una precisione quasi chirurgica. Maggie non odiava il suo compleanno, sia chiaro, si limitava a mal sopportare quello che significava per il resto del mondo. Era cresciuta in un ambiente familiare piuttosto sereno, da bambina non le erano mancate le feste e le celebrazioni, ma c’era sempre qualcosa nell’aria a rovinare l’atmosfera: non era la sua festa. O, meglio, lo era, così come lo era, per ragioni diverse anche del resto del mondo. Il problema? Margaret, fin da piccola, non era mai stata incline a dividere le attenzioni con qualcun altro, a voler celebrare qualcosa che non fosse lei.
    Doveva essere il suo giorno preferito, così come lo era per molti dei suoi amichetti, e invece aveva iniziato sottilmente a non tollerarlo, a dover spostare i festeggiamenti perché non poteva assolutamente rovinare gli appuntamenti delle sue amiche a Hogwarts, a dover fare un passo indietro. E sapete cosa? Ne aveva fatti così tanti che alla fine aveva smesso di credere nell’amore. O, più semplicemente, non ci aveva mai creduto fino in fondo, portandola ad elevare una barriera così alta tra sé e il mondo per evitare di essere ferita da chi le stava più vicino.
    Col tempo, si era convinta che la sua armatura, fatta di maschere, personaggi e bugie, l’avesse protetta e le avesse permesso di andare avanti, di superare ogni ostacolo portando in scena una versione sempre diversa di se stessa, impedendo a chiunque di conoscerla veramente, settorializzando ogni aspetto della sua vita al fine di trarne il massimo profitto.
    Questo l’aveva portata a mettere definitivamente da parte il suo compleanno, a non festeggiarlo perché poteva godere di quei vantaggi esclusivi ogni giorno: riceveva regali costosi, quali borse, gioielli e scarpe di lusso, dai suoi clienti più affezionati, gli stessi che l’avevano oggettivata e che le avevano insegnato che fingere di essere stupida e ingenua pagava molto di più, perché bastava veramente poco a farli sentire a comando della situazione, così potenti da risultare quasi ridicoli, soprattutto considerando la lauta ricompensa che percepiva per mettere su ogni teatrino; da quando l’attività poliedrica di Harvard Hilton l’aveva lanciata anche nel mondo babbano, era stata travolta da richieste di sponsorizzazioni che, oltre che continuare a farla guadagnare in cambio di contenuti sui diversi social, faceva fatica a scremare; ma soprattutto, era la protagonista assoluta del suo spettacolo. Nessun altro bambino a soffiarle le candeline sulla torta, non quando si abbassavano le luci e la musica iniziava a diffondersi nel Lilum, non quando gli occhi del pubblico erano catalizzati su di lei.
    Il 14 febbraio era arrivato ad essere una data come tutte le altre, anche quando Polgy Girl aveva provato a dare una scossa ai suoi compleanni, costringendola a uscire e a trovarsi in compagnia di partner fallimentari. Era quasi convinta che, alla fine, ci avesse rinunciato anche lei a trovarle qualcuno con cui passare quel giorno. Non ci era rimasta male, anzi, comprendeva: non era amata dalla sua stessa famiglia, a stento si fidava dei suoi dipendenti più stretti ed era fermamente convinta che l’amore fosse un enorme fregatura, d’altronde aveva fondato il suo lavoro sul tradimento, sul soddisfare istinti carnali e sull’infelicità della maggior parte delle coppie. Non a caso era difficile trovare un giorno libero nella sua agenda e staccarsi dal Lilum, dal suo lavoro era particolarmente difficile e complicato. I soldi non erano tutto nella vita, certo, ma le permettevano di avere tutto, di soddisfare ogni suo capriccio.
