I kissed a boy and I liked it

bertie & sorta || post prom

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    Odiava il prom. Odiava tutto ciò che aveva anche solo minimamente a che fare con il prom. Era un’americanata, un modo come un altro per sbattere in faccia ai meno popolari o anche solo ai non estroversi di essere diversi, esclusi addirittura. Certo, al prom, almeno ad Hogwarts, teoricamente potevano partecipare tutti, ma… era davvero così? E il volersi, o meglio, doversi, più che altro, mostrare al proprio meglio, tirandosi a lucido dalla testa ai piedi, per far vedere agli altri qualcosa, per dimostrare, anzi, qualcosa, non era forse squallido? Chissà in quanti, in quel momento, da teen movie di Hollywood da quattro soldi, stavano perdendo la propria verginità nascosti in qualche angolo della torre sommersa o del Castello. Rispetto ai licei americani, se non altro, Hogwarts era tutta un’altra cosa: di posti per infrattarsi ce n’erano praticamente a bizzeffe. Che poi si rischiasse di finire in sala torture per sempre era un altro paio di maniche… in fondo anche il terrore, in un qualche modo, faceva parte dell’esperienza del prom. Terrore, nostalgia e, naturalmente, trash. L’idea in sé del prom era trash. Centinaia di adolescenti sudaticci, con gli ormoni a mille e puzzolenti su una pista da ballo? Non riusciva davvero a immaginare niente di peggio.
    Eppure lei quel prom l’aveva organizzato. Sbuffando, lamentandosi e, soprattutto, facendo commenti sarcastici su tutto e tutti. Il suo meglio l’aveva dato l’anno precedente, certo, per quanto a sua volta fosse stato un’apoteosi di trash, ma anche quest’anno, in mezzo a tutto quel kitsch, il suo zampino si riconosceva benissimo. Sicuramente Dante si stava rivoltando nella tomba, ma sotto sotto, ne era sicura, avrebbe ridacchiato con lei. Avevano comunque fatto un lavoro molto più rispettoso e in generale migliore del non italiano medio. Circa, d’accordo. Ma dopotutto, appunto, era un prom. Doveva essere trash. E pieno di drama. Ecco, questo purtroppo era mancato, quindi si sentiva altamente indispettita: come osavano non comportarsi da adolescenti stupidi quali erano? Non era certo lei quella che aveva guardato Nice essere incoronata reginetta del ballo con le lacrime agli occhi, pensando a come, finalmente, anche solo per un istante, poteva essere di nuovo la ragazza spensierata e piena di vita che era sempre stata fino al 2040… era durato solo una frazione di secondo, ma l’aveva visto sul serio quel sorriso sulle sue labbra. Il sorriso di quando le loro vite erano ancora normali, di quando erano a casa.
    Anche Bertie voleva sentirsi così. Solo per un attimo. Tornare a essere un’adolescente solo un po’ più supponente (e molto più intelligente) degli altri. Un’adolescente con una casa e una famiglia alle quali tornare. Un’adolescente che viveva l’ultimo prom della sua vita prima di diventare a tutti gli effetti un’adulta, prima di scoprire cosa volesse dire avere delle responsabilità. Certo, tra tutte le persone con cui comportarsi da ragazzina lei era la meno indicata. Eppure, al contempo, non riusciva, e non voleva, che fosse nessun altro. Lasciar andare per un battito di ciglia il peso che portava sulle spalle ogni giorno voleva dire mostrarsi vulnerabili. Significava, per una volta, essere vera, autentica. Tutto questo, è vero, poteva esserlo, e per lo più lo era, con Nice. Ma non era la stessa cosa. Specie perché si sarebbe ammazzata piuttosto che fare quello che stava facendo con sua cugina.
    Si scostò appena per riprendere fiato e la guardò sorridendo maliziosa, fissando intensamente i suoi occhi scuri. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa o forse strana, o, ancora meglio, entrambe. Invece… invece si sentiva benissimo. In parte sicuramente era merito di quel corpo così diverso da quello a cui era abituata, dove ogni sensazione, ora come ora, sembrava nuova. In parte, o, anzi, soprattutto, il merito era suo. La loro situazione sembrava uscita da una commedia romantica di bassa lega, cosa che ovviamente faceva storcere il naso e fare commenti sarcastici a entrambe, ma non potevano negare l’una con l’altra di essere davvero del tutto indifferenti. A modo loro si volevano bene. Stavano bene insieme. Mai, però, lo erano state come in questo momento.
    Tenendola dolcemente ma saldamente per i fianchi la fece indietreggiare di qualche passo, finché non incontrò un albero con la schiena. Si inumidì appena le labbra, ancora ben truccate nonostante fossero impegnate in quell’attività ormai da un po’, perché, ovviamente, aveva rubato i costosissimi trucchi super resistenti di Nice, perdendosi nuovamente a guardarla con un sorrisetto sarcastico e provocante. Sapeva che era tutta una finzione data dal suo aspetto, ma non le importava. Voleva divertirsi e voleva farla divertire a sua volta. Non ci sarebbero stati problemi né ripercussioni. Erano entrambe perfettamente consapevoli e consenzienti. Sarebbe finito tutto lì, nonostante il fato continuasse a dire loro di essere anime gemelle…
    Sospirò appena, riavvicinando il viso a quello di lei, ma prima di sfiorare le labbra fece toccare anche i loro bacini, annullando così quasi del tutto la distanza tra i loro corpi. Per quanto assurdo fosse, quell’incastro era perfetto: sembravano fatte per stare così, strette l’una all’altra. La guardò un ultimo istante, poi, non riuscendo più a resistere, riprese a baciarla impetuosamente, mentre le mani scivolavano verso il suo fondoschiena.
    Il fato non esisteva, ovviamente, ma lei e Sorta erano davvero anime gemelle.
    Adalbert Natanail Behemoth
     
