I'm Fine!!!

Anjelika x Alister

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    Anjelika non era una donna che accettava un no come risposta, non accettava neanche che la si contraddicesse o che le si parlasse, insomma odiava tutto. Doveva fare tutto quello che voleva ma soprattutto erano gli altri che dovevano fare quello che voleva lei, sempre, e pure in modo praticamente perfetto o avrebbero subito la sua ira. Non a caso aveva spesso il mal di testa a causa della stupidità delle persone.
    «io sto bene.»
    «signorina Queen mi dispiace ma dovrebbe stare -»
    «se mi dici ancora una volta di stare a letto, giuro che ti uccido»
    Disse la donna all'infermiera, guardandola così male che questa si fece piccola ma decise lo stesso di non andarsene anzi si avvicinò alla rossa - non tanto rossa -.
    «non farlo»
    Un avvertimento, il suo, così che l'infermiere non continuasse a camminare verso di lei. Forse non stava effettivamente bene perché lei non avvertiva mai, uccideva e basta, ma era stanca e le era stato detto di non uccidere gli infermieri tra le altre cose e stava davvero provando a fare la brava, ma era davvero molto difficile.
    «mi dispiace ma dovrebbe almeno sedersi»
    Anjelika guardò la donna che nonostante la paura faceva il suo lavoro. Iniziava a piacerle, era difficile trovare qualcuno che le tenesse testa e che vincesse.
    «va bene» si rassegnò, perché forse aveva ragione, era ancora dolorante dopo tutte quelle violente cadute. I ribelli si erano fatti più forti negli ultimi anni, purtroppo. Si sedette sul letto e si massaggiò le tempie, odiava tutti e odiava stare lì in ospedale quando aveva mille cose da fare al ministero. Era così incazzata col mondo per non essere riuscita a prendere i ribelli per non parlare che le era crollato un edificio addosso. Una sconfitta così lei non l'aveva mai avuta e non poteva accettarlo, avrebbe dovuto fare i conti con quello che era successo con gli altri Pavor, soprattutto con Alister, sicuramente c'era stata una falla nel piano e quasi certamente c'era una talpa, forse più di una. Dovevano scoprire di più e ucciderli tutti.
    «ma vorrei avere una penna e la mia bacchetta.» così da poter rendere reali le due minacce.
    «veramente signorina non-»
    «non dirlo» Che cosa? Che non poteva darle la sua sua bacchetta. Se non avesse riavuto la sua amata bacchetta avrebbe seriamente mangiato qualcuno e poteva farlo nonostante fosse ancora in via di guarigione.
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    Anjelika
     
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    Alister Black era un licantropo.
    Alister Black era il Capo degli Strateghi.
    Alister Black era l’unico Mangiamorte ad uscire praticamente illeso da uno scontro con i Ribelli e solo un’esplosione, che aveva fatto crollare un intero edificio, era riuscita a farlo inciampare.
    Non cadere. Non rovinare violentemente a terra. Inciampare.
    Aveva perso leggermente l’equilibrio, gli si erano scompigliati i capelli e tutto era tornato come prima, più o meno.
    Grazie al boato dell’esplosione aveva perso l’udito per 48 ore e non poteva che esserne grato: non aveva minimamente sentito i giornalisti e le domande che gli avevano posto, rispondendo così un po’ a caso, tanto l’argomento del giorno era quello e non poteva sbagliare; aveva sentito soltanto la sua bellissima voce nella sua incredibile testa, musica per quelle orecchie tediate da discorsi inutili e senza senso cui venivano costrette quotidianamente; aveva potuto tranquillamente ignorare la vista di Berenice Black all’interno del suo camino e qualsiasi cosa avesse voluto dirgli. Era stato visitato da suo padre, che ogni volta che lo vedeva sembrava sempre stupito e disgustato dall’aver messo incinta un lupo e che il risultato fosse stato per lo più accettabile, aveva seguito tutto l’iter imposto dal Ministero per assicurarsi non fosse sotto Imperio o qualsiasi altra stronzata avessero potuto fare i loro avversari ed era stato dimesso.