    Tuttavia, si era anche resa conto che il 14 febbraio era il giorno che registrava, per ovvie ragioni, gli incassi più bassi e per questo motivo non le era pesato prendersi del tempo per sé e tutto quello che doveva fare per godersi a pieno la sua giornata – che prevedeva una seduta di shopping, spa e un lunghissimo bagno caldo – era anticipare quanto più possibile il lavoro, dimenticarsi di esistere e far trovare a Jonathan tutto il necessario per procedere con gli ordini ai fornitori e per comunicare la scaletta dei diversi spettacoli. Quella sera non era in mise da spettacolo, non aveva intenzione di raggiungere il suo trono, né di mostrarsi al pubblico com’era solita fare, tanto che aveva soltanto un trucco leggero e una semplice tuta nera ed elegante che le lasciava scoperte le spalle.
    Era infatti impegnata a sistemare uno dei libri contabili quando udì bussare alla porta. Non rispose subito, continuando a scrivere gli ultimi numeri per concludere la riga prima di perdere il filo; in questo modo avrebbe potuto rivolgere la sua totale e completa attenzione per quello che prospettava essere uno dei tanti intoppi dello show che richiedevano la sua presenza.
    Restò un attimo interdetta nel registrare la voce che si stava rivolgendo a lei, come lo era sempre quando era già proiettata nell’anticipare le soluzioni dei possibili problemi, pur non essendo onnisciente: dopo anni, i problemi risultavano essere più o meno sempre gli stessi e, se da un lato si stupiva andassero da lei per informarla di ogni minimo inconveniente, dall’altro continuava a sentirsi parte indispensabile di qualcosa.
    Batté piano le palpebre, mettendo a fuoco la figura che faceva capolino all’ingresso della stanza.
    “Ero convinta fossi sulla spiaggia di un’isola sperduta delle Maldive, intento a scavare buche di notte per far cadere dentro i bambini.” Non era neanche poi così difficile immaginare l’uomo, con indosso un discutibile paio di bermuda e una camicia improponibile, aggirarsi tra i lidi dei posti più belli del mondo solo per posizionare delle trappole per il mero gusto di dare fastidio. Cosa che, a dirla tutti, gli riusciva egregiamente. Tuttavia, non spiegava come mai il blog di Elwyn avesse per giorni postato articoli sul viaggio dalla destinazione esotica dell’ex Corvonero, struggendosi perché nessuno quell’anno avrebbe avuto l’onore – o l’onere – di essere la sua anima gemella e di passare un’intera giornata con lui. Come mai lo seguisse? Perché era pur sempre un modo di carpire informazioni utili, preferenze personali, qualsiasi cosa che potesse servirle in futuro, non solo dell’ex giocatore.
    “Per mia sfortuna ho quasi finito e potrei addirittura concederti il tempo di cui hai bisogno.” Nel dirlo, però, sorrise. Non tanto, benché meno in maniera eccessivamente visibile, quel poco che bastava per ammorbidire le sue parole e far capire al suo personalissimo intruso che poteva restare.
    “Addirittura.” Esclamò alzandosi in piedi e facendo segno all’uomo di entrare e di sistemarsi sul divano, dove lo avrebbe raggiunto di lì a poco, salvo poi fermarsi e assottigliare piano lo sguardo, incrociando le braccia al petto. “Se non è offerto né da me, né da Bells… a chi hai rubato da bere?”
    Una domanda piuttosto legittima, conoscendo l’individuo che aveva davanti, ma non per questo non avrebbe accettato l’invito.
    “Qual è l’occasione? Sei riuscito a battere Morley in una gara di sguardi?” Avrebbe potuto dire sollevamento pesi, ma viste le gambe sottili dell’uomo era più probabile finisse schiacciato dal bilanciere. Doveva davvero allenarsi di più, ma non voleva rovinargli l’umore così presto, non quando sembrava stranamente tranquillo e con le sopracciglia meno corrucciate del solito.
    Pensare che fosse lì per lei era l’ultima cosa che avrebbe mai potuto immaginare.
