when you see my face hope it gives you hell

mort + turo

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    La maggior parte delle persone decidevano deliberatamente di vivere la loro vita portandosi dietro qualcosa che rimanesse, che funzionasse da punto fisso, una certezza insindacabile; poteva essere un oggetto a loro caro, come un orologio sempre, puntualmente, posato sul polso, o poteva essere un ricordo rassicurante, un sentimento che tiene vivi, un dolore impossibile da cancellare, ma anche i versi di una poesia, le parole di una canzone, una melodia che ha colpito nel profondo, un profumo che saprà sempre di casa.
    Mort Rainey, a differenza delle persone, non aveva deciso spontaneamente cosa portarsi dietro, ma come le bestie aveva lasciato che quel qualcosa crescesse autonomamente e assumesse piano piano la sua stessa forma, diventando un tutt’uno con la sua persona, e quindi una cosa impossibile di cui spogliarsi.
    Ora, c’erano tante cose che non lasciavano mai il Rainey: il suo charme, la sua spiccata intelligenza, il suo immenso talento, la sua brillante dialettica, il senso dell’umorismo, e tante altre cose che il serpeverde amava raccontarsi; ma quello che veramente Mort si portava dietro tutti i giorni della sua vita era… sì, sì, rancore, tendenza alla rissa, evidente incapacità nell’accettare le sconfitte, e bla bla bla, ma più di tutto la cosa da cui il sedicenne non si separava mai era quella perenne, fastidiosa, faccia di schiaffi.
    Un ghigno a metà tra il malefico e il provocatorio, il passo lento e posato che gli permetteva di drizzare la schiena e camminare a petto in fuori, una sicurezza sfrontata che per qualche assurdo motivo pensava di potersi permettere, e di cui non si spogliava mai: non una maschera, ma un modo d’essere che ormai gli calzava a pennello.
    Era la stessa espressione con la quale aveva messo i piedi a terra dopo la partita di Quidditch, sfilandosi il caschetto protettivo e alzando il pugno che stringeva il boccino in segno di vittoria richiedendo il boato degli spalti verde-argento, con la quale era poi andato a dire qualcosina verso le tassorosso ed era entrato vittorioso negli spogliatoi; la stessa espressione che aveva stampato in viso anche mentre entrava nella sala comune dei serpeverde di ritorno dall’allenamento serale, la scopa da allenamento in una mano e la divisa da gioco infangata nell’altra. Lasciò cadere tutto dopo qualche passo per portare la mano destra all’altezza del petto e fingersi (spaventato) sorpreso «gasp!» a child fu più un sussulto che alto, mentre si avvicinava al divano e le labbra si incurvavano ancora di più in un risolino pieno di malizia «chi si rivede» concluse con reale stupore, perché per quanto fosse strano non vedere per settimane, quasi mesi, un proprio concasato, in quel di serpeverde succedeva anche questo, tra allenamenti protratti fino a tarda sera, consapevoli e voluti ritardi nel tornare in dormitorio per evitare di incontrarsi, e quelle settimane di pace e di assenza quando il virus si era diffuso fino ai sotterranei.
    Si schiarì la voce e poi circondò la bocca con le due mani a coppa per fare effetto megafono e urlare a tutta la sala comune «ATTENZIONE SIGNORE E SIGNORI ABBIAMO IL PIACERE DI PRESENTARVI IL REDIVIVO ARTUROMARIA, DELLA CASA DEI SEMPREFESSI, NATO DAL FALLIMENTO, PRIMO DEL SUO NOME, CAPITANO DEGLI ARRESI, DEGLI INCAPACI E DEGLI INETTI, SIGNORE DEI CESSI SPORCHI, PRINCIPE DELLE ZECCHE, IL NON-VINCITORE, PADRE DI TUTTI GLI INCOMPETENTI, DISTRUTTORE DI PALLE» terminò l’annuncio a gran voce solo per posizionarsi dietro il divano sul quale era seduto il concasato e posizionare entrambe le mani sulle sue spalle, per poi sporgersi verso il suo viso e imitare alle sue orecchie la papabile reazione di un eventuale pubblico «buuuh! buuuh!» e infine ridere sinceramente divertito. L’unico ad esserlo, a quanto pare. Perché la sua proclamazione a gran voce aveva guadagnato l’attenzione e la curiosità degli altri presenti nella sala comune, ma a parte qualche risatina soffocata, questi non sembravano essere divertiti quanto lui da tutti quei gentili epiteti che aveva assegnato all’ex capitano. Ma dopotutto non tutti potevano vantare il suo stesso senso dell’umorismo, e non tutti avevano gli stessi precedenti che poteva vantare Mort con Arturo Maria Hendrickson.
    Continuò a ridere di gusto, poi concluse con una pacca sulla spalla del maggiore – con discreta forza –.
    «come va Turino?» no che non gli interessava veramente, ma fingere cordialità gli dava la possibilità e il diritto di continuare quella conversazione «ti vedo stanchino, troppo tempo in biblioteca?» fece lentamente il giro del divano solo per piazzarsi di fronte allo spagnolo. Piegò la testa di lato e lo scrutò incrociando le braccia al petto, poi fece schioccare la lingua sotto al palato e non poté esimersi dal commentare anche quello che aveva appena visto «abbiamo messo su un po’ di pancetta eh Hendrickson, i libri di storia evidentemente non sono abbastanza pesanti, dovresti chiedere a Quinn di assegnarti qualche volume più pesante, tanto non hai un cazzo da fare, no?» lo disse alzando un sopracciglio con fare provocatorio e divertito, ma in fin dei conti cosa aveva detto di sbagliato? Arturo non solo aveva lasciato il posto di capitano, ma aveva lasciato la squadra di quidditch in generale, e aveva lasciato anche Costas; quindi, non aveva né allenamenti da organizzare, né allenamenti a cui partecipare, né un ragazzo di cui preoccuparsi: un’ameba, ecco cosa era (diventato).
    Alzò l’angolo delle labbra in un sorriso sinceramente divertito, ma lo sguardo fisso sul viso dell’ex compagno di squadra e la mascella serrata suggerivano un certo odio nei confronti dell’Hendrickson; e se la parola “odio” può sembrare un po’ eccessiva, potremmo allora dire che senza alcun dubbio Mort serbava un certo rancore.
    Si allontanò con uno sbuffo divertito, recuperò la scopa e la divisa da quidditch, e fece per andarsene, ma prima di tornare verso il dormitorio posò di nuovo le iridi chiare sul compagno di casata. «per quanto riguarda noi» la squadra, intendeva «ce la caviamo molto bene. Gli allenamenti di Costas sono molto più efficienti, abbiamo vinto contro quelle nane delle tassorosso» nonostante quell’anno si fossero procurate anche uno spilungone; poi si morse l’interno della guancia e disse qualcosa che aveva il semplice scopo di ferire Arturo. «Costas sta molto meglio senza di te, senza le tue lagne» in realtà non sapeva se ci fosse o meno un fondo di verità in quello che aveva detto; lui e il Motherfucka erano buoni amici, ma il loro rapporto era decisamente a un livello differente rispetto a quello delle confessioni di natura amorosa. Era innegabile che in un primo momento fosse stato poco bene, era stato chiaro a tutti, ma poi era sembrato riuscire a canalizzare tutti quei sentimenti negativi nel nuovo ruolo da capitano, e sfogare il dolore nel modo che… beh, ormai è noto quasi a tutti quello che accadeva di notte in quei dormitori. «tu puoi tornare a segarti sulla Morrison. Ma lo sai che a scuola c’è sua sorella? Sai come si dice: non c’è cosa più divina che farsi la sorella della prima fidanzatina» eh meh non era proprio così ma si capiva il senso, e poi già è stato detto che non tutti avevano il suo senso dell’umorismo, no?
    Quindi rise un’ultima volta, poi prese baracca e burattini e fece per allontanarsi verso le camerate.
    Tanto Arturo non avrebbe risposto e non avrebbe reagito.
    Non lo faceva mai.
    Tomorrow you'll be thinkin'
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    “Can I breathe?
    Can I exhale for a minute?
    Can we talk it out? I don't get it.
    Can I calm down for a moment?
    Can I breathe for just one second?
    I put too much weight on words and glances
    I put too much weight on situations
    I put too much on myself,
    thinking 'I don't deserve what I've earned'”