    Sapeva che quella calma e quella quiete non sarebbero durate a lungo: c’era la stampa che attendeva risposte e, per averle, era piuttosto certo che ad attenderlo al suo rientro - se non prima - c’era un’interminabile sequela di riunioni con tutti i ranghi del Ministero, dal Ministro della Magia all’ultimo dei Censori.
    Non era dato sapere se si sentisse un vinto o un vincitore, perché tutto quello che importava in quel momento era che l’opinione pubblica fosse manipolata al punto da credere che ogni Mangiamorte ferito si fosse battuto con onore per proteggere il loro Governo, le loro Istituzioni e tutta la comunità magica da quella minaccia sempre più tangibile e meno fantasma.
    Il fallimento di Anjelika Queen - perché di questo si trattava - doveva passare come la strenua battaglia del Super Pavor che si era messa in prima linea pur di proteggere i suoi sottoposti, come quegli eroi passati che preferivano perire per mano dei nemici in uno scontro frontale e non per un attacco nelle retrovie.
    Se solo l’avessero vista… Trattenne una risata stanca, mentre ingollava l’ennesimo bicchiere di Whiskey Incendiario, le iridi fredde nascoste dietro le palpebre pesanti, mentre nella sua testa rivedeva gli highlights di quella battaglia che, di tale, aveva ben poco. Così come pochi erano i Ribelli che erano riusciti a catturare, un misero contentino per quella che aveva tutte le carte in regola per essere una retata tale da far cadere nella loro trappola i pesci grossi. Ma loro non si erano mostrati, non credeva davvero lo avessero fatto, non quando il massimo che gli avversari erano stati in grado di fare era lanciare un Teddy Ursus.
    Forse sarebbe dovuto andare al San Mungo per trovare Anjelika, se non per interesse personale, quando per i giornalisti appostati nell’Ospedale in attesa di scoop e notizie sulla sua guarigione. Una sua visita avrebbe potuto innescare un lento peregrinare alla sua porta anche da parte delle altre cariche del Ministero o, se così non fosse stato, avrebbe potuto alimentare le voci secondo cui fosse ancora grave e non in grado di ricevere visite, spalleggiando l’ipotesi che uno dei più alti Funzionari del Governo avesse sacrificato la sua vita per… No, non riusciva a crederci, il Black, mentre rivedeva la Queen volare da una parte all’altra della stanza, atterrando su teche e sarcofagi come se fosse una bambola di pezza. Rideva di gusto, il lupo, fino a quando il pensiero che erano stati messi in difficoltà da un branco di idioti - vedasi il suo loro prigioniero per conferme - non balenò nella sua mente. Il bicchiere andò in frantumi nello stesso istante in cui la rabbia del mannaro non esplose in quella presa un po’ più salda.
    Avrebbero dovuto ucciderli tutti.
    Doveva parlare con la Queen.
    Non la migliore delle motivazioni, ma quella che gli serviva per presentarsi il mattino dopo al San Mungo, una volta tanto senza i soliti abiti formali che vestiva per andare a lavoro. “Cercavi questa?” Fece capolino nella stanza della Super Pavor con uno dei suoi migliori sorrisi beffardi, stringendo tra le dita la bacchetta della donna. Non una mossa astuta, ma Anjelika - per quanto temibile senza il catalizzatore magico - era pur sempre su un letto d’ospedale e lui in piedi, sulle sue gambe, le stesse con cui era uscito da quel museo. Si poteva dire lo stesso di lei?
    “Tranquilla” disse rivolgendosi mellifluo alla medimaga, squadrandola da capo a piedi per valutarne il potenziale e il suo interesse “finché abbaia puoi star sicura che non morde. Puoi lasciarci soli.” E nella gentilezza di quelle ultime parole c’era un ordine ben chiaro che non sfuggì alle orecchie della ragazza, la quale obbedì senza fiatare, uscendo dalla stanza e facendo esattamente quello che le era stato chiesto. Adorava le tipe servizievoli.
