“Ancora??? Ma siete seri?” sbatté la pergamena sulla scrivania del Guaritore con ben poche cerimonie, prima di far scivolare gli spallacci dello zaino e riporlo con poca grazia sul pavimento. “Non avete davvero nulla da fare tutto il giorno? E no, Arthur,” disse alzando il dito, zittendo il Medimago che aveva avuto la sfortuna di accoglierla quel giorno, “non venirmi a dire che è la procedura standard perché è la quinta volta, la quinta, in un mese che mi chiamate per delle visite a sorpresa. Detta tra noi: avete rotto il santo bolide.” Non si sedette neanche sulla poltroncina in attesa del Guaritore che avrebbe dovuto visitarla a breve, tanto ormai era così abituata a quelle visite mediche che era andata direttamente con i pantaloncini della tuta, le scarpe da ginnastica e il top traspirante per non dover perdere tempo a cambiarsi e farla finita il prima possibile. “Per amor di cronaca: non sono io quella degli allenamenti clandestini.” Puntò gli occhi chiari sul nuovo arrivato, un giovane medico che avrebbe potuto rivoltare come un calzino, se solo avesse voluto e se avesse avuto tempo da perdere, oltre a quello di cui la stavano privando anche quel giorno. Minuti preziosi sottratti ai suoi allenamenti del tutto regolari e supervisionati comunque dai team manager delle Arpie: non erano degli sprovveduti, ognuno aveva il suo regime di allenamento personalizzato anche nella pausa estiva e la Weasley, per una volta, era intenzionata a seguirlo alla lettera senza contestazione alcuna perché funzionava. Perché voleva giocare, essere una titolare a tutti gli effetti e non fare solo turnover o quando era il momento di rompere gli equilibri del gioco, spezzando il ritmo a loro vantaggio e facendo stancare gli avversari per poter cambiare le sorti della partita.
Era un membro importante della squadra, non lo aveva mai messo in dubbio, ma, soprattutto dopo le vittorie della stagione sportiva appena conclusa e dei relativi titoli conquistati, voleva essere il più importante. Viveva di Quidditch la Furia Rossa e, soprattutto, nutriva costantemente la sua ambizione, volendo sempre di più. Sognava la fascia da capitano, i Falcons e la Nazionale. Sognava il primato europeo e la Coppa del Mondo. Voleva essere riconosciuta e apprezzata per le sue prestazioni e non… non per una stupida festa dove era andata con un amico. Con Dominic. Godric Santissimo, ci avevano scritto un’intera colonna a discapito della squadra, del mercato che si era appena aperto e dei possibili scambi tra le squadre, dei nuovi acquisti… erano queste le cose che contavano davvero e che le interessavano di più! Neanche era finito il Campionato che già stava incamerando dati sui suoi avversari e su come sarebbe cambiato l’assetto dell’intero panorama sportivo in vista del prossimo torneo. Del gossip non interessava a nessuno, su! Senza contare che il Cavendish era il fan numero 2 di Elwyn, gestivano insieme un intero sito e non c’era informazione che riguardasse l’ex giocatore di cui non erano a conoscenza! Erano soci in affari e si era sorbita un anno di seghe mentali dell’amico su Nice che no, se non fosse che un pochino gli faceva pena e che capiva come si sentisse ad essere evitato, lo avrebbe preso a pugni già da tempo. Per farlo rinsavire, si intende.
E quindi niente, Chelsey era lì che correva nello studio medico del San Mungo, nuovamente attaccata a diversi macchinari magici per monitorare il suo respiro, i flussi d’ossigeno e la pressione sanguigna mentre il Guaritore di turno parlava del più e del meno - generalmente argomenti che non la interessavano più di tanto - e il Medimago scribacchiava annoiato dati e controllava che tutto fosse in ordine. Si sentiva sempre un po’ un’aliena, con la maschera sul volto e i tubi che uscivano da ogni dove, ma tutto sommato non le dispiaceva perdere tempo così, correre in quel metro quadrato fino al suo limite e non pensare a nulla per qualche minuto.
