it's not my party and i'll cry even if i don't want to

lydia ft. jay

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    hadaway

    Non avrebbe dovuto essere così difficile. Avrebbe dovuto avere un prima, per prepararsi a quello; un durante, per abituarsi a quello. Ma quello cosa? Bold of you assumere che non si stesse riferendo alla vita, alla quale in ogni caso era, nella pratica, piuttosto impreparata – ma avresti avuto ragione, lettore.
    Perchè il problema di Lydia Hadaway, di Annie Baudelaire, era essere madre. Dicevano fosse istintivo, che venisse con la pratica, che avrebbe imparato dai propri errori, che tutti i genitori si sentissero inesperti quanto lei...Ma non credeva che chiunque sbandierasse quei oh così saggi consigli, avesse avuto le sue peculiari vicissitudini: perdita di memoria e nuova identità, laboratori, fratelli – di cui uno morto!! - spuntati dal nulla che tendevano a sparire, e persone decisamente più in gamba di lei che bussavano alla sua porta per dirle che avesse due (2) figli in età da scuola che non ricordava neanche di aver partorito. Si sentiva giustificata a non sapere dove mettere le mani, ma non significava che non si sentisse mortificata. Inadeguata. Si muoveva in quel nuovo ruolo delicatamente, temendo ogni respiro troppo forte o movimenti improvvisi, come se quei bambini - i suoi bambini - fossero animali selvatici in procinto di scappare. Avanzava a tentoni nel buio, talvolta spingendo avanti Jay ed altre volte, invece, stringendogli il braccio così forte da lasciare la propria impronta. Era terrorizzata dai due esseri umani in miniatura che portavano i suoi occhi, la cui diffidenza era andata giorno dopo giorno scemando lasciando spazio ad una fiducia che non sentiva di meritare. Quando li andava a prendere a scuola e correvano fra le sue braccia come fosse la cosa più naturale del mondo, mostrandole i disegni fatti con la maestra con l’orgoglio che solo i bambini riuscivano ancora a vantare, Lydia era spaventata da quanto tutto quello sapesse di… casa. Era travolgente. Era come stare in mezzo al mare mosso e non avere paura di andare sotto la superficie dell’acqua.
    Ma nulla era mostruoso e tremendo quanto quello. Nulla l’aveva preparata ai sorrisi falsi degli altri genitori, ai giudizi con i quali squadravano lei e Jayson, entrambi appiccicati al muro e con il chiaro intento di mimetizzarsi, quando le domandavano quanti anni avesse, sottolineando quanto fosse giovane ed appioppandole un’insufficienza nella scuola della vita. Si era svegliata in una vasca senza alcun ricordo, si era ricostruita una vita da zero, ma nulla era mai stato umiliante quanto accompagnare Tupp e Cash alla festa di compleanno di Benjamin Ruthford. Quando Arci le aveva chiesto, il tono dolce e morbido che riservava a pochi, se preferisse che li accompagnasse lui («mi piace essere lo zio kool») avrebbe dovuto cedere e dire di sì, ti prego sì pensaci tu - ma sarebbe stato codardo, e l’avrebbe fatta sentire ancora più inetta.
    Era solo una festa di compleanno per bambini. Non poteva andare così male.
    «dovremmo ...» umettò le labbra, gli occhi verdi a saettare dai bambini intenti a guardare lo spettacolo di Neppy il Clown (Lydia era: terrorizzata. Ma perché nel 2021 ancora invitavano i pagliacci a fare spettacoli per bambini? Nessuno aveva visto IT?) ai genitori che chiacchieravano allegramente fra loro, ridendo di battute che solo i Veri Adulti TM potevano trovare divertenti. Posò infine lo sguardo su Jay, studiandolo di sottecchi mentre raccoglieva la forza di drizzare le spalle, e smetterla di fondersi con la carta da parati. Ancora non le sembrava vero. Era irreale quella vita, con dei figli ed un Jayson Matthews che non veniva rapito da due anni: avrebbe perfino potuto abituarcisi. L’espressione di Lydia si addolcì, l’ombra di un sorriso sulle labbra. Per quanto egoista fosse, il disagio esistenziale di Jay la faceva sempre sentire meno inadatta alla vita, più pronta e determinata ad affrontarla. Non era una gara, certo, ma se lo fosse stata …. «socializzare...» aggrottò lievemente le sopracciglia, socchiudendo gli occhi come se il solo dire quelle parole ad alta voce le causasse sofferenza. «con gli altri genitori….» Terribile. Era la cosa peggiore dell’essere mamma, quella, ma pareva una regola non scritta dell’essere Madre quella di essere amica dei parenti degli altri bambini. Non era più libera di scegliere i propri amici.