    “Non pensarci nemmeno.” Iniziò foderando nuovamente la bacchetta della Super Pavor, prendendo posizione su uno dei divanetti di cortesia all’interno della stanza. Accavallò le gambe come se la sua presenza non solo fosse stata annunciata, ma anche richiesta, prendendo posto in quella stanza come faceva sempre nella vita: non voluto e indesiderato. “L’ho incantata affinché tu non possa usarla fino a nuova prescrizione medica. Anche se mi aggredisci, e non ti conviene, non potresti usarla.” Si stiracchiò sulla seduta, osservando il punto più basso dove fosse finita la Queen, il grigio dei suoi occhi che sondava ogni centimetro della stanza. “Strano non vederti schiantata contro un muro o scaraventata contro un sarcofago. Che effetto fa stare, quasi, con i piedi per terra?” Domandò sinceramente curioso, cosciente di star toccando ogni tasto sbagliato pur di vedere se la sua interlocutrice fosse la stessa donna più temuta del mondo magico o solo il riflesso di essa, adagiatasi fin troppo a lungo dietro la leggenda che negli anni aveva sapientemente costruito. “Come pensi sia andata al Museo?”
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    Scusa Vio per le gif, ma più le guardavo, più ridevo.
    Così poetic!
     
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    Anjelika non era una persona tollerante, odiava praticamente tutto e tutti: dalle persone che non eseguivano i suoi ordini nel migliore dei modi ossia senza alcuna imperfezione; ma sapeva anche quanto questo potesse essere impossibile, purtroppo era circondata da inettitudine e stupidità. Quanto odiava le persone stupide che oltre a farle venire mal di testa le veniva sempre voglia di mangiarsele; un esempio di ciò era proprio la De Thirteenth, aveva voglia di strapparle quel sorriso dal volto ogni volta che la incrociava in sala professori.
    La donna però non odiava solo le persone ma anche le sorprese perchè voleva dire che non aveva la situazione sotto controllo e questo era inaccettabile; odiava anche gli scherzi perchè non aveva chiaramente senso dell'umorismo e il suo divertimento era torturare i traditori o chiunque potesse anche solo infastidirla.
    “Cercavi questa?”Anjelika era talmente nervosa - come sempre - che non si rese conto di non essere più sola nella stanza, quando si voltò vide dalla porta vide entrare proprio Alister che le mostrò la sua amata bacchetta.
    «Alister» lo vide mettersi comodo dopo averle dato la bacchetta, praticamente inutilizzabile.
    “L’ho incantata affinché tu non possa usarla fino a nuova prescrizione medica. Anche se mi aggredisci, e non ti conviene, non potresti usarla.” lo guardò male ed era un bene che lo sguardo non uccidesse.
    “Strano non vederti schiantata contro un muro o scaraventata contro un sarcofago. Che effetto fa stare, quasi, con i piedi per terra?”
    «Non sei simpatico Alister»Era fortunato che la donna lo stimasse abbastanza da non diventare immediatamente un'anaconda e mangiarselo in un sol boccone. Non era neanche certa di poterlo farle, era ancora debole ma si sarebbe sicuramente vendicata per quell'affronto; o forse no, era pur sempre il capo stratega e lei rispettava i livelli anche se odiava quando la si prendeva in giro, con lei non si scherzava mai.
    Si sistemò a sedere sul letto e guardò il collega, dovevano assolutamente parlare e chiarire la situazione perchè al museo era andata molto male e quei miseri ribelli che avevano preso non era sufficienti per il governo e per lei soprattutto, il fatto che non avesse avuto una lavata di capo era solo perchè era al San Mungo.
    “Come pensi sia andata al Museo?”