    Con quelle parole nelle orecchie, era difficile per Arturo concentrarsi su quanto stesse leggendo; non c'era disegno o conversazione tra personaggi che in quel momento potesse prenderlo più del testo di quella canzone passata per caso nella sua playlist, la sua mente aveva smesso di registrare cosa stava accadendo tra le pagine del fumetto ed era concentrata solo su quello che la cantante sussurrava.
    Can I breathe?
    Sarebbe stato bello, uh, tornare a respirare in maniera regolare, senza temere che il fiato potesse morirgli in gola da un momento all'altro nell'incrociare la persona sbagliata al momento sbagliato passeggiando nei corridoi della scuola; tornare ad essere un essere umano semi funzionale e smetterla di farsi problemi per ogni cosa; tornare ad essere lo studente sorridente ma schivo che era sempre stato e che, in qualche assurdo modo, si era guadagnato l'affetto sincero di fin troppe persone in quegli ultimi due anni. Ne sentiva la mancanza, in tutta onestà: gli mancava quella maschera spensierata che aveva indossato per tanto tempo e che lo aveva sempre fatto apparire una persona da salutare ma alla quale non dare troppo peso; una maschera che l'aveva protetto dalla realtà e dalle persone. Ma soprattutto, da sé stesso.
    Una maschera che, purtroppo, gli era stata strappata molto tempo prima di quell'apparente falsa identità con cui aveva convissuto per diciotto anni; Arturo aveva iniziato a cambiare e a scardinare ogni punto fondamentale della propria esistenza molto prima che Gwen lo invitasse all'Aetas insieme a Willow, Mac e tutti gli altri; quell'incontro, al più, aveva solo velocizzato e cementato il cambiamento. Arrivato a quel punto non aveva più certezze di alcun tipo, non sapeva più chi fosse Arturo Maria Hendrickson se non, a quanto pare, la seconda chance di qualcun altro – e, sinceramente, non era certo gli interessasse più di tanto saperlo. Chiunque fosse “Arturo”, la verità era che nessuno l'aveva mai saputo, lui per primo: aveva finto per anni di essere il ragazzino sorridente e solare, quello che fa regali per il gusto di farli, che a lezione disegnava ai margini dei libri perso nelle sue fantasie, che per i corridoi si mostrava estroverso mentre dentro sentiva il disagio e l'ansia che la troppa gente gli metteva. Aveva finto a lungo fino a convincersi di poter diventare davvero quella persona, ma la realtà era ben lontana da essere così... semplice. C'aveva messo un po', e aveva dovuto soffrire sulla propria pelle umiliazioni e sconfitte per arrivarci, ma aveva finalmente sbloccato una parte di sé che, oramai, non poteva più negare: una parte meno brillante, meno espansiva, meno felice. Una parte che in molti – e a buona ragione – avevano iniziato a reputare noiosa, pesante e sfigata; aveva cercato di piacere a tutti per anni, per non sentirsi troppo a disagio, e solo ora si rendeva conto di aver gonfiato le aspettative di tutti quanti per poi rivelarsi ciò che era.
    Era ben lontano dal riuscire ad accettarlo -- l'ultima cosa che voleva era guardare negli occhi delle persone che amava e realizzare che ci fosse delusione nel loro sguardo. E per questo aveva scelto di chiudersi in se stesso, di affrontare... tutto quello facendo affidamento solo su di sé, senza coinvolgere nessuno in quel disastro che era la sua vita. Non era stato facile, affatto, allontanare i suoi (pochi) amici e i suoi compagni di squadra, lasciare Costas -- ma era stato giusto. Doveva crederci o altrimenti tutti quei mesi di isolamento (che avevano ben poco a che fare con la malattia diffusasi nel castello ad ottobre) sarebbero stati del tutto vani; doveva convincersi che solo in quel modo, da solo, avrebbe potuto affrontare quella crisi esistenziale che stava vivendo; che lasciare libero Costas fosse stata la cosa giusta, per non portarlo a fondo con sé -- il Capitano non se lo meritava, non quando lo stesso Arturo non era più sicuro di nulla.
    E in quel turbinio di pensieri, e paranoie, e problemi, respirare era diventato sempre più difficile; voleva solo un giorno, uno, in cui potr chiudere gli occhi e riaprirli in un mondo in cui le cose erano più facili. Dove essere Arturo Maria Hendrickson non era così pesante e terribile; dove essere se stesso gli sarebbe persino piaciuto davvero, urca.
    can I breathe can I breathe can I breathe can I- «AH!» nello spavento, lanciò il fumetto per l'aria e si strappò via le cuffie dalle orecchie, voltandosi giusto in tempo per vedere quel ghigno malefico allargarsi sulle labbra di Mort Rainey. Si portò una mano sul cuore, Arturo, socchiudendo gli occhi e supplicando silenziosamente il muscolo impazzito di tornare a battere in maniera più regolare. Aveva appena perso dieci anni di vita – beh, poco male, tutto sommato, non aveva perso granché a quanto pareva.
    La musica nelle orecchie non gli aveva solo fatto perdere il filo della storia di The Flash, ma anche tutto il discorso che aveva seguito l'arrivo del concasato nella sala comune, e solo ora Turo si rendeva conto di quanto tempo avesse perso a fissare il vuoto e a farsi mille pare mentali (story of his life) inconsapevole dello scorrere del tempo e di ciò che avveniva intorno a lui; i suoi tempi ormai erano ben calcolati, ogni entrata ed uscita dalla sala comune verde-argento e dal dormitorio era programmata a seconda degli orari dei propri compagni, per evitare di incrociarli il più possibile: era già difficile doverlo farlo a lezione, perciò dove poteva, Arturo cercava di mettere quanto più castello possibile tra lui e gli ex compagni di squadra, uno in particolare.
    O due, anzi. Uno dei quali era proprio lì, alle sue spalle, e lo guardava con quell'aria da schiaffi che non perdeva mai, nemmeno mentre dormiva (bestie di satana will be bestie di satana). Strinse le labbra nel ricevere la pacca sulla spalla, spostandosi un po' per evitare ulteriore contatto col concasato.
    Con il fratello di Willow.
    Il fratello di Willow.
    Trasalì a quel pensiero e si spostò ancora di più, ora praticamente seduto sul bordo del divano: oh, non si può mai sapere, magari la follia è una cosa genetica e Mort non partiva proprio da base stabilissima, ecco.
    Non rispose -- non avrebbe avuto comunque il tempo per farlo, perché il Rainey, da bravo (Pessina) villain TM quale era, sembrava pronto a sciorinare il proprio evil speech e lui era destinato a sorbirselo parola per parola. Ma mica era tenuto ad ascoltare!! E infatti, non lo fece. Mentre Mort parlava e parlava e parlava, Arturo lo fissava incapace di levarsi dalla testa il pensiero che O. EMME. GI. era imparentato con Willow Beckham. Voi non potete capirlo, ma per l'Hendrickson quella era: UNA TRAGEDIA. Cosa aveva fatto di male in quella vita (e nella precedente) per beccarsi un simile scherzo da parte del destino?
    Quei pensieri vorticavano nella sua testa, pronti già a farlo partire per una nuova tangente popolata da incubi e terrore -- ma quanto meno lo tenevano lontano da altri pensieri, come tipo il fatto che Willow e Mort fossero i fratelli di Costas. Era tutto... così assurdo. Talmente tanto incredibile che Turo, ancora dopo mesi, alle volte aveva il sospetto che fosse tutto un terribile scherzo.
    «per quanto riguarda noi, ce la caviamo molto bene.» «uh?» ci mise un attimo a ritrovare il filo del discorso e a capire di cosa stesse parlando, perché davvero: non aveva ascoltato una sola parola. Ma quanto arrivò alle sue orecchie subito dopo fu abbastanza da fargli sfuggire una mezza risata nasale. «Vinto?» lo sguardo era sinceramente confuso e divertito, doveva per forza essere una battuta quella del cercatore, no? «Quella partita è stata rubata. Ho visto direttori di gara meno venduti arbitrare in serie A.» E c'era da dire che, grazie a Twat, Arturo non avesse ricordi precisi di quanto accaduto durante Serperde-Tassorosso: ricordava solo di aver provato vergogna nel vedere la sua (ex) squadra giocare. Aveva... davvero, davvero sperato che Costas cercasse quanto meno di fingere di mantenere un minimo i suoi insegnamenti, ed invece era chiaro che li avesse gettati al vento alla prima occasione: dopotutto, aveva fatto davvero bene a lasciarlo libero, era chiaro che Arturo era solo un peso per il battitore, una costrizione. Erano troppo diversi. «Vinto Ripeté ancora una volta, a bassa voce e distogliendo lo sguardo, salvo poi riportarlo sul minore nel sentire il nome del suo ex fidanzato. «Io-» Ma, ancora una volta, Mort non gli diede tempo di ribattere e tornò alla carica con dei commenti sprezzanti su di lui (sai che novità), ma trascinando nel fango anche Heather (male, malissimo.) e una povera Hailey che in tutto quello non centrava nulla.