    Il che era agghiacciante, considerando quanto normalmente fosse selettiva.
    Avrebbero dovuto portarsi dietro Nate, lui era molto più bravo di loro a fare amicizia con i genitori. Annuì fra sé, espirando profondamente.
    E spinse Jayson in avanti, direttamente all’interno del circolo di madri e padri intento a fare convenevoli: FAI L’WOMO.
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    matthews


    Jay si era fatto crescere la barba.
    that's it, that's the post.
    o, almeno, così piacerebbe a rob — se non ci fosse altro da dire. ma qualcosa c'è, giusto? intanto per cominciare, Jay non si era fatto rapire né era morto: so' progressi.
    che poi, il Matthews, morto non lo era mai stato; dentro, forse, ma a tutti gli effetti stecchito no. era sopravvissuto all'ultima quest con l' 1ps™, quell'ultimo punto salute che salva giusto chi non se lo meriterebbe (ciao Holden smack tvb) e lascia morire figli, fratelli, amici. ogni tanto ci pensava ancora, il telecineta, al culo che aveva avuto in quella cazzo di grotta, praticamente in coma ma con ancora un cuore che tentava di battere e tenere in piedi la baracca: ci era andato così vicino, per l'ennesima volta, che alla fine aveva deciso di smettere.
    smettere di mettersi nei casini
    di farsi rapire
    di scomparire nel nulla
    di sbattersene di qualunque altra cosa che non fosse Lydia e il modo per farsi perdonare di essere sbagliato — ne aveva anche troppi, di conti da pareggiare. tipo quelli con i figli che fino ad un anno prima nemmeno sapeva di avere (oltre ai lost kids) e che ora andava a prendere a scuola sentendosi chiedere ogni volta se fosse il fratello maggiore.
    quindi si, Jay si era fatto crescere la barba.
    «dovremmo ...» avvertì una vibrazione di panico irradiarsi dalla figura minuta di lydia, e il suo corpo la assorbì per osmosi ricambiando la sua stretta «so cosa stai per dire e già odio tutto» ma anche quella non era una novità; il setting, invece, sì.
    perché erano pur sempre Lydia e Jay ad una festa di compleanno dove gli invitati erano minori accompagnati dai genitori, categoria cui nessuno dei due sentiva ancora come propria. come avrebbe potuto? la vita che Freddie e Annie non avevano scelto, ma si erano meritati, era stata strappata loro via ancora prima di cominciare, dimenticata quando i ricordi erano già così profondi e radicati da poter creare una storia intera. quella storia nella quale si inserivano Tupp e Cash, ignari di tutto, con quei loro occhi troppo verdi e speranzosi — una speranza che rivolgevano a loro e dalla quale a volte jayson si sentiva travolgere senza preavviso.
    era pronto per fare il padre, quando a malapena iniziava a capire come prendersi cura di se stesso? no.
    li amava? se gliel'avesse chiesto qualcuno, Jay avrebbe risposto che era impossibile, troppo presto, come fai ad amare qualcuno che non conosci?
    ma aveva amato Lydia Hadaway dal momento in cui l'aveva vista e Annie Baudelaire quando i loro sguardi colmi di terrore e domande senza risposta si erano incrociati e, cazzo, allo stesso modo amava anche quei bambini che non conosceva — ma che erano suoi. non ricordava di aver mai avuto qualcosa che fosse suo in quel modo, Frederick Hamilton, in qualunque vita gli fosse stata messa a disposizione.