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    Attese un istante. Poi un altro – dita strette attorno alla maniglia, sguardo basso e orecchie tese nel tentativo di ignorare la musica proveniente dalla sala e concentrarsi soltanto sul silenzio che avvolgeva lo studio. E ancora una manciata di secondi, troppi per una mente, come quella dell'Huxley, che viaggiava su binari sconnessi, seguendo il tortuoso percorso di un ottovolante per il quale, però, non era stata progettata una vera e propria conclusione: talvolta si ritrovava a ripercorrere all’infinito quelle curve, le rapide discese e snervanti salite, i cambi di direzione improvvisi; altre, invece, il tratto rettilineo veniva bruscamente interrotto e l’ex-corvonero proiettato verso nuove vette dell’auto-sabotaggio. In quel caso, nel breve lasso di tempo intercorso tra la sua richiesta e la replica dell'ex-serpeverde, si limitò a riconsiderare ogni scelta di vita, dalle decisioni prese negli ultimi giorni a quelle scellerate degli anni precedenti fino a dettagli insignificanti come, ad esempio, il pattern dei boxer indossati ad un incontro con una tassorosso, in un generico corridoio del castello, in un’ordinaria giornata di primavera del lontano 2011.
    Poi, finalmente, una risposta.
    E, ad accoglierlo, quell’ironia familiare che, nel novantanove percento dei casi, avrebbe occluso la vena del mercenario, portandolo a risentirsi per reali o presunte critiche a comportamenti tenuti in passato, a frasi fuori luogo, a spiacevoli situazioni in cui si era ritrovato invischiato, ad uno dei suoi mille difetti caratteriali, al suo aspetto o modo di vestire, a qualunque dettaglio legato anche lontanamente alla sua persona – era piuttosto semplice indispettirlo, con un repertorio così vasto. Invece, «dovrei proprio farlo» rispose, senza provare a trattenere una risata o smontare l’insinuazione della donna. Trovava fosse un’immagine talmente aderente al suo modo di essere e al suo rapporto con quei bipedi in miniatura da riuscire a visualizzare perfettamente la scena e continuare a sorridere di gusto – in barba alle considerazioni di Morley sulla sua espressione da carlino o al fatto, ben più rilevante, che trovare divertente un simile comportamento lo qualificasse come un pessimo individuo. «Sempre attenta alle notizie» continuò pacato, nascondendo dietro ad un’affermazione incontestabile – un’ovvietà, quasi, dal momento che lui stesso contribuiva ad accrescere la rete di informazioni con la quale la donna proteggeva il suo impero – quanto l’interesse di Margaret per i suoi movimenti avesse aumentato le proporzioni del suo ego. «ma è un depistaggio, per evitare di essere incastrato per il quarto anno di fila» e sebbene il rischio che si verificasse quell’infausta ipotesi fosse ancora fin troppo elevato, l’ex-giocatore di Quidditch si sarebbe accontentato di ritardare il rapimento di un paio di minuti, il tempo necessario per dimostrarle di aver messo un piede fuori dalla sua comfort zone ed essersi esposto ad una simile condanna soltanto per farle gli auguri di persona.
