I kissed a boy and I liked it

bertie & sorta || post prom

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  1. sehnsüchtig.
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    it’s miserable and magical
    Era tutto sbagliato. La situazione, quello che era successo prima, ciò che stavano facendo adesso… tutto. Se lo ripeté una, due, tre volte, abituato com’era a pensare di avere sempre ragione. Era un concerto di note stonate, un insieme di rumori stridenti già da soli, che insieme non potevano che diventare la più estrema delle cacofonie.
    Eppure… no.
    Era lui a essere sbagliato. Era lui l’unica nota stonata in una melodia per il resto armoniosa. Lui, che non avrebbe dovuto essere lì, proprio in quanto tale. Perché l’aveva fatto? Perché, per l’ennesima volta, aveva cercato di sovvertire l’universo? Non era forse, in piccolo, quello che aveva già fatto viaggiando nel tempo? Dopo il salto nel passato, ecco il mutare il suo corpo, il rovesciare quello che la natura aveva voluto.
    Ma era davvero così?
    Avrebbe dovuto riderne, dire che era stato tutto un gioco, un divertissement, un modo per passare il tempo, l’ennesima riprova del suo essere superiore a tutto e a tutti… persino a lei. Invece, tra tutto quello che gli vorticava dentro in quell’istante, di divertimento non c’era neanche la più piccola delle tracce. Al contempo la confusione e il nulla più assoluto. Un vuoto, nello stomaco, che si espandeva ogni secondo di più, rischiando di inghiottire tutto. Anche lui. Anche…
    «Sorta…», mormorò con un filo di voce, sentendo le orecchie quasi ferite da quel suono così familiare. Avrebbe voluto dirle mille cose, ma ogni parola gli moriva sulle labbra, che, in compenso, continuavano a sentire i fantasmi dei baci che si erano scambiati fino a qualche istante prima. E il suo corpo, doppiamente traditore, sembrava non essersi accorto di quello che era appena successo. Al contrario, fremeva forte per l’eccitazione, mozzandogli il respiro in gola, tramutando ogni sillaba mancata in un sospiro denso di desiderio.
    Ma l’espressione di Sorta sarebbe bastata a spegnere un intero incendio. Il vuoto nelle profondità delle sue viscere si rifletteva sul viso di lei, o meglio, nei suoi occhi. L’unica cosa che poteva vedere, data la sua posizione, era proprio il suo sguardo. Per un attimo fu felice del fatto che non lo stesse guardando, sapendo benissimo che non sarebbe riuscito a reggere quel confronto, ma poi notò come fissava la totale assenza di ogni cosa. Il vuoto, appunto.
    Tentò nuovamente di chiamarla, ma si costrinse a serrare le labbra, nonostante il dolore, sentendola artigliargli le gambe con le unghie. Non aveva alcun diritto di lamentarsi. Era solo colpa sua se adesso erano in quel gran casino. Sì. Colpa sua. L’aveva pensato. Lo stava pensando. Stava ammettendo, perlomeno con sé stesso, di non essere infallibile.
    Ma non era questo il punto. Non davvero, almeno. «mi dispiace, scusa» Un momento. Sgranò gli occhi, tornando a focalizzarsi su quelli di Sorta, che però, naturalmente, facevano di tutto per evitarlo. Come darle torto, d’altronde? Se fino a quel momento si era sentito male, in colpa, persino, nulla, però, poteva prepararlo a questo. Sorta Motherfucka che si scusava. Gli stava offrendo la miglior arma da ricatto di sempre. Avrebbe potuto ottenere tutto ciò che voleva, adesso. Ma… nulla di tutto questo gli passò neanche per la mente, in quel momento. C’era solo amarezza. Vergogna. E un dolore, sordo e profondo, che gli rimbombava nelle orecchie.
    «No.» Deglutì a fatica, urlando silenziosamente al proprio corpo di calmarsi. Si faceva schifo, ora come ora. Sebbene non gli piacesse pensarci, non era la prima volta in cui il suo cervello e il suo corpo si trovavano in disaccordo. Tuttavia, non si era mai ritrovato in una situazione così… estrema. «No», tornò a ripetere, il rossore della vergogna che si faceva spazio tra quello dell’eccitazione ormai malsana. «Tu non devi… non devi scusarti, Sorta.»
    Fu in quel momento che, finalmente, lei lo guardò, facendogli desiderare all’istante che non l’avesse mai fatto. Perché fu proprio quello sguardo a renderlo consapevole. Era lì, fragile, ansante, nudo, in tutti i sensi, in balia di qualcuno, e di qualcosa, a cui non voleva dare nome. Si sentiva stupido, sì, ma non era neanche la cosa peggiore. «non avrei dovuto» Ecco qui. Dalla gola, il cuore sprofondò nello stomaco. Schiuse le labbra cercando di parlare, sentendosi totalmente impotente davanti alle parole, e alle reazioni, di lei. Lui, dal canto suo, non riusciva nemmeno a muoversi, fatta eccezione per le mani, che strinsero rabbiosamente l’erba, fino a ritrovarsi fili e fili strappati tra le dita. «che idiota, cosa mi era passato per la mente» «Cosa è passato a me per la mente. Non avrei dovuto. È stata un’idea… stupida. È stata… colpa mia.» Quella manciata di parole erano ancora più nude di lui, perché erano reali, sentite. O meglio, lo era la maggior parte di essere. Perché, come il suo viso ancora in fiamme continuava a ricordargli, non riusciva a sentirsi pentito. Non del tutto, almeno.
    Sorta, però, era di un altro avviso. «tu non sei... scusa. è tutto così sbagliato» Cosa? Cosa non era? Non era Rita? Naturalmente. Tuttavia… era davvero così? Non era pur sempre la stessa persona? Lo sapevano entrambi. Tutta quella serata, tutto quello che era successo… era reale. In modo distorto, certo, ma era reale. «Non sono… lei?» Rise appena, sprezzante. «Già», si sforzò di aggiungere, sebbene… «No, è tutto giusto. Sono io a non esserlo.» Le doveva almeno questo.
    Pur aspettandoselo fin dal primo istante, quando lei si tirò su desiderò gridarle di non andarsene, anche se ovviamente dalle labbra non uscì alcun suono. Il vestito quasi impalpabile che gli lasciò cadere addosso pesava più di una valanga. Di nuovo, e tutto d’un colpo, realizzò quanto fosse vulnerabile e, soprattutto, patetico. Si sforzò di mandare giù il groppo alla gola, ignorando gli occhi che pizzicavano, come se questo potesse farli smettere. Ancora mezzo tremante trasfigurò alla meglio il vestito in qualcosa di più consono al suo corpo ritrovato e si affrettò a infilarselo, non pensando minimamente a come avrebbe reagito Nice scoprendo la fine che aveva fatto la sua creazione.
    Solo a quel punto la guardò.
    Sorta era ancora lì. Accanto a lui.
    Le lacrime che era riuscito a trattenere fino a quel momento gli offuscarono la vista. Si strofinò veloce gli occhi, sdraiandosi vicino a lei. Poteva sentire il calore del suo corpo, ma non osò sfiorarla neppure con un dito. «sarà meglio che io vada» Era lui quello che avrebbe dovuto allontanarsi il più possibile, non farsi più vedere, smetterla di giocare con le leggi del mondo e con le persone. Ma non si mosse. Non voleva farlo. E non voleva che lo facesse neanche lei. Il groppo alla gola era tornato, o forse non se n’era mai andato; si sarebbe percepito di certo, se avesse parlato ancora. Ma non gli importava. «Rimani… per favore
    Adalbert Natanail Behemoth
     
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