    solo che tutto l'amore incondizionato del mondo non può preparare un 25enne, con la demenza senile e il vizietto di sparire da un momento all'altro, a «socializzare... con gli altri genitori….»: cosa essere socializzare, si mangia? «magari gli racconto di quella volta che sono stato colpito da un rastrello in faccia» vide con la coda dell'occhio l'espressione di Lydia virare dall'ansioso al 'perche mi fai questo' e fu rapido ad abbassare le spalle con un sospiro, ruotando la testa scura verso la ragazza per regalarle un sorriso un po' più dolce — era solo suo, quel sorriso, ©LydiaHadaway.
    non si era ancora reso conto, di averne uno speciale anche per i gemelli; ma loro lo sapevano. quando lo guardavano in un certo modo, piegando la testa verso una spalla con fare incuriosito, il sorriso che jayson riservava loro spuntava sempre fuori, teso e imperfetto e bellissimo. sapevano un sacco di cose, tupp e cash, che forse loro come tutti i genitori non avrebbero mai capito.
    «stavo scherzando, non preoc-»
    ma
    lo aveva appena spinto
    nella fossa dei
    genitori leoni
    «rude» solo un bisbiglio, quando ormai era troppo tardi per tirarsi indietro — sempre troppo tardi: il chiacchiericcio generale non era solo scemato fino a diventare rumore di sottofondo, ma si era interrotto bruscamente e troppi occhi 👀 (emoticon casuale di xiaomi ma comunque perfetta) avevano iniziato a fissarlo. sembrava una di quelle riunioni degli alcolisti anonimi che frequentava Al «eh-ehm, sono jayson» ciao jayson «non prendo un rastrello in faccia da sei anni.. quasi sette»
    sguardi confusi
    sorrisi di circostanza
    Jay voleva: morire
    «ah ah era una battuta. anche i vostri figli sanno allacciarsi le scarpe da soli?» troppe parole tutte insieme per il Matthews, ma ne valeva la pena: una regola che aveva imparato in quel breve tempo da genitore badger™ era che ai genitori badger™ piace un sacco parlare dei progressi socio cognitivi delle loro creature, quasi si trattasse di una gara all'ultimo sangue su chi aveva generato la creatura migliore (Tupp e Cash. Tupp e Cash erano i best bambini tra quelli presenti, su questo non c'erano dubbi ❤). difatti, come previsto, i volti rimasti pietrificati dalla terribile freddura precedente si sciolsero immediatamente, la gara rientrata nel vivo tra un «il mio randall ha imparato l'anno scorso, gli ho insegnato la tecnica delle orecchie di coniglio» (cos) e un «carbon l'altro giorno si è infilato una matita nel naso» in risposta (un problematic fave).
    poi gli sguardi di sfida tornarono su Jay e questa volta il telecineta fece un cenno — disperato — a Lydia perché dicesse qualcosa al posto suo, così da evitargli di passare direttamente ai giochi di prestigio
    tipo, che ne so, far levitare qualche bambino random.