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    Amava il prom. Amava tutto ciò che aveva a che fare con il prom: amava mischiarsi con la gente, flirtare con le ragazze e punzecchiare i ragazzi. Amava ballare, lenti o su basi scatenate. Amava divertirsi, essere giovane e sentirsi giovane. Mettersi in mostra era il suo pane quotidiano, si prendeva cura del suo corpo come se fosse un tempio, piccolo eh, ma sacro. Dopotutto, nella botte piccola c'è il vino buono *wink wink*. Quel prom in particolare però aveva sbaragliato la concorrenza dal punto di vista di sorprese. Era stata una sorpresa essere di nuovo affiancata ad un ragazzo (lo era stato veramente? spoiler: no.), era stata una sorpresa essere affiancata a Bertie (e questa era stata veramente una sorpresa perché again erano stati accoppiati e qui c'era lo zampino di qualcuno sicuro, non poteva essere altrimenti), ma la vera sorpresa era stata proprio Bertie. Bertie che si era presentato al prom da ragazza. E con ragazza non intendo dire Bertie con un lungo vestito e truccato un pochino, quello non ne avrebbe fatto di Bertie una ragazza ma Berie era proprio diventato una ragazza. Dalla testa ai piedi, il suo corpo si era trasformato in quello di una bellissima ragazza. Dire che era bellissima non rendeva l'immagine che i suoi occhi avevano analizzato attentamente. Il piano di trovare qualcuno perfetto per Bertie e lasciarlo in compagnia mentre anche lei cercava qualcuno per sé con cui flirtare ed entro la fine della serata finita a letto, era andato in frantumi a quella vista. Una notte, solo il prom, poi sarebbero tornati come prima e chissà se si sarebbero mai effettivamente rivisti dopo la fine dell'anno. Aveva ancora diritto alla cazzata colossale dell'anno, dopotutto non la sprecava così facilmente. Quella situazione meritava tantissimo quel posto speciale con tanto di stellina u tried. Se al prom avessero votato i reginetti in base a quanto una persona fosse stata bugiarda, neanche in quel caso avrebbero vinto la corona perché avevano mentito così bene che nessuno se n'era accorto. Chapeau. Eppure in quel tocco non aveva percepito Bertie, era come se avesse avuto un'altra persona di fronte. Era Bertie ma non era il Bertie che lei conosceva. Oppure stava conoscendo il vero Bertie, almeno in piccola parte. Sicuramente la persona che aveva davanti non era lo stesso Bertie con cui si perculavano a vicenda o forse erano troppo impegnati a baciarsi per farlo, effettivamente. Si era lasciata indietreggiare fino a toccare con le spalle la superficie del tronco di un albero. Si umettò le labbra assaporando quel bacio ancora ben impresso «smettila di mangiarmi con lo sguardo e baciami piuttosto, principessa» Aveva colto le occhiate maliziose della serpeverde e si era avvicinata al suo viso, sfiorandolo, senza accennare ad eliminare la distanza. Fu un attimo prima che anche la minima distanza fra i loro corpi venisse eliminata e che venisse invasa nuovamente da quel turbine impetuoso. Non era solo un gioco di lingue, anche le loro anime - che avevano donato l'anima al diavolo e che sarebbero state nelle sue mani ancora a lungo - stavano danzando. Sentì la mano scendere verso il fondo schiena e sorrise sulle sue labbra. Aspettò qualche secondo prima di posare l'indice sulla schiena di Bertie per poi farlo risalire lentamente verso il collo afferrando i capelli, tirandoli leggermente indietro facendole così inarcare leggermente il collo finalmente scoperto dalla chioma bionda. Si avvicinò lasciando un bacio sulla base del collo e poi un altro e un altro ancor risalenti fino all'orecchio. «non ti facevo così intraprendente» Sussurò poi scivolò lateralmente spingendo lei contro il tronco dell'albero a cui era stata appoggiata fino ad un istante prima. L'attrazione fra le due, il fatto che sembravano fatte l'una per l'altra e le continue intromissioni del caso, avevano creato in così poco un'intesa che poteva ben assicurare, di non aver mai avuto con nessuna prima d'ora e ciò doveva averle fottuto il cervello dato che era avvinghiata alla ragazza da quando avevano lasciato il prom. Non si erano perse in chiacchiere, nessuna delle due. Il suo cervello aveva deliberatamente dato le dimissioni e lei sembrava stare più in pace con se stessa, anche se non sapeva dire se fosse perchè non stava più pensando o se avesse invece serotonina in circolo. Ma Sorta era gay più che mai - o forse no, ciò la confondeva molto, per questo aveva deciso di non pensarci - e uno studio aveva constatato che, almeno negli animali, era la mancanza di serotonina è il fattore principale che comporta la preferenza omosessuale. Un altro studio diceva che la carenza di serotonina portava a: attacchi di panico, disturbo della personalità - con tanto di casi di suicidio e criminalità estrema - insonnia, attacchi di fame nervosa, ipertensione, calo della memoria, emicrania e come se non bastasse può pure sballarti il ciclo. Insomma più sei gay e più suicida sei. Lei però stava bene quindi l'unica preoccupazione al momento era quella di godersi la ragazza fino a consumarla. Letteralmente. «il desiderio ti ha tagliato la lingua?»

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    è terribile, non so cosa ho scritto non leggo più quello che sto scrivendo da 2 ore e l'ultima volta che ho letto cosa stavo effettivamente scrivendo mi sono trovata con un palle invece di spalle. scusa lo scempio,i rifarò al prossimo post. devo pure sistemare lo schemino alla fine,e ne sono appena accorta vabbè DOMANI
     