    Serrò i pugni, l'ex Cacciatore, imponendosi di mantenere la calma: Mort poteva insultarlo quanto voleva, non era certamente nuovo a quel tipo di atteggiamenti da parte sua, infondo. Ma c'era un limite a tutto. Un limite alle ingiurie che lo spagnolo poteva sopportare; alle parole offensive che poteva concedere nei confronti di terze parti esterne alla questione; all'argomento “Costas”; allo stress e al malumore e alla rabbia e alle emozioni negative che aveva imbottigliato per giorni, settimane e mesi. Un limite che non si era accorto fosse a tanto così dall'essere oltrepassato – no, anzi, il commento su Costas aveva fatto il proprio (sporco) dovere e aveva toccato un nervo scoperto: come se Turo non stesse fisicamente male ogni volta che incrociava lo sguardo deluso e freddo dell'ex vice! Come se non morisse dentro ogni volta che tornava col pensiero a quel giorno di inizio settembre in cui aveva mollato tutto, in cui aveva mollato Costas, perché c'erano così tante cose più grandi di lui che non poteva dire e tenere un segreto era la cosa più terrificante che potessero chiedergli di fare!! Come se non avesse già i suoi fottutissimi problemi a cui pensare!!! Non gli serviva di certo un fottuto. maleducato. attaccabrighe. infantile. Mort Rainey. a rigirare il coltello nella piaga.
    Okay: limite decisamente superato.
    «Hey, Rainey.» Era scattato in piedi prima di rendersene conto, seguendo il compagno intento a raccogliere le sue cose. Quando questi si girò, richiamato dalla voce inasprita del maggiore, Arturo alzò un pugno e lo fece impattare contro... boh, il naso, la mascella, l'occhio, qualcosa. Non era nemmeno sicuro di essere lui a comandare le proprie azioni, in quel momento: aveva agito senza pensare. Si sentiva un burattino i cui fili venivano mossi da troppe emozioni negate e accantonate troppo a lungo.
    «VAFFANCULO!» e le nocche di Arturo Maria Hendrickson impattarono contro il volto di Mort Rainey.
    Poetic (cinema) Oblivion.
    Well maybe I’m a mess
    and maybe I’ll just find out who I am
    And I won't like who it is
    And I’m a wreck
    And maybe I gotta realize...
    18 | cg | infp
    vii | slytherin
    mr. nobody
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    arturo maria hendrickson
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    Per sua sfacciata fortuna Mort Rainey non era Birch Hilton-Peetzah.
    Per sfortuna del malcapitato Arturomaria, Mort Rainey era l’evoluzione di Birch Hilton-Peetzah, una macchina aggiornata e creata appositamente per non avere punti deboli: più intelligente, più scaltro, più meschino, più ambizioso, più feroce, ma anche meno ragionevole.
    Se Birch era cresciuto con il desiderio di ricevere più attenzioni, Mort le attenzioni le aveva attirate senza dover supplicare nessuno; se Birch non si era mai sentito particolarmente indispensabile per le altre persone, Mort si era reso indispensabile per sé stesso. Birch si era isolato, incupito, Mort si era indispettito, incattivito.
    In poche parole, ad Arturo Maria Hendrickson avrebbe fatto decisamente più piacere trovarsi davanti Birch quella sera; il minore l’avrebbe guardato, avrebbe serrato la mascella e avrebbe silenziosamente sopito il rancore che provava verso l’altro, avrebbe forse finto un falso sorriso, ma sarebbe passato davanti alla sua figura senza rivolgergli parola – era questo il massimo dello sprezzo che lo spagnolo avrebbe ricevuto.
    A Mort, invece, piaceva immensamente lasciare fluire il suo rancore, sentirsi liberato di quel peso che non lo lasciava ragionare come voleva, provava rassicurazione nel sentirsi finalmente più leggero, e si divertiva enormemente nel tormentare le altre persone.
    Ma non fraintendete: non tormentava le persone perché era cattivo, perché era un bullo, uno psicopatico, e altri eventuali epiteti poco carini che continuavano ad associare alla sua figura, quella era una falsità, pura fantascienza!
    Mort Rainey era un attento osservatore, un formidabile ricercatore, e aveva deciso di mettere le sue qualità al servizio dei suoi coetanei, dei suoi compagni e, perché no, dell’intera scuola, insegnanti compresi. Il cercatore, infatti, come uno scrupoloso scienziato (o un serial killer) aveva un modus operandi ben preciso, e sceglieva le sue vittime dopo lunghe osservazioni e un’accurata raccolta di dati empirici.
    Per la precisione, le vittime preferite di Mort erano quelle persone doppiogiochiste che facevano buon viso a cattivo gioco, che si mostravano buone e care davanti agli altri ma che nascondevano un lato pieno di cattiveria, che nascondevano le loro azioni meschine e cattive dietro una pietosa faccia innocente.
    Persone false. E Hogwarts ne era piena.
    I portabandiera di quella categoria però erano due persone tra le più meschine e brave in quel travestimento che avesse mai conosciuto.
    Il primo ovviamente era quel falso spocchioso di Mckenzie Hale, con la sua faccia da bravo ragazzo e la sua vocina bassa “non volevo farti male, scusa”, e poi se la rideva sotto i baffi – che neanche aveva perché era uno sbarbatello ancora a quasi trent’anni, visto che era stato bocciato innumerevoli volte. Psicopatico del kaizer.
    Ma non era il solo, anche gli psicopatici hanno un’anima gemella e quella dell’Hale è risaputo essere il secondo dito nel deretano di quella scuola, Mr. Piangotuttiigiornisottoladocciaperchénessunomicapisce, anche detto Arturo Maria Hendrickson.
    Ecco, il concasato forse era quello che gli dava più fastidio di tutti, perché il suo essere così falso, il suo finto buonismo, quel suo vittimismo onnipresente, cozzava con tutto quello che quei colori spingevano ad essere, perché il suo muso lungo in giro per la sala comune o a lezione gli faceva cadere i genitali sul pavimento, gliene faceva crescere di nuovi e faceva cadere anche quelli, e per una serie di innumerevoli altri motivi. Ma soprattutto perché le sue azioni – sempre frutto della sua innata cattiveria – si erano ripercosse anche su di sé, sulle persone a cui teneva, sulla propria casata, sulla sua squadra, sulle persone che lo stesso Arturomaria diceva di volere bene, ma che in realtà voleva solo vedere rovinate.
    Era l’Hendrickson il cattivo della storia, non Mort, ma per il bene delle persone a cui teneva, della sua casata, e della scuola intera, avrebbe accettato anche quel ruolo di cattivo e avrebbe combattuto in silenzio e nell’ombra contro i veri antagonisti.
    Un cavaliere oscuro.
    Ci starebbe bene anche un “senza macchia e senza paura” in aggiunta, ma in verità una macchia rossa si era formata sotto il naso del cercatore appena le nocche del maggiore avevano impattato con il suo viso, e andava espandendosi maggiormente sul palmo aperto del Rainey, che aveva tempestivamente portato la mano per tamponare il sangue che usciva. E la paura era sopraggiunta alla confusione in quell’esatto istante in cui Mort si era reso conto di quello che era appena successo: Arturomaria non reagiva. Mai. Non era possibile che l’avesse fatto quella volta, non era possibile che avesse trovato il coraggio, le palle, di fare una cosa del genere.
    Ma Mort restava un cavaliere oscuro, conosceva le mosse dei suoi avversari, e sebbene non fosse il Joker, aveva comunque il suo asso nella manica: l’intelligenza (. lo so, lo so).
    Serrò la mascella e strinse il pugno, ma non rispose al concasato con la stessa moneta – non era quello il momento propizio –, ma alzò il mento e rise divertito, poi applaudì. Like a damn sociopath.
    «e va bene va bene mi devo ricredere Arturito, non hai perso proprio tutti i muscoli, qualcosa t’è rimasto» osservò con una nota di sarcasmo, perché nonostante non amasse ammetterlo il colpo di Arturo (6) si era fatto sentire in pieno e le condizioni del suo naso non lasciavano spazi a molti dubbi; frugò nelle tasche dei pantaloni in cerca di un fazzolettino di carta per pulirsi sul viso e andò a tamponare con quello sotto le narisi «anche se avrei preferito che me lo dimostrassi l’anno scorso in campo» alzò lo sguardo verso l’ex capitano, poi ghignò divertito e fece spallucce «sai, magari segnando almeno un goal» e subito dopo averlo detto, volle dimostrare all’altro in che modo si segnassero i goal, e quindi accartocciò il fazzoletto che aveva utilizzato per pulire il sangue nel pugno della mano e lo lanciò verso le fiamme del caminetto acceso. «ma va bene così, immagino. Non tutti riescono a prendere le scelte giuste al momento giusto, pazienza»