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    hadaway

    Quando tutti gli occhi dei genitori, come i predatori quali erano, si spostarono su Jayson con una sincronia a dir poco inquietante, Lydia dimenticò per qualche istante come respirare, quasi che anche i suoi polmoni stessero attendendo la risposta del Matthews agli sguardi inquisitori del parentame. Qualcosa di life changing, di sicuro, il trampolino di cui entrambi avevano bisogno per entrare ufficialmente nel mondo degli adulti e dei badger, e - «eh-ehm, sono jayson. non prendo un rastrello in faccia da sei anni.. quasi sette» - e? Uh. Non… non l’aveva detto sul serio. Non poteva averlo detto sul serio. La Hadaway sgranò lentamente gli occhi, scuotendo appena percettibilmente il capo per ammonirlo a non andare oltre, chiedendosi – non per la prima volta - perchè. Se l’era pure scelto due volte, quel Jayson fu Freddie. Errare era umano, ma si sapeva cosa si usasse dire del perseverare. Strinse le labbra fra loro, maledicendo lui e lei e quella dannata festa, costringendo poi la bocca in un plastico sorriso nervoso. «troppo tempo, evidentemente» bisbigliò, in un tono basso solo per Jay, sforzando una risata leggera a sciogliere il nodo alla gola, mentre le dita strizzavano il braccio del telecineta. Forse - forse … - non era stata un’idea particolarmente brillante, mandare avanti lui. Magari Lydia non avrebbe potuto fare di meglio, ma ora aveva la certezza che non avrebbe potuto fare di peggio: bisognava andare avanti a piccole vittorie ed effimeri trionfi. «ah ah era una battuta. anche i vostri figli sanno allacciarsi le scarpe da soli?» Quando le spalle dei loro interlocutori si rilassarono, ed iniziarono tutti a parlare dei progressi dei loro bimbi – più fra loro che con loro, come notò osservandoli di sottecchi – un sospiro lasciò le labbra della Hadaway. Rivolse un’occhiata densa di significato a Jay, un’ultima stretta titanica sul braccio per intimarlo a tacere, prima di far scivolare la mano a cercare la sua. Intrecciò le dita con le proprie, lasciando che quel contatto bastasse a calmare il panico, ed il terrore, di sentirsi, ancora e sempre, quella inadeguata e sbagliata. Lentamente, prima che Gli Altri TM potessero percepire l’odore della sua paura, con un sorriso cordiale a curvare le labbra, trascinò lentamente il telecineta lontano dalla folla, appiccicando nuovamente entrambi contro la carta da parati. Inutile dire che nessuno si fosse accorto della loro prematura (dipartita.) assenza, la conversazione a continuare a fluire anche – se non soprattutto – senza il loro supporto. Quando ritenne che la distanza a separarli fosse discreta, sibilò la propria frustrazione nascondendo il viso, ed un borbottio non meglio definito, contro la spalla del Matthews. «non ha funzionato» asserì, malgrado dubitasse che ci fosse un reale bisogno di sottolinearlo. Inspirò e chiuse gli occhi, il profumo di bucato – di una lavatrice che non aveva fatto lei, perché non sapeva fare una lavatrice: ci stava lavorando, con tanto di sticker colorati attaccati a ogni dannata manopola di quel cubo del male – abbastanza familiare da ancorarla a casa, ricordandole che in quella piccola, ma enorme, guerra, non fosse sola. Qualcuno, probabilmente persone con una vita sana e normale, avrebbe potuto dire che non fosse quel gran problema, il fatto che non andassero d’accordo con gli altri genitori, ma Lydia aveva una… visione ideale di come avrebbe dovuto essere il mondo, che raramente riusciva a conciliare con la propria vita. Ci provava, per Tupp e Cash, ma «non sta funzionando» specificò, rialzando il capo per cercare gli occhi scuri di Jay, sopracciglia corrugate e labbra imbronciate. Un funzionare più filosofico e metafisico che aveva smesso di riferirsi a quella festa, per includere il disegno più grande. «forse dovremmo cambiare metodo. Magari -» una parte di lei sapeva che la proposta a seguire fosse eredità di troppo tempo passato con Nathaniel, ma in quel momento non le importava. Tutto era meglio che sentir parlare Jayson di rastrelli in faccia con gente che non li conosceva. «potremmo essere i genitori ricchi e cool che non vogliono mescolarsi alla plebe; possiamo mandare dei baby sitter alle feste al nostro posto» Solo che non erano né ricchi né cool, il che significava dovessero trovare qualcuno che lo facesse gratis. «non arci o nate» specificò subito. Li amava, erano la sua famiglia, ma conosceva i loro limiti: Arci avrebbe flirtato con la persona sbagliata facendo arrabbiare qualcuno – con la loro fortuna, tipo il direttore della scuola dove andavano i bambini. - e Nate… Beh. Non aveva bisogno che Lydia rimarcasse perché non fosse adatto.
    Lo conoscevano e lo amavano entrambi anche per quello.
    «murphy? Potrebbe portare anche leia e luke…...» tentò, arcuando entrambe le sopracciglia.