    «Molto male! Se tu lo stratega, dovresti dirmi cosa è andato sbagliato, visto che mi sono fidata di te.» troppo acida o diretta? Si, ma non le piaceva tergiversare, lei preferiva andare al punto della situazione, odiava i grandi discorsi che non portavano niente se non confusione e una gran perdita di tempo. Da sempre era stata una persona diretta che faceva domande chiare e semplici, che pretendeva risposte altrettanto chiare così da risolvere il problema in poco tempo. Solo quando torturava si divertiva a fare tutto con estrema calma, infliggeva dolore poco alla volta portando le persone alla pazzia alcune volte, sentirli piangere e implorare la faceva anche sorridere perchè pur di non morire s'inventavano le peggio storie. A volte era solo l'ennesimo motivo per far arrivare la sua emicrania, altre invece le trovava divertenti ma in entrambi i casi il risultato era lo stesso : sarebbero morti per mano sua, quindi ci stava che si divertisse anche lei ogni tanto. «come hanno fatto a scappare? non avevamo la situazione sotto controllo?» ovviamente no, in nessuno dei due piani. Era davvero curiosa di sapere dove era la falla ed eliminarla.
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    Simpatia: s.f. sentimento di inclinazione e attrazione istintiva verso persone, cose e idee [...] In partic., concordanza di sentimenti, affinità sentimentale tra due persone di sesso diverso, che si manifesta nel desiderio e nel piacere reciproco di trovarsi insieme [Treccani].
    Data la definizione di simpatia, scelta linguistica quanto mai divertente e inapplicabile al Black, è necessario sottolineare alcune cose: il Mangiamorte non provava sentimenti, tanto che le sue inclinazioni istintive verso persone, cose e idee tendevano più verso il disgusto e l’indifferenza, in alternativa si poteva sempre trovare una sfumatura di insofferenza verso il genere umano che, in base alle giornate, poteva essere più o meno marcata; gli unici desideri e piaceri che l’uomo si concedeva non erano biunivoci. La reciprocità era un effetto collaterale del suo soddisfacimento e, molto spesso, della sua bravura. Si poteva quasi dire che la sua presenza fosse un dono nei confronti del mondo - spesso immeritato - e solo in pochi, pochissimi, meritavano le sue attenzioni. Evento assai raro quando l’intero universo del licantropo ruotava attorno alla propria auto-esaltazione e auto-celebrazione.
    “Non mi pagano abbastanza per esserlo.”
    Un sorriso mellifluo scivolò sul volto dell’uomo, mentre le braccia andavano ad incrociarsi dietro la testa con la stessa nonchalance e leggerezza con cui il suo tono di voce era il riflesso di una scrollata di spalle. Dai, davvero la Super Pavor si aspettava da lui qualcosa di diverso? Se avesse voluto darle un buffetto sulla fronte o una pacca di incoraggiamento sulla schiena, probabilmente avrebbe mandato Yale. A rischio e pericolo dell’Hilton, ovviamente, ma il cugino era sempre stato una pedina piacevolmente sacrificabile. Probabilmente non gli sarebbe neanche mancato, ma questi erano soltanto inutili dettagli.
    Se il Black avesse paura della Queen? Assolutamente no. Erano ingranaggi della stessa macchina, dovevano necessariamente collaborare e il ruolo della donna era l’anello di congiunzione tra i piani alti del Ministero e… beh, tutto il resto. L’incompetente resto.
    “Non ti sei mai fidata di me, così come nulla nel mio piano è andato storto.”
    La voce dell’uomo era bassa, gli occhi persi oltre il vetro incantato delle finestre di quella stanza. Lo scenario idilliaco su cui si potevano affacciare era in netto contrasto con le figure dei Ministeriali: troppo colorato, troppo acceso, troppo luminoso.
