Ad Arabells Dallaire era sempre piaciuto essere al centro dell’attenzione. Perchè non avrebbe dovuto? Era bella, promettente, ambiziosa, intelligente, ed un modello da seguire per chiunque. Sapeva di essere vanesia, ma era anche conscia non fosse necessariamente un difetto: non aveva mai dato nulla per scontato, impegnandosi negli studi quanto nel quidditch e nel mantenere un certo tipo di immagine; se li era guadagnati, gli sguardi adoranti e slash o pregni d’odio e di invidia, sentimenti che apprezzava quanto quelli canonicamente positivi. Anche prima di diventare la stella delle Arpie e pupilla di Morley Peetzah, prima di aprire un locale con Elwyn – in arte picazzo - e dello scandalo sportivo dei Cannoni e dei Gunners, Bells aveva amato i bagni di folla. Prima di diventare la Cercatrice dei Corvonero. Prima di essere vista, quando ancora non poteva ricambiare il favore. Negli ultimi mesi, le critiche erano state più numerose delle lusinghe, e tutto perché non aveva seguito il suo ormai ex Allenatore nella nuova avventura ai Cannoni. La cronaca narrava avesse preferito un patto con il diavolo la sua nemesi: l’avevano additata come traditrice, qualcuno che mordesse la mano che l’aveva sfamata e resa chi era. A lei! Come se Arabells Dallaire, nei suoi ventidue anni di vita, avesse mai avuto bisogno di qualcuno per farsi strada in quel mondo solo fintamente dedito alle pari opportunità. In parte, era difficile da accettare che i suoi successi fossero i successi dei suoi allenatori, ed i suoi fallimenti fossero solo personali; che la sua fama fosse riflessa sugli uomini a coordinare i pezzi sulla scacchiera, piuttosto che essere solo sua. Solo in parte: l’altra era consapevole che senza di lei, ed i pochi come lei, non avrebbero avuto molta gloria da vantare, e che le dinamiche di potere fossero invero molto meno bilanciate di quanto facessero apparire i media. Presuntuosa? Sempre, ma qualcuno doveva pur farlo. Quel che gli altri pensavano di lei, non era un suo problema: era nel giusto, e tanto le bastava. Comunque, dicevamo: le piaceva essere al centro dell’attenzione, essere riconosciuta per le strade delle cittadine magiche e fermata per selfie ed autografi, di conseguenza tendeva a limitare alquanto le sue uscite in incognito. Aveva le sue eccezioni. Quella stanza, ad esempio. Aveva scoperto dell’esistenza di quel genere di incontri quando ancora lavorava al San Mungo, un inside joke dei colleghi al reparto durante le pause caffè. Era stata un’idea del Rogers, il boss degli psicomaghi, ed una peculiarmente buona idea. L’uomo era conosciuto per la sua eccentricità ed i suoi metodi poco ortodossi; inutile dire fosse sempre stato uno dei preferiti della Dallaire, che per i casi umani aveva sempre avuto un debole. Speed date con il solo scopo di lamentarsi? C’erano diversi studi in merito, e non tutti guardavano alla lagna in maniera positiva: c’era chi diceva facesse male, perché richiedesse un grosso dispendio di energie; chi la additasse come positiva, perché permetteva di condividere il fardello con qualcun altro. Come la pensasse Rogers? Malgrado sembrasse pendere per la seconda opzione, la cercatrice credeva fosse solo stanco dei reclami di colleghi e sottoposti – e pazienti, perchè no. - e per quello avesse indetto quelle sessioni speciali. Se trovavano qualcuno con cui sgranare il proprio rosario, non sarebbero andati da lui ad enunciare tutte le Ave Marie di circostanza. Cosa credeva Bells? Oh. Non aveva un’opinione oggettiva in merito, ma presenziava ad ogni incontro. Perchè? Beh. Sentire le