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    matthews


    «troppo tempo, evidentemente»
    poteva forse darle torto? no.
    altrimenti non sarebbero stati jayson matthews e lydia hadaway, sotto quel punto di vista certamente una coppia perfetta — complementare «severa, ma giusta» sentì sciogliersi almeno in parte la tensione accumulata nelle spalle, quando la piccola mano di Lydia strinse con più forte la sua. si incastravano perfettamente, i palmi e le dita e la pelle al di sotto, e non per la prima volta il telecineta si ritrovò a chiedere a se stesso se fosse stato così fin dall'inizio; se le loro mani si fossero incontrate con naturalezza, come non avessero fatto altro tutta la vita, e ora non stessero facendo altro che andare avanti a trovarsi in modo istintivo, con urgenza. aveva dimenticato le loro prime volte— il primo sguardo, il primo schiaffo, il primo bacio, la prima lacrima, il primo respiro incastrato in gola — ma allo stesso tempo gli sembrava quasi di sapere.
    forse, semplicemente, se lo shentiva.
    come l'aveva sentito quel giorno nella stanza delle torture, quando gli occhi verde bosco di lei avevano cancellato il dolore e spalancato una porta nel cuore del ragazzo che per lungo tempo non aveva saputo dove avrebbe potuto portarlo.
    ma adesso lo sapeva.
    quella porta conduceva lì, a loro, e nel sentire la voce di Lydia farsi sottile mentre gli si stringeva contro, il telecineta provò una fitta di rabbia che partiva dallo stomaco e si diramava, decisamente troppo rapida «non ha funzionato» piegò la testa verso di lei e rimase immobile ad ascoltarla sussurrare, anche se non ce ne sarebbe stato bisogno — nessuno li stava più cagando di striscio; dovette inghiottire tutta l'aria che aveva inspirato, concentrandosi sulla ragazza per evitare di lanciare qualche genitore spocchioso contro un muro. non sarebbe stato carino, non davanti ai bambini (i suoi bambini, mio dio). «forse non è necessario che funzioni..» tentò, ammorbidendo il tono della propria voce, iridi caramello concentrate unicamente su di lei «non se significa diventare così» e le indicò il gruppo di genitori ciatelle con un cenno della testa.
    aveva lottato a lungo per capire chi fosse, jayson matthews, e sebbene ancora alcuni punti di se stesso gli rimanessero oscuri, di una cosa era comunque certo: non voleva essere come loro. buttare via tutta la merda sotto la quale si era ritrovato ancora e ancora, far finta di aver vissuto una vita normale e insignificante, di non aver toccato il fondo e trovato la forza per risalire. gli era costato troppa fatica, troppo dolore per rinunciarvi «stiamo facendo del nostro meglio, sai? questa gente non potrà mai capire, ma loro sì» e questa volta lo sguardo del venticinquenne si spostò a cercare la testa bionda e scarmigliata di Cash, un continuo volteggiare avanti e indietro mentre Tupp lo faceva piroettare su se stesso come una trottola (o una bellissima ballerina) «non è strano?» chiese, stringendo a sua volta le dita attorno alla mano più piccola e fresca di Lydia, la schiena a premere contro il muro «a volte mi sembra di averli sempre avuti con me»
    non glie l'aveva mai confessato, prima.
    non l'aveva detto a nessuno, nemmeno a se stesso. faceva troppa paura, ammettere di amare due persone così piccole che aveva a malapena cominciato a conoscere, svegliarsi nel cuore della notte solo per guardarli dormire e respirare piano, chiedendosi come fosse possibile sentire parte di sé qualcuno che non lo era mai stato «stiamo andando benissimo, Lydia. stai andando benissimo» e non era solo un modo di dire, Jay ci credeva davvero. gli altri genitori, con i loro anni a disposizione per poter imparare, una memoria che non era stata incasinata e tutta una serie di torture fisiche e mentali decisamente poco piacevoli, potevano solo accompagnare.
    per non darle modo di replica si chinò leggermente posandole le labbra sulla fronte e poi, fanculo a chi si era voltato a guardarli, sulle sue; aveva perso troppe occasioni — anni, perdio — per non volerla baciare al primo momento utile, qualunque esso fosse «comunque se vuoi appioppare a qualcun altro queste riunioni terrificanti con gli altri genitori mentre io e te ci dileguiamo per qualche ora, io sono d'accordo» lungi da jayson insistere per frequentare quelle vipere, sia chiaro «murphy sarebbe capace di zittirli tutti» gli adulti, ma probabilmente anche bambini. poi, con un mezzo sorriso dipinto sulle labbra mentre sollevava la mano destra salutando un padre rompicoglioni che lo stava ancora fissando da lontano (e che fatica non chiudere tutte le dita lasciando fuori solo il medio), aggiunse un già piu divertito «o magari Al. così è la volta buona che sbrocca»
    it's about damn time.