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    Sapeva benissimo di starsi cacciando in un guaio. Un enorme guaio. Non era da lei. Bertie era una fan accanita del controllo: ogni cosa doveva essere esattamente così come l’aveva predisposta, altrimenti… altrimenti, beh, preferiva non pensarci. Razionalmente sapeva che nessuno sarebbe morto, lei in primis, se si fosse sbagliata. Ma non poteva perdonarselo. E poi, a dire il vero, certo che sarebbe morta! L’avrebbe fatto per sua stessa mano, facendo harakiri. Insomma, suicidandosi. Gli errori, per Bertie, non erano mai stati contemplati, neanche quando di anni ne aveva giusto una manciata.
    Ma la giovinezza non è fatta anche per sbagliare? E lei, quella sera, non voleva essere giovane? Sì, proprio Bertie, che giovane non lo era mai stata, neanche da bambina. Era una puella senex, ovvero una vecchia intrappolata nel corpo di una ragazza. Le era sempre andato bene, anzi, di più, ne era sempre stata orgogliosa, ma adesso non le bastava più. Ovviamente sarebbe stata una cosa momentanea e passeggera, la cazzata di quell’ultimo, assurdo rigurgito di giovinezza, ma ne sentiva il bisogno.
    Così come sentiva il bisogno di continuare a cercare le labbra di Sorta. In questo non c’era nulla di strano, invece, visto che non aveva mai fatto mistero di trovare la ragazza attraente. Ma se fino a quel momento la cosa era stata solo un argomento in più sul quale schernirsi, quella sera qualcosa era cambiato. Forse Sorta aveva ragione a parlare della dea lesbica: in quel corpo femminile non riusciva a starle lontana. E, soprattutto, non voleva farlo. Ma non era solo lei: anche la Motherfucka sembrava dello stesso avviso, visto il modo in cui rispondeva alle sue mosse. «smettila di mangiarmi con lo sguardo e baciami piuttosto, principessa.» Mai avrebbe pensato di apprezzare parole del genere, ma il brivido che la percorse era impossibile da fraintendere.
    Stava, anzi, stavano facendo una colossale cazzata, ma era tutto troppo piacevole per smetterla. Tanto nessuno avrebbe saputo nulla. Sarebbe rimasto un segreto tra loro. E poi erano troppo mature per portarsi dietro cicatrici o, ancora peggio, cuori infranti da quella serata. Non sarebbe successo assolutamente nulla. Amiche come prima. Anzi, più di prima.
    Gemette appena, sentendosi tirare i capelli in modo fastidiosamente piacevole dalla Motherfucka, e le lasciò carta bianca. A ogni bacio corrispondevano, da parte sua, un sospiro, un brivido e una stretta più decisa sul fondoschiena della mora. «non ti facevo così intraprendente.» «Perché non hai mai voluto vedere», ribatté decisa, mordendosi appena le labbra. Pur essendo una bugiarda patentata, era vero: sapeva essere intraprendente. O almeno, in tutto ciò che non aveva a che vedere con i sentimenti. «E non mi hai mai permesso di… dimostrartelo», aggiunse con una punta di amarezza, subito cancellata, però, dal fremito che le provocò quello scambio di posizioni. «Prega che non mi si rovini la piega…!», ironizzò con una smorfia, mentre i suoi occhi dicevano tutt’altro. Eccome se voleva che gliela rovinasse. La piega, il vestito e tutto il resto…
    Rimasero a fissarsi per qualche istante, i respiri affannosi per quello che stavano facendo. «il desiderio ti ha tagliato la lingua?» Sentendo Sorta dire così alzò gli occhi al cielo, per poi riattirarla a sé dal fondoschiena. «In realtà pensavo che potresti farmi vedere come sai usare la tua, di lingua.» Da vera psicopatica professionista non batté minimamente ciglio dicendo quelle parole, nascosta dietro la sua solita maschera di perfetta apatia. Apatia angelica, oltretutto, con il viso che, in quel momento, indossava. «O forse hai paura
    Adalbert Natanail Behemoth


    Mamma mia quanto sono debole per queste due, aiuto.
     
