im in love with this guy but its none of his business

[ joni ft. julian ]

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    joni aveva un peso sul petto.
    la luce non filtrava ancora dalle finestre del dormitorio, e la peetzah stava sognando: sognava quel blocco di cemento a premerle sulla bocca dello stomaco, che le impediva movimenti e respiro. nel dormiveglia, quella parte del suo cervello già attiva sapeva cosa stava succedendo, e si pentiva amaramente di non trovarsi ancora nella fase REM «jo/ooooo/niii, apri gli occhi su!» meh, doveva proprio? la Dylan appollaiata su di lei come un uccello del malaugurio sembrava esserne convinta, ma joni non voleva.
    certo, prima o poi avrebbe dovuto, maledette lezioni, ma il pensiero di darsi malata almeno quel giorno le aveva sfiorato la mente ben piu di una volta, durante quella notte quasi insonne «ancora cinque minuti» mugugnó, la voce impastata e le palpebre serrate, già sapendo sarebbe stato inutile: era l'alba del 15 febbraio, e Dylan Kane in quella data in particolare non ammetteva proteste o bronci di sorta «no, scordatelo, quali cinque minuti! siamo già in ritardo!» strinse gli occhi ancora più forte, la tassorosso, cercando di girarsi su un fianco senza successo; sapeva cosa stava per dire l'amica, e a quel punto tanto valeva che la soffocasse con un cuscino (dyl a joni, ma volendo anche il contrario ♡) «sei nata già da mezz'ora» ugh.
    un altro giro intorno alla Terra, l'ennesimo passo avanti verso la tomba — l'ottimismo è il profumo della vita.
    «e se non ti alzi tra poco potrei essere morta» che non era nemmeno una frecciatina velenosa, ma una constatazione bella e buona. quando Dylan le scese da dosso, saltellando sul letto con abbastanza entusiasmo da farle venire il mal di mare, joni capì di non potersi sottrarre a quell'agonia «va bene, hai vinto» non lo faceva sempre? «sono sveglia» si mise a sedere con un colpo di reni, buttando via le coperte insieme all'ultimo residuo di speranza: che fosse solo un sogno, che Dylan avesse sbagliato giorno, che magicamente la luce del sole stesse già lasciando posto alle ombre della sera. temette quasi di vedere un'onda di palloncini colorati, quando aprì gli occhi, ma all'orizzonte non se ne vedeva nemmeno uno — non si poteva dire che Dylan non imparasse dai suoi errori «dai, Dyl. puoi dirlo. se ti trattieni ancora un po esplodi» ed in effetti sembrava proprio che la Kane stesse evitando accuratamente di respirare, le guanciotte gonfie d'aria e le iridi verde acqua lucide per l'emozione; joni avrebbe tanto voluto poter fare lo stesso per lei, regalarle anche solo metà di quell'entusiasmo, meritarselo davvero.
    invece poteva solo concederle quello, l'accettazione passiva di una tortura che a chiunque altro sarebbe stata negata «AAAAAAH È IL TUO COMPLEANNO AUGURI DICIASSETTE ANNI SEI UNA STREGAA MAGGIORENNE AAAAHHHHHHHH» c'era da dire che in quanto a gioia almeno si compensavano «yu-hu» con lo stesso tono basic di un Joey che dice ueppa «evviva» non dovette nemmeno fare lo sforzo di sollevare le braccia in aria, perché Dylan gliele stava già scrollando tra un gridolino d'eccitazione e l'altro «brava, apprezzo lo sforzo, così mi piaci! ora andiamo a fare colazione, ho corrotto gli elfi per avere una scorta di pancakes banana e cioccolato» quello era il genere di cose che all'amica riusciva benissimo: prendere le persone (o le creature magiche in questo caso) per sfinimento «ok, mi vesto e arrivo» si era convinta alla parola 'colazione', ma a 'pancakes' joni aveva già messo un piede sul pavimento.
    fece per alzarsi, mentre Dylan le lanciava la divisa e si avviava alla porta, quando un dubbio atroce la colse «non hai organizzato qualche sorpresa in sala grande, vero?» «ma chi, io?» — narrator: obviously she did it.


    alla fine c'erano stati i palloncini.
    e i pancakes, e una torta, e diciassette candeline con fiamme così alte che joni per un attimo aveva temuto (o sperato) andasse tutto a fuoco.
    fortunatamente, c'erano anche le furie.
    persino un Mac a farle cenno da lontano, l'ombra di un sorriso sul volto pallido.
    per un attimo, e lì la giornata di joni aveva cominciato a scendere rapidamente lungo una brutta china, c'era stato anche Julian: la rapidità con cui la peetzah era scappata via dalla tavola dei Tassorosso, un pancake a penzolarle ancora dalla bocca, avrebbe fatto invidia persino a Usain Bolt. era un comportamento di cui non andava fiera, perché mai prima di era ritrovata a scappare di fronte ad un problema invece che affrontarlo a viso aperto, ma il fattore Giuliano aveva un po' scombussolato i suoi piani di vita.
    «auguri peetzah! ho un regalino per te» si era alzata per prima con tutta l'intenzione di schizzare via dall'aula di Arti Oscure non appena finita la lezione, ma la voce del prof Jackson l'aveva inchiodata sul posto prima di completare il suo piano di fuga. a malincuore si voltò invece verso il professore, mentre gli altri studenti man mano defluivano passandole dietro, e quando lui le fece cenno di allungare la mano joni la allungò; subito dopo si ritrovò sul palmo una manciata di galeoni e caramelle incartate «sono i soldi che mi doveva dal mese scorso?» o quelli del mese prima ancora, ormai aveva perso il conto. invece di rabbuiarsi o risentirsi, Eugene Jackson scoppiò a ridere battendo entrambe le mani sulla scrivania «ah, bambini! vi adoro!» con la coda dell'occhio vide Julian recuperare appunti e penne, i loro sguardi ad incrociarsi per un attimo — possibile che dovesse essere per forza così difficile? «si sono i soldi che ti dovevo, ma le caramelle sono speciali. tipo red bull, ti danno la carica senza lo spiacevole inconveniente di essere considerate sostanza stupefacente illegale» ora si che l'uomo sembrava dispiaciuto.
    «ok... grazie?» si cacciò in tasca galeoni e caramelle, e quando fece per andarsene il grifondoro non c'era già più.
    touché.
    perché gli corse dietro, joni non lo sapeva.
    o forse si, ma insomma: certe domande era meglio non porsele, a priori «ehi Bolton, eh- puoi rallentare??» stupide gambe da giraffa «devo parlarti di- senti ti fermi?» molto probabile che le abbia risposto no, ma alla fine si fermò comunque; almeno il tempo sufficiente perché lei potesse afferrarlo per un braccio «non qui però» e trascinarselo appresso, volente o meno. fino alla torre di astronomia, luogo mistico che joni aveva scelto lì per lì, probabilmente perché era il più lontano e durante il percorso per raggiungerlo avrebbe potuto pensare a cosa dire, a come dirlo; spoiler: camminare in silenzio per il castello con Julian che le camminava accanto osservandola dall'alto non era stato di nessun aiuto.
    «allora» quanto meno un lato positivo in tutta quella faccenda c'era — erano completamente soli. nessuno avrebbe assistito a quella scena che joni già si immaginava patetica, e si sarebbe assicurata in seguito che anche il portiere Grifondoro si portasse il segreto nella tomba; ogni cosa a suo tempo «innanzitutto- ti dispiace guardare da un'altra parte?» chiedergli di chiudere gli occhi sembrava extreme, ma lo era anche quel suo modo di guardarla fissa, con le braccia incrociate al petto «ecco, bravo. dicevo.. innanzitutto grazie per il regalo di natale» eh, un po in ritardo, ma le serviva qualcosa per rompere il ghiaccio. avrebbe potuto usare la testa di Giuliano, ma a quel punto sarebbe rimasto poco da confessare «era un bel cd» finalmente delle canzoni di tutto rispetto.
    poi si bloccò.
    le stava tornando il mal di testa.
    prima di rendersene conto aveva già in bocca una caramella del prof Jackson a sciogliersi rapidamente sulla lingua «mh, sa di fragola. ne vuoi una?» giuro, non è droga [meme_scimmietta.jpg]

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    Dopo la corsetta della mattina si era appoggiato alla finestra in marmo ed era rimasto seduto lì per un’oretta buona; salutava i compagni, dispensava come al solito sorrisi a chiunque passasse di lì, ma con l’espressione stranamente assorta e preoccupata.