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    hadaway

    Battè le palpebre, sopracciglia corrugate e capo ancora chino ad osservare le dita intrecciate a quelle di Jay. Il senso di inferiorità e l’inadeguatezza non erano qualcosa di cui andasse fiera, anzi, e quella non era una conversazione che avrebbe voluto avere ad una festa per bambini, ma talvolta bisognava scendere a compromessi con la triste realtà della vita, ed accettare che l’invulnerabilità fosse solo per i fumetti e le leggende. Fingere di avere tutto sotto controllo funzionava solo quando poteva effettivamente avere almeno qualcosa sotto controllo; non c’erano bussole, per quel genere di smarrimento. «da quando sei quello ottimista.» Non un tono interrogativo, nè amichevole, quello della venticinquenne, ma il sorriso era abbastanza morbido e genuino da lasciar intendere non ci fossero (solo.) cattive intenzioni, dietro quel commento. Era un po’ offesa che Jayson Matthews – jAySoN MaTtHeWs – avesse più sangue freddo di lei, non era implicito che dovessero essere confusi e tristi e persi insieme?, ma poteva superare il lutto dell’abbandono nella twilight zone, se significava un conforto solido e tangibile. «stiamo facendo del nostro meglio, sai? questa gente non potrà mai capire, ma loro sì» Anche saggio, quasi filosofico.
    Il Far West l’aveva cambiato.
    Non ebbe bisogno di seguire il suo sguardo per sapere a chi alludesse, ma lo fece comunque. Sorrise della risata trillante di Tupp, e delle guance rosse di Cash, e di quel balletto sconclusionato che non seguiva affatto la musica d’ambiente che i genitori del festeggiato avevano scelto per quella lochescion. «oppure da grandi ci odieranno, ed avranno un sacco di problemi a causa nostra» bisbigliò in tono dolce, senza perdere il sorriso. Spostò la propria attenzione sul telecineta, una mano a scivolare sull’avambraccio e stringere delicatamente. «ma probabilmente no, hai ragione» rassicurò (entrambi.), perché immaginarsi Cash e Tupp in preda ai deliri delle droghe che camminavano sulle rotaie dell’Espresso in un giovanile gesto di ribellione, le faceva venire la tachicardia in anticipo di una decina d’anni. Tornò a guardare i bambini, placando le ansie adolescenziali con il divertimento per le buffe e genuine danze infantili: era un po’ troppo presto per occuparsi di eventuali daddy issues. «non è strano? a volte mi sembra di averli sempre avuti con me» A volte, anche a lei. Era… spontaneo e naturale avere le loro braccia strette in vita, il peso delle loro piccole testoline sul fianco quando si addormentavano guardando i cartoni.