    Registrò il segnale della donna, chiuse la porta alle sue spalle e si avvicinò al divano che gli era stato indicato, sfruttandone lo schienale per sistemare il cappotto. «Non saranno le Maldive, ma la temperatura ci va sempre molto vicina» constatazione, la sua, che non era dettata dall’attento studio effettuato sulla silhouette della proprietaria del Lilum o dalla sua semplice presenza, quanto da quel lieve e oggettivo sbalzo termico tra il microclima della stanza – che permetteva a lei e al suo staff di indossare un determinato tipo di indumenti – e il rigido inverno inglese – che aveva portato il mercenario, invece, ad optare per un abbigliamento decisamente più pesante. Sfilò dunque il maglione che aveva addosso, restando con una maglietta scura, e sistemò quel capo sul precedente, riservando all’operazione la consueta cura. Non ci aggiunse alcuna malizia, né si aspettava una particolare reazione dalla Piper dal momento che quest'ultima lo aveva visto nudo per ben due volte; dunque, proseguì riallacciandosi alla sua ultima domanda. «A chi l’ho rubato?» sorrise, mentre sfilava dalla tasca del cappotto un sacchetto cui aveva applicato un incantesimo di estensione irriconoscibile. Era assurdo che non si potessero consumare un paio – di decine – di drink in compagnia senza essere accusati di non voler pagare da bere. «A nessuno, ma se c'è stato un furto, lo scopriremo tra poco» infilò la mano nella borsa magica e tirò fuori una bottiglia di champagne. Non una qualunque, la migliore che fosse riuscito a trovare. Quella il cui prezzo gli aveva fatto venire un mancamento e lo aveva portato a borbottare quanto trovasse assurdo spendere una cifra così elevata per qualcosa il cui unico scopo, per lui, era perdere i sensi il prima possibile. La stessa che, per tali ragioni, sarebbe comparsa sotto la voce "rimborso spese" nella parcella da consegnare al suo successivo cliente.
    «A te l’onore» allungò la bottiglia alla donna, si avvicinò, come se fosse a casa sua, alla vetrinetta nella quale la proprietaria del Lilum conservava gli alcolici e prese due calici, interrompendo le operazioni solo dopo aver udito un riferimento gradevole quanto il rumore dei rebbi di una forchetta sulla superficie del piatto. «Perché hai dovuto nominarlo?» accompagnò la domanda con un’espressione disgustata, proseguì verso il divano e appoggiò i bicchieri sul tavolino. «Sarà impegnato tra pannolini» e poco importava che età avesse Bang, Elwyn considerava i bambini una disgrazia in ogni fase della loro crescita «e steroidi» perché era chiaro che Morley ne facesse uso per avere quell’esagerata massa muscolare ed era altrettanto ovvio che rifornisse così i clienti della sua nuova attività. Se avesse già tentato di sabotarla? Certamente. Non solo si era intrufolato in palestra sotto mentite spoglie – sia perché non aveva voglia di sfigurare, sia perché all’ingresso c’era un cartello di divieto di ingresso agli Elwyn –, ma aveva iniziato a sondare il terreno per rilevare gli esercizi davanti a quello del Peetzah, radere tutto al suolo e costruire una Super-Arena che avrebbe oscurato quella del rivale. «Non parliamone più, vuoi?» suggerì, mentre tentava di rimuovere l’immagine dell’uomo dalla sua mente e il fastidio che ogni riferimento alla sua persona portava con sé. Se avesse dovuto fare una classifica, lo avrebbe collocato al terzo posto tra gli argomenti in grado di spegnere ogni entusiasmo e fargli ribollire il sangue nelle vene. «Potremmo festeggiare il mio ultimo successo imprenditoriale, certo, ma» onestamente, non avrebbe saputo spiegarle in cosa consistesse l’attività che aveva finanziato durante il consueto blackout di Capodanno – troppi termini giovanili, piattaforme babbane e tecnologie che il mercenario non aveva alcuna intenzione di imparare ad usare. Tutto ciò che gli bastava sapere era che ogniqualvolta uno sconosciuto decideva di seguire qualunque cosa facesse il The Amazing Gay Duo, nelle sue tasche entravano fior fior di galeoni. E che la presenza di Chelsey – e l’amore smisurato che la rossa provava nei suoi confronti – costituiva la migliore garanzia di successo. «magari un’altra volta, non sono qui per me»
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    Edited by badblood` - 29/3/2022, 10:14
     
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    Margaret Piper
    Svetlana
    Era estremamente semplice far innervosire Elwyn, toccare uno dei suoi tanti nervi scoperti e lasciare che il suo sangue ribollisse per ore, se non giorni, nelle vene mentre la sua mente restava incastrata su quell’unica parola fuori posto in un discorso che andava avanti da diversi minuti.