    Picchiettò con le dita sul bracciolo della poltrona, meditando sulle sue stesse parole: né il Black, né la Queen amavano il gioco di squadra, eppure si erano ritrovati insieme in quella missione che tutto doveva essere meno che suicida. Non provava alcun rancore nei confronti della donna per il fatto potesse aver pensato - sognato, forse - in uno dei suoi deliri di ucciderlo, capiva fosse molto più semplice scaricare la colpa delle proprie mancanze su qualcun altro, piuttosto che accettare il fatto che ci fosse qualcuno, al mondo, in grado di umiliarla - perché, in fondo, di questo si trattava. Il loro intervento non doveva essere richiesto, non erano lì neanche per fare numero, quanto per essere presenze scenografiche e prendersi i meriti. Dovevano (o almeno Alister) restare nell’ombra, evitare di sporcarsi le mani e/o ledere il proprio onore - cosa che la torturatrice non era poi stata in grado di fare -. Era una missione semplice, al punto che avevano utilizzato dei ragazzini, dei diplomandi, per i loro scopi. Eppure…
    “Non doveva andare così.” E non ci voleva alcun genio per poter fare un’affermazione simile, ma sempre meglio chiarire. “Altrimenti avremmo mandato la Cavalleria e non sacrificato degli studenti.” E no, non era il suo buon cuore a parlare, ammesso ne avesse mai avuto uno. Se c’era una cosa che condivideva con il Primo Ministro, forse anche l’unica, era la riluttanza nei confronti di inutili spargimenti di sangue, tanto più se riguardavano innocenti. “Tuttavia, sono giunto a due conclusioni. La prima…” alzò, un dito, quasi volesse sottolineare meglio il concetto, “...è che Hogwarts ha perso il suo lustro e che ci sono falle nei suoi insegnamenti. Personalmente, non reputo nessuno dei presenti al museo capace di poter svolgere alcuna missione. La seconda…” un altro dito andò ad accompagnare il primo, mentre le iridi di ghiaccio tornavano ad incrociare quelle della sua interlocutrice “... è che ci sono talpe all’interno del Ministero. In questo caso, non abbiamo mai avuto il controllo.”
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    “Non ti sei mai fidata di me, così come nulla nel mio piano è andato storto.” sorrise perchè aveva ragione ma non poteva farci niente se non riusciva a fidarsi di nessuno, nonostante Alister fosse una delle poche persone che stimava, ma avevano fallito una missione che sembrava facile e lei era finita persino all'ospedale. Male molto male. Si poggiò con la schiena al muro e chiuse gli occhi «Non fare il permaloso» alla fine tutti potevano sbagliare, non lei perchè chiaramente non era colpa sua se era finita così male. «Anche perchè sono io quella finita qua» per colpa del suo piano fallito miseramente ma era meglio parlare di qualcosa di più importante. Ascoltò le parole del collega e se per il fatto di Hogwarts storse il naso perchè di certo non era a causa sua se alcuni soggetti non erano stati in grado di affrontare una piccola missione di recupero anche se effettivamente doveva prendere qualche provvedimento perchè non potevano permettersi di avere tali soggetti nei loro ranghi almeno che non li volessero usare come pedine da mandare al macello.
    La seconda… è che ci sono talpe all’interno del Ministero. In questo caso, non abbiamo mai avuto il controllo.” a quel punto aprì gli occhi e incrociò quelli freddi di Alister. Aveva appena centrato il punto tanto che annuì
    «Penso anche io che ci siano delle talpe al ministero e credo proprio che dobbiamo attivarci su questo. Ma prima....» c'era una cosa che ancora non avevano affrontato ed era di quello che voleva parlare anche perchè sono già iniziati gli interrogatori quindi voglio che sia Anjelika a dare l'input «....abbiamo mascherato due ribelli.... cosa aspetti con gli interrogatori a tappeto?!» Improvvisamente si alzò dal letto, stanca di tutto quello, dovevano agire subito «Io inizierò col togliermi il camice e vado al ministero» disse mentre si spogliava, poco importava se l'uomo era ancora lì, per lei avevano concluso e sapevano entrambi cosa fare.
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    Anjelika



    scusa fa schifo
     
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    Proprio perché la grandissima Anjelika Queen era finita al San Mungo era l’ultima persona a poter parlare o a poter definire in qualunque modo il suo piano. Che fosse un fallimento o meno, che fosse stato un buco nell’acqua o un trionfo epico, non stava a lei deciderlo. In fondo, non era lei quelle ampiamente umiliata nel corso del combattimento? La marionetta sballottolata da una parte all’altra che era finita conto ogni superficie della stanza in cui si era svolto lo scontro? Dalla teca finita in frantumi, al sarcofago, a ogni altro complemento espositivo.