    Julian non era un grande fan di San Valentino: aveva un gran cuore capace di distribuire amore in ogniddove, e una visione ogni tanto un po’ troppo favolistica della realtà, ma non gli piacevano così tanto i plateali gesti romantici – soprattutto se comandati; poi, diciamocelo, non sosteneva al 100% la moda di scambiarsi dolciumi e cioccolatini perché mandava all’aria mesi e mesi di duro allenamento e di petti di pollo mangiati a pranzo e a cena. Quindi, quando la mattina di quella festività un po’ vaga si ritrovò a fermarsi nel corridoio con aria di attesa, rimase un po’ sorpreso e infastidito anche lui.
    Faceva rimbalzare lo sguardo da un angolo all’altro ricercando il viso arrabbiato della Peetzah, prestava attenzione se ad ogni angolo vedesse svolazzare ciocche rosse di capelli, e origliava le conversazioni lontane nel tentativo di riconoscere il tono di voce tipicamente piccato della tassorosso.
    Alla fine Joni non era passata, e lui se n’era andato.
    Non sapeva perché l’avesse fatto; non gli servivano scuse per andare a cercare la tassorosso e (darle fastidio) parlare, né si era mai chiesto se fosse opportuno o meno farle qualche regalo. A Natale, anzi, aveva saputo esattamente cosa fare, cosa regalarle, e come muoversi in anticipo; ma il 14 febbraio non era Natale, e aveva il sentore – anzi, era abbastanza sicuro da metterci la mano sul fuoco – che Joni disprezzare quel giorno anche più del Natale, e che non sarebbero bastati CD di canzoni appositamente selezionate per farle cambiare idea.
    Non che avessero qualche motivo per festeggiare insieme il giorno di San Valentino; o festeggiarlo in generale.
    Il grifondoro aveva capito tempo fa che continuare a raccontarsi che quella specie di tuffo al cuore che provava quando si trovava insieme alla battitrice derivasse da un semplice e puro divertimento dato dal loro continuo gioco fosse assolutamente controproducente; aveva preso coscienza che fossero sentimenti che andassero ben oltre la semplice amicizia, aveva accettato i suoi sentimenti per la rossa, e insieme a loro aveva anche accettato di tenerli sopiti per non perderla definitivamente. Era più che certo che quello che provava fosse unilaterale; la Peetzah non aveva mai dimostrato alcun interesse verso di lui – se eyerollare a ogni sua parola, colpirlo, e offenderlo per qualsiasi cosa facesse, non contavano come interesse –, quindi erano amici, e sarebbero rimasti tali, e gli amici non festeggiano San Valentino insieme, giusto? Giusto. Questo presupponeva che in quello stesso giorno la tassorosso non avesse niente da festeggiare? eh, di questo non ne era particolarmente sicuro. Erano amici (forse) ma non quel tipo di amici che si dicono le cose, quindi la possibilità – il timore – che la status di Joni passasse da single a impegnata – e magari anche con quel Noolan – era sempre dietro l’angolo.

    Ciò di cui era certo era che il 14 febbraio non fosse il compleanno della tassorosso, ma restava un enorme punto interrogativo riguardo quando fosse di preciso il suo compleanno. L’anno prima avevano festeggiato il 13 febbraio, quell’anno, invece, Dylan li aveva radunati tutti in Sala Grande la mattina del 15 febbraio, e l’anno successivo, poi, chi poteva saperlo quando la tassorosso avrebbe deciso di nascere.
    Era entrato nella Sala Grande ancora indossando la tenuta da allenamento mattutino, il tempo di canticchiare un timido “tanti auguri a te”, e non appena fece per avvicinarsi alla rossa, questa fuggì via prima che Julian potesse farle gli auguri, il sorrisino furbo già stirato sul viso, preannuncio di una battuta con cui era pronto a stuzzicarla.
    Ma invece rimase immobile, il sorriso a spegnersi (come il suo sole) mentre guardava la Peetzah correre via dalla porta principale e imboccare probabilmente la strada per la Sala Comune, o la prima lezione della giornata; si era aspettato un’occhiata storta, una gomitata nel fianco, addirittura che si arrampicasse sulle spalle di Thor per piazzargli uno schiaffo sul collo, ma che venisse ignorato era una cosa del tutto nuova per lui. Si rigirò il pacchetto incartato tra le mani e poi sorrise morbido verso Livy. «forse era in ritardo per la lezione!!» ipotizzò con una scrollata di spalle e allungando gli angoli delle labbra «ci riproverò più tardi».
    E ci aveva provato.
    Prima della lezione di incantesimi Joni era corsa a consegnare qualcosa alla Winston, a pranzo non gli aveva neanche dato il tempo di alzarsi dal tavolo rosso-oro che era scappata via, e poi era andata al campo di Quidditch a prendere a bastonate i bolidi; e allora, arrivato all’ultima lezione della giornata, le aveva semplicemente lanciato un’occhiata mentre, di spalle, era a colloquio con il Jackson, i loro sguardi a incontrarsi solo per un attimo, l’angolo delle labbra piegato in un sorriso un po’ mesto «ci riproverò più tardi» – poi uscì dall’aula.
    «ehi Bolton, eh- puoi rallentare??»
    Alla fine ebbe quel famoso tuffo al cuore. Nascose un sorriso, ma continuò a camminare spedito per la sua strada, fin quando non gli afferrò un braccio e allora fu costretto ad abbassare lo sguardo. «ah Peetzah sei tu!» il tono di finto stupore probabilmente era sgamabile da anni luce di distanza, ma vabbè non era mai stato un bravo attore. «è che il suono veniva da troppo in basso, non sentivo molto bene» probabilmente la tassorosso se l’aspettava una risposta del genere perché non fece storie, ma era anche vero che il tono del grifondoro era stato un po’ meno giocoso del solito: essere ignorato ed evitato platealmente per tutto il giorno era un fatto abbastanza gravoso da vedere il suo sole annuvolarsi ulteriormente. «e comunque buon c- ah!» proprio non voleva sentirsele dire Joni, quelle due parole, perché lo tenne per la manica e lo trascinò per tutto il castello fino alla torre di astronomia – e certo, al Bolton sarebbe bastato impuntare i piedi per terra per opporsi ma non lo fece comunque, se non verbalmente. Lanciò uno sguardo oltre la finestra della torre, verso il basso «quindi… mi hai ignorato tutto il giorno perché vuoi buttarmi di sotto?» era una domanda lecita oh, non era mica la prima volta che minacciava di farlo, remember remember the nottedelpromsultettoember? Però aveva obbedito, anche se un po’ dubbioso, e con le braccia incrociate al petto, aveva spostato lo sguardo verso le pietre che componevano la torre – molto interessanti.
    Ma la successiva confessione lo fece sussultare e la guardò per un istante, le iridi scure a posarsi prima sul suo viso, poi sulla mano tesa con un mucchietto di caramelle che… gli stava offrendo? Joni? A lui? c’era veramente qualcosa che non andava. «uhm, grazie. sono… avvelenate, per caso?» chiede, non si sa mai, been there done that, mica era la prima volta che una persona a lui cara lo avvelenava, eh Jordan? Ciao Jordan, miss you Jordan. Comunque il Bolton tendeva sempre a fidarsi delle persone, anche quando gli lanciavano minacce da quasi due anni, quindi si ritrovò a masticare una caramella gusto mou quasi senza pensarci.