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    Sorta di cazzate ne aveva fatte parecchie ma questa le superava tutte. Questa volta non aveva nemmeno idea del perché lo stesse facendo. Il che era immensamente pericoloso. Un conto era fare una cazzata per un fine, uno scopo, per il gusto di provare, insomma, sapendo dove sarebbe finita. fare una cazzata senza sapere il perché la stesse facendo era come guidare la moto spericolatamente e c'è chi la guida così sapendo quello che fa e stando comunque attento a ciò che lo circonda e chi lo fa per sentirsi bello figo ed è il primo a fare un volo chilometrico e poi crepare. Ecco. Lei era o pronta a frenare bruscamente per poi catapultarsi oppure stava andando dritto contro un tir. La fine, comunque era una sola e stava cercando di evitarla in tutti i modi possibili, forse neanche tanto dato che si era avvinghiata a Bertie. Bertie maschio bianco cis. Questo solo perché al momento aveva delle apparenze femminili. Era come... essere ossessionati dai supereroi e innamorarsi di una persona che ad Halloween si era vestita da qualche supereroe. Una volta tolto quel costume l'infatuazione sarebbe svanita perché quella persona si sarebbe mostrata in tutta la sua banalità. Insomma, Sorta doveva essere proprio disperata. Davvero, non se lo spiegava, altrimenti non avrebbe fatto quello che stava facendo nonostante ciò che aveva davanti ai propri occhi le piaceva più di quanto volesse e avesse davvero ammesso. Il potere delle illusioni. «Perché non hai mai voluto vedere e non mi hai mai permesso di… dimostrartelo» quelle parole la riportarono alla realtà così da permetterle di ribaltare la situazione e osservare come il corpo di Rita rispondesse ad ogni suo tocco «dimostramelo, allora» Se aveva sempre avuto così tanta voglia di dimostrarle quello di cui era capace, quello era il momento giusto. Gli avrebbe addirittura lasciato carta bianca se le avesse dimostrato di voler prendere il controllo. «Prega che non mi si rovini la piega…!» Sarebbe stato davvero un peccato se lei avesse rovinato tutto il lavoro che Bertie aveva fatto solo per lei... Davvero un peccato. «troppo tardi» le alzò leggermente il viso facendo pressione con l'indice sotto il mento e la guardò negli occhi. Gli stessi occhi che la stavano supplicando di fare di lei ciò che voleva. «In realtà pensavo che potresti farmi vedere come sai usare la tua, di lingua. O forse hai paura?» Si morse il labbro non permettendo a se stessa di abbassare lo sguardo neanche un secondo. Se aveva paura? Un po'. Mai in vita sua, però, lo avrebbe mai ammesso. Aveva paura forse per la situazione in cui si stava cacciando, forse perché era qualcosa che non riusciva a spiegarsi o a dare una spiegazione. Forse proprio perché non voleva dare una spiegazione. Qualcosa che non avrebbe mai nemmeno immaginato e se qualcuno gliel'avesse detto qualche tempo prima, gli avrebbe riso in faccia senza pensarci due volte. Nemmeno in un universo parallelo, aveva detto giusto qualche mese prima. Eppure qualcosa stava accadendo. In un modo talmente subdolo da farlo apparire normale ma che di normale non aveva poi molto. Se qualcuno l'avesse scoperto, la sua credibilità sarebbe scesa a picco. «mi hai mai visto avere paura?» Ancora una volta dovette spegnere il cervello e lasciar fluire i pensieri senza lasciarsi trasportare da essi per poterlo affermare con convinzione accompagnando la frase con un sorrisetto. Portò le mani sui fianchi della ragazza, applicando leggermente pressione per sollevarla da terra e permetterle di allacciare le gambe alla sua vita. Strinse la bionda contro la superficie dell'albero, facendo aderire i due corpi, spostando poi le mani sul fondoschiena per tenerla stretta a sé. «è assurdo tu l'abbia fatto» o che semplicemente ci avesse pensato. Era più intelligente o forse furbo, di quanto credesse. Bertie era stato capace di farle passare una bella serata, un prom diverso dal solito e che difficilmente sarebbe potuto ripetersi. Ancora doveva farsene una ragione o assimilare per bene l'intera serata. Lasciò vagare lo sguardo sul viso della bionda cercando di imprimerlo nella sua memoria nei più minimi dettagli, era la sua prima ed ultima occasione. «sei davvero bellissima» sussurrò avvicinando le labbra all'orecchio lasciando piccoli baci scendendo verso la base del collo, staccandosi leggermente dal tronco dell'albero per permetterle di aprire la zip del vestito. Quando l'ebbe abbassata del tutto, accarezzò quello scorcio di pelle, facendo cadere le spalline mentre con delicatezza s'inclinava verso terra per posare la schiena della ragazza sul prato. Sorta si sistemò a cavalcioni su di lei con un sorrisetto compiaciuto. Non perse altro tempo, tempo che non avevano da perdere e tornò a baciarla con più voga, poteva sentire il battito del suo cuore confondersi con quello di Bertie, i respiri che si scontravano l'uno sul petto dell'altra. Si staccò nuovamente dalla sue labbra, riprendendo il contatto visivo e scivolò pìù in basso, lasciando un bacio sul collo, poi prese il vestito e iniziò a sfilarlo lentamente proseguendo la sua scia di baci lasciandone uno ad uno sulla pelle che veniva via via esposta. Il collo, la clavicola, i seni, lo sterno e ancor più in basso verso il ventre, mentre i baci si facevano via via più veloci ma sempre più vicini. «sono ancora in tempo per fermarmi» disse con un soffio, le labbra a sfiorare la pelle. Un'ultima chiamata per Bertie quanto per lei.

