love is a soup and i have a fork

sorta & bertie

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    Bertie va da Madama Piediburro per un appuntamento al buio. Sorta è in cerca di compagnia e si finge colei che deve incontrare Bertie.


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    Tamburellò le dita sul bancone. Non sapeva dire da quanto tempo era rimasta lì a fissare quel tavolo. Non lo aveva notato fin da subito, aveva lasciato vagare per un po' lo sguardo all'interno del locale prima di fermarsi su una figura familiare seduta ad un tavolo. Un ragazzo seduto da solo ad un tavolo, aspettando qualcuno. Quel ragazzo era Bertie e sicuramente non stava aspettando lei, eppure era rimasta per un tempo indefinito a fissarlo mentre il cameriere aspettava che Sorta si decidesse ad ordinare qualcosa. Tamburellò nuovamente le dita sul bancone, spostando lo sguardo verso la porta. Ancora nessuna traccia della persona che Bertie stava aspettando. Probabilmente la persona che stava incontrando era qualcuno di un altro appuntamento al buio. Chissà se la sua pazienza era ormai al limite o la ricerca del vero amore l'avrebbe spinto ad aspettare pateticamente per una persona che non si sarebbe mai presentata. Avrebbe dato la colpa alla noia del momento per quell'idea folle. Se mai fosse arrivata la persona che stava aspettando, avrebbe potuto inventarsi qualunque cosa, non c'erano troppi problemi, era risaputo che Madama Piediburro era luogo di incontri di coppiette e appuntamenti al buio. «ordinerò una volta seduta a quel tavolo» lo indicò velocemente prima di recuperare la borsa e dirigersi con passo svelto verso il tavolo evitando di guardare direttamente la figura e, invece, rovistando nella borsetta alla ricerca di qualcosa. Non stava cercando esattamente niente ma faceva tutto parte della scena. Non era nemmeno la prima volta che inscenava qualcosa davanti al ragazzo, solo che questa volta non stava facendo finta di impegnarsi, voleva impegnarsi al punto che anche l'ex serpeverde le avrebbe creduto. Prima che passasse altro tempo e che il ragazzo potesse anche solo pensare di alzarsi da quel tavolo, Sorta appoggiò con un tonfo la borsa sul tavolo per attirare l'attenzione del ragazzo, se già non fosse stata notata avvicinandosi a lui. «scusami se ho ritardato così tanto, ho avuto un imprevisto» bugia. L'unico imprevisto che avrebbe potuto citare se fosse stata veramente lei quella in ritardo ad un appuntamento sarebbe stato perché si era fermata a qualche negozio. Lo sguardo era ancora puntato sulla borsa. Qualsiasi cosa stava cercando, l'avrebbe cercata dopo. Sospirò con aria esausta sedendosi di fronte al ragazzo. Alzò lentamente lo sguardo. «bertie??» first reaction: shook. Sorta sapeva perfettamente chi aveva di fronte ma la Sorta che stava interpretando, non ne aveva la più pallida idea. «eppure ero sicura che la maledizione ormai si fosse spezzata, una volta uscito da hogwarts» Si era trovata da Madama Piediburro nello stesso momento per pura, mera, casualità. Dopo il diploma non lo aveva più visto sul serio. L'unico problema era che avendo mentito sul fatto di avere una nuova fidanzata, ora suo fratello credeva veramente che lei fosse fidanzata, d'altro canto lei non aveva fatto niente per rivelare la verità dietro a quella bugia, era diventata troppo grande dato che molto spesso la scusa della fidanzata si ritrovava molto utile e alla fine aveva rimandato l'idea di mettere in scena anche la loro rottura. Non gli aveva mentito così tanto da quando aveva dovuto tacere l'esistenza della sua prima fidanzata. Durante la giornata del prom aveva detto così tante bugie che sarebbero state troppe da contare, ma si sa, quello che accade al prom, resta al prom. «certo che noi e le gioie siamo due rette parallele mai destinate ad incontrarsi» Non aveva più molte aspettative per quanto riguardava la sua vita sentimentale. Si lasciava bastare qualche ragazza incontrata qua e là con la quale non avrebbe mai avuto nulla di serio ed era felice. Era ancora molto giovane, aveva tutta la vita davanti e nonostante avrebbe voluto viverla al pieno, sapeva che non era di certo il momento di abbattersi perché era modestamente una ragazza con i controcoglioni e la sua bellezza non era sicuramente l'unico suo punto di forza. «se sei ancora single fra una decina d'anni vieni a cercarmi: facciamo finta di sposarci, organizziamo il matrimonio, alla fine ti lascio sull'altare e scappiamo con i soldi e i regali.» Quello era sempre stato il suo piano B se il piano per il suo matrimonio tanto voluto dai genitori, sarebbe mai andato in porto senza il suo volere.

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    Nella lista delle cose stupide fatte in tutta la sua vita (lista cortissima, sia chiaro, neanche mezza paginetta!), questa era la seconda. La prima era tornare indietro nel tempo con Nice, ovviamente. D’accordo, anche rifrequentare Hogwarts non era stata una delle sue trovate migliori, quindi meritava una posizione sul podio. Ma prima o dopo questa immensa, enorme stronzata?