    Quello che successe dopo fu quasi peggio: non una meditazione, non un gesto consapevole, ma una scarica di coraggio e incoscienza lo fecero chiudere gli occhi, strizzandoli tra di loro per non guardare la Peetzah, e poi aprì la bocca nello stesso momento in cui la aprì lei:
    «sentijoniiotidevodireunacosa»
    Così, tutto d’un fiato, senza respirare.
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    Julian Bolton avrebbe dovuto capire che la situazione era (tragica) delicata nel momento in cui joni non aveva reagito alla classica battuta sull'altezza — niente, nemmeno un pugno o anche solo quel sopracciglio inarcato che era il suo marchio di fabbrica. ma insomma, il grifondoro era già (bello) alto, non si può pretendere che fosse anche arguto; ci teneva giustamente di piu alla propria vita, che essere trascinato dalla furia di joni fino alla torre più alta del castello metteva a rischio, per notare quanto lei fosse agitata.
    forse lo esternava in modo più contenuto rispetto allo scomparso taichi (#rip, è andata così), ma anche per questo era facile che saltasse all'occhio: quando mai joni aveva evitato il contatto visivo con qualcuno? spesso e volentieri lo cercava di proposito, per asserire dominanza, e mai — mai aveva abbassato lo sguardo per prima. si stava ribaltando la situazione, e la tassorosso fu lieta suo malgrado di scoprire che Julian era ancora disposto a darle corda: lo aveva ignorato per giorni, dilenguandosi senza troppe cerimonie ogni volta che lo vedeva entrare in una stanza, e se l'approccio di joni alle relazioni sociali fosse stato normale, avrebbe di sicuro giustificato il tono piccato nella voce dell'altro. solo che non lo era «non ti ucciderei con una caramella, Bolton» sentiva la propria sciogliersi sulla lingua, in bocca un'improvvisa esplosione di fragola e lampone; ma non solo: pizzicava, facendo una miriade di bollicine, e con un brivido involontario joni si rese conto in quell'istante che avrebbe potuto fare di tutto — scalare una montagna, spingere Giuliano giù dalla finestra, saltargli al collo (per strangolarlo o baciarlo questo è tutto da decidere), farsi le scale di corsa una decina di volte, dire la verità tutta la verità nient'altro che la verità.
    quello che fece, spinta da un bisogno irrefrenabile condito con una bella scarica di adrenalina e qualunque cosa ci fosse nelle caramelle, fu allungare il braccio destro fino a raggiungere il viso di Julian (un lungo tragitto), tappandogli la bocca con la mano «no! no, non puoi» cioè, the disrespect! ma aveva una vaga idea di quanta fatica avesse fatto lei negli ultimi mesi, pensando e ripensando in modo ossessivo a cosa voleva (o doveva) dirgli? credeva forse di avere il diritto!!1? di rubarle il momento propizio!!!#1!!, quando finalmente il bisogno di vuotare il sacco si era fatto troppo impellente per continuare ad ignorarlo — o fingere di non provare nulla, come si era ostinata a fare all'inizio, con scarso successo «sono io che devo dirti una cosa, capito? tu aspetti il tuo turno, e fossi in te mi assicurerei di non citare il Natale» dopo la terribile confessione dei propri sentimenti nei suoi confronti l'ultima cosa che joni avrebbe potuto sopportare era l'ennesima pippa sulle canzoni di Michael Bubblé; allora sí che la finestrella affacciata sul vuoto sarebbe diventata un'attrazione irresistibile.
    gli lanciò un'occhiataccia, la minaccia™, ma la mano rimase dov'era.
    e in realtà anche la peetzah, che a dirla tutta di parlare non sembrava avere davvero voglia. un conto era pretendere di avere la prima parola (e possibilmente anche l'ultima, come da tradizione), un altro esprimere ad alta voce quello che sentiva dentro, senza essersi preparata un discorso. perché un discorso lo doveva fare, di questo era sicura: suddiviso per punti, inconfutabile, con una spiegazione logica che la mettesse al riparo nel caso il grifondoro avesse avuto qualcosa da dire. confessare così, a brucio, con Giuliano che le sbavava sulla mano, non era previsto «senti-» gli occhi blu della neo diciassettenne si illuminarono, man mano che un'idea geniale per guadagnare tempo prendeva forma nella sua mente «facciamo così, Bolton, ti sfido» ah, cosa non si fa per l'achievement! «una cosa semplice, veloce e indolore»
    (molteplici pg in the background: title of my sex tape)
    le spuntò persino un sorriso baldanzoso sulle labbra, sebbene poco coerente con lo strano tumulto di ansia e nervosismo che le si annidiava proprio sulla bocca dello stomaco; doveva trattarsi di un effetto secondario delle caramelle, ma se le permetteva di arrivare alla fine della giornata senza dover rivalutare tutta la sua esistenza, a joni andava più che bene. fosse stata droga, come ci si aspettava da Eugene Jackson, sarebbe stato ancora meglio: ore di black-out che non avrebbe mai ricordato? un sogno, forse una favola. però, voglio dire, la tassorosso sapeva adattarsi, sfruttare al meglio quel poco che aveva; quindi si, sorrise, togliendo infine la mano dalla bocca di Julian per afferrare invece la bacchetta «chi riesce a prendere più pop corn al volo potrà parlare per primo» aveva un che di assurdo, ma la peetzah era ormai partita per la tangente — di solito, tra i due era Giuliano quello che parlava per primo, a ruota libera, con joni ad infilarsi nel discorso tramite lievi minacce e gomitate nei fianchi. per una volta, aveva qualcosa da dire, un peso enorme da togliersi dal petto per tornare a respirare. e se la situazione aveva preso una piega inaspettata e un po fuori nel righe, era solo perché quel salto nel buio la spaventava a morte: parlarne con Dylan era come chiudere gli occhi e lasciarsi cadere, sapendo di trovare una rete di sicurezza al di sotto; dire la verità a Julian somigliava più ad una caduta libera senza paracadute.
    puntando il catalizzatore verso la propria mano sinistra fece apparire un sacchetto di popcorn (dai su esisterà un incantesimo così nella vita altrimenti cosa stanno imparando?????) che aprì con un allegro scoppiettio «ne lanciamo dieci a testa. chi ne prende di più vince» certo, la differenza di altezza poteva essere un problema (per Giuliano), ma joni partiva preparata grazie all'esperienza di lanci di pop corn con Morley. per questo diede una rapida occhiata in giro, afferrando poi una cassetta di legno abbandonata nell'angolo abbastanza alta da diminuire vistosamente quel gap che li divideva; salendoci sopra con entrambi i piedi, joni poteva per una volta guardare il Bolton negli occhi e sfidarlo ad armi pari «inizi tu» sostenne, un chicco di mais bianco e croccante già tra le dita: iniziava ad avere un piano ben preciso in testa, e non poteva fallire — se Julian li avesse afferrati tutti e dieci, cosa che la diciassettenne non credeva davvero fosse in grado di fare (dado di Telegram: watch me), almeno lei avrebbe avuto il tempo di prepararsi psicologicamente per fare un pareggio, o rubargli in modo del tutto illecito il diritto alla precedenza di parola.


    perché non era affatto più semplice dirgli chiaro e tondo che le piaceva, proprio no.

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    Julian non sapeva cosa sarebbe arrivato dopo il sentijoniiotidevodireunacosa perché dapprincipio non sapeva che ci sarebbe mai stata una frase del genere.
    Qualsiasi cosa Julian dovesse riferire a Joni non aveva bisogno di prologhi, presentazioni, e preamboli vari, non c’era mai stato bisogno di giri di parole o di elucubrazioni preliminari; al Bolton bastava aprire la bocca per scatenare in Joni una qualsiasi reazione. Che fosse un pugno, una gomitata, un buffetto o un pestone, un’occhiata truce, più raramente una risata o un cenno assertivo, non solo Julian sapeva che sarebbe andata così, ma se lo aspettava.
