Close to the bone

Kain x Chelsey

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    KAIN KELLERGAN
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    "Di nuovo qui?" sbottò il Medimago.
    Neanche gli occhi da cerbiatto ormai funzionavano più.
    Non dopo la settima visita in due mesi.

    "Basta un poco di pozione e il braccio torna su... no?" Replicò angelicamente Kain, con la spalla completamente a penzoloni dopo la terza dislocazione del mese - una sciocchezza rispetto alle diverse ossa rotte dopo gli allenamenti di quelle settimane. Ma si sapeva che gli allenamenti primaverili erano i più intensi!
    Soprattutto quelli clandestini, vietati dall'allenatore, con bolidi in libertà e compagni di squadra fin troppo propensi ad abbatterti per aiutarti a migliorare velocemente.

    "No, signor Kellergan" fu la secca risposta, prima che spalancasse la porta del suo ufficio, meglio nota come porta dell'inferno. "E per questo motivo la sospendo per due settimane dal campo di gioco. Ho già avvisato il suo allenatore: niente più allenamenti clandestini, niente più ossa messe a posto di nascosto, niente più favori personali. O sarà fu-"
    "Sarò fuori dai giochi se non mi alleno" continuò il cacciatore, accennando a un piccolo broncio. Questa nuova alleanza non gli piaceva.
    "Sarà fuori dai giochi se sarà assuefatto dalle pozioni e smetteranno di farle effetto" concluse invece il Medimago, mettendo fine al discorso e dando inizio alla tortura.


    Qualche ora dopo Kain era appollaiato sulle sedie della sala d'aspetto. Mezza schiena, spalle e braccia in modalità mummia, mentre con la mano sinistra teneva sollevata una rivista. Un magazine di Quidditch, naturalmente, con tutte le novità del fantamercato. Non proprio facile da leggere, con un solo braccio e neanche la bacchetta per fare un Wingardium Leviosa: perciò più che altro si limitava a guardare le immagini in movimento, sulla pagina centrale dedicata alle Harpies.

    Un modo singolare per Kain per farsi ulteriormente del male, dato che tra le giocatrici trionfava il rosso di Chelsey Weasley, la sua migliore amica.
    Un tempo, anche la sua rivale numero 1.
    Ora? Non ne era così sicuro, non dopo l'ultima partita. Da quel giorno, salire in volo gli faceva ricordare la sensazione di essere sperduto, così insignificante e piccolo da meritare indifferenza.
    Aveva sognato quello scontro per tutto l’anno e si era preparato per affrontare Chelsey da pari, ma… era andato tutto per il verso sbagliato. Neanche un bolide era andato nella sua direzione e questa mancanza di attenzioni, nel corso della partita, lo aveva fatto spegnere e smarrire.

    E ora? Era la prima estate senza la presenza di Chelsey, ed era da solo a venire a patti con se stesso, a capire cosa significava. Perché qualcosa significava: lui e Chelsey, anche se rivali, parlavano la stessa lingua e si capivano davvero solo sul campo. Chelsey con il suo silenzio gli stava lanciando un messaggio forte e chiaro: stava a lui ora decifrarlo.
    Un messaggio che, forse, chissà, si ricollegava con l'articoletto di gossip che accompagnava le statistiche di Chelsey, corredato da una foto indiscreta della rossa a braccetto con Dominic.
    Un messaggio che, sicuramente, poteva interiorizzare solo allenandosi ancora più duramente, in barba a quel che diceva il Medimago!