    Si avvicinò di qualche passo all’Hendrickson in modo da finire a qualche spanna dal suo petto.
    «immagino che per te che sei tutto sbagliato sia davvero difficile» con la lingua tastò l’interno della propria bocca che dopo il pugno del Serpeverde era stata pervasa da un leggero sapore metallico di sangue. Allungò le mani sul petto dell’ex compagno di squadra e diede una leggerissima spinta «tempi sbagliati… persone sbagliate… ruolo sbagliato… casata sbagliata» e a ogni precisazione il Rainey si spingeva un po’ più avanti, dando leggere spinte sul petto di Arturo e costringendolo ad indietreggiare. «dimmi, Arturomaria, ma non pensi mai che forse dovresti cambiare prospettiva e vedere le cose da un punto di vista nuovo?» non era una vera domanda e infatti non aspettò la sua risposta, ma andò avanti con il suo (solito) monologo «vedresti che la partita che abbiamo vinto, senza la tua stupida regola senza senso e il tuo abominevole e inspiegabile fetish per Mckenzie, è stata più che meritata, vedresti che la squadra è davvero rinata da quando sei andato a tifare per i tuoi amichetti, che Costas è davvero felice- sta rischiando la giocata (e bluffando) -da quando l’hai lasciato, che il dormitorio è stato una pace senza i tuoi piagnucolii. Soprattutto vedresti che faccia di culo che hai, Arturomaria»
    E dopo tanto attendere il momento propizio era finalmente arrivato: strinse anche lui il pugno, alzò il braccio e fece impattare le nocche contro… forse il viso, il naso, l’occhio, le labbra? Qualcosa del genere, insomma. Lo scopo è quello di regalare un lifting gratuito al compagno. Non ringraziare Hendrickson, per gli amici questo ed altro.
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    Dire che fosse allibito era poco; Arturo era completamente sconvolto dalla propria reazione e osservava la sua mano, arrossata e graffiata laddove aveva impattato contro il viso del Rainey, come se appartenesse a qualcuno altro.
    Non riusciva a crederci.
    Non voleva crederci.
    Se non fosse stato per il dolore - cazzo se faceva male, ecco perché la violenza non era mai la risposta a nulla, ricordò a se stesso - avrebbe persino potuto credere di esserselo immaginato; convincersi che tutto quello era avvenuto solo nella sua mente e non nella realtà.
    E invece era proprio così: non solo aveva scagliato il primo pugno ma, ancora peggio, aveva fatto vincere Mort, reagendo alle sue parole con un gesto meccanico e una rabbia che credeva non gli appartenesse: Arturo non perdeva mai le staffe -- non possedeva abbastanza palle per farlo.
    Eppure. Eppure --
    Aveva sopportato i comportamenti meschini - e, diciamocelo, alquanto svangapalle - del concasato troppo a lungo, atteggiamenti che avrebbero svilito la pazienza di chiunque, a lungo andare. E Arturo Maria Hendrickson non era un santo; fifone e codardo, certo, ma non un santo. Aveva più difetti di quanto volesse ammettere e, a quanto pareva, doveva aggiungere alla lista anche una ritrovata aggressività nata dal perdere le staffe. Maravilloso.
    Si costrinse a staccare gli dalle nocche arrossate e tornò a prestare attenzione al minore, che adesso lo applaudiva con scherno; involontariamente, Arturo serrò la mascella e indurì lo sguardo, per niente divertito da quanto stava succedendo.
    In quel momento realizzò qualcosa che a lungo aveva preferito ignorare: disprezzava Mort Rainey. Era un sentimento forte e che gli metteva paura, perché era certo di non averlo mai provato con tanto ardore per nessun altro essere umano.
    Arturo odiava i conflitti, e detestava ancora di trovarcisi dentro, e per quanto possibile cercava sempre di evitarli e, se proprio non poteva tirarsene fuori, di contenerli il più possibile; ma quella sera, in sala comune, si rese conto che ciò che provava nei confronti di Mort andava ben oltre il banale disagio; Mort era una parte significativa di tutti i suoi problemi e Arturo non lo sopportava più. Erano finiti da un pezzo i giorni in cui si lasciava calpestare da quel bulletto da strapazzo solo perché aveva troppa paura di tenergli testa. Aveva subito abbastanza.
    Alzò il mento, cercando di scrollarsi da dosso la confusione per quel gesto impetuoso, abbracciando invece tutta la rabbia che sentiva crescere nel petto, utilizzandola per farsi forza: incredibilmente, per una volta nella sua patetica vita, non voleva piangere. Non voleva essere lui a stare male ma, se proprio, voleva fare male. Era spaventato dalla sua stessa reazione ma anche troppo incazzato per rendersene davvero contro. Non accusò le parole di Mort -- tutt'al più, si ritrovò a dover trattenere un finto sbadiglio perché santo cielo ma quanto stracazzo parlava quello lì? «Sai com'è,» rispose alle sue spallucce con altre spallucce, imitandolo, «avevo altro a cui pensare. Ad esempio, tenere a bada i bambini dell'asilo.» e lo indicò con una mano, dalla testa ai piedi, «Ma mi rendo conto che la maturità non è per tutti. Di certo, non è per te Era inutile parlare con Mort Rainey, perso nel suo ennesimo monologo da patetico villain, ma Arturo non voleva più rimanere in silenzio; no, voleva cavalcare quell'onda di audacia e indisponente sicurezza che l'aveva pervaso, fin tanto che ne avesse avuto anche solo una briciola a disposizione.
    Così facendo si stava forse abbassando al livello del Rainey? Sì, possibile, ma non gliene fregava un beneamato cazzo.
    «immagino che per te che sei tutto sbagliato sia davvero difficile» si lasciò spintonare, stringendo ancora di più i pugni, i viso a diventare una maschera di freddezza e animosità: ciò che faceva più male, nelle parole di Mort, era che fossero tutte vere. Arturo si sentiva sbagliato -- si era sempre sentito sbagliato, fuori posto. E da quell'estate le cose non erano di certo migliorate. Eppure si costrinse a non dare al minore anche quella soddisfazione, quella piccola ma significativa vittoria; voleva mantenere il suo atteggiamento ostile e non piegarsi sotto delle parole meschine, non importava quanto vere. «dimmi, Arturomaria, ma non pensi mai che forse dovresti cambiare prospettiva e vedere le cose da un punto di vista nuovo?» si lasciò sfuggire una risata sarcastica, appena uno sbuffo. «E per "cambiare prospettiva" intendi il tuo punto di vista? Scusa, ma non ci tengo ad abbassarmi a certi livelli.» peccato lo avesse appena fatto, ingaggiando in quella futile zuffa. Dettagli.
    Lo lasciò parlare ancora, e ancora, e ancora -- metà delle cose dette dal cercatore riuscirono persino a raggiungerlo e a colpire laddove, Mort lo sapeva, avrebbero fatto più male; ma Arturo non accennò a cedere, o a piegare il capo sotto quel prevedibile fiume di parole. Una cosa era certa: a Mort Rainey piaceva il suono della propria voce.
    Tenne lo sguardo fisso sul concasato, e fu solo per quello che lo vide muoversi, alzare il pugno e cercare di impattare contro il suo viso, così come lui aveva fatto poco prima. Fu più veloce però, lo spagnolo, scansandosi appena in tempo per schivare il colpo -- riflessi da cacciatore, beccati questa Rainey. Venne preso solo di striscio, e finì per perdere comunque l'equilibrio, ma utilizzò quell'ulteriore, imprevedibile, sua reazione per destabilizzare l'ex compagno di squadra e, dopo averlo afferrato all'altezza della vita, provò a buttarlo a terra.
    Essere incazzato nero era una (spiacevole) novità per l'Hendrickson, così come era una novità per lui reagire in quel modo: eppure lo fece, si lasciò comandare dall'emozione negativa che lo governava pienamente, e reagì tirando un pugno verso lo stomaco del Rainey, quasi alla cieca, senza la precisione o la tecnica che altri, magari, avrebbero dimostrato al posto suo. Per Arturo, in quel momento, contava solo picchiare e colpire, ovunque capitasse, e lasciare sfogo a tutta una serie di emozioni che per mesi (anni!) aveva trattenuto, imbottigliato e soffocato, e che ora, incontrollabili, avevano violentemente preso il sopravvento.
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    ok dai. ci sta.
    GG ragazzi, mortino puoi difenderti e contrattaccare.
     