    In effetti, tutto il rapporto che aveva con la Peetzah ruotava attorno a un’aspettativa che il Bolton aveva costruito. Si aspettava che Joni arrivasse in Sala Grande tutte le mattine insieme alle furie, si aspettava che lui facesse una battuta, e si aspettava di ricevere un colpo; e poi si aspettava che Joni corresse dietro qualsiasi ingiustizia, che colpisse i bolidi con una forza che, piccola com’era, nemmeno pensava potesse contenere; e poi ancora si aspettava, e aspettava, che il suo viso si colorasse quasi di rosso quando si arrabbiava e che le lentiggini sulle guance e sul naso risaltassero ancora di più, e che le sopracciglia si corrugassero, e che le nocche delle mani diventassero bianche per un pugno troppo stretto e trattenuto troppo a lungo, e che roteasse gli occhi azzurri appena lui faceva una battutina infelice, ma aspettava anche il piccolo sorriso nascosto alla fine di quel loro scambio. Erano tutte cose che sapeva che sarebbero successe, e raramente le sue aspettative venivano disattese.
    Ma quel sentijoniiotidevoparlare? quello sì che era, per rimanere in tema, inaspettato; ed era così anche per lui che l’aveva pronunciato. In primo luogo, non sapeva neanche perché avesse deciso di dire una cosa simile, figurarsi se avesse la minima idea di come l’avrebbe detto, o cosa ancora più importante, come avrebbe reagito Joni. Che poi era il nodo centrale della questione, no? Quello stretto meticolosamente come se fosse stato fatto da Capitan Findus in persona, posto al centro di quella corda che teneva insieme le due estremità opposte che avrebbe inevitabilmente dovuto affrontare dopo quello che stava per dirle: più che amici e non più amici.
    Un po’ melodrammaticamente, ora sperava davvero che quelle caramelle fossero solo un diversivo per ucciderlo e che stesse per accasciarsi al suolo prima di poter dire qualsiasi altra cosa e rovinare tutto. E invece quella caramella non gli aveva donato una via di fuga semplice, ma gli aveva restituito quel coraggio di cui era naturalmente provvisto, la tipica spensieratezza e il suo solito ottimismo, tutte cose che quando si trattava di affrontare quello che provava per la Peetzah si divertivano a giocare a nascondino, e che messe in uno shaker tutte insieme quella volta avevano dato vita a un cocktail, questo sì, potenzialmente mortale (perché Joni probabilmente l’avrebbe ucciso): il sentijoniiotidevodireunacosa.
    E invece, per sua fortuna o sfortuna, la sua confessione fu brutalmente bloccata e fu costretto a riaprire gli occhi, un po’ confuso e con le labbra ancora dischiuse contro il palmo della tassorosso «anch’io devo dirti una cosa» insistette, le parole che andavano a infrangersi contro la pelle della ragazza e risuonavano solo come un lontano e indistinto bofonchiare continuo «e non c’entra il Natale» per quanto strano potesse sembrare, aveva anche altri topic di discussione e in quel particolare momento la cosa che doveva dirle non aveva nulla a che vedere con canzoni di Mariah Carey, elfi di Babbo Natale, pacchi regalo e slitte volanti. Anche se, a pensarci bene… «forse» diciamo che se proprio doveva, avrebbe fatto a meno di menzionarlo per il bene di tutti e due e per evitare che Joni fraintendesse e che come conseguenza lo lanciasse giù dalla finestra – una possibilità da tenere sempre in considerazione.
    Abbassò lo sguardo sul viso della Peetzah e ne studiò l’espressione, indeciso se rimanere in ascolto o se divincolarsi da quel divieto di parlare che gli aveva imposto; perché ora doveva parlare. Arrivati a quel punto, tanto valeva sfruttare fino alla fine gli effetti di qualsiasi cosa contenesse quella caramella e andare fino in fondo, o la va o la spacca – ma se Joni avesse parlato per prima e gli avesse detto qualcosa di terribile tipo boh che si era fidanzata (con Cillian Noolan magari, vero incubo, oppure boh uno a caso proprio a casissimo di cui Julian non aveva mai sospettato tipo boh Kiel) avrebbe decisamente spezzato il mood.
    Quindi restò fermo e in silenzio a guardarla, in quella specie di stallo alla messicana in cui non si sfidarono due sguardi minacciosi ma entrambi piuttosto sospesi in un’aria colma di ansietta da entrambe le parti
    «facciamo così, Bolton, ti sfido»
    Ancora impossibilitato a parlare, alzò un sopracciglio e si fece attento – una sfida era una sfida, sempre, ma una sfida con Joni Peetzah era sempre qualcosa in più, come qualcosa che gli pizzicava l’orgoglio più di tutto il resto, e anche se c’erano cose più importanti di cui parlare non poteva mica tirarsi indietro.
    Il sorriso che gli si dipinse sul volto era divertito e anche un po’ spavaldo, mentre sfregava le mani tra di loro e respirava pesantemente come se stesse facendo un mini-riscaldamento di quelli che si faceva nel tunnel del campo da quidditch prima di una partita. «uh, giochiamo ad armi pari oggi» osservò vedendola salire sulla cassetta di legno e raggiungere in questo modo quasi la sua stessa altezza. Per non smentirsi mai, in effetti, si posò una mano sulla testa e la fece scorrere verso la figura della tassorosso, segnando ancora qualche centimetro di differenza tra i due «più o meno, diciamo che ti sei avvicinata» continuò a ridere, ma solo per un attimo, prima che prendesse posto esattamente di fronte alla Peetzah e si preparasse a prendere quanti più pop corn riusciva. Però
    Eh
    Mica era giusto.
    Con quel rialzo la battitrice era arrivata praticamente a qualche spanna dal suo viso e viste anche le premesse e quello che il Bolton doveva dirle, come faceva a non pensare che sarebbe stata la posizione perfetta per un… un… un bacio?! E forse era stato quel pensiero a distrarlo – o forse il poco allenamento, o il fatto che non fosse poi un portiere così eccezionale – e a fargli prendere solo 6 pop corn su 10, mentre gli altri erano rimbalzati sul suo mento, sul naso, o avevano solo sfiorato l’angolo della sua bocca prima di cadere a terra. Non la considerava una sconfitta definitiva, ma non poteva neanche considerarla una vittoria già messa in tasca – diciamo che era andata bene ma non benissimo, perché quando fu il turno della Peetzah di prendere i pop-corn, quella fece quasi en plein, lasciandosene scappare solo uno.
    Allungò l’angolo delle labbra in un sorrisino ugualmente compiaciuto «non sapevo che fossi così brava, avresti dovuto avvertirmi» ma non aveva né un tono risentito né piccato, era il suo personalissimo modo di complimentarsi con lei.
    E così avevano stemperato un po’ gli animi con quella sfida, ma prima o poi bisognava tornare alle cose serie; si mordicchiò leggermente il labbro inferiore, poi lasciò cadere le braccia lungo i fianchi «quindi… a te la parola» perché era lawful good lui, e un patto era un patto, quindi non le avrebbe rubato la precedenza alla parola.
    Anche se la paura che gli dicesse che stava uscendo con qualche ragazzo lo stava mangiando, sì.