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    Edited by h u r r i K a i n - 13/4/2022, 23:09
     
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    “Ancora??? Ma siete seri?” sbatté la pergamena sulla scrivania del Guaritore con ben poche cerimonie, prima di far scivolare gli spallacci dello zaino e riporlo con poca grazia sul pavimento. “Non avete davvero nulla da fare tutto il giorno? E no, Arthur,” disse alzando il dito, zittendo il Medimago che aveva avuto la sfortuna di accoglierla quel giorno, “non venirmi a dire che è la procedura standard perché è la quinta volta, la quinta, in un mese che mi chiamate per delle visite a sorpresa. Detta tra noi: avete rotto il santo bolide.” Non si sedette neanche sulla poltroncina in attesa del Guaritore che avrebbe dovuto visitarla a breve, tanto ormai era così abituata a quelle visite mediche che era andata direttamente con i pantaloncini della tuta, le scarpe da ginnastica e il top traspirante per non dover perdere tempo a cambiarsi e farla finita il prima possibile. “Per amor di cronaca: non sono io quella degli allenamenti clandestini.” Puntò gli occhi chiari sul nuovo arrivato, un giovane medico che avrebbe potuto rivoltare come un calzino, se solo avesse voluto e se avesse avuto tempo da perdere, oltre a quello di cui la stavano privando anche quel giorno. Minuti preziosi sottratti ai suoi allenamenti del tutto regolari e supervisionati comunque dai team manager delle Arpie: non erano degli sprovveduti, ognuno aveva il suo regime di allenamento personalizzato anche nella pausa estiva e la Weasley, per una volta, era intenzionata a seguirlo alla lettera senza contestazione alcuna perché funzionava. Perché voleva giocare, essere una titolare a tutti gli effetti e non fare solo turnover o quando era il momento di rompere gli equilibri del gioco, spezzando il ritmo a loro vantaggio e facendo stancare gli avversari per poter cambiare le sorti della partita.
    Era un membro importante della squadra, non lo aveva mai messo in dubbio, ma, soprattutto dopo le vittorie della stagione sportiva appena conclusa e dei relativi titoli conquistati, voleva essere il più importante. Viveva di Quidditch la Furia Rossa e, soprattutto, nutriva costantemente la sua ambizione, volendo sempre di più. Sognava la fascia da capitano, i Falcons e la Nazionale. Sognava il primato europeo e la Coppa del Mondo. Voleva essere riconosciuta e apprezzata per le sue prestazioni e non… non per una stupida festa dove era andata con un amico. Con Dominic. Godric Santissimo, ci avevano scritto un’intera colonna a discapito della squadra, del mercato che si era appena aperto e dei possibili scambi tra le squadre, dei nuovi acquisti… erano queste le cose che contavano davvero e che le interessavano di più! Neanche era finito il Campionato che già stava incamerando dati sui suoi avversari e su come sarebbe cambiato l’assetto dell’intero panorama sportivo in vista del prossimo torneo. Del gossip non interessava a nessuno, su! Senza contare che il Cavendish era il fan numero 2 di Elwyn, gestivano insieme un intero sito e non c’era informazione che riguardasse l’ex giocatore di cui non erano a conoscenza! Erano soci in affari e si era sorbita un anno di seghe mentali dell’amico su Nice che no, se non fosse che un pochino gli faceva pena e che capiva come si sentisse ad essere evitato, lo avrebbe preso a pugni già da tempo. Per farlo rinsavire, si intende.