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    Mort non sapeva ancora che Mac e Turo fossero (stati) anime gemelle, ma a posteriori avrebbe tutto avuto senso; i pezzi di quel ridicolo puzzle di perdenti avrebbero finalmente trovato il loro posto, e il corvonero e il suo concasato si sarebbero ritrovati, piccoli e anonimi come i pezzi delle sfumature del cielo, posti l’uno accanto all’altro: estremamente simili, ma non per questo identici.
    Arturomaria e Mckenzie avevano molto in comune – al di là del nome esteso particolarmente avvezzo agli insulti del Rainey: piagnucolavano entrambi senza sosta, erano circondati da un’aura di cattivo umore e ansia che Mort cercava di evitare il più possibile, erano noiosi, erano falsi nel loro mostrarsi così buoni, e indifesi, e tormentati, e si annoiava anche solo a pensare a tutta la misera vita che conducevano quei due. Ma erano anche molto diversi tra di loro, e in quel momento in particolare la cosa fece ridacchiare Mort, con il viso ancora arrossato dalla botta ricevuta.
    «i bambini dell’asilo ah ah che esilarante ah ah» si tenne la pancia con le braccia, piegandosi in due in una risata tanto finta quanto rumorosa. «che divertente che sei, Arturomaria, insegnami a essere come te» continuò con un sospiro e si picchiettò con un dito sotto l’occhio per asciugare le – finte – lacrime che la battuta del maggiore gli aveva causato, poi sorrise smaliziato.
    Laddove negli occhi di Mac poteva scintillare un gran nervosismo e una pazienza che andava sempre più assottigliandosi, non ci aveva mai scorso il desiderio di fargli del male, anche quando le sue ingiurie affondavano il colpo, anche quando, forse, l’avrebbe meritato – ed era questo che faceva veramente arrabbiare Mort – in quelli di Arturo, invece, leggeva senza troppe difficoltà la voglia pressante di fargli del male – e ovviamente Mort premette su quella.
    «e dimmi, Arturomaria, dov’è che ti ha portato la tua maturità?» si avvicinò sempre di più al compagno di casata mentre parlava, si umettò le labbra e poi scosse lentamente la testa «non hai più un fidanzato, non hai più una squadra, non sei mai riuscito a gestire la squadra con la tua maturità; non hai uno hobby, non hai neanche un vero amico» alzò un sopracciglio e allo stesso tempo l’angolo delle labbra in un sorriso «e quell’altro fesso di Mckenzie Hale non vale» ci tenne a puntualizzare prima di stringersi nelle spalle e lasciarsi ancora andare a una risata «sei rimasto tu e la tua maturità» marcò la parola sputandola con rabbia come se fosse un insulto, poi allungò una mano per patpattare il petto dell’Hendrickson «soli» sottolineò ancora, poi si allontanò di nuovo e, come un vero villain (o come un vero nonnetto folgorato dal nuovo cantiere di paese), congiunse le mani dietro la schiena e alzò il mento per parlare con fermezza «se questa per te è “maturità” allora la vedo nera per la tua età adulta».
    Era incredibilmente soddisfatto di quello che era riuscito ad ottenere: Arturomaria Hendrickson, il più palloso dei piagnoni e il più codardo degli inetti, che gli tirava in un pugno in piena faccia nel bel mezzo della sala comune all’orario di punta serale? Il dolore al naso sarebbe svanito prima o poi, la soddisfazione di averlo fatto arrivare a un simile gesto sarebbe rimasta per moltissimo tempo.
    Serrò la mascella senza smettere di guardare il maggiore, ma anche in quel caso il sorriso non svanì. Tutto quello che Arturo aveva detto, tutte le pesanti offese che a suo avviso gli aveva rivolto contro e avrebbero dovuto farlo arrabbiare, quella pretesa di “maturità”, erano come le promesse di un politico: restavano sospese a mezz’aria e crollavano prima di arrivare a destinazione; non avevano minimamente sfiorato il Rainey, che aveva ormai imparato a gestire quelle situazioni.
    Mort credeva in quello che diceva. Anzi, ne era fermamente convinto.
    Prima di tutto, da quando lo conosceva, Arturo non aveva mai affrontato un problema di petto, aveva sempre trovato una scusa da raccontare (e da raccontarsi) per fuggire e dietro cui nascondersi; non aveva mai preso una decisione scomoda, ma aveva lasciato che fosse lo scorrere degli eventi (e le altre persone intorno a lui) a decidere per lui; non si era mai esposto in una situazione controversa, non aveva mai rischiato, non aveva mai preso una posizione netta; non aveva mai neanche saputo accettare che un gioco implicasse l’uso della violenza; ed era spocchioso e presuntuoso, pensava che solo e unicamente lui avesse ragione, che la sua visione della vita, della scuola, di una relazione, persino del quidditch, potesse essere l’unica via possibile.
    Non era così che si comportava una persona matura.
    Il cercatore non aveva – stranamente – la pretesa di credersi una persona matura, non voleva essere una persona matura, ci sarebbe stato il momento per esserlo – nel modo vero in cui le persone dimostrano maturità, e non quello tarocco da quattro spicci in cui credeva Arturomaria –, ma per lui era il momento di essere fiero, di dimostrare carattere, di prendere una posizione, di iniziare a credere fortemente in qualcosa.
    Certo, il fatto che Mort stesse iniziando a credere fortemente solo a quello che raccontava lui poteva essere un problema, ma queste sono problematiche di cui si discuterà più avanti; per quel momento il suo mantra rimaneva heads empty, e basta.
    Tentò di scansare il pugno di Arturo diretto al suo stomaco facendo un passo di lato, poi alzò l’indice destro davanti al viso dell’ex capitano e fece di no mentre denegava col capo. «non hai capito, Hendrickson. Il mio punto di vista non conta, hai già perso. Tutto. E non potrai mai arrivare a certi livelli- si fece più vicino al suo viso – e nel caso avesse ricevuto il pugno nello stomaco l’avrebbe fatto uguale, ma magari un po’ più dolorante – per parlare un po’ più a bassa voce, con più cattiveria e più sprezzo, ma anche più divertito. -perché ormai ne sei abbondantemente al di sotto, Arturomaria» e poiché gli piacevano le conclusioni ad effetto, alzò gli occhi verso il viso del concasato solo per ridere prima affondare il pugno nel fianco dell’altro.
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    urca....un ninja. riesci a schivare facilmente il pugno di Turo.
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    color me.....shocked. mort che succ non ti riconosco
     