Non che di solito pensasse, eh, non era programmata per certe attività, ma se stava ferma per troppo tempo la sua mente prendeva strane pieghe e la portava in posti in cui si era ripromessa di non andare mai più. Era sempre stata una persona sveglia e odiava perder tempo: era giunta alla conclusione che a Kain non interessava e che sarebbe stato meglio per lei metterci un intero Castello sopra. Per un periodo si era rammollita al punto da diventare una ragazzina qualunque, dando troppo spazio a pensieri che non fossero collegati con l’unica cosa che contava davvero: il Quidditch.
Con o senza Kain.
All’inizio la seconda parte l’aveva distrutta, il suo gioco e il suo umore ne avevano risentito, ma poi… poi ci aveva fatto il callo, perché non aveva senso struggersi e lasciare che qualcun altro interferisse con le sue prestazioni sportive, distraendola così dai suoi obiettivi. Chelsey Weasley giocava per sé stessa e per la squadra che l’aveva ingaggiata. Per nessun altro e con nessun altro.
Questa mentalità l’aveva riportata a galla e l’aveva rimessa in carreggiata in tempo per l’ultima parte del Campionato, quella più bella ed entusiasmante. Quella di coppe e finali. La prova che bastava a sé stessa e che poteva farcela da sola, senza paracadute. Senza guardarsi indietro o cercare in campo quello sguardo dorato per ricaricare le energie.
Recidere il cordone ombelicale che la legava a Kain era stata la scelta più dolorosa che avesse mai fatto, ma lo doveva a sé stessa e per non diventare l’ennesima persona patetica che continuava a inseguire sogni irraggiungibili. Era stato bello crederci, ma era troppo realista per poter accettare un altro rifiuto, l’ennesimo.
Fu il “per oggi abbiamo finito, puoi attendere in sala d’aspetto l’analisi e il report di tutti i valori” ad interrompere la sua corsa, a riportarla al San Mungo, a farle rendere conto di quanto fosse sudata e con i muscoli doloranti per non aver fatto il dovuto riscaldamento. Scoccò un’occhiataccia al Medimago mentre riprendeva fiato, tanto sicuramente lo avrebbe rivisto di lì a qualche giorno, e si asciugava la fronte.
Uscì dalla sala medica borbottando e invitandoli poco educatamente a considerare ci fossero anche altri giocatori oltre a lei - Bells mica aveva fatto tutte quelle visite -, sbattendo la porta dietro di sé più per protesta che per maleducazione. Doveva solo aspettare un’oretta, si diceva, cosa poteva mai succedere di entusiasmante al San Mungo, si ripeteva. Eppure, ci volle poco a restare pietrificata sul posto, al centro del corridoio che dava sul piccolo atrio, occupato da un’unica chioma dorata che avrebbe riconosciuto tra mille.
No, non è vero, che avrebbe riconosciuto tra tutti. Sempre. Ovunque.
Non le si attorcigliò lo stomaco, il suo cuore non perse un battito, nessuna parte del suo corpo cambiò colore.
Era lì, ferma davanti all’unica persona che non avrebbe voluto incontrare e che non avrebbe potuto ignorare.
Mosse piano la testa in un cenno di saluto, le labbra strette per non far sfuggire gli insulti che avrebbe voluto snocciolare se avesse avuto voglia di litigare o di interagire con il ragazzo davanti a lei. Non sorrideva, Chelsey, e non avrebbe lasciato che l’arma più potente dell’ex Tassorosso potesse avere alcun effetto su di lei. Se lo doveva: per la sua dignità e per il suo orgoglio. E perché aveva sprecato di inseguire chi, chiaramente, non la voleva.
Sedette sulle poltroncine davanti al Cacciatore dei Tornados, aprendo a caso una rivista sul tavolino, prima di rendersi conto dell’articolo su cui si era soffermato il giocatore. Tirò un profondo respiro, cercando di racimolare un briciolo di calma che non possedeva e che mai avrebbe posseduto, e si sporse in avanti, girando pagina alla rivista della Veela, archiviando la foto che la ritraeva con Dominic e su cui avevano ricamato stupidi gossip così distanti dalla realtà che, se non avesse voluto infierire sulle condizioni del biondo, gli veniva da prenderlo a sberle per farlo rinsavire.
“Non crederai davvero a certe stronzate.”
Sbottò tornando al suo posto e incrociando le braccia al petto, perché chiedergli come stesse, date le circostanze, era del tutto overrated. Era chiaro fossero lesioni da bolide e, per quello che ne sapeva lei, se le era andate a cercare.