    Non importava che quel fatal errore potesse essere stato commesso in una conversazione ben argomentata, in uno scambio proficuo di opinioni o addirittura in una dissertazione scientifica riguardante i buchi neri dell’universo, bastava un solo termine o una minima espressione facciale a far precipitare tutto.
    Per questo motivo, quando sentì il suono della risata del mercenario accompagnare la sua battuta, ne fu sorpresa. Anzi no, ne fu piacevolmente sorpresa. Uno di quei momenti più unici che rari, reso ancor più speciale dal fatto che l’Huxley avesse scelto di stare al gioco e non di fare un passo indietro, chiudere la porta e andare via.
    Inclinò la testa di lato, studiando la figura dell’uomo mentre sorrideva con lui e domandandosi se davanti a lei ci fosse una copia del metamorfo o se fosse quello vero. Era sul punto di chiedergli se si sentisse bene o se avesse bisogno di contattare un Guaritore, ma sarebbe stato troppo. Non aveva ancora appreso fino a che punto le fosse possibile tirare la corda e giocare con le paranoie dell’uomo, quanto a fondo alle sue frecciatine fosse permesso di scavare in quella corazza che l’uomo aveva costruito attorno a sé.
    Erano passati quasi tre anni dalla famosa scommessa che aveva portato l’ex Corvonero a esibirsi al Lilum, eppure sentiva che la personalità dell’uomo era un territorio ancora completamente inesplorato, più simile a un campo minato che a un caratteristico sentiero di montagna, dove addirittura venivano fornite tutte le indicazioni per proseguire in modo sicuro.
    Elwyn non aveva un libretto di istruzioni, non c’era uno schema logico o razionale da poter seguire o tale da poter prevedere ed evitare eventuali passi falsi. Poteva esplodere da un momento all’altro e spazzare via tutto quello che avevano costruito fino a quel momento.
    Un occhio esterno avrebbe avuto diversi elementi per insinuare che, in realtà, non c’erano stati progressi nel loro non—rapporto, che oltre all’ambito lavorativo nessuno dei due poteva realmente dire di conoscere la persona che avevano davanti, che alla base di tutto c’era una relazione di convenienza basata sullo scambio di informazioni e transazioni di denaro. Ciononostante, sebbene fosse irrilevante negare o confermare determinate osservazioni, per quanto la riguardava, c’era un intero linguaggio composto da micro-segnali che era stato completamente e interamente stravolto.
    Svetlana non era ancora in grado di leggere Elwyn, eppure credeva di essere sempre più vicina al farlo e lo stesso poteva dire l’uomo di lei. Riusciva a comprendere l’umore dell’altro dalla postura delle spalle, dalla tensione della linea delle labbra, da quanto fosse pronunciata o meno il profilo marcato dalla mascella. Iniziava ad essere in grado di cogliere una potenziale situazione di pericolo dalla rigidità del corpo altrui, da come passava le dita tra i capelli, da quanto era bassa e profonda la sua voce. Tutti piccoli dettagli, spesso insignificanti, che le permettevano di fare più o meno pressione, di osare con una battuta tagliente o di posare momentaneamente le armi e riprogrammare le mosse successive.
    Provare a conoscere Elwyn poteva essere un’attività sfiancante – e il più delle volte lo era -, ma le piaceva e rendeva quasi tollerabile il tempo trascorso insieme. O almeno questa era la bugia che amava raccontarsi, perché no, i momenti con il co-proprietario del SUB non erano solo tollerabili ma nella maggior parte dei casi anche gradevoli e, talvolta, divertenti.
    Non lo avrebbe ammesso, non ad alta voce, benché meno all’uomo che aveva davanti in quel momento, a quella particolare e unica versione di Elwyn, così diverso da quello a cui i rotocalchi e i giornali di gossip avevano abituato il mondo magico.