    Sospirò, tamburellando nervoso le dita sul tavolo. Il suo viso non lasciava trasparire nulla se non la solita, profonda apatia, mista a quell’immancabile pizzico di sarcasmo, con una spruzzata di disprezzo a completare il tutto. Dentro, però, voleva solo una cosa: morire. In effetti niente di nuovo sotto al sole, ma, per una volta, era abbastanza giustificato. Odiava stare in mezzo alla gente e, ancora di più, odiava la gente. Eppure, non essere più circondato dalle persone, dalle possibilità, l’aveva colpito dritto in faccia già poche settimane dopo il diploma. Certo, in casa non c’era mai un attimo di pace, tra chi andava, chi veniva, chi rompeva (ovvero tutti tranne lui, chiaro), ospiti per nulla rispettabili e quant’altro. Tuttavia non era la stessa cosa. Per dirla in parole povere, si sentiva solo. E annoiato. Nice e Chelsey avevano torto, però: il fatto di stare tutto il giorno chiuso in casa a leggere, fumare e bere non aveva nulla a che fare con il suo non conoscere mai nessuna persona nuova! E poi lui non era uno da relazioni sentimentali. Aprirsi con un’altra persona, essere sé stesso… gli veniva il vomito anche solo a pensarci. Per qualche oscuro motivo, però, una piccola, piccolissima parte di lui aveva cominciato a ricamare sul fatto che una cosa come quella che aveva avuto con Kiel (morta dopo che il Corvonero aveva osato portare Nice, non lui, NICE!, al prom) non bastasse più. Già con Sorta era meglio, ma non poteva, e non voleva, rimanere Rita per sempre. Quella vocina nella sua testa si era fatta così insistente da riuscire, un giorno, a scaricare una di quelle dannate app che aveva sempre schifato. Non si era buttato su uno scontatissimo Tinder, naturalmente, ma su tale Goethe, che prometteva di basarsi solo e soltanto sulla personalità. Niente foto, niente genere, niente identità sessuale: niente di niente, insomma, se non l’essenza, se non affinità elettive. Così lui, Sehnsüchtig, nostalgico, aveva cominciato a parlare con Melankholikós, malinconic*. E, cosa più incredibile che vera, non gli era dispiaciuto neanche troppo. Che fosse una donna, un uomo o qualsiasi altra cosa nel mezzo e oltre, non gli importava più di tanto: era una persona con la quale non gli faceva schifo parlare.
    Di conseguenza non poteva essersi sbagliato. Non lui. Non così. Invece il tempo passava e di Melankholikós nessuna traccia. Controllò nuovamente l’ora, arricciando appena le labbra con disappunto. Stava aspettando da ben sette minuti: un ritardo inaccettabile, per lui. Cercò di focalizzarsi su questo aspetto, sperando così di far passare in secondo piano il resto. Peccato che, però, tutto non facesse che tornare prepotentemente a galla. Si sentiva deluso e ferito. Ma soprattutto deluso, se non altro. Per quanto non sapesse nulla di l*i, si era quasi convinto che tra loro ci fosse un’intesa. Gli sarebbe andato bene anche non arrivare ad altro; anzi, per certi versi avrebbe preferito trovare (finalmente) un* amic*. Ma nessuno, di questo, doveva sapere nulla.
    Un’altra occhiata al cellulare: ora di minuti ne erano passati ben undici. Imprecò tra sé e sé e fece per alzarsi, ma il suo sguardo fu catturato da qualcosa, o meglio, qualcuno, palesemente diretto verso il suo tavolo. Come certi animali quando hanno paura (tipo Sara), si immobilizzò e si finse morto. Era troppo, troppo assurdo per essere vero. Si ripeté più volte di essere nel bel mezzo dell’ennesimo incubo che li vedeva come protagonisti, ma la figura, lunghi capelli rosa compresi, si sedette con tutta la sua (mancanza di) grazia al tavolo e cominciò a blaterale. Bertie non stava quasi neanche respirando, tanto la situazione, al solito, era perfettamente normale per loro due. L’unica cosa che si mosse furono i suoi occhi, che corsero subito a intercettare quelli di lei, non appena si degnò di staccarli dalla borsa. Sul serio??, le urlarono, mentre il resto del suo viso rimaneva, come sempre, in apparenza inespressivo.
    In mezzo a quel fiume di parole si aspettava che Sorta lo sfottesse per il suo rimanere, unico elemento davvero inusuale di quella situazione senza senso, totalmente zitto. In effetti era molto strano, ma l’istinto da animale che si finge morto per evitare di morire davvero aveva preso il sopravvento. Almeno finché non la sentì fare quella proposta. «se sei ancora single fra una decina d'anni vieni a cercarmi: facciamo finta di sposarci, organizziamo il matrimonio, alla fine ti lascio sull'altare e scappiamo con i soldi e i regali.»
    Spalancò gli occhi, Bertie, e… cominciò a ridere. Sempre più forte. Sempre più incontrollato. Non aveva mai riso, o quasi, in vita sua. Ma, soprattutto, non aveva mai riso così. Finalmente libero dalla paralisi tentò di soffocare la ridarella e si coprì il viso con le mani, sperando così di riuscire non solo a smettere di ridere, ma, ancora di più, di nascondere il vago rossore che gli si era diffuso per le guance.
    «Lo sapevo», cominciò, ancora in mezzo alle risate. «Lo sapevo che alla fine… avresti ceduto
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    Meglio tardi che mai (?).


    Edited by sehnsüchtig. - 14/8/2022, 00:41
     
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    Sorta per un attimo aveva avuto paura che lui non l'avrebbe mai creduta. Per prima cosa non sapeva chi stava aspettando, poteva essere qualcuno che effettivamente conosceva e la sua presenza lì sarebbe stata del tutto fuori luogo. Il problema non sarebbe stato di certo inventarsi una scusa. Aveva catalizzato la sua attenzione sulla borsa anche per quello, avrebbe potuto avere una scappatoia nel caso in cui la persona che stava aspettando la conoscesse e vedendolo lì lo avrebbe raggiunto. Se invece l'ipotesi di qualche appuntamento al buio fosse stata vera allora sarebbe stato troppo tardi per la sua anima gemella: aveva tardato e ora c'era lei seduta al suo posto. Il vero problema risiedeva nel fatto che non sapendo chi doveva incontrare, lei non avrebbe rispecchiato la persona che Bertie avrebbe dovuto incontrare. Sarebbe bastato poco per smascherarla ma sperò che in un qualche modo non sarebbe successo. Bertie lo avrebbe preso per un'ulteriore scherzo del destino ma Sorta sapeva che non era