Una pandemia magica poteva significare solo una cosa, ovvero che il mondo magico e quello babbano fossero così vicini non solo da incontrarsi, ma addirittura mescolarsi tra di loro, confondendosi e creando IL MALE. Era chiaro a molti che le cause di quella malattia contagiosa fossero da ricercare soprattutto nei babbani, nella mescolanza tra special e maghi - un po' come i wet market in Cina - eppure il governo sembrava non voler prendere una posizione su questo, o meglio: all'apprenza questo non sembrava affatto un problema ed era più semplice nascondere la polvere sotto al tappeto che farla sparire davvero. Con un Ministro della magia simile, dopotutto, il Sinclair non aveva buone speranze. Starsene confinato tra le mura di Hogwarts era qualcosa di devastante, per lui, ma mai quanto avere le mani che puzzassero di Merluzzo costantemente. Perchè non voleva saperne di ammalarsi, e seguiva tutte le regole per evitare di infettarsi: manteneva la distanza di sicurezza, e usciva fuori solo per portare a spasso il cane. Anche se non aveva un cane. Ecco perchè ne aveva rubato uno. O meglio, lui diceva di aver "preso in prestito" il cane di Gideon McPherson, Tarzan. Non glielo aveva davvero chiesto, anche perchè probabilmente il McPherson non glielo avrebbe mai lasciato. Dopotutto Tarzan non lo conosceva davvero, e poi serviva a lui per uscire dal castello. Ma prenderlo era stato più semplice del previsto: come ogni cane fedelissimo, Tarzan non aveva opposto alcuna resistenza quando lo aveva preso al guinzaglio, per portarlo fuori insieme a lui, fuori dalle mura del castello. Il Sinclair si era seriamente domandato se il peloso si fosse accorto che lui non era esattamente il suo padrone. Gli aveva fatto le feste come se lo conoscesse. Tsk, la fedeltà dei cani faceva davvero ridere. Girò per più di mezz'ora, aggirandosi nei pressi del lago nero e lasciando che il cane biondo pisciasse un po' ovunque i vari arbusti lì presenti, con un accenno di disgusto sul volto.
Poi, qualcosa arrivò a turbare la sua già minata serenità. A lato della strada, la McPherson: l'eleganza che l'aveva contraddistinta al prom era solo un ricordo, e lasciava ampio spazio a capelli arruffati, sguardo indemoniato e strani versi di dubbia natura e sui quali Kal non si interrogò più del necessario. Non aveva alcun motivo per rivolgere la parola o lo sguardo ad Hazel McPherson fuori dal campo da Quidditch, e l'avrebbe senza dubbio ignorata, se avesse potuto. Era questa la sua intenzione, semplicemente passare dritto fingendo di non averla vista, nonostante lei fosse una tipa piuttosto appariscente nei modi. Ma no, ignorarla era, a quanto pareva, impossibile. E quindi via, saltata la possibilità di ignorarla, non poteva far altro che passare allo step successivo: fulminarla con lo sguardo. E lo fece, lanciandole il peggior sguardo incendiario del repertorio di sguardi incendiari: Laurel Goldstein, che aveva studiato la famiglia Sinclair, poteva riconoscere che quello fosse Lo Sguardo, dedicato alla McPherson. Solo suo, di nessun altro. Il peggiore. In verità, non lo turbava il dito indice che lei gli aveva puntato contro, nè tanto meno le parole con cui lo aveva definito: gli sarebbero scivolate addosso senza alcun problema come sempre. Il fatto però, era che quella volta la McPherson sembrava avere un comportamento diverso dal solito, uno strano luccichio sinistro negli occhi che costrinse il biondo non solo a fermarsi, ma anche ad indietreggiare di qualche passo, vedendola avanzare verso di lui. Okay, ed una volta che anche Lo Sguardo aveva fallito, qual'era il passo successivo? Non lo sapeva, perchè non era mai servito andare oltre questo. In genere, la Mcpherson aveva la decenza di fermarsi prima, o comunque spostare altrove le proprie attenzioni. Non sapendo bene come comportarsi, ed osservando l'avanzare cavalcante di lei con un cipiglio severo e confuso, riprese ad indietreggiare con più convizione, quasi pronto per correre via: avrebbe mostrato in altre occasioni, di possedere il coraggio che illuminava la sua Casa. Questo non gli faceva onore ma: anche se la sua altezza sfiorava il metro e novanta, ed aveva una corporatura allenata, avrebbe sempre e per sempre temuto quella bomba ad orologeria della McPherson. Era imprevedibile, lei: come ogni bomba non potevi mai sapere quando avrebbe deciso di esplodere. Ed anche se si aspettava davvero di tutto, da quella ciambella con le gambe, non era pronto a ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco. Sì, l'agilità non era il massimo, per uno della sua altezza, ma cadere a terra in un modo così poco elegante proprio non se l'aspettava. Si ritrovò subito riverso sull'erba, e c'era di peggio che addosso aveva la McPherson che faceva strani suoni demoniaci. Nel mentre, il guinzaglio gli era sfuggito dalle mani, e Tarzan aveva iniziato a correre via come una scheggia, verso il Castello. MERDA. Infastidito dal fatto che ce l'avesse addosso, fece leva sui gomiti e sugli addominali, contando sulla forza fisica maggiore, per ribaltare le loro posizioni e far ritrovare la Mcpherson con la schiena sull'erba, e lui sopra. Senza premere troppo, le spinse un ginocchio contro l'addome, e con una mano le bloccò entrambi i polsi. Che diavolo ti è preso, McPherson?! Quella ragazza andava peggiorando di giorno in giorno, e Kallistos proprio non se lo spiegava come potesse essere lei il loro Capitano. La distanza di sicurezza, Cazzo. Magari era pure malata.