    La temutissima Anjelika Queen che non era stata in grado di reagire agli attacchi, sovrastata dalla forza dei Ribelli e che, tra le altre cose, non poteva neanche prendersi i meriti di aver smascherato almeno uno dei nemici.
    Oh, vogliamo davvero credere che le sue parole, dopo la deludente performance, potessero in qualche modo scalfire l’ego del Black?
    Era stato lui a portare a casa il nome di un Ribelle, era stato lui a dover gestire tutte informazioni che rischiavano di trapelare e far scoppiare uno scandalo che avrebbe potuto trascinare giù tutto il Ministero.
    Ecco perché preferiva fare tutto da solo, era questo uno dei motivi per cui evitava il più possibile di collaborare con altri, e sapete per quale motivo? Perché tutti avrebbero sempre preferito salire sul carro dei vincitori, pur non avendo mosso un dito per la causa e sarebbero sempre stati i primi ad abbandonare la nave qualora non si fossero raggiunti i risultati sperati. E per quanto il Black fosse uno stronzo patentato, un narcisista, un soggetto particolarmente lunatico e capriccioso, nonché facilmente irritabile e irritante, almeno sul luogo di lavoro aveva un codice morale improntato sulla parola d’onore e sul rispetto – seppur formale – di chi aveva davanti. Questo per dire che aveva tutto il diritto di sentirsi come cazzo gli pare e che non avrebbe permesso a nessuno di essere così arrogante da poter dire cosa poteva e cosa non poteva fare.
    “Cosa aspetto?” Rise, teatralmente, finto come solo lui poteva essere. “Non sono un Antepavor, benché meno vorrei sprecare la mia vita ad esserlo.” Non era quello il suo compito, né avrebbe mai cambiato Dipartimento per essere declassato a semplice investigatore. Il suo ufficio era in uno dei Livelli più alti del Ministero e non era sua intenzione tornare indietro, non dopo più di 10 anni passati a fare carriera, evitando di leccare il culo a metà del Ministero e sopprimendo l’istinto di ucciderne l’altra metà.
    “Si sono già attivati Segugi e Spie, cercando di scavare a fondo nelle vite dei due Ribelli di cui abbiamo soltanto un volto e un nome. Hanno nominato il Parrish come tuo sostituto ad interim e…” Oh Salazar. Levò gli occhi al cielo, privando nuovamente la donna della sua bacchetta, prima di darle quella che probabilmente sarebbe stata una pessima notizia.
    “Tu non andrai da nessuna parte.” Iniziò alzandosi in piedi e avvicinandosi alla porta. “Ci servi qui al momento, media e stampa scriveranno articoli sulla tua salute e in questo modo li terremo lontani dalle indagini ed eviteremo inutili speculazioni che potrebbero condurre la popolazione a dare false piste.” Si sistemò la giacca, ruotò appena i gemelli e alzò leggermente il colletto della camicia. “Ordini del Ministro: fino a quando non decide la linea politica da adottare, resterai qui dentro e penserai solo a fare la tua parte: guarire. Fingiti moribonda, debilitata, quello che vuoi, ma tieni un profilo basso fino a nuovo avviso. La tua porta è sorvegliata da maghi altamente specializzati che prendono comandi solo dal Ministro, è inutile tentare una fuga... con qualsiasi forma.”
    Allungò la mano sul pomello, voltandosi un’ultima volta verso la donna. “Per quello che ci siamo detti prima, non possiamo agire da soli e qualsiasi nostra mossa può facilmente essere annullata.”
    Aprì finalmente la porta e andò via, lasciandosi dietro la Superpavor con un sentitissimo “Non fare stronzate di cui poi io mi debba occupare.”
    Il suo compito lì era finito.
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    Penso che possiamo considerarla conclusa!
     
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