così. Certo, si trovava nel posto giusto al momento giusto ma non era stato il destino a incastrarli assieme quella volta. Lo fece probabilmente per noia o forse per ricambiare il favore che Bertie le aveva fatto il giorno del prom. Aveva notato come stava impazientemente aspettando quel qualcuno che non si era degnato di presentarsi e come la sua pazienza era arrivata al suo limite. L'aveva anche visto alzarsi ed era lì che era entrata in azione. Non gli avrebbe permesso di rovinarsi la giornata per quello e lei poteva anche subire qualche insulto per averlo fatto aspettare a lungo. Per l'intero suo discorso Sorta puntò lo sguardo dritto nei suoi occhi. Quando aveva posato per la prima volta sugli occhi del ragazzo, era stata ben visibile la sorpresa di vederla lì, ma il suo viso non aveva fatto trasparire altro. Bertie non aveva detto una parola da quando lei si era seduta, non si era nemmeno mosso. Stava aspettando una qualunque reazione che le permettesse di capire cosa stava passando per la mente del ragazzo perché per quanto apparentemente impassibile era sicura che la sua mente stesse elaborando la situazione non così assurda per loro dopo San Valentino e il prom. Era talmente sorpreso di vederla lì che non aveva nemmeno commentato quanti minuti di ritardo aveva fatto, quasi come se si fosse dimenticato di aver aspettato tanto perché si facesse viva. Alla fine del suo monologo Bertie decise di dare un segnale di vita: iniziò a ridere. Sempre più forte. Sempre più incontrollato. Ora, quella scioccata sul serio, era lei. Spalancò gli occhi quando Bertie scoppiò a ridere. Era sicura di non aver mai sentito Bertie ridere così, era più abituata a vedere la sua facciata impassibile e apatica, sentirlo ridere era stato qualcosa di totalmente inaspettato. Era più scioccata dalla risata in sé che dal fatto di non capire come mai stesse ridendo. +30 punti al fantaoblinder: aveva fatto ridere la propria anima gemella. Lo vide coprirsi il viso con le mani cercando di smettere di ridere e sorrise. L'intera situazione era così assurda e sembrava aleggiare qualcosa di molto simile al buon umore che non aveva potuto fare altrimenti. «Lo sapevo» cominciò quando riuscì a spiaccicare qualche parola fra le risate «Lo sapevo che alla fine… avresti ceduto lasciò sfuggire uno sbuffo a quelle parole. «e sei così felice per questo?» Assurdo che avesse riso con così tanto vigore per quello. Non era nemmeno detto che fosse felice, da come aveva riso poteva essere anche la sua risata isterica, non lo sapeva, come poteva catalogare quella risata se non era abituata a vederlo ridere? «stiamo parlando del futuro» dieci anni per l'esattezza. Non sapeva nemmeno se sarebbe rimasta a Londra una volta uscita da Hogwarts. «questo presupporrebbe essere entrambi single fra una decina d'anni» Dai, insomma, improbabile. Quante cose potevano cambiare in dieci anni? Troppe per contare in quella mera possibilità. Poi forse si era perso anche la parte dove diceva che l'avrebbe lasciato sull'altare fingendo il matrimonio per tenersi soldi e denaro ma non lo sottolineò perché si era ripromessa di non rovinargli la giornata. Solo per un giorno, poteva farcela. Forse. «guardami ora, sono niente in confronto a quello che sarò fra qualche anno» Si rialzò per fare un giro su se stessa e mostrare le prove delle sue parole. Stava nel pieno della sua crescita, certo non in altezza ma il detto altezza mezza bellezza era una cazzata o comunque poteva permettersi di rimediare sui tacchi tanto ormai i suoi piedi erano ben allenati a quelle fatiche. «sarebbe un tale spreco se qualcuno si lasciasse sfuggire una come me» disse infine riprendendo posto con un sorriso. «comunque a momenti dovrebbe arrivare il cameriere, avevo chiesto di ordinare direttamente al tavolo» si guardò intorno ma niente, nemmeno l'ombra. Che si stava vendicando che l'avesse fatto aspettare tato per poi ordinargli di venir a prendere le ordinazioni al tavolo?

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    Arrivati a questo punto, la sorpresa non era più contemplabile. E, in effetti, Bertie non era sorpreso, e nemmeno stranito. Se mai, la cosa strana era quella sensazione di leggerezza che, ora cominciava a rendersene conto, aveva preso a invaderlo nel momento stesso in cui Sorta era entrata nel suo campo visivo. Anzi, non era del tutto vero. La leggerezza era subentrata solo quando la Motherfucka si era seduta al suo tavolo. Nella manciata di secondi che era intercorsa tra la sua apparizione e il suo accomodarsi, se mai, Albie aveva provato tutt’altra sensazione. Un fastidio, in un qualche modo. Ma non il fastidio che gli piaceva arrecare agli altri, per irritarli. Un fastidio diverso, del tutto simile alla preoccupazione.
    Perché Madama Piediburro era un luogo da appuntamenti. Per coppiette.
    E Sorta era lì. Diretta da qualche parte.
    Quel pensiero non l’aveva nemmeno sfiorato del tutto, tanto era stato veloce. Era passato da quelle parti, lasciandosi intravedere solo con la coda dell’occhio. Però c’era stato. Per un istante l’aveva, dunque, pensato: Sorta era da Madama Piediburro per un appuntamento non con lui.
    Invece, in un battito di ciglia, eccola lì, quasi a controbilanciare il peso che, mentre lei si sedeva, si era subito sollevato dalle spalle, e forse anche dal petto, di Albert. Fu anche per questo che, dopo il suo sproloquio, si ritrovò a ridere: perché adesso il famigliare groppo allo stomaco che lo accompagnava da tutta la vita, e che non aveva fatto che rafforzarsi con lo scorrere avanti, ma indietro, nel tempo, si era allentato. La cosa era a dir poco spaventosa. Non era normale che lui, Albert, si sentisse così bene.
    E infatti, non appena gli fu possibile, riprese subito il controllo, spiegando, giustificando quelle risate in modo plausibile. Stornò il focus da sé stesso, riversandolo su Sorta: era lei ad aver ceduto, non lui. Lei si era presentata a quell’appuntamento, perché, non poteva essere che così, doveva aver capito di avere davanti Bertie. E, cosa ancora più importante, stava iniziando ad arrendersi all’evidenza del volere stare con lui, in qualsiasi modo lo volesse intendere.
    Tutto questo, dunque, riguardava solo e soltanto Sorta. Non Albert.