    E quindi niente, Chelsey era lì che correva nello studio medico del San Mungo, nuovamente attaccata a diversi macchinari magici per monitorare il suo respiro, i flussi d’ossigeno e la pressione sanguigna mentre il Guaritore di turno parlava del più e del meno - generalmente argomenti che non la interessavano più di tanto - e il Medimago scribacchiava annoiato dati e controllava che tutto fosse in ordine. Si sentiva sempre un po’ un’aliena, con la maschera sul volto e i tubi che uscivano da ogni dove, ma tutto sommato non le dispiaceva perdere tempo così, correre in quel metro quadrato fino al suo limite e non pensare a nulla per qualche minuto.
    Non che di solito pensasse, eh, non era programmata per certe attività, ma se stava ferma per troppo tempo la sua mente prendeva strane pieghe e la portava in posti in cui si era ripromessa di non andare mai più. Era sempre stata una persona sveglia e odiava perder tempo: era giunta alla conclusione che a Kain non interessava e che sarebbe stato meglio per lei metterci un intero Castello sopra. Per un periodo si era rammollita al punto da diventare una ragazzina qualunque, dando troppo spazio a pensieri che non fossero collegati con l’unica cosa che contava davvero: il Quidditch.
    Con o senza Kain.
    All’inizio la seconda parte l’aveva distrutta, il suo gioco e il suo umore ne avevano risentito, ma poi… poi ci aveva fatto il callo, perché non aveva senso struggersi e lasciare che qualcun altro interferisse con le sue prestazioni sportive, distraendola così dai suoi obiettivi. Chelsey Weasley giocava per sé stessa e per la squadra che l’aveva ingaggiata. Per nessun altro e con nessun altro.
    Questa mentalità l’aveva riportata a galla e l’aveva rimessa in carreggiata in tempo per l’ultima parte del Campionato, quella più bella ed entusiasmante. Quella di coppe e finali. La prova che bastava a sé stessa e che poteva farcela da sola, senza paracadute. Senza guardarsi indietro o cercare in campo quello sguardo dorato per ricaricare le energie.
    Recidere il cordone ombelicale che la legava a Kain era stata la scelta più dolorosa che avesse mai fatto, ma lo doveva a sé stessa e per non diventare l’ennesima persona patetica che continuava a inseguire sogni irraggiungibili. Era stato bello crederci, ma era troppo realista per poter accettare un altro rifiuto, l’ennesimo.
    Fu il “per oggi abbiamo finito, puoi attendere in sala d’aspetto l’analisi e il report di tutti i valori” ad interrompere la sua corsa, a riportarla al San Mungo, a farle rendere conto di quanto fosse sudata e con i muscoli doloranti per non aver fatto il dovuto riscaldamento. Scoccò un’occhiataccia al Medimago mentre riprendeva fiato, tanto sicuramente lo avrebbe rivisto di lì a qualche giorno, e si asciugava la fronte.
    Uscì dalla sala medica borbottando e invitandoli poco educatamente a considerare ci fossero anche altri giocatori oltre a lei - Bells mica aveva fatto tutte quelle visite -, sbattendo la porta dietro di sé più per protesta che per maleducazione. Doveva solo aspettare un’oretta, si diceva, cosa poteva mai succedere di entusiasmante al San Mungo, si ripeteva. Eppure, ci volle poco a restare pietrificata sul posto, al centro del corridoio che dava sul piccolo atrio, occupato da un’unica chioma dorata che avrebbe riconosciuto tra mille.
    No, non è vero, che avrebbe riconosciuto tra tutti. Sempre. Ovunque.
    Non le si attorcigliò lo stomaco, il suo cuore non perse un battito, nessuna parte del suo corpo cambiò colore.
    Era lì, ferma davanti all’unica persona che non avrebbe voluto incontrare e che non avrebbe potuto ignorare.
    Mosse piano la testa in un cenno di saluto, le labbra strette per non far sfuggire gli insulti che avrebbe voluto snocciolare se avesse avuto voglia di litigare o di interagire con il ragazzo davanti a lei. Non sorrideva, Chelsey, e non avrebbe lasciato che l’arma più potente dell’ex Tassorosso potesse avere alcun effetto su di lei. Se lo doveva: per la sua dignità e per il suo orgoglio. E perché aveva sprecato di inseguire chi, chiaramente, non la voleva.
    Sedette sulle poltroncine davanti al Cacciatore dei Tornados, aprendo a caso una rivista sul tavolino, prima di rendersi conto dell’articolo su cui si era soffermato il giocatore. Tirò un profondo respiro, cercando di racimolare un briciolo di calma che non possedeva e che mai avrebbe posseduto, e si sporse in avanti, girando pagina alla rivista della Veela, archiviando la foto che la ritraeva con Dominic e su cui avevano ricamato stupidi gossip così distanti dalla realtà che, se non avesse voluto infierire sulle condizioni del biondo, gli veniva da prenderlo a sberle per farlo rinsavire.
    “Non crederai davvero a certe stronzate.”
    Sbottò tornando al suo posto e incrociando le braccia al petto, perché chiedergli come stesse, date le circostanze, era del tutto overrated. Era chiaro fossero lesioni da bolide e, per quello che ne sapeva lei, se le era andate a cercare.
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    Kain fissava attonito Chelsey, materializzata rispetto a tutti i suoi pensieri. Un po' come in passato: quando la pensava, lei compariva.
    Altri tempi, certo, dato che erano attaccati con la colla per tutti gli anni di scuola.
    "Intendi le statistiche e il fatto che hai superato il tuo record di colpi andati a segno rispetto alla scorsa stagione?" chiese, preso contropiede. "Ti posso assicurare che tutte le statistiche sono corrette!" e via a sciorinare i numeri e le migliori azioni della stagione a memoria.