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    All’improvviso, un pensiero la assalì. Non si era mai fatta problemi di quel genere, anzi, per certi versi, alle volte, aveva persino ricercato la cosa. Sotto molti aspetti, le piaceva farlo. Specie perché era un modo come un altro per combattere quella noia mortale che la assaliva di continuo, rendendole insapore ogni cosa, a intervalli di tempo sempre più brevi.
    Stava ingannando Sorta?
    Per quanto si sforzasse di porla come domanda, sapeva benissimo che, in fondo, era totalmente retorica. Non c’erano dubbi. E, invece di provocarle un brivido di piacere, si rese improvvisamente conto di essere nauseata dalla cosa. Ingannare, mentire appunto, era una delle tante, troppe, a sentire lei, cose in cui eccelleva. Faceva parte del suo essere.
    E allora perché adesso faceva così male? E soprattutto, perché proprio ora, quando tutto quello che desiderava era lasciarsi andare e smettere, anche solo per qualche istante, di pensare?
    Erano ore che ingannava il mondo. Tutta la scuola… compresa Sorta. Pur essendo l’unica a conoscenza della verità, era, in realtà, colei che, più di chiunque altro, vi era rimasta invischiata. Lo percepiva in ogni suo sguardo, in ogni suo tocco. In ogni suo bacio.
    Se fosse stata una persona più buona sarebbe intervenuta. O anche solo più generosa… di buon cuore. Ma non era nulla di tutto questo. Non aveva neanche bisogno di ripetersi che la Motherfucka era completamente consapevole di tutto (o forse sì, data la stretta al cuore che continuava a provare prima di ricordarlo a sé stessa). Era egoista e seguiva solo i propri desideri. Era Bertie, non Rita.
    E dietro a tutto questo non c’era nient’altro al di fuori del puro desiderio fisico, naturalmente. Non aveva nulla a che vedere con il fatto che, in compagnia di Sorta, sentisse di poter essere sé stessa: a dir poco ironico, dal momento che ora, di sé stesso, c’era ben poco. Non si trattava nemmeno di vincere, perché mai e poi mai avrebbe messo in dubbio l’essere di un’altra persona; dunque, nel caso della serpeverde, mai avrebbe voluto forzarla ad allontanarsi da tutto ciò che era femminile.
    «dimostramelo, allora» Appunto. Una risata leggera, leggerissima, le sfuggì dalle labbra, facendola però vibrare insieme ai brividi di eccitazione che continuavano a percorrerla. Che dovesse arrendersi alla realtà e accettare il proprio essere l’eroina di una tragicommedia? Era tutto così assurdo da avere perfettamente senso. Cercò gli occhi di Sorta, inarcando pungente un sopracciglio. «Ne sei davvero sicura… o vuoi solo sfidarmi?» La stava punzecchiando, certo, ma quella stretta del cuore era tornata. Voleva che la Motherfucka fosse davvero certa di quello che stava succedendo, perché l’idea che potesse ricordare il tutto come un incubo, o peggio, le era a dir poco insopportabile.
    Senza rendersene conto aveva però abbassato lo sguardo, cosa che realizzò solo quando Sorta le rialzò il viso. A quel punto tornò a stuzzicarla senza la minima esitazione, come se tutti quei pensieri che continuavano a turbinarle nella mente fossero all’improvviso spariti nel nulla. Nulla di più falso, ma d’altronde, cosa c’era di vero in lei, in quel momento? A parte l’irrefrenabile desiderio di tenere Sorta vicina, sempre più vicina…
    «mi hai mai visto avere paura?» Trattenne il fiato per un istante. «Sì», le soffiò sul viso soffice e al contempo tagliente. «Proprio ora. Di me Di nuovo si ritrovò a fare di tutto per irritarla, per sfidarla, come erano solite fare in ogni istante, mentre però, dentro di lei, qualcosa continuava a incrinarsi. Bertie era certa di volerlo. Ma Sorta?
    Eppure la vide sorridere e, un attimo dopo, assecondò di buon grado le sue mosse, non potendo, e soprattutto non volendo, fare altrimenti, fino a ritrovarsi schiacciata tra l’albero e il suo corpo. Persino la ruvidezza della corteccia contro la pelle era piacevole in quel frangente… Le strinse meglio i fianchi tra le gambe, guidando ancora di più il bacino di lei contro il proprio. Non che ce ne fosse davvero bisogno, visto il modo in cui la stringeva… Sospirò compiaciuta con un sorrisetto e, tenendo le braccia appoggiate alle sue spalle, prese a giocherellare con le lunghe ciocche rosa che cadevano da tutte le parti. Alla fine ne sistemò una dietro l’orecchio e vi si avvicinò. «Sai…», le mormorò, come rivelandole un segreto. «Non c’è niente di male ad avere paura… Anzi, la paura è un bene. Ci costringe a non perdere il contatto con la realtà.»