    Ecco perché, quando lei sbuffò e gli chiese se era così felice per quello, per il suo aver ceduto, Bertie, finalmente, riuscì a frenare la ridarella con un colpo di tosse, permettendo però a un sorrisino di continuare a fargli capolino sulle labbra. «Ma certo», sentenziò subito, dando un altro piccolo colpo di tosse dietro il pugno chiuso davanti alla bocca. «Però non esagerare: essere felici non è umanamente possibile.» Scostando la mano, rivelò che il sorrisetto era ancora lì, per nulla intenzionato ad andarsene. «Ma d’accordo, parliamo impropriamente di felicità. Perché mai dovrei essere felice? Perché, invece di sederti a qualunque altro tavolo, con chiunque altro, a un appuntamento qualsiasi, sei invece venuta qui, da me, al nostro appuntamento?» Il tono sarcastico non lasciava spazio a molte interpretazioni, ma forse, dicendo quelle parole, non avrebbe dovuto guardare Sorta negli occhi. «Certo che no. Sono felice solo e soltanto perché ti sei arresa e io ho vinto», concluse invece più serio, virgolettando però con le dita la spinosa questione della felicità.
    Come sempre, tra loro, nulla accadeva per caso. Quindi fu proprio in quel momento, parlando della felicità, che Sorta sottolineò come si trattasse di un’ipotesi futura. Il vago sorriso di Bertie sbiadì sempre di più, fino a lasciare il posto alla sua normale espressione apatica, corazza, o forse prigione, di ogni altra emozione. Già, il futuro. Quel futuro che aveva abbandonato, e che gli mancava ogni giorno… «questo presupporrebbe essere entrambi single fra una decina d'anni» Sollevò le spalle, noncurante. «Al di là di questo… dieci anni? Ci saremo ancora, tra dieci anni? Saremo ancora vivi? Potrebbe succedere di tutto.» Tra dieci anni, in realtà, Bertie sapeva che, nonostante tutto, il mondo ci sarebbe stato ancora. Tra dieci anni, il vero lui ne avrebbe avuti nove, di anni. «Ma quello che ti preoccupa è… la solitudine?» Per quanto volesse punzecchiarla, la domanda gli uscì un po’ più tagliente di quello che avrebbe voluto. Da che pulpito gliela stava rivolgendo?
    Ma Sorta era nuovamente in piedi, e la invitava a guardarla. Non se lo fece ripetere due volte e, prima di rendersene del tutto conto, quel vago sorriso tornò a incurvargli le labbra. «Sei davvero sfacciata», finse di rimproverarla, lasciando però trapelare un tono velatamente bonario. «Sai già come la penso. Non mi ripeterò Un accenno di rossore gli risalì alle guance, ma Bertie finse di non accorgersene, continuando invece a guardare Sorta. Per la prima e forse unica volta nella sua vita si era lasciato andare ai complimenti, o meglio, lasciata, quella sera, al prom. Ma soprattutto, era stato sincero, quando aveva detto, e dimostrato, a Sorta quanto apprezzasse il suo potenziale.
    «sarebbe un tale spreco se qualcuno si lasciasse sfuggire una come me» «Eppure sei qui… con me. Devi dirmi qualcosa?», tornò alla carica, inarcando un sopracciglio. In realtà, quello che avrebbe dovuto dire qualcosa era lui, ma se ne guardò bene, facendo invece di tutto per ricacciare ogni cosa nelle profondità del suo essere. Con la Motherfucka stava bene, certo, ma finiva lì. Non si sarebbe soffermato su quel senso di serenità che aveva provato vedendola tornare dov’era lui, quasi come se fosse a casa.
    Eppure, guardandola sorridergli, non poté non fare lo stesso. Certo, il suo fu il solito sorriso quasi impercettibile. Però era lì, e non voleva proprio saperne di andarsene. Annuì appena alla questione del cameriere, essendo decisamente disinteressato all’argomento, ma quando, poco dopo, effettivamente si avvicinò, ordinò afternoon tea per entrambi, con tanto di torta, scones e tramezzini. «Così sarà davvero un appuntamento», la canzonò a bassa voce, una volta che il cameriere si fu allontanato.
    Bertie odiava il rischio, avendo al contrario bisogno di avere sempre tutto controllo. E allora perché, adesso, si divertiva a camminare sul filo del rasoio? Ogni punzecchiatura a Sorta andava a toccare qualcosa anche dentro di lui. Per quanto ancora sarebbe riuscito a portare avanti quel gioco senza conseguenze?
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    Amicizia, si disse. Era seduta a quel tavolo per amicizia. Era l'unica lì presente che avrebbe potuto risollevargli il morale. Una piccola bugia bianca, non avrebbe danneggiato nessuno, era abituata a dover sostenere bugie ben più grandi e complesse. Forse Bertie, a fine giornata, avrebbe ricevuto il fatidico messaggio di scuse della persona con cui avrebbe dovuto avere un appuntamento o forse sarebbe stato totalmente ignorato. Un po' sperò nell'ultima ipotesi e non perché era gelosa del fatto che stesse uscendo con altre persone ma così facendo lui non avrebbe mai saputo di essere stato bidonato e lei non avrebbe dovuto inventarsi una scusa. L'equilibrio perfetto. «Però non esagerare: essere felici non è umanamente possibile. Ma certo» essere felici al 100%? No, non era possibile. Ma era abbastanza sicura che Bertie non aveva mai davvero provato a rendersi felice. Si era semplicemente arreso al fatto che la felicità non fosse adatta a lui. Anche quando sembrava cercarla, era il primo a mettere i freni. Non sempre era una cosa positiva: le relazioni, per esempio, erano fatte per essere passionali, a volte al punto tale da consumarsi. Andavano vissute con l'acceleratore, non con il freno e con questo non intendeva dire accelerando le cose ma vivendole appieno senza alcuna inibizione, lasciando accadere quello che deve accadere. «Ma d’accordo, parliamo impropriamente di felicità. Perché mai dovrei essere felice? Perché, invece di sederti a qualunque altro tavolo, con chiunque altro, a un appuntamento qualsiasi, sei invece venuta qui, da me, al nostro appuntamento?» Rabbrividì impercettibilmente a quelle ultime parole. Il loro appuntamento. Solo lei lì sapeva che quello era tutt'altro che il loro appuntamento. Era riuscita a convincere Bertie fin troppo facilmente. Qualcosa dentro di lei le disse che quello che stava facendo era sbagliato, gli stava mentendo, forse gli stava dando false speranze ma non c'era anima viva o morta ad Hogwarts che non sapesse della