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    per un po', joni tornò ad essere felice.
    per quanto poteva esserlo una joni peetzah sempre pronta a impigliarsi in un chiodo arrugginito, distruggere poltrone fatiscenti a suon di pugni o dare calci nelle palle ai propri coetanei.
    sfidare Julian Bolton la caricava sempre di nuove energie, qualunque fosse la posta in gioco; al punto che quasi dimenticò di non essere davvero pronta a vincere «solo sei? mamma mia Giuliano, quanto sei scarso» nascose un mezzo sorriso dietro il palmo della mano, la tassorosso, muovendosi appena sul suo trespolo. guardare il ragazzo negli occhi era una novità che ancora non sapeva se considerare piacevole o l'esatto contrario: finalmente non era più costretta a sollevare la testa o a scavare buche nel terreno sotto i piedi del Grifondoro, ma a quale prezzo — doveva per forza avere quello sguardo da golden retriever, mentre masticava i pop corn mettendo il broncio? chiedo.
    gli porse il sacchetto di carta, sfregando poi le mani tra loro: dipendeva tutto da lei, a quel punto. ed era la prima volta, da quando conosceva Julian, che avrebbe voluto stracciarlo e allo stesso tempo perdere; o, per non scontentare nessuno, pareggiare. così sarebbero andati avanti ad oltranza e non sarebbe stata costretta a dirgli per prima quello che voleva disperatamente dirgli. insomma, joni era combattuta — ma le caramelle del professor Jackson non ammettevano pensieri di sconfitta, scenari vili di resa o passi indietro. anche volendo, dopo aver acchiappato al volo il sesto popcorn, non avrebbe saputo come fermarsi.
    e infatti, non lo fece.
    il decimo popcorn le rimase per un lungo istante appiccicato al labbro inferiore, poi cadde a terra senza emettere suono; cosa che avrebbe fatto anche joni se, sporgendosi oltre la cassetta per tentare di fare l'amplain non avesse trovato la spalla di julian a farle da sostegno «non sapevo che fossi così brava, avresti dovuto avvertirmi» si affrettò a ritrovare la giusta stabilità sul suo piedistallo, la peetzah, senza comunque accennare a scendere; qualunque terribile prova stesse per affrontare, inconsciamente preferiva affrontarla a parità di altezza «a questo punto dovresti dare per scontato che io sia brava in qualunque cosa, bolton» si stupì all'istante di quanto aveva appena detto, perche non era affatto quello che voleva dire, ma ormai era troppo tardi per rimangiarsele «piu brava di te in ogni caso» non stava più sorridendo, joni peetzah.
    quella serenità che aveva provato durante la sfida si era dissipata nel momento stesso in cui il grifondoro le aveva concesso il tanto agognato diritto di precedenza. e adesso? «ecco-» quasi senza rendersene conto, joni mise una mano nella tasca della divisa e afferrò un'altra caramella; altrettanto inconsciamente, se la mise in bocca: menta e limone «senti, non dobbiamo farne una questione di stato» batté le mani tra loro, lasciandosi galvanizzare dal frizzicorino acidulo del dolcetto che le si scioglieva sulla lingua «mi piaci, ok?» that's it.
    e forse avrebbe davvero chiuso li la questione, lasciando Julian con quelle tre parole e nient'altro, ma qualunque cosa fosse contenuta nelle caramelle di Eugene Jackson aveva ormai kicked in e impedire alle a tutti i pensieri che aveva in testa di ottenere l'agognata libertà era impossibile «non c'è bisogno che commenti, Bolton, è una situazione momentanea alla quale sono intenzionata a trovare una soluzione. voglio dire, è una questione chimica no, probabilmente perché sei l'unico con cui riesco a parlare per più di cinque minuti senza provare il desiderio di uccidermi o fare del male a qualcuno» quella non era proprio tutta tutta la verità: omettere le altre cose che le piacevano di lui sembrava al momento la soluzione migliore.
    roteó gli occhi azzurri al soffitto, evitando accuratamente di incontrare lo sguardo del grifondoro, avvertendo il proprio tono di voce farsi via via più teso ma senza poterci fare alcunché «ho provato ad ignorarti per questo motivo, cioè pensavo che standoti un po lontano mi sarebbe passata. ma pazienza insomma, non è davvero importante, te l'ho detto perché dovevo dirtelo e basta. ora che l'ho fatto possiamo tornare ad essere.. quello che eravamo fino cinque secondi fa» con un saltello si ritrovò sul pavimento, entrambe le mani affondate nelle tasche.
    sapeva di essersi tolta un gran peso dal cuore, joni peetzah, ma adesso sentiva una nuova urgenza: quella di scappare prima che Giuliano potesse mettersi a ridere o, assolutamete peggio, tentare di consolarla con fare compassionevole. solo che non voleva fargli vedere quanto volesse darsela a gambe, così si voltò nuovamente verso di lui anticipando le sue mosse con un change tattico di argomento «tu di che volevi parlarmi?» easy, come se avessero appena parlato delle previsioni del tempo o della prossima lezione di CDCM.

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    A Julian le sfide piacevano perché riusciva sempre a godersi appieno il gusto della competizione. Non pensava mai alla sconfitta o a cosa comportasse. Ciò che era importante per lui era partecipare, e non nel modo in cui si cerca di convincere i bambini a non fare i capricci dopo aver perso, ma per davvero davvero; vedeva la competizione come qualcosa che poteva fare la differenza per lui, un’occasione per crescere e imparare sempre qualcosa di nuovo – però sì, aveva 17 anni ed era uno sportivo, ovviamente vincere gli piaceva sempre e dava sempre il massimo per raggiungere quell’obbiettivo, ma non era “l’unica cosa che conta” come invece recita un famoso motto di una famosa fede calcistica.
    Tuttavia, sin da subito quella sfida era stata diversa e aveva assunto per il grifondoro il sapore dolceamaro del caffè, un sapore che non era mai riuscito ad apprezzare completamente; quella volta vincere gli interessava moltissimo, e perdere, d’altra parte, lo spaventava allo stesso modo perché sarebbe significato starsene lì fermi mentre l’altra elencava tutta la serie di motivi per cui a) l’aveva ignorato, e perché b) non potevano essere più amici, e perché c) lei non voleva essere più amica sua, e cosa peggiore perché d) le piaceva così tanto Noolan.
    Una tragedia! E non solo perché avrebbe sprecato il potenziale delle caramelle del prof Jackson, ma soprattutto perché a quel punto il suo sentijoniiotidevodireunacosa sarebbe stato inutile e sarebbe caduto nel vuoto.
    «la cosa è che mi piaci. da più di un anno. non solo come persona: mi piace il tuo carattere, e mi piace quando ti arrabbi e mi piace il tuo viso e mi piace che tu sia bassa, e mi piaci tu» che sarebbe diventato un semplice nonché alquanto triste «la cosa è che volevo farti gli auguri di compleanno».
    Che sotto un certo punto di vista era vero, e ci teneva indubbiamente a consegnarle quegli auguri di compleanno – una missione che da quella mattina gli sembrava impossibile –, ma era diventata una questione piuttosto marginale in quel momento.
    Il Bolton non aveva mai sofferto di fame nervosa. Sapevano tutti quanti ormai che l’unico modo funzionale che aveva il grifondoro per combattere ansia e nervosismo era allenarsi, e quindi capitava di vederlo prima degli esami a fare le flessioni, o gli addominali, o svegliarsi alle 5 del mattino (e non alle 6, attenzione) per fare un doppio giro del castello come corsetta mattutina; ma affogare i pensieri nel cibo, quello non gli era mai capitato. Eppure, dopo il verdetto finale di quella sfida, si ritrovò a rubare un paio di pop-corn dal sacchetto e masticarli nervosamente, sperando che il crunch crunch dato dalla loro croccantezza riempisse le sue orecchie fino a renderlo sordo di fronte alle parole che la Peetzah gli avrebbe detto.
    E no, non le spiritose osservazioni su quanto fosse stato scarso e su quanto lei fosse migliore di lui, alle quali rispose con un sorrisino divertito e una scrollata di spalle – non era quello il problema di Julian, quella era la prassi tra loro due. Lasciò che la tassorosso si appoggiasse per un attimo alla sua spalla e per essere sicuro al cento per cento che non cadesse e che rimanesse in piedi su quel piedistallo arrangiato allungò a sua volta una mano verso il fianco di lei. Accennò una risata e inarcò un sopracciglio, indeciso se prenderla sul serio o meno. Voleva un’altra sfida? Beh, non sarebbe stato di certo lui a negargliela, ma dopo essersi sfidati al lancio dei pop-corn, disciplina che a quanto pare era molto praticata in casa Peetzah, la prossima sarebbe dovuta essere in qualcosa di più familiare al Bolton «anche al salto della corda? o alla corsa coi sacchi? la fuga dal grizzley, o la scalata in montagna? In quelli potrei batterti a occhi chiusi, Peetzah» tutti giochi in cui Giuliano aveva sofferto pesanti sconfitte per opera dei suoi fratelli maggiori, quando vivevano nella madrepatria Russia e gli unici passatempo con cui potevano svagarsi si svolgevano nel cortile di casa (che fosse un caldo pomeriggio estivo o un’innevata sera invernale), e in cui quindi era diventato un grande esperto. «però mi batteresti sicuro a una gara di limbo» allungò l’angolo delle labbra per trasformare il sorriso giocoso in uno pieno di malizia, pronto a scagliare la bomba, mentre allontanava nuovamente le mani dal corpo della tassorosso «sai… l’altezza…» quel topic sembrava non smettere mai di divertirlo, ma quella volta la situazione aveva reso la battuta meno spassosa del solito perché Joni non accennò a scendere dal rialzo, e a parità d’altezza quel giochino non funzionava più. Il grifondoro, quindi, si concesse solo una sottile risatina e piegò la testa di lato, guardando con fare attento e quasi sospettoso la rossa, ma senza allontanarsi di un passo «resti qui sopra perché così è più facile picchiarmi, Peetzah?» una domanda lecita, ma che tuttavia non trovò risposta, perché sapeva bene anche lui che il momento si stava avvicinando.