    Un attimo dopo cercò con urgenza le sue labbra, non dandole minimamente il tempo di vedere il rossore che le aveva tinto le guance e che, a differenza di quello già presente, non aveva nulla a che vedere con quello che stavano facendo. Seppure dietro una maschera, Bertie aveva detto la verità. Odiava la paura perché la rendeva umana. Ma, per lo stesso motivo, sapeva di averne bisogno. E aver rivelato a Sorta questo particolare gli era sembrato giusto. Naturale.
    Si scostò solo quando cominciò a mancarle il fiato, appoggiando appena il capo al tronco. Il modo in cui Sorta prese a guardarla la fece fremere quasi quanto il bacio che si erano appena scambiate. Sì, era assurdo quel che aveva fatto… proprio come, al contrario, era sensato che ora la Motherfucka la trovasse bellissima. Le due cose si equilibravano perfettamente, nella loro follia. Nel loro inganno.
    «È assurdo… essersi perse tutto questo fino a ora», le fece notare maliziosa, cercando così di scacciare quel pensiero. E in effetti le riuscì piuttosto bene, distratta com’era dai baci languidi di Sorta. Cercò di aiutarla come poteva a slacciarle il vestito, avviluppandola ancora di più con le gambe, un po’ istintivamente, un po’ per l’inconsapevole paura di vederla allontanarsi. Affondando le dita tra i suoi capelli premette meglio il capo di lei contro di sé, smuovendo le spalle per far scendere più in fretta le spalline del vestito.
    Così presa, o forse persa, com’era, impiegò qualche istante per rendersi conto di essere sempre più vicina al prato, cosa che le strappò una leggera esclamazione, facendola persino arrossire appena. «Oh… finalmente», commentò però rimettendosi subito in riga, vedendo Sorta salirle senza troppi complimenti sopra. Una parte di lei si aspettava di sentire l’eccitazione crescere in tutti i sensi, ma ovviamente non fu così. O meglio, successe, sì, ma a un livello più profondo, in un modo a cui non riusciva a dare del tutto un nome.
    Si avventò con urgenza sulle labbra di Sorta, schiudendole con decisione per assaporarla meglio. Mentre le mani correvano a sollevarle il vestito, carezzandole le gambe sempre più in alto, anche il resto del suo corpo non riusciva a stare fermo, smuovendosi come poteva sotto e soprattutto contro di lei. Quando smise di baciarla mugolò contrariata, salvo poi rendersi conto di aver bisogno di riprendere fiato. A forza di salire con le mani da sotto la gonna arrivò a stringerla dal fondoschiena, riaprendo piano gli occhi fino a incontrare i suoi. Le lanciò uno sguardo di sfida, fremendo elettrizzata ma impaziente.
    Stava per cercare di sfilarle l’abito, quando la Motherfucka, come nel peggiore dei suoi incubi di quel momento, scivolò via. Letteralmente. Il tutto, in realtà, durò solo un istante, perché un attimo dopo sentì le sue labbra sul collo, ma fu abbastanza per farle perdere un battito. Non era sicura, allora? Voleva smettere? Voleva… Oh. Oh. Contro ogni sua previsione, fu Sorta a spogliarla. La aiutò il più in fretta possibile, non volendo tenere le mani lontane da lei un istante di più. E, soprattutto, non volendo perdere nemmeno un attimo di quello che le stava facendo. A ogni bacio rispondeva un sospiro, che ben presto cominciò a trasformarsi in un gemito; all’inizio le accarezzò la schiena, quindi le braccia, infine le spalle e i capelli, non riuscendo a spingersi più giù di così. Perché… Sorta era decisamente in basso.
    Istintivamente inarcò appena la schiena e, stringendole le spalle, guardò verso il basso. Sarebbe ipocrita dire che non aveva mai immaginato quella scena. Sorta Motherfucka tra le sue gambe. Letteralmente. Le strinse appena, al pensiero, sentendo un lungo brivido propagarsi proprio dal loro centro. «sono ancora in tempo per fermarmi» Cosa? Cosa?! Sgranò gli occhi, schiudendo le labbra per prendere fiato. «No. Assolutamente no.»
    Eppure, avrebbe dovuto saperlo. Si era già macchiata fin troppo di hybris, quella sera. Aveva al contempo sfidato e assecondato il destino, pur non credendoci, o più che altro, non volendo crederci. L’aveva ingannato, sovvertendo quello che la natura e il fato avevano voluto per loro.
    Eppure, non ci badò. Il piacere, o meglio, l’attesa del piacere che si irradiava sempre più forte dal suo corpo la trasse in inganno. Era un piacere diverso dal solito, bruciante, in grado di scavarle nelle viscere. Un piacere così potente da essere quasi, a tratti, doloroso. Un piacere che, lo sapeva, lo sentiva, non era neanche lontanamente paragonabile a quello che avrebbe provato di lì a poco, un piacere…
    Familiare. Acutamente familiare, all’improvviso. Un piacere che si ergeva deciso e che non poteva in alcun modo essere nascosto.
    Bertie non voleva guardare. Perché, se l’avesse fatto, avrebbe visto…