sua sessualità, Bertie per primo. Non avrebbe in alcun modo potuto ferirlo mentendogli sull'appuntamento. Ormai sapeva da solo come sarebbe andata a finire. «certo che dovresti esserne felice. potrei essere una dea scesa in terra e l'unico tuo compito sarebbe prostrarti, lodarmi, ringraziarmi ed essere felice per essermi presentata al tuo cospetto» il minimo, insomma. Nessun rispetto per le dee contemporanee al giorno d'oggi. Lei era la discendente suprema della dea lella. Le avevano privato del suo paradiso divino per scendere in terra e seminare la parola della sua Signora. «Certo che no. Sono felice solo e soltanto perché ti sei arresa e io ho vinto» umettò le labbra prima di squadrarlo inarcando un sopracciglio. Così tanti anni e non aveva ancora imparato nulla su di lei. Ingenuo. «guardami negli occhi e dimmi nuovamente che mi sono arresa» tamburellò le dita sul tavolo, aspettando due secondi, il tempo che anche solo osasse aprire bocca per confermare le parole pronunciate poco prima. «arrendersi non è una parola che fa parte del mio vocabolario. mi sono mai tirata indietro? quando siamo capitati assieme per san valentino? non credo di essermene andata. l'ho fatto quando sei stato il mio accompagnatore per il ballo? pensi che lo farò adesso? no. allora questo non è arrendersi, si chiama "superare gli ostacoli di petto e con grazia"» non mancò poi di far notare come lei avesse parlato in via ipotetica e del tutto futura della fuga dal matrimonio e il cambio di umore del ragazzo fu così evidente che si chiese se mai avesse detto qualcosa di sbagliato o toccato un tasto dolente. «Al di là di questo… dieci anni? Ci saremo ancora, tra dieci anni? Saremo ancora vivi? Potrebbe succedere di tutto.» va bene la depressione e la fase emo e tutto, ma lei non si stava sforzando di diplomarsi a pieni voti, di impegnarsi, di curare il suo aspetto fisico e di tenere alta la sua dignità per vivere nemmeno altri 10 anni. «prima di tutto toccati le palle per favore che non vedo del ferro. seconda cosa, non so te ma io non ho intenzione di morire così giovane quindi fra dieci anni ti posso assicurare che sarò qui. spero a sbattertelo in faccia. vedi tu se devi portarmi così sfiga.» sbuffò stizzita soppesando le proprie tette per cercar di scacciare il malocchio. «Ma quello che ti preoccupa è… la solitudine?» Scrutò il ragazzo in un attimo di esitazione mordendosi il labbro inferiore prima di alzarsi e attirare l'attenzione del ragazzo su di sé ignorando bellamente la domanda. Davvero, che domanda stupida. A chi non preoccupava la solitudine dopotutto? Quanto noiosa e triste doveva essere la vita di una persona adulta e sola? Una volta cresciuti la persona amata, la famiglia, diventava tutto. Le persone finivano per essere inglobate in quella nuova vita, ognuno per la sua strada difficilmente si trovava tempo per far altro, per uscire e divertirsi, stare insieme con gli amici se non quelle rare volte. Chi rimaneva indietro non era proprio chi non era riuscito a costruire niente o avere qualcuno accanto per il resto della vita? Non voleva di certo fare quella patetica fine. Non voleva essere quel tipo di persona che osservava il resto delle persone vivere la propria vita più o meno felicemente che fosse. Non era nata per essere spettatrice. Non avrebbe mai ammesso, però, che ne aveva paura, che a volte si gettava in stupide avventure che sapeva non avrebbero portato a nulla per illudersi di non essere sola. «Sei davvero sfacciata. Sai già come la penso. Non mi ripeterò fece una smorfia di disappunto. «peccato. spero non tratti così tutte le ragazze ai tuoi appuntamenti galanti. devo anche insegnarti come conquistare una donna?» appoggiò i gomiti sul tavolo intrecciando le mani per appoggiarci il mento ed osservarlo con un sorriso. «inoltre io non credo sia un difetto la sfacciataggine. è un pregio saper attirare l'attenzione su di sé, serve carisma e un pizzico di bellezza. sei fortunato non mi stia neanche impegnando ad attirare l'attenzione di tutto il locale» il che non era molto difficile: era una bella ragazza, i suoi capelli avevano il colore dell'azalea japonica, aveva tutte le qualità per attirare l'attenzione dei presenti ed era l'equilibrio perfetto fra una camionista e una donna d'alta classe. Se si pensava a quello che sarebbe potuto diventare in futuro, non era altro che un'aggiunta di maturità e bellezza. «Eppure sei qui… con me. Devi dirmi qualcosa?» «che la mia anima gemella probabilmente ha un'orientamento terribile e si è persa o nel frattempo per la strada si è fermata a flirtare con altre persone. la pagherà per questo» nel frattempo il cameriere si era deciso di palesarsi e Bertie aveva ordinato per entrambi degli afternoon tea con tanto di torta, scones e tramezzini. «Così sarà davvero un appuntamento» la canzonò lui a bassa voce una volta che il cameriere si fu allontanato. Ci stava ricalcando molto su, eh? Quasi quasi stava iniziando a pentirsene di essersi fermata a quel tavolo vuoto che Bertie stava per abbandonare prima che arrivasse. «magari stai sognando ancora, aspetta che cerco di svegliarti» si avvicinò con un sorriso malevolo quel tanto da raggiungere con la sua mano il braccio di Bertie per pizzicarglielo. «oh no, siamo ancora qui? mi dispiace» avrebbe dovuto sopportarla ancora a lungo.

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    Adalbert Natanail
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    Doveva darsi un po’ di contegno, altrimenti l’avrebbero scoperto. Sorta l’avrebbe scoperto. Ma era davvero colpa sua? Naturalmente no. Lui ci aveva provato a mettersi in gioco, in fondo. Aveva scaricato quella stupida app, aveva provato a parlare con la gente, aveva persino invitato la persona con la quale gli era parso avere più affinità a un appuntamento e, infine, si era davvero presentato al suddetto appuntamento. Aveva fatto tutto quello che poteva. Non era rimasto chiuso in casa, come suo solito, a fissare apaticamente il vuoto in compagnia di Hyde, entrambi seduti sul divano sgangherato mentre tutto il resto dell’appartamento era fuori a divertirsi, a vivere. Aveva fatto tutto quello che poteva.