    Sempre.” Confermò con un’alzata di spalle, quasi fosse scontato il suo interesse per tutto quello che le accadeva attorno. La verità era ben altra e nascosta sotto strati di orgoglio che non era disposta a sollevare, che coprivano e seppellivano la terribile consapevolezza che dell’ex Arpia le importava. No, non per lavoro che svolgeva per lei e che le faceva fruttare ingenti guadagni, non perché decriptarlo fosse uno dei suoi passatempi preferiti, ma perché… e questo era un punto che difficilmente avrebbe ammesso apertamente, ad alta voce o anche solo nei suoi pensieri, era Elwyn. Semplicemente Elwyn. E proprio per tale motivo non era il caso di affezionarsi troppo. Non era nella sua natura, non era da lei, non faceva parte di quel ruolo di regina dei ghiacci che aveva sapientemente costruito.
    Senza contare che non poteva permettersi di perder tempo dietro sciocchezze simili, quando era palese che dall’altra parte, non ci fosse lo stesso patetico interesse.
    Non era mai stata una ragazzina, non come le altre almeno, e non lo sarebbe certo diventata all’alba dei suoi ventisei anni.
    “Quarto anno di fila?” Domandò lasciandosi andare a una risata incredula. “Dopo il tentativo miseramente fallito con un ministeriale e dei dinosauri, credo ci abbia rinunciato. Un appuntamento sempre più movimentato dell’anno precedente ma…” Scosse piano la testa, fingendo quanto tutte quelle non attenzioni dell’Oblinder l’avessero ferita. Reputava gli organizzatori dell’Oblinder abbastanza intelligenti da mollare il colpo, quindi era abbastanza tranquilla che anche quell’anno non si sarebbero fatti vivi, lasciando così inalterata la sua fuga di compleanno.
    “Non che questo per te sia mai stato un problema.” Si poggiò alla scrivania, le mani ferme sulla superficie a sorreggere il resto del corpo, mentre osservava i movimenti studiati dell’ex Corvonero. Non aspettava una risposta alla sua affermazione, il conto aperto dell’Huxley – e ancora non saldato – parlava da sé. Ok, nel periodo in cui era impegnato con l’allestimento del SUB le sue visite si erano fatte più sporadiche, ma non era mai stato il tipo da rifiutare (o non reclamare) un bicchiere di whiskey o un cocktail ghiacciato. “Non sei il tipo da disdegnare un corpo scoperto.” Non solo per la completa e totale assenza di pudore, per le bravate che gli erano costate un’intera carriera o per le diverse avventure che lo avevano visto protagonista alle feste di capodanno, quanto per la sua mancanza di filtri, per quel desiderio di poter arrivare alla vera natura delle cose e, forse, anche di sé. Portò lo sguardo sul busto dell’uomo mentre si liberava del maglione, soffermandosi indisturbata per qualche secondo sugli ampi pettorali, prima di seguire con particolare attenzione il movimento delle braccia, notando e apprezzando particolarmente come i muscoli si flettevano sottopelle. “Sicuro di non voler tentare un provino?” Domandò con un sorriso, una velata ammissione su quanto il fisico dell’Huxley potesse essere abbastanza in forma per i suoi gusti e non solo per quelli del suo locale. Sulle doti da ballerino ci sarebbe stato parecchio da lavorare, così come sulla sua personalità irruenta e poco adatta a trattare col pubblico, ma c’era altro, molto altro in realtà, che non era decisamente da scartare. Spostò le iridi chiare sui vestiti riposti meticolosamente sulla spalliera del divano, sollevando piano un sopracciglio. “Anche se sono molto più curiosa di sapere cosa potrebbe accadere se facessi accidentalmente cadere il tuo maglione a terra.” Incrociò le braccia al petto, picchettando piano con le dita la punta del mento. In realtà aveva un’idea ben precisa di quello che sarebbe successo, soprattutto del volo che avrebbe fatto il mercenario fuori dal suo locale qualora avesse deciso che la soluzione più pacifica a quell’imprevisto fosse sfasciarle lo studio, ma quelli erano solo dettagli marginali, di poco conto.