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    Adalbert Natanail Behemoth
     
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    Sorta aveva creduto a quella finzione come credeva ai sogni, inconsciamente, profondamente e liberamente. Avrebbe potuto scambiare la vita di tutti i giorni con quella, perchè in quel momento stava bene, era addirittura felice, sentiva di poter avere tutto anche se in realtà non aveva niente. Probabilmente era solo ubriaca e le era stato più semplice del previsto crederci e lasciar svuotare la mente. Aveva pure perso il conto del tempo. Non si erano allontanate troppo dal luogo della festa, qualcuno avrebbe potuto vederle e sentirle ma non stava minimamente prestando attenzione all'ambiente circostante. Sapeva che avrebbe avuto solo quel giorno di tempo per godersela e poi sarebbe tutto svanito ma non voleva pensarci, non in quel momento. Tutto quello che voleva fare ora era imprimere nella mente quel corpo e senza scendere troppo nel romanticismo, regalare alla ragazza il momento più bello della sua vita. «Ne sei davvero sicura… o vuoi solo sfidarmi?» l'unica cosa che non sembrava essere cambiata in tutto quello, erano i continui punzecchiamenti di Bertie. «una cosa deve per forza escludere l'altra?» seguirono altri punzecchiamenti, l'ultimo dei quali sosteneva che Sorta avesse paura di dimostrare le sue doti mhh... linguistiche che lei aveva smentito con una sola domanda. mi hai mai visto avere paura? «Sì»rispose lei con un soffio «Proprio ora. Di me.» di certo, in quel momento aveva tutt'altro che paura di lei e l'unica cosa a cui aspirava era renderle difficile aprir bocca per parlare. «provo eccitazione, curiosità, sorpresa ma di certo non paura» Piccola bugia che lasciò correre. Non aveva paura di lei ma di tutta quella situazione? Un po'. Sì morse il labbro inferiore quando la bionda strinse ancor più le gambe per avvicinarsi ancora di più a lei e le permise di giocherellare con i suoi capelli, permettendole anche di sistemare una ciocca dietro l'orecchio per poi avvicinarvisi. «Sai... Non c’è niente di male ad avere paura… Anzi, la paura è un bene. Ci costringe a non perdere il contatto con la realtà.» a non perdere contatto con la realtà... Non era quello che stavano cercando di fare? Perdere contatto con la realtà? Plasmare la realtà a loro piacimento? Niente di tutto questo era reale e lo sapevano ma allo stesso tempo avevano anche agito sul loro pensiero permettendogli di credere a quell'illusione. Un po' come si faceva con le storie. Bertie aveva paura? Probabilmente a richiederlo, avrebbe negato ogni parola. Non ebbe il tempo di dire niente, nemmeno di guardarla perchè lei si tuffò sulle sue labbra. «È assurdo… essersi perse tutto questo fino a ora» si morse il labbro inferiore trattenendo per sé ciò la risposta. Entrambe sapevano perfettamente perchè tutto quello che era accaduto, che stava accadendo, non era mai successo, non c'era bisogno di esplicitarlo a parole. Però stava amando ogni momento di quella serata. Ogni sguardo. Ogni bacio. Ogni respiro ad infrangersi sulla sua pelle. Le gambe dell'altra ancorate alla sua vita. I corpi appiccicati l'uno all'altra, quasi come a reggersi a vicenda e se si fossero staccati, sarebbero andati in mille pezzi. Sorta era stata con molte ragazze ma questo era completamente diverso. Sentiva l'urgenza in ogni movimento e la disperazione in ogni contatto, come se si stessero inoltrando in qualcosa di proibito ma da sempre desiderato. Le mani correvano veloci sui corpi l'una dell'altra, frementi, cercando di slacciarsi i vestiti a vicenda, scivolando sempre più sul prato.«Oh… finalmente» dopo essersi messa a cavalcioni su di lei si fermò giusto quel secondo per ammirare la sua opera d'arte in fase di creazione. Era ancora una bozzetto della scena finale la cui immagine vorticava nella sua mente ma era già alquanto soddisfatta. Il rimanente del rossetto era leggermente sbavato, i capelli in disordine, il vestito stropicciato, lo sguardo completamente perso per lei. Quella era l'immagine che avrebbe voluto vedere ogni giorno. Assimilò quelle informazioni in un battito di ciglia perchè un secondo dopo le sue labbra erano di nuovo su quelle di Rita e quando le mani della Serpeverde arrivarono a sollevarle il vestito e carezzarle le bambe sempre più in alto, arrivando a stringerla dal fondoschiena, si staccò da lei e non perchè avesse paura o per riprendere aria ma per sfilarle il vestito lasciando man mano una scia di baci, sospiri e poi gemiti. Sentì le mani della serpeverde a carezzarle dapprima la schiena, quindi le braccia, infine le spalle e i capelli. Quando fu ormai fra le sue gambe, non sentì più alcun contatto se non le gambe che si strinsero leggermente a lei e in risposta Sorta le circondò le gambe appoggiando le mani nell'interno coscia, avvicinandola a lei con uno strattone. Alzò un'ultima volta lo sguardo verso di lei assicurandosi che volesse davvero tutto ciò, nonostante il corpo parlasse già chiaro, ricordandole che era in tempo per fermarsi. «No. Assolutamente no.» rise osservando la reazione della ragazza che ebbe quando l'avvertì che era ancora in tempo per fermarsi e all'impeto con cui disse quelle parole. «come siamo impazienti» sussurrò con le labbra a sfiorarle la pelle, lo sguardo ancora posato sui suoi occhi. Si umettò le labbra, un sorriso provocante ad affiorarle sulle labbra. Tornò nuovamente con lo sguardo verso l'erezione del ragazzo e- aspetta, cosa? Il sorriso scomparve dal suo volto portando con sé tutto il resto di quell'enorme teatrino, lasciandola con un vuoto sconfinato. In quel momento si palesò il suo peggior incubo. Non era pronta, non immaginava sarebbe potuto succedere in quel momento. "Non sono quella stupida della Fata Madrina. La pozione reggerà tutto il tempo che vorremo." ripensò alle parole di Bertie pronunciate prima alla festa e lo sapeva che quella frase non aveva avuto senso ma credeva che intendesse di non preoccuparsi perchè, per quella giornata erano a posto. Era stata stupida a non chiedere quando sarebbe finito l'effetto, proprio lei che aveva una passione per pozioni, proprio lei aveva fallito nel richiedere l'aspetto più importante: la durata dell'effetto. Pensava di avere ancora tempo, che non non sarebbe potuto succedere in quel momento, che il giorno seguente avrebbe rivisto il solito Bertie e che tutto sarebbe rimasto uguale a prima. Solo un segreto rimasto fra loro. Rimase pietrificata quando il corpo femminile lasciò spazio a quello maschile. Affondò istintivamente le unghie nelle cosce di Bertie prima di allontanare di scatto il viso dalle gambe del ragazzo, non osando abbassare nuovamente lo sguardo. «mi dispiace, scusa» disse con un soffio. Come al solito si era lasciata trasportare in una scommessa, una scommessa contro il tempo e questa volta aveva perso. Se una parte di lei le diceva di prendere tutto e andarsene, lasciandolo lì da solo, un'altra le diceva di calmarsi e restare ancora un po' lì, che non era colpa del biondo. Sinceramente, non si era mai fatta problemi a ferire un qualunque ragazzo. Not her business, potevano andare a piangere dalla propria ragazza, dalla propria mamma o fare i conti con la loro fragile masculinity ma alzare lo sguardo e incontrare Bertie, i capelli arruffati, il suo sguardo sorpreso, le guance ancora arrossate, il vestito arrotolato ai piedi del ragazzo e lui completamente nudo, vulnerabile sotto di lei, l'aveva bloccata sul posto. Non poteva andarsene senza dire una parola. «non avrei dovuto» si coprì il volto con le mani, poi le spostò fino all'attaccatura dei capelli, stringendoli con forza. «che idiota, cosa mi era passato per la mente» Era tutta colpa sua. Bertie le aveva solamente fatto un favore e lei ne aveva approfittato ma Bertie rimaneva sempre Bertie, un uomo. Era stata solo un'illusione. Aveva sempre trovato incredibilmente stupida la storia di Cenerentola eppure ecco che era finita nella sua esatta situazione. La magia era finita ed era tornata alla realtà in uno schiocco di dita. «tu non sei... scusa. è tutto così sbagliato» non era solita scusarsi, erano rare le volte, eppure nell'arco di poco tempo si era scusata per ben due volte. Aveva realmente giocato con i suoi sentimenti? Raccolse il vestito da terra e glielo appoggiò addosso per coprirlo, senza dire una parola, poi si lasciò cadere di lato, stendendosi a pancia in su e chiuse gli occhi. Sentì il cuore batterle a mille, il respiro affannato e la mente ora era affollata da mille pensieri diversi, voci che avrebbe voluto zittire ma in quel momento era tutto... troppo. Si lasciò trascinare da tutti i sensi di colpa, nessuna ragazza lesbica, al suo posto, l'avrebbe fatto. Non aveva senso. Lei sapeva che dietro c'era Bertie, non era uno scherzo contro di lei, ne era sempre stata cosciente e allora perchè aveva voluto crederci ed era stata al gioco? Si sentiva disgustata da se stessa. «sarà meglio che io vada»