    Non era colpa sua, quindi, se, dall’altra parte dello schermo prima, e del tavolo ora, c’era proprio Sorta Motherfucka. All’inizio aveva trovato snervante il fatto di dover avere a che fare, tra tutti, proprio con lei. Ma poi la serpeverde si era rivelata per quello che era veramente, dietro quel bel faccino quasi angelico, e a quel punto il fastidio si era attenuato e, alle volte, aveva persino rischiato di scomparire. Se non fosse che era pur sempre Albert. E che Sorta, be’, era Sorta, con tutto quello che comportava.
    Ma tanto a lui non importava, no? Che importava che, per la Motherfucka, non avrebbe mai potuto rappresentare nulla di più di un amico? Bertie non aveva bisogno di una relazione. Non faceva per lui. Non aveva bisogno di essere così importante per qualcun altro. Non voleva essere amato, né tanto meno amare. Perché faceva male. Troppo male. E avrebbe perso tutto di nuovo, lo sapeva bene.
    Era stato solo un modo per sfuggire alla noia, come d’altronde tutto quello che faceva. Nulla di più, nulla di meno. Le sue reazioni, dunque, non avevano alcun senso e doveva trovare un modo per frenarle, se non di ucciderle, prima che scatenassero qualcosa di cui si sarebbe pentito. Non era neanche una questione di darla vinta a Sorta. Certo, c’era anche questo aspetto, ma ciò che lo preoccupava era, egoisticamente, sé stesso. Non voleva sentirsi così. Non poteva.
    «certo che dovresti esserne felice. potrei essere una dea scesa in terra e l'unico tuo compito sarebbe prostrarti, lodarmi, ringraziarmi ed essere felice per essermi presentata al tuo cospetto» Per tutta risposta schioccò appena la lingua, per poi scuotere il capo con un accenno di rassegnazione. «Sei sempre così modesta, non c’è che dire…», la canzonò, guardandola però al contempo con orgoglio. Aveva tutto il diritto di credere in sé stessa, naturalmente. La avrebbe spronata a farlo, se non ne fosse stata capace. «Ma ricordati che non credo in niente. Soprattutto nelle divinità.» Una mezza verità, la sua. In qualcosa credeva anche lui, in fondo. O almeno, così si ripeteva, cercando, giorno dopo giorno, di andare avanti.
    Eppure, nonostante i suoi buoni propositi, qualcosa continuò ad andare storto. Avrebbe dovuto smettere di rimarcare la propria vittoria, mostrandole di non darci troppo peso. Certo, con Sorta il suo livello di menzogna era stranamente basso, ma doveva preservare sé stesso. Invece stava fallendo miseramente. Quindi si ritrovò a guardarla negli occhi, come lei gli chiedeva, non riuscendo a impedirsi di sogghignare appena. «guardami negli occhi e dimmi nuovamente che mi sono arresa» «Ho vinto», la parafrasò, forse non osando ribadire il suo essersi arresa. O forse non… desiderandolo. Un conto era vincere, un altro era sapere che Sorta era lì contro la propria volontà, solo per dovere. Bertie voleva che fosse lì… perché lo desiderava.
    Stranamente silenzioso, ascoltò con attenzione il discorso di lei sull’argomento, sul non arrendersi. Le sue paure erano infondate, quindi. Oppure no? «Superare gli ostacoli di petto e con grazia», ripeté piano, con un sorrisetto, dopo essersi inumidito le labbra. «D’accordo, anche se… ti mancano entrambi.» Per quanto, nel profondo, fosse tutt’altro che convinto, era pur sempre sé stesso, dunque gli fu impossibile trattenersi dal lanciarle l’ennesima frecciatina, per il solo gusto di infastidirla. Assurdo come, invece di trovare un modo per tenere Sorta vicina, Bertie sembrasse cercare costantemente di allontanarla da sé, non tenendo mai la bocca chiusa. Voleva ma non voleva tutto questo. Si sentiva dilaniato da sentimenti contrastanti, quando, in realtà, avrebbe solo voluto non sentire nulla. «Dunque sei qui perché… vuoi essere qui.»
    Ecco fatto. Per fortuna che doveva darsi un po’ di contegno… Ancora una volta, però, si disse che non era colpa sua. Sorta l’aveva portato a fare quell’affermazione, con tutto quel discorso. Le sue parole erano solo la diretta e naturale conseguenza di quelle di lei. Così come il commento sul non essere vivi, magari, da lì a dieci anni. E la risata che, almeno stavolta, riuscì a ricacciare indietro, insieme alla battuta di bassa lega sullo sbattergli in faccia l’essere ancora viva e vegeta da lì a due lustri. «Tranquilla, tranquilla. Tra dieci anni sarò qui ad aspettarti.» Una menzogna, probabilmente, visto che, da lì a dieci anni, Bertie sarebbe stato nel suo tempo… O più probabilmente morto, in effetti. Tuttavia, in quel momento, ci credette davvero. E ci mise un attimo di troppo ad accorgersi di aver usato sul serio quelle parole, motivo per cui si affrettò ad aggiungere qualcosa per mitigare l’importanza di quello che gli era appena sfuggito: «Perché, sai… l’erba cattiva non muore mai». Per il rossore, invece, era troppo tardi…
    Come accadeva sempre, però, parlando con Sorta, il discorso continuava a saltare da un picco all’altro, ora verso il basso, ora verso l’alto. In quel momento stava vincendo la vena seria e profonda, quella che, con gli altri, Albie usava come arma. Ma con la Motherfucka assumeva una sfumatura completamente diversa, simile solo a quella che aveva con Nice, quando, almeno, parlavano ancora sul serio. Quello che non si aspettava era la non reazione di Sorta. O meglio, una reazione che, per certi versi, gridava forte pur senza usare la voce. Quando infatti le chiese, provocatorio, se avesse paura della solitudine, la ragazza esitò. Fu una questione di pochi istanti, ma gli sembrò di leggere, nei suoi occhi, un baratro senza fondo.
    Sorta aveva paura della solitudine.
    Esattamente come Bertie.
    Se fossero stati persone diverse, quello sarebbe stato un momento perfetto. Un momento romantico, persino. Fatto di promesse, di sorrisi, di lacrime.