    Tipo un fiume in piena, un bolide impazzito: era come se, tutto quel silenzio che c'era stato tra loro, fosse da colmare in quel momento, anche con parole a caso. ...Nella speranza che anche kei si unisse alle argomentazioni, come ai vecchi tempi. Tutto quello che non le aveva detto o scritto era praticamente esploso.

    Poi si rese conto di dov'erano, e un leggero panico lo avvolse.
    Lo stesso che lo aveva avvolto quando aveva visto la foto di gossip.
    Lo stesso di San Valentino, quando gli era balenata l'idea di confessare a Chelsey il nome del legame che lo univa a lei.

    ... ma con una sfumatura diversa.

    "Non sei infortunata vero? Devi stare attenta... mica come me!" cercò di sdrammatizzare, sollevando appena la metà corpo mummificata da bende e medicazioni con impacchi strani.

    Tra panico e tachicardia e dolori ovunque, in quel momento era da buttare via.
    Ma sperava fortemente che Chelsey non lo avrebbe fatto.

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    Capitava raramente, ma c’erano delle volte in cui seguire il flusso dei pensieri del Tassorosso era davvero complicato e lei non era più abituata a saltare da un argomento all’altro, cogliendo il filo invisibile che univa il detto e – soprattutto – il non detto del ragazzo che le sedeva davanti.
    C’era un tempo in cui si sarebbe infilata nella conversazione con un entusiasmo maggiore rispetto a quello mostrato dal Kellergan, in cui avrebbe limato ogni informazione con quello che aveva appreso passando le giornate a leggere ogni tipo di rivista sportiva e analizzando a fondo ogni minimo dettaglio, senza lasciar correre neanche una parola o l’enfasi posta in una frase. C’era un tempo in cui avrebbe addirittura provato a pronosticare nuove statistiche, piazzamenti o ipotetici miglioramenti, prospettando scenari di partite immaginarie con le possibili formazioni e dopo aver effettuato allenamenti altrettanto teorici. C’era un tempo in cui sarebbe stata fiera di sentire quello che era stato il suo migliore amico elencare tutti i suoi numeri e le migliori azioni della stagione a memoria”, ma non era quello.
    Non lo era più ormai.
    Non sentiva la necessità di unirsi alla conversazione, non sentiva la necessità di sottolineare quanto fosse stata “grandiosa e ineguagliabile” la sua performance individuale quell’anno, non sentiva la necessità di aprire la coda di pavone e gonfiare il petto per prendersi meriti e complimenti che avevano quasi rischiato di scivolarle via dalle mani, se solo non fosse stata così dura con se stessa da eliminare quella parte di lei che cercava la costante approvazione degli altri, quella che voleva essere notata a tutti i costi sul campo perché solo così riusciva a sentirsi vista e apprezzata, come se finalmente potesse avere un valore anche lei. Soprattutto agli occhi di quell’unica persona che contava veramente.
    Più Kain andava avanti con la sua descrizione, più la Rossa si incupiva, lottando contro quel desiderio di sentire ancora la voce dell’ex Tassorosso e mozzargli la lingua per evitare potesse essere ancora in grado di proferire parola.