    “Un Dom Pierre Pérignon Rosé del ’92? Oh Elwyn, questo champagne non è un furto. Non potrà mai esserlo.” Si avvicinò all’uomo mentre estraeva la bottiglia dalla borsa magica, riconoscendo la tipologia di bollicine solo dal particolarissimo packaging nero con le striature rosate. Glielo sfilò delicatamente dalle mani, lo sguardo che passava incredulo dal maggiore a quel piccolo tesoro che non tutti potevano permettersi e che ancor meno palati avrebbero potuto comprendere. “Una scelta raffinata, di buon gusto.” Che cozzava così tanto con la persona tirchia e non propriamente elegante che aveva davanti. “L’unico crimine che si potrebbe commettere, è non berlo ghiacciato.” Continuò osservando il metamorfo aggirarsi nel suo studio come se fosse a casa propria, con una naturalezza e disinvoltura che nessun altro, a parte lei, avevano in quell’ambiente. Ma non aveva abbastanza tempo per soffermarsi su quei dettagli, troppo impegnata a cercare di capire esattamente cosa stesse succedendo, quali fossero le reali intenzioni dell’Huxley, soprattutto perché nessuno sarebbe entrato a mezzanotte dalla porta alle sue spalle, nessuna esibizione si sarebbe interrotta per augurarle un buon compleanno. In queste occasioni, quando i protagonisti erano i suoi dipendenti, erano soliti organizzare qualcosa prima l’apertura del Lilum: una torta, una bottiglia da stappare e qualche pensierino di gruppo. Non si lasciava mai coinvolgere troppo, non usciva quasi mai dalla muta di Svetlana, restando per lo più sulle sue, mostrandosi generosa con la quota da versare o offrendo uno dei loro liquori più pregiati. Cercava di cambiare le disposizioni in sala affinché il festeggiato o la festeggiata avessero la possibilità di prendere mance più cospicue. Non si univa alle celebrazioni più dello stretto necessario e non si lasciava trascinare dall’euforia collettiva, evitava di mangiare qualsiasi cosa le venisse offerta, limitandosi a partecipare al brindisi prima di re-immergersi nei suoi impegni, di tornare a governare il suo piccolo mondo dall’altro.
    Non era più in grado di instaurare legami profondi con le persone. A dirla tutta, questa era una caratteristica che Svetlana non aveva mai avuto. Tuttavia, i suoi ballerini erano anche le persone con cui trascorreva la maggior parte del suo tempo, quanto di più simile ci fosse a una famiglia e lei non poteva usarli, non voleva spremerli per poi gettarli via una volta che non incassavano più abbastanza. Si era impegnata con ogni fibra del suo essere a rendere il Lilum un posto migliore e questo comportava anche che lei scendesse a compromessi con se stessa, con quanto poteva o non poteva mostrare di sé.
    Per questo motivo all’inizio pensò semplicemente che Elwyn volesse affidare a lei quella bottiglia perché in grado di apprezzare le note floreali di testa dello champagne, che sarebbero andare a sfumare man mano in profumi più fruttati e agrumati, perché in grado di riconoscere quella precisa annata solo dal sapore denso e corposo del liquido sul palato.
    Per essere chi era, non si dava abbastanza credito. In realtà, non si amava abbastanza da poter anche solo pensare che ci potesse essere qualcun altro al mondo così folle da voler vedere cosa ci fosse dietro la sua maschera.
    Se non fosse stata distratta dal buonumore di quello che poteva tranquillamente essere considerato membro onorario del Lilum, da quella risata iniziale che le aveva migliorato la serata, dalla semplicità con cui accettava che qualcun altro potesse invadere i suoi spazi, forse ci sarebbe arrivata qualche minuto prima. Forse avrebbe colto il motivo per cui il maggiore era lì quella sera. Ma non voleva pensarci, non voleva correre il rischio di illudersi e di restare delusa, di credere che per l’uomo valesse qualcosa, anche meno di una bottiglia pregiata di champagne.