    Invece fu solo silenzio.
    D’altronde, cosa avrebbe potuto dirle? Che non sarebbe più stata sola? Che ci sarebbe stato lui, per sempre, al suo fianco? Non poteva farle promesse. Non solo perché, lo sapeva, Sorta le avrebbe rigettate, ma perché, in primis, non poteva fidarsi di sé stesso. Per non parlare del fatto che, in quel modo, avrebbe dovuto ammettere di non essere totalmente indifferente e apatico, bensì di provare qualcosa, qualunque cosa fosse.
    L’unica cosa di cui furono quindi capaci, entrambi, fu il sarcasmo. Il miglior attacco, ma anche la migliore difesa. «peccato. spero non tratti così tutte le ragazze ai tuoi appuntamenti galanti. devo anche insegnarti come conquistare una donna?» Fremette appena, soprattutto per quel peccato, e si strinse nelle spalle, incrociando le braccia al petto. «I complimenti sono sopravvalutati. E quasi sempre non sinceri», le fece notare pragmatico. «Ci sono modi molti più sensati e oggettivi per mostrare apprezzamento.» Le scoccò uno sguardo vagamente malizioso, per poi sentirla elogiare la sfacciataggine. Per un momento rischiò di intenerirsi, non potendo fare a meno di notare la giovinezza di Sorta. E, in effetti, si sentì anche sporco: era una ragazzina, cosa ci faceva lì con lei? E perché, soprattutto, rischiava costantemente di rompere la sua apatia per lei? «Non montarti la testa, ma credo che sia alquanto difficile non notare un così imperfetto connubio tra una donna angelicata e una pescivendola…», finì per canzonarla, per ristabilire il loro normale equilibrio e, soprattutto, scacciare quei pensieri dalla mente.
    Sorta, però, era di un altro parere. Se, sotto certi aspetti, erano uno lo specchio dell’altro, c’erano però elementi in cui si distaccavano completamente. «che la mia anima gemella probabilmente ha un'orientamento terribile e si è persa o nel frattempo per la strada si è fermata a flirtare con altre persone. la pagherà per questo» Sbuffò. «Sono io quello che deve insegnarti tutto…», cominciò con tono volutamente paternalistico. «Perché sei così ossessionata dall’idea di anima gemella? Ascoltami bene, è molto, molto semplice. Insieme agli dèi, alla felicità e al destino… non esiste. L’anima gemella non esiste Su questo non potevano essere più diversi: Sorta sembrava non desiderare altro che l’amore, mentre Bertie non faceva che rifuggirlo, trovandolo del tutto aberrante. Il fatto che dirle quelle parole lo lacerò dentro fu solo una piccola svista… «Ah, e per la cronaca, anche Babbo Natale fa parte del club non pervenuti nella realtà, mi dispiace.»
    Dopo quella lezione di vita non perse tempo e continuò a canzonarla, rischiando per l’ennesima volta di mettersi nei guai con quella storia dell’appuntamento. Non voleva dire nulla. Non stava continuando a tirare fuori l’argomento perché felice di averla lì, ovviamente. Era solo uno dei suoi (tanti) modi per infastidirla. Punto. «magari stai sognando ancora, aspetta che cerco di svegliarti» Inarcò un sopracciglio e, istintivamente, si protese appena verso Sorta, vedendola fare lo stesso nella sua direzione. Per un istante, solo per un istante, pregustò la morbidezza delle sue labbra, il loro sapore, che ricordava benissimo da quell’estate. Naturalmente era solo l’occasione perfetta per farle notare che anche le fiabe e tutto ciò che comportavano, a partire dalla storia del vero amore, erano cazzate; baciarla non avrebbe significato nulla di più e… «Ahia!» «oh no, siamo ancora qui? mi dispiace»
    A me no. «Forse dovremmo provare qualcosa di più forte, per svegliarci. Andiamo a buttarci giù dalla torre più alta del Castello?»
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    «sei sempre così modesta, non c’è che dire…» Nonostante Bertie la stesse canzonando, lui la stava guardando con orgoglio e Sorta fece un sorrisetto compiaciuto. Al mondo c'era fin troppa falsa modestia per esserlo. Lei era ben a conoscenza del proprio valore, sicuramente non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno perchè nessun altro poteva definirla se non se stessa. «ma ricordati che non credo in niente. soprattutto nelle divinità.» Bertie era troppo serio, a volte aveva semplicemente bisogno di rilassarsi e lasciarsi andare e magari, perchè no, addossare la colpa su qualche dio o sul destino. Sorta non sapeva dire in cosa o in chi credesse esattamente, sapeva solamente che qualcosa c'era. A volte poteva percepirlo nell'ironia di quella vita. «però potresti credere in me visto che sono di fronte a te, viva, vegeta e divina» Era quella che si poteva definire una win win. «ho vinto» scoccò la lingua sul palato, nettamente scocciata. Ancora doveva capire cosa pensava di aver vinto ma gli lasciò quel contentino senza andar a indagare oltre. «superare gli ostacoli di petto e con grazia» lo ascoltò ripetere le parole appena dette da lei, inumidendosi le labbra quasi ne avesse saggiato il sapore. Ormai sapeva che quel gesto preannunciava il suo prossimo attacco. «d’accordo, anche se… ti mancano entrambi.» e poiché lui la stava ancora guardando negli occhi come da lei ordinato poco prima, non si lasciò cogliere di sorpresa. «forse stai parlando al riflesso nei miei occhi. devo dire che concordo pienamente» gli fece l'occhiolino, allontanandosi per appoggiare le spalle alla sedia. «dunque sei qui perché… vuoi essere qui.» lo era? Per quale motivo aveva preso l'iniziativa e si era seduta a quel tavolo quando poteva essere scoperta e mettersi nei guai? Per quale diamine di motivo se non perchè aveva visto Bertie solo a quel tavolino, che aspettava qualcuno che forse, a quel punto, non sarebbe arrivato mai? Era stata una sua scelta comunque: si sarebbe potuta allontanare senza immischiarsi nella questione eppure aveva deciso di sua spontanea volontà di passare del tempo con quella persona a cui sotto sotto, fra i vari stuzzicamenti, voleva bene. «la leggenda narra di sì» però lei non l'avrebbe confermato anche se lui stesso facendo due più due ci