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    C'era un motivo se Arturo non ricorreva mai alla violenza come soluzione: e no, il motivo non era (solo) il fatto che facesse schifo ad assestare pugni o colpi di qualsiasi natura -- ma perché quel genere di outbursts non risolveva mai nulla. Dopo aver sferrato il destro contro Mort non si sentiva meglio di prima, o soddisfatto; semmai, si sentiva ancora più incazzato. E quella consapevolezza continuava a spaventarlo.
    Ad aggiungersi, poi, la frustrazione per non essere riuscito a colpire il concasato come avrebbe sperato (e non: voluto, c'era una diffenza) perché sbilanciato dal pugno ricevuto poco prima: aveva creduto potesse essere uno slancio per il contraccolpo, e invece il Rainey l'aveva evitato con l'agilità che, infondo, gli apparteneva in quanto Cercatore. Così Arturo si era ritrovato a muovere dei passi incerti in avanti, la mancanza di un corpo da colpire a destabilizzarlo ancora di più del colpo malriuscito; agitò il braccio e riuscì solo a fendere l'aria, aggrappandosi alla divisa del minore per non finire a terra. Non stava sicuramente facendo una bella figura di fronte al manipolo di studenti verde-argento che si era riunito intorno a loro, ma ancora: a) era avvezzo a brutte figure, non era la sua stessa vita una figuraccia? quindi sì, insomma: era relativa come cosa; b) se l'era cercata -- si era lasciato accecare dalla rabbia e dall'indignazione e da tutte quelle emozioni che per mesi aveva creduto di controllare, quando in realtà erano loro a controllare lui.
    Non aveva mai neppure sferrato, per primo!, un colpo in vita sua. Non aveva la minima idea di come si facesse a botte -- non gli piacevano nemmeno i videogames che istigavano alla violenza!! Aveva partecipato una sola volta ai Duellanti e se n'era pentito per il resto dell'anno scolastico.
    Eppure: Mort gli aveva proprio fatto raggiungere un livello tale di esasperazione e stanchezza, che pure tutta la sua buona volontà era andata a farsi benedire, lasciando spazio ai difetti che, ancora non lo sapeva, si portava dietro dalla vita precedente e ai quali non poteva davvero scappare. Di River aveva imparato pochissimo, in quei mesi, perché era ancora difficile accettarlo come una parte di sé stesso - o di ciò che era stato, insomma - figurarsi se aveva intenzione di farsi pare mentali e stravolgere la sua vita venendo a scoprire tutti i mille e uno modi in cui aveva già fallito in precedenza.
    Perciò no: reputava quella collera tutta farina del suo sacco, e si meritava di subirne le conseguenze.
    Vide il colpo di Mort partire ma non fece nulla per scansarsi; non aveva una strategia, non aveva un piano, stava andando a braccio e lasciava che fosse l'adrenalina a guidare le sue mosse; forse un po' di dolore gli avrebbe schiarito le idee. Forse la mancanza di reattività, forse l'incredulità (davvero?) per aver fallito così platealmente, forse la consapevolezza che quella patetica rissa stava già per finire e non era neppure iniziata... forse. I motivi potevano essere molti, ma le certezze erano poche: una, tra tutte, fu che Arturo si beccò il colpo -- quanto forte, rimane da vedere.
    Se da una parte sperava che il concasato lo colpisse abbastanza forte da metterlo k.o. e dire finalmente basta a quella farsa e rinsavire, magari, dall'altra sperava anche di avere ancora un'occasione, per quanto effimera, di colpirlo e ricambiare almeno in parte tutto quello che lo stesso Rainey gli aveva fatto subire per due anni. Non voleva, non voleva!, perché non sarebbe stato per nulla gratificante incrociare lo sguardo dell'altro nei corridoi e notare il livido nero sul suo viso, laddove il pugno aveva già impattato una volta, ma allo stesso tempo... cazzo, se lo meritava. Arturo non parlava tanto quanto Mort, e soprattutto non sapeva fare male nello stesso modo utilizzando le parole -- e a quanto pareva, non sapeva farlo nemmeno con i gesti; quindi si sentiva svantaggiato e sconfitto in partenza. Continuare a provarci, sebbene lo facesse passare nel torto e lo ridicolizzasse agli occhi altrui, in quel momento era l'unico modo che la sua mente riusciva a concepire come qualcosa di quanto più possibile vicino alla vendetta.
    Quindi accusò il colpo, cercando di difendersi solo rannicchiandosi su se stesso e ridurre la superficie libera per l'altro da colpire; poi strinse i denti, e i pugni, e provò a tirare una testata al minore, rialzandosi.
    Sempre che siano rimasti ps altrimenti si finge morto in attesa della Queen -- per poi morire davvero.
    In tutto ciò sì, ignora lo straparlare di Mort perché, sinceramente: hai rotto il cazzo, tanto non ti da retta nessuno quindi anche sticazzi. Sei rumore bianco in sottofondo, arrivato a quel punto.
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    difesa: si prepara a perdere ps e possibilmente al ko
    attacco: se il dado vuole e lo risparmia (softly: dont) tira una testata a mort, dal basso (??) tipo da sotto il mento??? chissà
     