    The moon will guide you through the night with her brightness, but she will always dwell in the darkness, in order to be seen.

    Sorta
    Motherfucka
    when: prom day
    where: lago nero
    why:
    status: single



    non lo rileggo assolutamente. l'ho scritto in più giorni quindi probabilmente parti non hanno senso con quello scritto in precedenza who knows. per non parlare dei tempi verbali ma se controllo poi cancello tutto e non ne esco più LET'S GO
     
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    Era tutto sbagliato. La situazione, quello che era successo prima, ciò che stavano facendo adesso… tutto. Se lo ripeté una, due, tre volte, abituato com’era a pensare di avere sempre ragione. Era un concerto di note stonate, un insieme di rumori stridenti già da soli, che insieme non potevano che diventare la più estrema delle cacofonie.
    Eppure… no.
    Era lui a essere sbagliato. Era lui l’unica nota stonata in una melodia per il resto armoniosa. Lui, che non avrebbe dovuto essere lì, proprio in quanto tale. Perché l’aveva fatto? Perché, per l’ennesima volta, aveva cercato di sovvertire l’universo? Non era forse, in piccolo, quello che aveva già fatto viaggiando nel tempo? Dopo il salto nel passato, ecco il mutare il suo corpo, il rovesciare quello che la natura aveva voluto.
    Ma era davvero così?
    Avrebbe dovuto riderne, dire che era stato tutto un gioco, un divertissement, un modo per passare il tempo, l’ennesima riprova del suo essere superiore a tutto e a tutti… persino a lei. Invece, tra tutto quello che gli vorticava dentro in quell’istante, di divertimento non c’era neanche la più piccola delle tracce. Al contempo la confusione e il nulla più assoluto. Un vuoto, nello stomaco, che si espandeva ogni secondo di più, rischiando di inghiottire tutto. Anche lui. Anche…
    «Sorta…», mormorò con un filo di voce, sentendo le orecchie quasi ferite da quel suono così familiare. Avrebbe voluto dirle mille cose, ma ogni parola gli moriva sulle labbra, che, in compenso, continuavano a sentire i fantasmi dei baci che si erano scambiati fino a qualche istante prima. E il suo corpo, doppiamente traditore, sembrava non essersi accorto di quello che era appena successo. Al contrario, fremeva forte per l’eccitazione, mozzandogli il respiro in gola, tramutando ogni sillaba mancata in un sospiro denso di desiderio.
    Ma l’espressione di Sorta sarebbe bastata a spegnere un intero incendio. Il vuoto nelle profondità delle sue viscere si rifletteva sul viso di lei, o meglio, nei suoi occhi. L’unica cosa che poteva vedere, data la sua posizione, era proprio il suo sguardo. Per un attimo fu felice del fatto che non lo stesse guardando, sapendo benissimo che non sarebbe riuscito a reggere quel confronto, ma poi notò come fissava la totale assenza di ogni cosa. Il vuoto, appunto.
    Tentò nuovamente di chiamarla, ma si costrinse a serrare le labbra, nonostante il dolore, sentendola artigliargli le gambe con le unghie. Non aveva alcun diritto di lamentarsi. Era solo colpa sua se adesso erano in quel gran casino. Sì. Colpa sua. L’aveva pensato. Lo stava pensando. Stava ammettendo, perlomeno con sé stesso, di non essere infallibile.
    Ma non era questo il punto. Non davvero, almeno. «mi dispiace, scusa» Un momento. Sgranò gli occhi, tornando a focalizzarsi su quelli di Sorta, che però, naturalmente, facevano di tutto per evitarlo. Come darle torto, d’altronde? Se fino a quel momento si era sentito male, in colpa, persino, nulla, però, poteva prepararlo a questo. Sorta Motherfucka che si scusava. Gli stava offrendo la miglior arma da ricatto di sempre. Avrebbe potuto ottenere tutto ciò che voleva, adesso. Ma… nulla di tutto questo gli passò neanche per la mente, in quel momento. C’era solo amarezza. Vergogna. E un dolore, sordo e profondo, che gli rimbombava nelle orecchie.
    «No.» Deglutì a fatica, urlando silenziosamente al proprio corpo di calmarsi. Si faceva schifo, ora come ora. Sebbene non gli piacesse pensarci, non era la prima volta in cui il suo cervello e il suo corpo si trovavano in disaccordo. Tuttavia, non si era mai ritrovato in una situazione così… estrema. «No», tornò a ripetere, il rossore della vergogna che si faceva spazio tra quello dell’eccitazione ormai malsana. «Tu non devi… non devi scusarti, Sorta.»
    Fu in quel momento che, finalmente, lei lo guardò, facendogli desiderare all’istante che non l’avesse mai fatto. Perché fu proprio quello sguardo a renderlo consapevole. Era lì, fragile, ansante, nudo, in tutti i sensi, in balia di qualcuno, e di qualcosa, a cui non voleva dare nome. Si sentiva stupido, sì, ma non era neanche la cosa peggiore. «non avrei dovuto» Ecco qui. Dalla gola, il cuore sprofondò nello stomaco. Schiuse le labbra cercando di parlare, sentendosi totalmente impotente davanti alle parole, e alle reazioni, di lei. Lui, dal canto suo, non riusciva nemmeno a muoversi, fatta eccezione per le mani, che strinsero rabbiosamente l’erba, fino a ritrovarsi fili e fili strappati tra le dita. «che idiota, cosa mi era passato per la mente» «Cosa è passato a me per la mente. Non avrei dovuto. È stata un’idea… stupida. È stata… colpa mia.» Quella manciata di parole erano ancora più nude di lui, perché erano reali, sentite. O meglio, lo era la maggior parte di essere. Perché, come il suo viso ancora in fiamme continuava a ricordargli, non riusciva a sentirsi pentito. Non del tutto, almeno.
    Sorta, però, era di un altro avviso. «tu non sei... scusa. è tutto così sbagliato» Cosa? Cosa non era? Non era Rita? Naturalmente. Tuttavia… era davvero così? Non era pur sempre la stessa persona? Lo sapevano entrambi. Tutta quella serata, tutto quello che era successo… era reale. In modo distorto, certo, ma era reale. «Non sono… lei?» Rise appena, sprezzante. «Già», si sforzò di aggiungere, sebbene… «No, è tutto giusto. Sono io a non esserlo.» Le doveva almeno questo.
    Pur aspettandoselo fin dal primo istante, quando lei si tirò su desiderò gridarle di non andarsene, anche se ovviamente dalle labbra non uscì alcun suono. Il vestito quasi impalpabile che gli lasciò cadere addosso pesava più di una valanga. Di nuovo, e tutto d’un colpo, realizzò quanto fosse vulnerabile e, soprattutto, patetico. Si sforzò di mandare giù il groppo alla gola, ignorando gli occhi che pizzicavano, come se questo potesse farli smettere. Ancora mezzo tremante trasfigurò alla meglio il vestito in qualcosa di più consono al suo corpo ritrovato e si affrettò a infilarselo, non pensando minimamente a come avrebbe reagito Nice scoprendo la fine che aveva fatto la sua creazione.
    Solo a quel punto la guardò.
    Sorta era ancora lì. Accanto a lui.
    Le lacrime che era riuscito a trattenere fino a quel momento gli offuscarono la vista. Si strofinò veloce gli occhi, sdraiandosi vicino a lei. Poteva sentire il calore del suo corpo, ma non osò sfiorarla neppure con un dito. «sarà meglio che io vada» Era lui quello che avrebbe dovuto allontanarsi il più possibile, non farsi più vedere, smetterla di giocare con le leggi del mondo e con le persone. Ma non si mosse. Non voleva farlo. E non voleva che lo facesse neanche lei. Il groppo alla gola era tornato, o forse non se n’era mai andato; si sarebbe percepito di certo, se avesse parlato ancora. Ma non gli importava. «Rimani… per favore
    Adalbert Natanail Behemoth
     
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