sarebbe potuto arrivare lo stesso pur avendo diverse informazioni. Lui sapeva che si erano conosciuti su un'app e non sapevano l'identità l'uno dell'altra oppure Bertie l'aveva scoperta sin dall'inizio e aveva fatto finta di niente e lei era lì perchè voleva conoscere quella persona. Quindi, teoricamente, se la storia fosse andata così lei sarebbe stata lì perchè voleva essere lì. «tranquilla, tranquilla. tra dieci anni sarò qui ad aspettarti.» Sorta si stupì della fermezza con cui lui aveva detto tali parole. Sembrava addirittura serio, così serio che lo vide stupirsi da solo. Doveva però star scherzando perchè era assurdo da parte sua promettere di aspettarla per così a lungo. Nessuno sano di mente lo avrebbe fatto, soprattutto non sapendo che fine avrebbero fatto di lì a dieci anni. Doveva ammettere che Bertie stava diventando sempre più bravo a mentire. «perché, sai… l’erba cattiva non muore mai» Aveva aggiunto quelle parole con una fretta tipica solo di chi voleva nascondere ciò che era appena stato detto. Il rossore sulle guance poi, non aveva aiutato. Non stava mentendo? «ah ma guarda quanto sei bravo, ormai hai imparato abbastanza da dirtelo da solo» gli sorrise ma continuò a squadrarlo sospetta. «apprezzo la dedizione ma non vuoi davvero rimanere solo dieci anni» Il fatto che il ragazzo provasse attrazione, per lo meno fisica, era ormai consolidato o non si sarebbero spinti a tanto dopo la festa al lago; che ci fosse anche della chimica era chiaro ma non ci sarebbe potuto essere nient'altro. Aspettare una persona per dieci anni era ben lontana dall'essere qualcosa di superfluo che si limitasse alla pura attrazione fisica. E lo aveva detto con convinzione. Talmente assurdo che non ci credette nemmeno un istante. Lo guardò invece incrociare le braccia al petto pronto a dire la sua anche sui complimenti. «i complimenti sono sopravvalutati. e quasi sempre non sinceri. ci sono modi molti più sensati e oggettivi per mostrare apprezzamento.» notò lo sguardo vagamente malizioso, il che colse il suo interesse. «oh davvero?» si avvicinò al tavolino appoggiando i gomiti sulla superficie per poi intrecciare le dita sotto il mento. «e dimmi, quali sono i tuoi assi nella manica, di grazia?» Non poteva lanciare la bomba per poi ritirare la mano. Lei voleva sapere quali segreti il ragazzo portasse con sé. «non montarti la testa, ma credo che sia alquanto difficile non notare un così imperfetto connubio tra una donna angelicata e una pescivendola…» Bertie stava insultando i pescivendoli o era una sua impressione? Insomma, stava cercando di stuzzicarla dicendogli che il suo vocabolario era forbito e che sapeva usare bene la lingua non rimanendo in silenzio? E quello era un difetto? Lei era un'orgogliosa pescivendola allora. «quella che tu chiami imperfezione è la perfezione assoluta» e aveva intenzione di dimostrarglielo, non sarebbe nemmeno stato tanto difficile dato che di pregi, lei, ne aveva a dismisura. «sono una ragazza matura che ha consapevolezza di sé, una donna indipendente, una mente intelligente, una bellezza divina, una ragazza che ha chiari obiettivi di vita e che ha la sicurezza assoluta di poterli raggiungere senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno e che sa combattere se necessario» e si accorse che la lista dei suoi pregi era talmente infinita che avrebbe potuto parlarne per ore perciò dovette fermarsi per non prolungare ancora quel monologo. L'argomento poi si spostò sulle anime gemelle, altro difetto che a quanto pare Bertie non riusciva a reggere. «sono io quello che deve insegnarti tutto…», alzò un sopracciglio squadrandolo dall'alto verso il basso quando iniziò con quel tono paternalistico. «perché sei così ossessionata dall’idea di anima gemella? ascoltami bene, è molto, molto semplice. insieme agli dèi, alla felicità e al destino… non esiste. l’anima gemella non esiste.» Sorta fece una smorfia in disaccordo. Sorta non si sarebbe definita una persona romantica. Di persone romantiche ne aveva viste a bizzeffe e lei non si avvicinava minimamente al loro livello di romanticismo ma credeva nell'amore, credeva nelle anime gemelle, credeva nel destino o in qualunque nome le persone definissero quello. Non era un crimine sperarci, credere di essere destinati a qualcuno o qualcosa. Sorta infatti non credeva nelle coincidenze. «se non ci credi è perchè non l'hai ancora incontrata o incontrate». Sorta era dell'idea che si potessero anche avere più anime gemelle. «ah, e per la cronaca, anche babbo natale fa parte del club non pervenuti nella realtà, mi dispiace.» portò una mano al petto come se il suo cuore fosse appena stato trafitto da unna freccia e si accasciò sul tavolino, struggendosi di dolore. «oh no, la mia vita è una menzogna» sbuffò per spostare i capelli che le erano andati davanti agli occhi e si rialzò poco dopo per stuzzicare Bertie. «ahia!» rise di gusto e non solo perchè era un po' sadica ma anche perchè aveva visto come un attimo prima avesse instillato un dubbio su quale fosse la sua prossima mossa, confondendo il ragazzo. Si era proteso verso di lei, probabilmente aspettandosi un bacio. «forse dovremmo provare qualcosa di più forte, per svegliarci. Andiamo a buttarci giù dalla torre più alta del castello?» portò l'ultimo scone alle labbra finendo il tutto con un sorso di the. «che proposta allettante... posso essere io a spingerti?» gli fece la linguaccia alzandosi per andare a pagare perchè Sorta mini sugar mommy confirmed a quanto pare e una volta pagato, gli diede una piccola spinta «andiamo, mio romeo. alla torre dei suicidi!»

    SHINE SO BRIGHT THAT IT BURNS THEIR FUCKING EYES.

    Sorta
    Motherfucka
    when: summer
    where: madama piediburro
    why: bored
    status: single


    volevo fare una conclusione decente e invece no, scusami saretta sono già troppe parole, i can't anymore. devo ancora fare la valigia . la farò domani dai
     
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