    Eppure una parte di lei non aveva smesso di raccogliere ed elaborare i dati, una parte di lei era ancora abbastanza umana, abbastanza fiduciosa da credere che anche lei meritava qualcosa di bello o di speciale senza dover dare necessariamente nulla in cambio.
    E poi il click avvenne. Poco dopo aver assunto un’espressione disgustata alla sola menzione di pannolini. Avrebbe potuto aggiungere altro, avrebbe potuto pungolare l’ex giocatore di Quidditch ancora un pochino, soltanto per il gusto di farlo, semplicemente perché lui glielo permetteva, ma si bloccò diversi istanti, le labbra leggermente dischiuse, le dita della mano strette attorno all’involucro del tappo che stava per rimuovere.
    “Oh.” Fu tutto quello che riuscì ad articolare in un primo momento, temporaneamente senza parole, mentre le iridi chiare raggiungevano quelle di Elwyn, cercando nei suoi occhi un’eventuale fregatura. Non sono qui per me. Poteva significare solo una cosa. Erano in due in quella stanza e non era poi così difficile andare per esclusione. Richiuse la bocca, mordendosi piano il labbro inferiore.
    Holden a parte, faceva a ricordare quando fosse stata l’ultima volta che qualcuno cui teneva avesse fatto qualcosa per festeggiare il suo compleanno. Non esisteva più per la sua famiglia, faceva fatica a credere che Elwyn, tra tutti, si fosse spinto così in là per celebrare quel giorno.
    C’era un’altra crepa che inconsapevolmente stava mostrando al mercenario, un’altra falla in quella maschera soltanto all’apparenza perfetta. Gli stava inconsapevolmente indicando un altro punto dove avrebbe potuto sferrare un colpo per farle del male, se solo avesse voluto farla soffrire.
    Quella volta, però, una parte di lei sentiva di potersi fidare di quell’uomo che aveva la capacità di rompere i suoi schemi, di sgretolare a poco a poco quella maschera che non riusciva a non indossare. Una parte di lei voleva concedersi il lusso di non provare paura per quello che sarebbe successo se ogni sua difesa fosse venuta meno.
    “Dovresti essere qui per me ogni volta.” Provò a riprendersi da quel piccolo black out, a far ripartire il sistema, sperando che l’ex Corvonero non cogliesse quell’occasione per sfilarle uno dei suoi tanti coltelli per puntarlo lì dove si era appena scoperta, dove si era mostrata vulnerabile. “Ma so di non poter competere con il tuo ego smisurato.” Continuò scartando lentamente la copertura in alluminio, continuando a sostenere lo sguardo dell’altro. “Tuttavia, essendo qui per la sottoscritta…” ripeté indicandosi prima di sedersi sullo schienale del divano e prima che Elwyn potesse cambiare idea “… perché vogliamo festeggiare?”
    Non c’era vanità in quelle parole, non c’era boria, non c’era arroganza, soltanto tanta, tanta gratitudine che ancora non riusciva ad esprimere e quella piccola infantile voglia di sentirsi importante, almeno per qualcuno che fosse in grado di vederla.
    Seguì il piccolo botto, non troppo forte, quasi discreto, del tappo che veniva liberato dalla bottiglia, tale da farle portare l’attenzione altrove, in lidi più sicuri. Versò lo champagne nei due flûte sul tavolino e ne porse uno a colui che, forse, nonostante la lunghissima lista di difetti, avrebbe potuto considerare almeno un amico, che, nonostante il distacco fisico ed emotivo che si riservavano l'un l'altra, avrebbe voluto quanto meno abbracciare in quel momento, così, per iniziare.
    “Lascio a te il discorso. Stupiscimi.”
    O, come sarebbe stato il caso di dire, continua a stupirmi.
    Slut
    Slytherin
    Lilum
    You'll believe God is a woman
    And I, I feel it after midnight
     
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