lamentele di sconosciuti la faceva sentire meglio, e solo Dio sapeva quanto in quel periodo avesse bisogno delle miserie nelle esistenze d’altri per tollerare le proprie. Trovava i problemi altrui capricciosi e ridicoli. Nella maggior parte delle occasioni, trovava quelle persone patetiche, ed usciva da lì più leggera, nuovamente fasciata della propria presunzione a ringraziare il Signore di non essere come loro. Capitava anche che qualcuno avesse disgrazie sincere, e Bells – egoista, Arabells – riusciva comunque a sentirsi meglio, perché meglio loro che lei. Non era una brava persona. A ognuno i propri metodi per sopravviversi. «jeremy leroy?» Alzò una mano per enunciare la propria presenza, scivolando oltre la porta per prendere posto sulla sedia più vicina. Ovviamente usava nomi in incognito, non voleva creare un altro inutile scandal- «Elwyn, piacere» Oh, baby. Oh, baby. Bells indossava un cappellino di lana con annessa parrucca bionda, le lenti a contatto brune – il suo sguardo era un marchio di fabbrica, nessuna parrucca l’avrebbe salvata dall’essere riconosciuta – e la mascherina a coprire metà del volto, era facile non riconoscerla. Davvero, non biasimava l’Huxley, anzi, ma … lui usava il suo vero nome? E la sua vera faccia? Voleva proprio la copertina del giorno dopo, uh. Meglio per loro, tutta pubblicità. Nessuno si stupiva più di quel che Elwyn Huxley facesse, men che meno chi – e perché proprio Bells – ci contava per farsi conoscere. Però. Lo sguardo di Bells, che in rapida successione aveva mostratosorpresa e frustrazione, si ammorbidì appena, la mano allungata per battere il pugno contro quella dell’Huxley. Mai come in quel momento aveva notato la somiglianza con il fratello: era così felice di essere lì a lamentarsi! Così entusiasta! Un golden retriever. Non sapeva esattamente quando avesse iniziato a nutrire del sincero affetto per il collega, ma in qualche punto della loro linea temporale, era successo. Piz era come un fratello per lei; Elwyn, come il cugino che arrivava sempre tardi ai pranzi di famiglia e di cui tutti sembravano sapere qualcosa tranne lui. «Quanto è scomoda questa sedia? Metterci a nostro agio era chiedere troppo, immagino. Basta guardare questo posto» In effetti, chissà perché era andata lì, quando per sentirsi meglio avrebbe potuto chiamare Elwyn e chiedergli come fosse andata la sua giornata. Prima o poi, ne era certa, l’entusiasmo di quegli speed date sarebbe scemato e gli avrebbe permesso di rendersi realmente conto dell’ambiente circostante; se non avesse iniziato al secondo 0.5 a lamentarsi, l’avrebbe già riconosciuta. «Comunque meglio delle trappole degli ultimi anni. O di Capodanno. O di qualsiasi evento pubblico. Al minimo errore, sbem, sei sui giornali» Lo guardava, e riusciva unicamente a pensare che la proprietaria del Lilum avesse una cotta per quell’uomo. Come. Come. «scioccante. Manco fossi un celebre pittore anonimo che dipinge intingendo il membro nelle vernici» schioccò la lingua sul palato, «quello sì che sarebbe assurdo» abbassò la mascherina quel tanto che bastava a soffiargli un bacio ed un mezzo sorriso compiaciuto. Si sistemò più comodamente sulla sedia, rubando il tasto (dai. C’è il tasto degli speed date, no?) dal tavolo in modo che il suo caro compagno di giochi non potesse switcharla con qualcun altro. Poggiò un piede sulla seduta, ed il mento sul ginocchio. «nah, inizia pure tu. spara» dal ghigno a curvare le labbra della Dallaire, qualcuno avrebbe potuto dire che non fosse un invito metaforico, ma una sfida. Forse avrebbe anche avuto ragione. |