    E quell’ansia che aveva, quello stato di sospensione in cui si trovava il suo stomaco, non gli piacevano affatto; aveva un brutto presentimento e non voleva ascoltare, non voleva che le cose cambiassero tra di loro, non voleva perdere l’amicizia di Joni, non–
    «mi piaci, ok?»
    wait, wat?
    Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mentre dischiudeva le labbra in un boccheggiare incredulo e quasi fuori luogo sul viso del Bolton.
    Raramente Julian restava senza parole. A dire il vero, mai Julian era rimasto senza parole; aveva sempre avuto qualcosa da dire, e non era mai stato complicato parlare e non si era mai preoccupato di scegliere le parole giuste, e quando era rimasto in silenzio l’aveva fatto perché gli era sembrata la scelta più saggia da prendere. Ma le parole di Joni avevano impedito a qualsiasi pensiero sensato di attraversargli il cranio e arrivare alle labbra perché in quel momento il suo cervello era impegnato a ballare la samba e poi maracaibo mare forza nove scappare sì ma dove zan zan, e alla bocca dello stomaco invece aveva le famosissime farfalle colorate dell’ecuador, e le labbra si distesero in un sorriso largo, e intanto non stava ascoltando davvero le parole dell’altra perché le sue orecchie erano colme del tumtumtum velocissimo del suo cuore. E quindi riuscì a captare solo poche parole di tutto il discorso della Peetzah: «bla bla bla riesco a parlare bla bla bla desiderio di uccidermi bla bla far del male a qualcuno» si rabbuiò improvvisamente, anche abbastanza confuso, un evidente punto interrogativo sopra la chioma castana; e poi: «quello che eravamo fino a cinque secondi fa»
    E allora Julian:
    «NO!» si affrettò ad aggiungere prima che Joni potesse riprendere a parlare «cioè sì anche, se vuoi, però--» ma nel dirlo scosse la testa e fece un passo indietro per lasciare che Joni scendesse dalla cassetta di legno, quindi tornò ad abbassare la testa per guardarla in viso.
    E rimase per un attimo in silenzio.
    Livy gli aveva dato tanti consigli su come conquistare Joni; Ciruzzo e Lollo anche gli avevano dato tanti consigli su come conquistarla, anche se poi li aveva scartati tutti; Dylan gli aveva dato la sua benedizione; Thor aveva addirittura smesso di ringhiargli da lontano; Morley… non gli aveva detto niente, ma non l’aveva neanche cacciato a calci quando si era presentato alla festa di Natale, e quello lo considerava un segnale positivo. Però nessuno lo aveva messo davanti a quella possibilità e nessuno gli aveva detto cosa avrebbe dovuto fare in quel caso, come si doveva comportare dopo.
    «tu di che volevi parlarmi?»
    «no, io… volevo darti gli auguri di buon compleanno» iniziò flebilmente, poi scrollò le spalle ed eliminò completamente quello che aveva detto con un gesto veloce delle braccia a fendere l’aria «ma non solo, cioè non è importante ora. senti non è che per caso avresti un’altra caramella?» attese solo un istante, con i denti che stringevano l’interno della guancia, poi ci ripensò «no anzi lascia stare»
    Pensava di aver bisogno di un boost di coraggio, ma in realtà per fare quello che doveva – voleva – fare non ce n’era bisogno, sapeva di essere pronto perché voleva farlo da quasi un anno. Gli bastò chiudere gli occhi e piegarsi (un bel po’ .) con la schiena, per raggiungere l’altezza della tassorosso, allungare timidamente una mano dietro la schiena dell’altra per avvicinarla al suo corpo, e alla fine posare – o meglio tentare di farlo – le labbra sulle sue, premendo delicatamente su quelle – sempre che Joni non gli avesse tirato prima uno schiaffo dritto dritto sulla guancia, o un calcio tra le gambe per eliminare definitivamente qualsiasi minaccia.
    «però volevo dirti che mi piacevi anche cinque secondi fa»
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    joni aveva un piano.
    quel piano prevedeva che Julian stesse zitto e buono (ciruzzo: triggered) ad ascoltare quanto lei aveva da dirgli, possibilmente senza accennare la minima reazione; una volta vuotato il sacco, avrebbero ripreso le loro vite come prima, senza cambiare di una virgola, ma con un peso in meno sul petto della peetzah.
    e questo era quanto.
    peccato che nessuna parte di quel piano così perfetto sulla carta stesse andando come la tassorosso avesse preventivato: le era mancato il coraggio di parlare subito quando ne aveva avuto l'opportunità, Julian non se n'era stato zitto e buono, le caramelle del prof Jackson l'avevano fatta sproloquiare ben più del dovuto. l'ultima volta che joni aveva messo così tante parole una di seguito all'altra nella stessa frase era stato.. beh, mai «ricordati che hai sempre una finestra alle spalle» doveva aver commentato, tra una cosa e l'altra, quando il Bolton si era lanciato a far lo sborone — finalmente back to their bullshit con le battute sull'altezza.
    sarebbe stato più facile se invece del «NO!» Julian avesse scelto di punzecchiarla ancora un po, ignorando la confessione deadpan con la quale si era appena dichiarata. e invece: «cioè sì anche, se vuoi, però--» la fronte di joni si corrugó, come capitava (fin troppo) spesso quando era il grifondoro a rivolgerle la parola «se non vuoi essere mio amico basta che lo dici, giuliano» avvertiva un pizzicorio fastidioso in fondo alla gola, la peetzah, ma non sarebbe certo stata lei ad insistere; da una parte, anzi, lo capiva — a parti invertite, di fronte ad un sentimento evidentemente (.) non ricambiato, lei si sarebbe fatta da parte «no, io… volevo darti gli auguri di buon compleanno, ma non solo, cioè non è importante ora» un riassunto veloce, ma frammentato da pause e scuotimenti di testa e gesticolare eccessivo: gigio linguini is that you???
    forse lo aveva rotto.
    era chiaro che qualcosa nel Bolton non stesse più funzionando a dovere, e Joni ebbe il tempo di chiedersi se nel pacchetto di caramelle non ci fosse finito anche qualche acido (la cosa l'avrebbe sorpresa? no); poi, per qualche motivo che lei proprio non riusciva a concepire, lo vide chiudere gli occhi. e avvicinarsi? allungare una mano verso di lei? sfiorarle la schiena come il protagonista in un film romantico prima di baciare appassionatamente la ragazza dei suoi sogni? tutto bellissimo, eccetto il fatto che quello non era un film — e joni aveva seguito un corso di autodifesa al quale Morley l'aveva iscritta con orgoglio, facendo il tifo per lei ogni volta che si accaniva su un manichino o l'istruttore simulava un'aggressione e lei lo riempiva di botte.
    i gesti di Julian non erano affatto aggressivi, ma arrivando senza preavviso riuscirono comunque a prenderla di sorpresa, e nella confusione del momento la tassorosso agí d'istinto aggrappandosi allo schema motorio che aveva ormai imparato a memoria: la gomitata piantata nello stomaco del grifondoro, tuttavia, non aveva la forza rabbiosa con la quale avrebbe colpito un molestatore, cosa di cui Giuliano poteva solo ringraziare «stai scherzando» solo un sussurro, gli occhi azzurri sgranati ad osservare il viso di Julian mai così vicino, la mano destra a premergli ancora una volta sulla bocca prima che potesse raggiungere la propria «se stai scherzando e mi prendi in giro, Bolton, ti ammazzo» non avrebbe mai lasciato che la baciasse per compassione, perché gli faceva pena.
    non che sembrasse il tipo, troppo lawful good, ma a quel punto joni non sapeva più cosa aspettarsi.