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    oh uau noto un certo pattern. bravo turino (capitale) fidati di più del tuo istinto!&
    ATTACCO TURO: 8pa

    this is getting interesting
     
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    Il mondo è bello perché è vario, e certamente la varietà non mancava in quel di Serpeverde; per esempio, dove (quando) Arturo rimaneva in silenzio, ragionava, e non agiva, Mort parlava, straparlava, e ridacchiava. Era una di quelle differenze caratteriali che aveva man mano scavato un abisso tra i due compagni di casata – cioè, probabilmente non sarebbero mai stati veramente amici ugualmente, c’erano altri (tanti) problemi che l’Hendrickson si portava dietro e che Mort riteneva irrisolvibili, ma forse se l’ex capitano avesse saputo come parlare, come rispondere, come gonfiarsi il petto di parole, gli avrebbe portato un po’ più di rispetto, invece quando Arturo parlava il Rainey voleva o spararsi, o addormentarsi, o ridere, o, nelle giornate in cui il maggiore dava il meglio di sé, tutte e tre le cose insieme.
    (nota a margine per i pg tutti: comunque no, non potete registrare la voce di Turo e farla ascoltare a Mort per ammazzarlo, non è così semplice. So che lo avete pensato)
    Parlare, straparlare, e ridere in realtà erano azioni a cui Mort aveva abituato tutti quanti da molto tempo; sembrava dedicarsi a quelle attività ricreative quasi con più costanza e tenacia di come avesse mai fatto con il Quidditch – e i risultati, infatti, si erano visti –, e le praticava ogni santissimo giorno: appena sveglio nei confronti di Arturomaria, quando metteva piede in Sala Comune contro qualche mocciosetto a caso, ovviamente appena si trovava nei corridoi e cercava l’Hale per ridergli in faccia, poi bersagli casuali come qualche corvonero preso di mira, o quel palo della luce del Bolton, gli italiani idioti che avevano colonizzato la scuola, e chissà chi altri. Rideva e straparlava addirittura quando era lui il bersaglio di ingiurie e di botte, figurarsi se non l’avesse fatto in quella speciale – e unica, potremmo dire – circostanza in cui forse per la prima volta era proprio lui a essere in vantaggio in un duello.
    «ah, Hendrickson, non smetti mai di farmi ridere» e infatti rise, avevate dubbi? «cosa avevi intenzione di fare con quel pugno moscio?» fece schioccare la lingua sotto al palato e scosse ancora la testa in preda a un divertimento che non tardò a condividere con gli altri. Non solo con Arturo, ma anche con tutto il mucchietto di concasati che si era avvicinato a loro e incitavano alle botte, facendo il tifo per l’uno o per l’altro compagno, o chiedevano di smetterla, forse spaventati dalla possibile apparizione improvvisa della Queen, o piazzavano scommesse, e non c’è neanche bisogno di specificare chi fossero i due a capo di questo losco giro. Non si premurò di abbassare la voce, il Rainey, anzi si guardò velocemente intorno e, caricato da quella folla, piegò ancora di più l’angolo delle labbra in un sorriso che voleva essere diabolico ma che probabilmente risultava solo estremamente insopportabile. «è così che facevi anche con Costy? Poverino, ci credo che ora ha bisogno di sfogarsi tutte le sere da solo» nascose sotto i baffi – che non aveva – un ghigno divertito e affilò lo sguardo sul viso del maggiore per registrare le sue reazioni.
    Altra reazione che non volle perdersi a nessun costo fu quella al suo successivo pugno nel costato, che Arturo accolse rannicchiandosi su se stesso e indurendo gli addominali – doveva ammetterlo – sorprendendolo totalmente; si sarebbe aspettato che andasse ko, o che si piegasse almeno in due, dolorante, ma invece dovette ricredersi e alzare un sopracciglio con aria stupita «però, Arturomaria. Vedo che la tua fantomatica maturità porta anche qualcosa di utile e non solo rottura di palle» fece scrocchiare le dita della mano destra, quella con cui aveva appena sferrato il colpo, e poi fece lo stesso con la sinistra, che poteva sempre servire in caso di necessità.
    Il problema di Mort – uno dei tanti – era che si distraeva facilmente con tutti quei gesti con cui amava farcire i duelli a cui partecipava; tra risatine, scrollate di spalle, occhiolini al pubblico, e filippiche in cui si lanciava senza che nessuno gli avesse chiesto qualcosa, alla fine, finiva sempre per perdersi dei momenti clou dell’incontro, così con la famosa rissa post-partita, così sul ring da Spaco, (così sarebbe poi successo all’oblinder qualche mese dopo), e così anche durante il confronto con Arturo. L’aveva visto caricare la testata con ritardo ed era ormai troppo tardi per provare a scansarsi, quindi abbracciò quella consapevolezza e sorrise impertinente prima di andare incontro alla testa dell’ex cacciatore e poggiare la fronte sulla sua «sai chi era bravo a dare le testate, Hendrickson?» avrebbe parlato in qualsiasi caso, sia che la testata di Turo fosse stata attutita, sia che invece Arturo avesse avuto una testa così dura da spaccargli la fronte; non sarebbe stato di certo quello a zittirlo, tra tante cose «i francesi erano molto bravi» Zinedine Zidane vi dice niente, Gigio e Crez? «e sai cosa sono i francesi?» linguinis all over the world: INFAMI, ma Mort, con più grazia, e soprattutto con uno scopo ben preciso: «delle merde, proprio come te. E purtroppo, come disse un grande saggio: le merde non muoiono mai» perché lo sapeva, se lo sentiva, Mort, che Arturomaria sarebbe rimasto in vita per un po’ troppo tempo ancora per i suoi gusti – che poi non voleva per forza farlo morire, gli bastava che si togliesse dalle palle, ma riteneva comunque che se si fosse tolto dalle palle di tutto il mondo non sarebbe stata una perdita poi così grave. «però possono essere calpestate, e stasera tocca proprio a te, merdina» e il sipario – perché per forza doveva immaginare di essere in teatro o non si spiegano tante cose – si chiuse sulla scena di Mort che poggiava le mani sulle spalle di Arturo per spingerlo lontano da lui e soprattutto tentare di farlo cadere a terra. Così poteva iniziare la rissa vera da serie americana, finally!!!
    e ci aggiorniamo al prossimo atto, stay tuned, intanto potete andare a comprare i pop corn al bar del teatro.
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    SPOILER (click to view)
    difesa: appoggia la fronte a quella di turo
    attacco: lo spinge per farlo cadere a terra

    e scusa zia secondo ho sbagliato tutti i tempi verbali, i tried ma non davvero con impegno
     
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    ATTACCO TURO: 8pa
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    (no vabbè ma che succede questo è un mondo al contrario sono euforica)
    ATTACCO MORT: 8+2= 10 pa

    troppo bello
    mio dio aiuto è terribile
     
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    Qualcuno, da qualche parte, stava cercando di dirgli qualcosa e quel qualcosa era: arrenditi.
    Doveva per forza essere quello il motivo, altrimenti non si riusciva a spiegare, razionalmente, come riuscisse Mort Rainey a fare difese e attacchi così (alti) precisi quando era risaputo che fosse una schiappa fatta e finita nei duelli corpo a corpo.
    Beh, quel giorno il cercatore sembrava aver trovato qualcuno che faceva più schifo di lui (quick, everyone, acts surprised).
    Anche Arturo era una schiappa nei duelli, ovviamente; in quelli a mani nude, e in quelli magici. Persino in quelli verbali: in qualsiasi tipo di duello Arturo Maria era destinato a fallire perché, semplicemente, non aveva la stoffa. Qualsiasi cosa gli avesse detto il cervello, quale che fosse la ragione di certi atteggiamenti, era solo destinata a cementare ancora di più quella verità, ormai scolpita nella pietra, e forse anche nella memoria di tutti gli studenti riuniti lì intorno che, ne era sicuro, ne avrebbero riso per ore e forse giorni --prima di passare alla prossima divertentissima novità scolastica, almeno un lato positivo nel pessimo attention span adolescenziale c'era.
    Nella sua, però, nella memoria di Arturo, avrebbe bruciato per sempre: non la sconfitta in sé – quella era inevitabile – quanto più la delusione, nei confronti di se stesso, di essersi abbassato al livello di Mort. Anche peggio, se consideriamo il fatto che a scagliare il primo pugno fosse stato proprio il maggiore.
    Una cosa su cui avrebbe dovuto riflettere a lungo – e che lasciarsi alle spalle gli sarebbe costato fatica e un sacco di lavoro su se stesso.
    Peccato, o per fortuna, in quel momento era ancora carico di adrenalina e pensava solo ad assestare quanti più colpi possibili, poco importava se imprecisi e deboli: stava perdendo, ma avrebbe scalciato fino all'ultimo tiro di dadi – quindi questo post, bella, è stata breve ma molto intenso.
    «è così che facevi anche con Costy? Poverino, ci credo che ora ha bisogno di sfogarsi tutte le sere da solo»
    A denti stretti, si trattenne dall'impulso di sputare in faccia a Mort – kinda letteralmente, certo, ma non solo: avrebbe voluto urlargli la verità, cercare un modo per destabilizzarlo e per crearsi una fenditura attraverso cui poi colpire e fare male. Avrebbe voluto riversargli in faccia tutto quello che sapeva (poco, in effetti, perché non aveva ancora avuto il coraggio di chiedere di più, ma era comunque di più di quanto non sapesse Mort); avrebbe voluto vedere la confusione sul viso del ragazzo informandolo che, hey, carramba, Costas è tuo fratello: ne avrebbe parlato con la stessa naturalezza, se lo avesse saputo? Avrebbe fatto le stesse battute? (Conoscendolo: sì, ma okay)
    E invece si limitò a digrignare i denti e stringere i pugni, sussurrando un «non sei capace di lasciare fuori gli altri? devi per forza -» rompere i coglioni, «-dare fiato alla bocca e dire la prima stupida cosa che ti viene in mente?» sorrise amareggiato dal carattere di Mort, era proprio il genere di persona che Arturo non voleva nella sua vita: gli dispiaceva già solo il fatto che fossero vivi nella stessa linea temporale (per la seconda volta.), figurarsi il fatto che condividessero così tante cose, per loro sfortuna.
    Poi niente: Mort continuava a parlare (no ma davvero, non gli si incollava mai la lingua al palato? no eh...) e Arturo era troppo inesperto per approfittare di quelle distrazioni, quindi il massimo che poteva fare era cercare di colpire (sempre alla cieca) nei momenti propizi – e attendere di fallire.
    «però possono essere calpestate, e stasera tocca proprio a te, merdina»
    Sì, infatti: «a la mierda» ma nel senso di «fanculo, Rainey. prima o poi qualcuno ti toglierà quel sorriso dalle labbra.» non sarebbe stato di certo lui, vi pare, ma il karma esisteva e prima o poi Mort avrebbe incontrato qualcuno in grado di fargli passare la voglia di fare il bullo da quattro soldi. «sei davvero un bambino immaturo, devi crescere.» e probabilmente verrà spintonato direttamente nel Lago Nero, ma ci prova a fare da contrappeso e opporsi, stringendo la presa sulle braccia di Mort – magari prova a buttarlo a terra con lui, alle bruttissime.
    Well maybe I’m a mess
    and maybe I’ll just find out who I am
    And I won't like who it is
    And I’m a wreck
    And maybe I gotta realize...
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    arturo maria hendrickson
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    good as it gets, little hurt


    difesa: si aggrappa alle braccia di mort e oppone resistenza
    attacco: (se cade e rimangono ps) lo trascina a terra con lui
     