    Doveva essere lusingata del fatto che il giocatore dei Tornados avesse fatto il suo compitino? Perché, in fondo, era questo quello che erano: lei una battitrice delle Arpie e lui uno degli avversari che l’avrebbe incontrata sul terreno di gioco. Uno tra tanti. Kain aveva da tempo perso il privilegio di essere l’unico che avrebbe voluto sfidare sul terreno di gioco, l’unico che avrebbe voluto sconfiggere, l’unico con cui avrebbe voluto alzare al cielo la Coppa del Mondo. Sembrava fossero passati secoli da quando lo aveva creduto reale, a portata di mano e non più solo il sogno nel cassetto, quello che l’accompagnava fin da quando era bambina.
    Osservava il giocatore davanti a lei e, per un attimo, si chiese se tutti quegli anni ad essere la sua ombra, se il sacrificare ogni suo principio morale per vederlo alzare un trofeo scolastico, se ogni goccia di sudore versata per eguagliarlo fossero valsi davvero la pena. Se tutta quella fatica e quella sofferenza silenziosa valessero davvero qualcosa per la persona che aveva davanti, o se, come spesso accadeva, la ritenesse una meteora pronta a scomparire, troppo esile per raggiungere gli obiettivi che si era imposta.
    Arrogante. Era questo l’aggettivo che spesso associavano alla Morte Rossa, evitando di soffermarsi sul fatto che il terreno di gioco le richiedeva di non guardare in faccia a nessuno, che bisognava avere tanta autostima per esordire a poco più di 18 anni come professionista e che in campo non esistevano mamma, papà o fratello. Non era, né sarebbe mai stata, in grado di fare sconti a qualcuno.
    Non quando si trattava di Quidditch.
    Soprattutto quando si trattava di Quidditch.
    “Non sono come te.” Forse avrebbe dovuto trattenersi, forse avrebbe dovuto impedire a quelle parole di uscire dalla sua bocca… o forse era semplicemente troppo tardi per poter continuare a fingere che le cose andassero bene, che non covasse profondi sentimenti – al momento quasi tutti negativi – per la persona che si trovava davanti a lei. Aveva passato una vita ad essere come lui, migliore di lui, più forte di lui… e non era neanche bastato ad essere considerata qualcosa in più di… boh, una pluffa.
    Chelsey si odiava per questo, ma era più facile riversare il suo odio nei confronti della persona che aveva davanti, principale fonte di distrazione, nonché di turbe psicologiche, di quell’ultimo periodo.
    “Non faccio bische clandestine con gli altri, perché ci tengo a stare in forma per i prossimi impegni sportivi, quelli che contano”.
    Non erano più ragazzini, non potevano permettersi di mandare in frantumi quello per cui avevano faticato per anni. Era facilissimo infortunarsi in allenamento per un programma sbagliato o poco adatto al proprio fisico, l’ultima cosa che voleva era quella di mettersi volontariamente in situazioni potenzialmente dannose per la sua chiamata in nazionale.
    Non aveva ancora definito bene la questione nazionalità, ma aveva ancora un po’ di tempo per decidersi prima delle convocazioni ufficiali e del conseguente ritiro con la squadra.
    “Sono stata di nuovo convocata per le visite mediche a campione” aggiunse indicando la porta dietro di sé. “Come se ne avessi bisogno, c’è Dom che mi misura i parametri vitali praticamente ogni giorno.” Sotto sua cortese minaccia? Certo, ma era anche la persona più indicata per quel compito e poi l’aveva aggiustata più volte di quante non volesse ammettere quando era ancora a Hogwarts e passava la maggior parte del tempo in cui non era in campo da lui in infermeria.
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