    «te lo giuro. ti faccio fuori.» ma non si tirò indietro, mentre, giustamente, lo minacciava di una morte lenta e dolorosa. era tutto troppo strano, troppo irreale, per niente come se l'era immaginato; credeva si sarebbe sentita soffocare, stretta tra le braccia di qualcuno, ma in quel momento respirava benissimo — più o meno «non ho mai baciato nessuno» aggiunse, dopo un attimo di pausa: de botto, ma con un senso. non stava cercando di intenerirlo, non era - ancora una volta - la battuta chiave dell'infamous film romantico nel quale la protagonista rivela di essere ancora vergine e chiede all'amore della sua vita pazienza e delicatezza.
    joni peetzah non aveva mai baciato nessuno perché non le era mai piaciuto nessuno.
    considerava sbaciucchiamenti et simili come un buon modo per scambiarsi la mononucleosi (si teneva sempre informata sulle malattie babbane), e al contrario della maggior parte delle sue amiche non si sentiva affatto attratta da quell'universo mistico fatto di contatto fisico e rapporti intimi che violavano lo spazio personale.
    era il fatto che ora volesse baciare Giuliano, a cambiare le carte in tavola — ed era quello che la tassorosso voleva fargli capire: lui era l'eccezione, non la regola «lo sai, Bolton, così ti verrà il colpo della strega» good for him. gli passò la mano libera sotto il braccio, le dita a stringere la stoffa della divisa mentre l'altra finalmente liberava la bocca di Julian; non avevano ancora stabilito le regole™, ma dopo averlo minacciato due volte joni decise che per il momento poteva rimandare: fu lei a baciarlo per prima (vince sempre.), palpebre socchiuse sugli occhi chiari, il cuore a battere un po più forte nel petto «ah.» che come commento, di sorpresa e comprensione, ci stava sempre; si rese conto di aver appoggiato la fronte contro quella del Bolton quando ormai era cosa fatta, iridi grigio azzurre rivolte per un istante al pavimento «i bolidi contro te li batto comunque, sappilo» le priorità sono chiare, anche se sussurrate con un mezzo sorriso a tendere le labbra.

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    Pensate a come sarebbe stato se quel magico 9 luglio del 2006, nel momento in cui il piede di Sir Fabio Grosso stava per impattare con il pallone, si fosse spenta la tv, ci fosse stato un blackout generale e voi aveste dovuto mettere in stallo la vostra esultanza; un grido sospeso tra i denti stretti e i muscoli già in tensione pronti a saltare dal divano – e poi puff!
    Come tutti, anche Julian da piccolo era passato attraverso la fase in cui cercava la risposta a qualsiasi quesito nella serie più iconica di sempre: esplorando il corpo umano; e come tutti, anche Julian aveva immaginato che il proprio organismo fosse abitato da omini con il camice bianco che ne portavano avanti il funzionamento, navicelle spaziali, vari omini rossi che passeggiavano nelle sue vene, e poi i cattivissimi omini gialli, e così via. L’unica differenza che rendeva a dir poco speciale l’organismo del grifondoro era che quello fosse abitato da veri e propri sportivi. Quindi, addio ai dottori e astronauti, ma giocatori di quidditch e di calcio, giocatori di rugby a fare scudo davanti alle difese immunitarie, e poi palloni da basket al posto dei globuli rossi, e tutti personaggi simili che si dovevano occuparsi del perfetto funzionamento del Bolton. E lo sport, si sa è fatto di gioie e dolori, di sofferenze ed esultanze, e… beh insomma potete solo immaginare le reazioni degli sportivi che comandavano l’organismo di Julian a qualsiasi suo traguardo: avevano organizzato il pullman scoperto per girare in tutto il corpo quando il russo aveva imparato ad andare in bicicletta, una manifestazione iper chiassosa e pacchiana stile Super Bowl quando aveva smesso di usare il vasino, e schiuma party con le cheerleader quando era cresciuto il primo peletto, ma c’erano stati anche ammutinamenti vari e critiche disastrose quando qualche cosa non era andata come previsto, quando c’era stata una plateale sconfitta.
    In quel caso, possiamo affermare con assoluta certezza che all’interno dell’enorme corpo di Julian Bolton non fosse in atto nessuna festa esagerata e che non ci fosse nessun ritiro forzato in programma, ma che regnasse il più totale e assoluto silenzio perché tutti i suoi organi erano stati messi in pausa. Non avevano smesso di funzionare, stavano semplicemente aspettando l’input per ripartire, ma era qualcosa al livello del sistema nervoso centrale che sembrava non funzionare – dove normalmente si trovano tutti quegli omini che attivano i pulsanti e poi fanno girare gli ingranaggi, spediscono le informazioni di là e di qua. In quel momento, invece, gli sportivi del Bolton erano schierati sul divano, le sciarpe attorno al collo, le birre sul tavolino, le trombette pronte per essere suonate e dare il via alla festa come un italiano qualsiasi quel famoso 9 luglio del 2006 – la loro ultima azione era stata quella di far chiudere gli occhi al gigante grifondoro e comandargli di avvicinarsi alla tassorosso per baciarla, ma… puff!
    Julian riaprì gli occhi, anzi sgranò gli occhi, nel momento in cui il gomito di Joni raggiunse il suo stomaco, a cui seguì una completa privazione del poco ossigeno che gli era rimasto quando gli tappò – per la seconda volta (per ora) in quella giornata – la bocca con la mano. Iniziava a pensare, Julian, che il palmo della rossa sarebbe stata l’unica cosa che le sue labbra avrebbero mai potuto baciare; forse quello per Joni era un bacio, forse a lei piaceva così, e forse col tempo anche lui avrebbe imparato ad apprezzare quella pratica, e forse stava un po’ correndo perché non erano passati neanche cinque minuti dalla dichiarazione della tassorosso che il Bolton già pensava a come affrontare i suoi kink – insomma, slow down, gigante.
    Allora rimase immobile, la schiena e le ginocchia ancora piegate in avanti e un sopracciglio alzato, mentre l’altra gli lanciava improperi e minacce. Non oppose resistenza, dopotutto ci era più che abituato, ma scosse la testa in modo energico ad entrambe le intimidazioni della Peetzah, alzando una mano per portarla all’altezza del petto e giurarle che no, non si trattava uno scherzo di cattivo gusto, non era una scommessa tra amici, e non era un bacio consolatorio, ma un desiderio che si portava dietro da quasi un anno. Non provò a liberarsi dalla sua presa per tentare un nuovo bacio, non insistette, lasciò semplicemente gli occhi vagare sul viso della tassorosso per studiarne l’espressione combattuta, aspettando che giungesse a un compromesso con sé stessa senza intromettersi.
    Non reagì neanche alla seconda confessione della battitrice, il «non ho mai baciato nessuno» non lo lasciò sorpreso, non lo deluse, non lo preoccupò, non lo sollevò, non lo intenerì, semplicemente non gli diede peso, non aveva un’opinione su quel dato di fatto. Julian aveva già baciato qualcun altro dio mio aveva anche partecipato alla festa dei freaks, ma per lui non era importante, né tantomeno lo era che Joni lo avesse fatto o meno – sapeva che lei non fosse come lui e non si lasciava trasportare dai sentimenti facilmente, e ovviamente era facile supporre che non agognasse così tanto il contatto fisico, e non era neanche come sua sorella Livy che riusciva a lasciarsi andare facilmente, o come Dylan che prendeva una cotta per qualcuno di nuovo ogni mezzo metro, o come qualsiasi altra ragazza che ritagliava le foto dei giocatori di quidditch dai giornaletti per attaccarli sul diario e sbaciucchiarli. Joni Peetzah probabilmente non aveva mai fatto pratica nei limoni con un cuscino, e a lui piaceva anche per tutte queste cose, e il fatto che potesse essere il suo primo bacio non gli metteva ansia perché era sicuro al 100% dei suoi sentimenti, e perché voleva farlo.