    Allo stesso tempo, no. Era ancora tutto alieno, e terrificante, e li aveva tenuti in grembo per nove mesi e non ricordava di averli messi al mondo, e hanno la mia stessa bocca, ed il cervello compensava la mancanza di memorie creando teorie che includevano ammassi di pongo, ritagli di giornale ed assemblaggi chirurgici. Era una cattiva madre, per quello? Si sentiva, una cattiva madre. Avrebbe dovuto… accettarli e basta, perché era giusto così, ma c’erano momenti in cui i tasselli ancora non s’incastravano fra loro, cozzando come pezzi sparsi di puzzle diversi. «rivoglio i miei ricordi» le bastò dirlo per rendersi conto di quanto, di quanto, quel bisogno fosse diventato reale e pressante. Appena un bisbiglio, un movimento di labbra che venne messo a tacere dal cambio di musica e la risata d’un passante, ma dopo averlo detto ad alta voce non poteva più rimangiarselo. Non poteva fingere di aver cambiato idea, e tornare a vivere nella pelle di una Lydia di cui andava maledettamente fiera, ma che non era… non era più abbastanza. Sentì il cuore stringersi alle parole di Jay - stiamo andando benissimo - e chiuse gli occhi quando le labbra di lui premettero sulla sua fronte. Non per la prima volta, non per l’ultima, cercò d’imprimersi quella sensazione sulla pelle e nel cuore – renderla indelebile, anziché un continuo deja-vu. Gli andò incontro soffiando un filo d’aria sulla sua bocca, alzandosi leggermente sulle punte per prolungare il più delicato e casto dei baci, e mantenere fra loro la promessa che fosse vero, che fosse reale, che potessero permettersi durasse. Tenne una mano premuta sulla sua nuca, guardandolo seria malgrado l’idea di una Murphy ed un Al al loro posto, e con quei genitori, bastasse a strapparle un sorriso, e fu con ancora quella piega morbida e rilassata delle labbra, che lo ripetè.
    Perchè voleva sentisse.
    E voleva capisse.
    Sapeva che fosse… difficile, ma non impossibile. Che fosse rischioso, che avrebbe potuto non reggerlo, ma non le importava – non se il prezzo era quello.
    Voleva un Cole Baudelaire da piangere.
    Voleva il primo bacio ed il primo dito medio.
    Voleva il pianto di Tupp e Cash nelle sterili stanze del laboratorio.
    Il bello, il brutto, ed il peggio.
    «voglio riavere i miei ricordi» ripetè, lasciando che lo sguardo solenne facesse intendere che quella volta, non fosse solo un modo di dire.
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    matthews


    essere quello ottimista faceva senso anche a lui, e non poco.
    da quando si era risvegliato in quel letto di ospedale, la mente intonsa quanto le lenzuola sulle quali giaceva inerme, jayson non aveva fatto altro che lagnarsi: malediceva la vita e le sue ingiustizie, chiuso a riccio dietro ad una corazza invisibile che lo isolasse dal mondo per continuare indisturbato la sua lamentela cantilenante. a spingerlo, ogni ora di ogni giorno, quel carburante perfetto che era la paura, un concentrato di terrore e sensi di colpa dei quali il Matthews non conosceva le origini.
    ma le aveva scoperte, alla fine.
    e aveva imparato, a spese di chi lo amava, che piangere su un latte che non ricordava di aver versato non era solo inutile, ma dannoso; rischiava di perdere se stesso, quello nuovo, e tutto ciò che negli ultimi anni era riuscito a guadagnarsi strappando con le unghie e con i denti un brandello di vita alla volta. non voleva più essere quello da consolare, jay. non poteva più dare a lydia l'ingrato compito di vedere tutto rosa per bilanciare la sua visione tetra del futuro, le doveva qualcosa di più — esserci.
    per questo si limitò a sorriderle, stringendo leggermente le spalle e poi la sua mano, braccia a sfiorarsi anche se non ce ne sarebbe stato bisogno. avrebbe potuto accontentarsi della sua presenza, e forse un tempo l'aveva fatto.
    quando già non era più Frederick Hamilton, quando la vita di Jayson Matthews sembrava tutto fuorché quella giusta.
    un errore che il telecineta non era intenzionato a commettere di nuovo.
    «narah mi ha insegnato a meditare» replicò, dopo qualche istante, come se quella spiegazione potesse bastare; dopotutto, a lydia non doveva spiegare il contesto: lei li aveva visti i Lost Kids stargli appresso come piccole zecche su un cane randagio — la meditazione era solo un'arma di difesa come le altre «in certe situazioni è molto utile» un po come contare fino a dieci quando senti la voglia impellente di scaraventare qualche genitore tipo contro un muro di mattoni. si perse via per qualche istante (in senso figurato, non va da nessuna parte.), iridi caramello di nuovo rivolte alla zazzera bionda di cash che svolazzava al vento: la verità era che per quanto il cuore sembrasse scoppiargli nel petto all'idea che fossero suoi, allo stesso modo quel cuore si stringeva in una morsa ogni volta che nei loro volti non riconosceva il proprio.