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    darling, didn’t you know?
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    ATTACCO MORT: 8+2= 10 pa
    DIFESA TURO: 10 pd
    oh mio dio è proprio sudato questo duello sono una fan i wish i was a mosca a spiarvi, spero ci sia mood con i popcorn
    ATTACCO TURO: 7pa
     
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    Arturomaria, nella duplice natura di nome proprio e di persona fisica, aveva sempre ricordato a Mort qualcosa di spagnoleggiante – e grazie al cazzo, direte voi, non poteva mica ricordare qualcosa di norvegeseggiante. Ma non erano le tipiche cose che avevano reso famosa la Spagna, come i churros o la sangria, e nemmeno la paella, la quesadilla, i tori nelle arene, né tantomeno la fantastica usanza del topless; quello che il maggiore gli faceva tornare alla mente era qualcosa di terribile e vergognoso: l’Inquisizione.
    In realtà, non ce ne voglia il povero Arturo, l’associazione tra il serpeverde e l’Inquisizione non era totale, perché il Rainey lasciava categoricamente fuori dal binomio gli aspetti divertenti del tribunale spagnolo (roghi, impiccagioni, squartamenti, e morti varie), e attribuiva quindi al suo ex capitano solo quelle caratteristiche pallose che si imparavano sui libri di scuola: fanatismo e cattolicesimo. Razionalmente sapeva che l’Hendrickson non potesse essere strettamente cattolico in quanto mago, ma questo gli impediva forse di avere gli stessi tratti di un cattolico fanatico? Evidentemente no, perché anzi il maggiore – che di nome faceva Arturomaria, e già questo diceva tanto – eccelleva particolarmente in uno dei principi cardine del cattolicesimo: l’autocommiserazione.
    Arturomaria, ne era sicuro, se fosse vissuto in quell’epoca lì – per capirci, l’epoca di non ci resta che piangere, nonché la stessa epoca in cui a Hogwarts un gruppo di ragazzini uccideva altri ragazzini strangolandoli con delle piante per qualche motivo –, sarebbe stato il rompipalle di turno che andava in giro a dire «ricordati che devi morire», oppure quella a mettere il veleno agli angoli del secondo libro della poetica di Aristotele perché «ommioddio questa gente si diverte perdonali padre perché non sanno quello che fanno». E a pensarci bene, non l’aveva già fatto per tutto lo scorso anno, andando in giro come un Savonarola qualsiasi a suonare il campanellino «ricordatevi di non fare falli», e impedendo a tutta la squadra di divertirsi liberamente? Ecco, era identico, impossibile negarlo; quindi, Mort aveva ragione (punto, that’s it.), e Arturomaria aveva gli stessi tratti pallosi dell’Inquisizione e la stessa propensione all’autocommiserazione.
    Il problema, il grande problema che si parava puntualmente di fronte al Rainey, era che questa pratica malsana e fanatica dell’autocommiserazione funzionava davvero, mannaggiatuttigliavibruciatialrogoinutilmente. Era una cosa che lo mandava completamente fuori di testa, vedere qualcuno piangersi addosso e poi ottenere buoni risultati per pura e semplice botta di culo – e ad Arturo, come all’amico suo Mckenzie, capitava davvero troppo spesso per i suoi gusti.
    Quindi, nonostante il suo fosse stato un attacco più che valido, Arturo aveva di nuovo sfoggiato il fascino del buon cristiano e aveva finalmente accettato di morire – e da buon cristiano vi pare che moriva? Macché, stava lì fresco e tosto perché aveva fatto 10 pure di difesa, se non è culo questo.
    E allora lo guardò restare lì in piedi, stazionario, come se il suo tentativo di atterrarlo non fosse mai avvenuto, e restò a pochi centimetri da lui, con le spalle tese, i pugni chiusi e la mascella serrata, evidentemente innervosito da quell’affronto inaspettato. Com’è che l’Hendrickson diceva sempre di voler morire e poi quando uno provava ad accontentarlo non crepava mai? Proprio come l’Hale, lo odiava per la sua incoerenza e la sua falsità – quindi, la ferma volontà di non volersi nella vita altrui era più che reciproca, caro Arturo.
    Ma certamente non permise a un po’ di nervosismo di togliergli quel sorriso dalle labbra cit., e certamente non l’avrebbe mai permesso allo spagnolo; ma stirò gli angoli delle labbra in un sorriso dispettoso e provocatorio solo per un attimo, perché subito dopo scoppiò a ridere e diede all’avversario una pacca sul petto con la mano. «com’è che sono sempre gli altri a dover crescere e a essere nel torto, Hendrickson? Perché credi sempre di avere ragione? Cosa pensi di avere in più di tutti gli altri, eh? Sei testardo, viziato, non sai accettare un punto di vista che non sia il tuo: forse sei proprio tu il bambino immaturo, Turino» lasciò un’altra pacca leggera sul petto dell’ex cacciatore e poi con uno sbuffo divertito scosse la testa. Non si allontanò, e stranamente non attaccò – aveva ancora molto da dire, quindi fece un ulteriore passo verso il concasato, arrivando quasi a sfiorare il petto dell’altro con il suo, e si sporse verso la sua spalla per dirgli qualcosa che doveva rimanere lontano dalle orecchie della folla che si era creata attorno a loro e che doveva rimanere tra loro due. Mica andava in giro a urlare i suoi segreti ai quattro venti.
    «sai chi è stata l’ultima persona a darmi dell’ “immaturo”?» mormorò una risata maligna all’orecchio dell’altro «eravamo molto amici, si chiamava Alan» se ci fosse stata la Macojoni probabilmente avrebbe patpattato Turo sulla spalla con compassione, ma Mac e Joni non erano lì, quindi Mort continuò indisturbato «secondo lui era da immaturi tornare a prendere quello che era mio dopo tanto tempo “non fare l’immaturo, Mort, è acqua passata” io immaturo?» alzò l’indice davanti al viso del serpeverde solo per muoverlo lentamente da destra a sinistra e poi viceversa «allora dovevo farlo ricredere, mica potevo lasciarlo con la convinzione che fossi immaturo. Allora per dimostrargli che ero diventato grande l’ho preso e gli ho legato mani e piedi – un bambino non potrebbe mai fare una cosa del genere, ti trovi? poi gli ho fatto un cappellino di carta e gliel’ho messo in testa, visto che gli piaceva tanto il cappellino del mio sceriffo. E a quel punto chi era l’immaturo?» sempre mort, ma ssh lui intanto che lo raccontava se la rideva «però non potevo lasciargliela vinta, doveva capire che non era affatto “acqua passata” e così ho riempito la vasca di palline colorate e l’ho messo proprio lì in mezzo, come piace ai bambini no? e poi ho aperto l’acqua» una risata più alta e più sentita di quelle precedenti lo scosse, mentre tornava a mettere un po’ di distanza tra lui e Arturo. «credo che sia affogato già da un po’, forse l’acqua si potrebbe chiudere ora. sai, io ci tengo agli sprechi, e ci tengo anche a non sprecare tempo Arturo, e tu me ne hai fatto perdere anche troppo» e se lo spagnolo fosse stato un grande appassionato di film d’azione avrebbe capito in un batter d’occhio che subito dopo quella frase Mort avrebbe attaccato, perché è così che succede in tutti i film, e chi è lui se non un eroe villain qualsiasi di un film di qualità mediocre?
    Quindi si lasciò tirare a terra con Arturo, accompagnò anzi il gesto del maggiore, cercando di fare peso e bloccare il corpo dell’altro sotto il suo, salvo poi staccarsi leggermente solo per caricare il pugno e provare a colpirlo sul viso.
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    mort rainey
    1:47
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    gives you hell, the all-american rejects


    SPOILER (click to view)
    difesa: si lascia trascinare
    attacco: lo blocca a terra e gli dà un pugno
     
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    la prossima quest alla ricerca di Alan.

    ATTACCO TURO: 7pa
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    io ho molte domande e poche risposte . pray4turo????
     
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16 replies since 12/12/2021, 15:29   539 views
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