    «lo sai, Bolton, così ti verrà il colpo della strega»
    Automaticamente le sue labbra, ancora premute contro il palmo di Joni, si distesero in un largo sorriso divertito, poi si strinse nelle spalle e annuì; ma non appena la mano della tassorosso si allontanò dal suo viso e fu liberato da quella condizione di mutismo indotto, mentre Joni si aggrappava alla sua divisa e il suo viso si faceva man mano più vicino, ci tenne comunque a dire la sua: «mh, sì beh potevi rimanere sulla cassetta e sarebbe stato meno doloroso e più facile» sarebbe stato più facile provare a fare quello che doveva fare, e quello che Joni gli aveva negato di fare, e quello che ora stava facendo al posto suo, per prima.
    Quando le loro labbra si staccarono, ci mise un po’ a riaprire gli occhi e a reagire per davvero – il suo sistema nervoso centrale era finalmente esploso in strombettii ed esultanze varie sulle note di notti magiche, e gli omini in carica ci misero un po’ di tempo a tornare alle loro postazioni e riprendere a far funzionare Julian, che riuscì a riaprire lentamente gli occhi e a rispondere con una risatina bassa alle parole della tassorosso.
    «lo sapevo già, ma non ti darò vita facile, Peetzah, non preoccuparti» rispose a tono, ma con il suo stesso sorriso a illuminargli il volto, e non si azzardò a staccare la fronte dalla sua, perché non aveva finito ancora. Ma prima… «io non smetterò di farti ascoltare le canzoni di Mariah Carey» una promessa, un avviso, una minaccia, ma senza quella carica di terrore che doveva instillare nella ragazza, perché subito dopo provò a baciarla di nuovo «e neanche di prenderti in giro perché sei bassa» dai questa era la volta buona, con le punte dei loro nasi che ancora si sfioravano, le labbra di lui pronte a un nuovo contatto con quelle dei lei «o per i tuoi problemi di gestione della rabbia» a quel punto Julian sembrava molto divertito, ma forse anche eccitato per quel brivido di terrore che correva lungo la sua schiena ogni volta che prendeva in giro la tassorosso e aspettava una sua reazione, così eccitato che rischiò veramente la giocata, per l’ultima volta prima di provare davvero a baciarla di nuovo «e ti ho lasciata vincere alla gara di pop corn»
    Vabbé Giuliano allora dillo direttamente che non ti interessano i baci e che in realtà vuoi solo le mazzate, no kink shaming.
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    Spolliciometro
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    crescendo, joni si era ritrovata nella condizione di doversi porre delle domande; poche, perché raramente si lasciava attanagliare dai dubbi, ma fondamentali.
    domande su se stessa, su quello che la rendeva diversa dalle sue coetanee, sull'elemento mancante: ed erano le stesse che leggeva, e aveva letto per anni, negli occhi chiari della madre, così impreparata di fronte ad una figlia ostile e sulla difensiva. immaginava sarebbe cresciuta come sua sorella Olive, testarda ma disponibile a scendere a patti, un sorriso furbo sulle labbra capace di mitigare qualunque attrito; qualcuno che le avrebbe raccontato i propri segreti, i timori, le ansie adolescenziali, cercando in lei conforto e consigli, una spalla su cui piangere alle prime pene d'amore.
    joni peetzah non aveva mai pianto, di fronte a sua madre. forse non aveva mai pianto, punto, ma questo Ellie Peetzah non poteva saperlo.
    tutto ciò che conosceva lei, che conoscevano quelli che gravitavano attorno alla ragazzina senza riuscire ad intaccarne la scorza, era quel muro di cemento costruito con una velocità sorprendente, impossibile da penetrare.
    anche se qualcuno, a lungo andare, ci era riuscito.
    qualcuno che, a differenza della madre, non aveva mai cercato di cambiare quello che era.
    «lo sapevo già, ma non ti darò vita facile, Peetzah, non preoccuparti» il sorriso appena accennato della tassorosso vacilló, fino a spegnersi del tutto. doveva dirglielo lì, quand'erano solo all'inizio — a joni mentire non piaceva, ed era ancora convinta che l'himbo grifondoro non lo meritasse; forse, se fosse stata come la voleva sua madre, a quel punto avrebbe sorriso e fatto buon viso a cattivo gioco, perché 'le persone scendono a compromessi, pepper'.
    le persone si adeguano.
    le persone cambiano, per il bene degli altri.
    le persone mettono da parte se stesse, togliendo un pezzetto alla volta, pur di farsi accettare.
    sollevò lo sguardo senza però indietreggiare con la testa, approfittando delle battute di Julian per rimettere insieme le tessere del discorso che, fatto a Dylan, le era sembrato così facile; naturale. «é vero» commentó, annuendo appena prima di allontanarsi dal ragazzo per salire ancora una volta sulla cassetta di legno. la prospettiva da lassù era perfetta per esprimere i propri sentimenti, oltre che per mettere una certa distanza di sicurezza tra loro: il cuore di Julian che le martellava nelle orecchie quando lui l'aveva stretta tra le braccia non la aiutava affatto a pensare con la lucidità necessaria «tu mi piaci.» l'aveva già detto, ma a quel punto poteva ribadirlo senza avvertire alcun peso a scavarle nel petto «e io piaccio a te» un sopracciglio ramato si sollevò appena: la cosa lasciava la tassorosso ancora perplessa.
    già quella sera sul tetto, quando dentro iniziavano a montare sentimenti che non riusciva a spiegarsi o comprendere, joni si era fatta un quadro abbastanza chiaro di quale fosse il tipo ideale per un Julian Bolton — ragazze (o ragazzi, good for them) piene di entusiasmo, con un sorriso perenne sulle labbra; le stesse che arrossivano e ridacchiavano tra loro quando lo vedevano passare nei corridoi, e ad un ciao si scioglievano come neve al sole.
    qualcuno con cui non dovesse lottare di continuo, meno testardo, più facile da leggere.
    joni non era nessuna delle tre cose.
    «ma non sono fatta per queste cose» allargò le braccia, includendo se stessa e il grifondoro, le mani ad indicare prima uno e poi l'altro; non si riferiva solo a loro due, ma ad un mondo relazionale decisamente più ampio «c'é un muro, capisci?» dio, era stato molto più facile con Dylan «il mio muro. me lo sono costruita e mi piace. è lì, insomma, siamo un pacchetto unico» le braccia della diciassettenne ricaddero lungo le braccia, spalle appena sollevate. stava cercando di mostrarsi più indifferente di quanto non fosse — facile, finché Giuliano non poteva sentire quanto forte le battesse il cuore nel petto.
    non era certa di potersi abituare a quell'aritmia casuale e senza senso.
    «non posso abbatterlo» che non era del tutto vero; e si era detto niente bugie, no? «non voglio» sistemò una ciocca di capelli ramati dietro l'orecchio, spostando all'ultimo lo sguardo da Julian alla finestra alle sue spalle, senza ancora accennare a scendere dalla cassetta «era giusto che tu lo sapessi, tutto qui» poteva accettare la cosa o giudicarla egoista e fare un passo indietro, joni avrebbe compreso più la seconda opzione che la prima «adesso potresti baciarmi, se ti va» ma così, lei la buttava lì «se ti rimangi prima quell'eresia che hai detto sulla nostra sfida»
    joni peetzah non dimentica,
    joni peetzah non perdona.



    pepper joni
    peetzah
    personally I feel
    Romeo and Juliet
    could have handle
    the situation better
    17, vihufflepuffbirthday girl
    gifs
    i panic! at (a lot of places besides) the disco
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