    c'era Freddie, nella chioma bionda di cash, negli occhi grigio azzurri del ragazzino; c'era Freddie nelle fossette di tupp quando sorrideva, nel modo furbo in cui sollevava le sopracciglia per sfidare qualcuno a contraddirla.
    c'era freddie, ma niente jay.
    ganga — eppure faceva male comunque.
    stava ancora pensando a quello, quanto poco gli somigliassero, e se era davvero così importante, quando la voce di lydia e le cinque parole da lei pronunciate a bassa voce lo costrinsero a distogliere lo sguardo; a distogliere la mente. probabile che l'avesse sentita anche la prima volta, quando il bisbiglio gli aveva solleticato l'orecchio, ma ripetendosi lo stava mettendo di fronte ad un fatto che jay non avrebbe potuto limitarsi ad ignorare. e solo Morgan sa quanto avrebbe voluto farlo. perché i propri ricordi, quelli ormai perduti contro i quali si era scontrato per anni, jayson non era affatto sicuro di rivolerli indietro; portavano con loro buio, dolore, gelo e sofferenza, un carico di abbandono e odio a gravare sulle spalle di quel Frederick ancora bambino. lo sapeva, il telecineta, cosa c'era in agguato ad attenderlo dall'altra parte della barricata, una volta trovato il modo di passarvi attraverso.
    il volto di gemes attraverso una serratura,
    torno a prenderti, te lo prometto,
    i graffi e i tagli e le botte,
    il disprezzo negli occhi di sua madre
    sangue a scivolare dalle labbra spaccate tese in un ghigno
    le pareti umide di un orfanotrofio
    la strada
    un cappuccio sulla testa
    il buio
    la paura
    la rabbia
    torno tra cinque minuti.
    ovviamente, c'erano anche loro, li dentro a quella pila di cose orribili accadute nella sua vita precedente, a spiccare come un faro la cui luce da sola era bastata all'hamilton per trovare la strada di casa — Annie che lo schifa dal primo minuto
    un groppo in gola
    il sapore metallico del sangue sulle labbra
    era piu facile quando ti odiavo
    il calore della sua pelle in mezzo a tutto quel gelo
    la voce ridotta ad un sussurro
    due piccoli cuori a battergli nelle orecchie.
    c'era tutto quello, nei ricordi del purosangue, e forse jay sarebbe stato in grado di affondare a piene mani nella luce per affrontare le ombre, ma non ne aveva la certezza. non lo sapeva, se era in grado di farcela oppure no «davvero?» chiese, inghiottendo aria e nient'altro, la gola improvvisamente ridotta ad uno spillo «io-» non lo so se voglio ricordare di non aver lottato abbastanza; e poi, come l'ormai famosa mazzata sui denti (ciao kaz ❤), non so se voglio che lo ricordi tu «mi spaventa a morte» disse, invece, lasciandosi sfuggire una mezza risata improvvisamente stanca e tesa, soffocata dal profumo dei capelli di Lydia quando vi affondò il viso. finiva sempre li, respirando a pieni polmoni, quando l'ossigeno nell'aria non gli bastava più.
    il che, a dire il vero, capitava spesso.
    «ma sono con te» aveva temuto di non poter continuare, che le parole gli sarebbero rimaste incastrate in gola e lydia avrebbe fatto un passo indietro; invece l'aveva tenuta stretta, indifferente agli sguardi degli altri genitori, quegli stessi che mai avrebbero potuto capire il punto cruciale della vita cui erano arrivati — scavare e disseppellire «qualunque cosa serva» tipo accettare le conseguenze, solo per fare un esempio.
    scostó il volto dai capelli della ragazza, sistemandole una ciocca ramata dietro l'orecchio per prendere tempo; jay non era tipo da mostrarsi vulnerabile e indifeso, quei muri che si era costruito negli anni avevano ancora solide fondamenta, ma con lei era diverso. aveva solo bisogno di trovare le parole per esprimere ciò che provava, ed era certo lydia avrebbe capito «mi amerai comunque anche se dovessi scoprire che sono stato uno stronzo, vero?» le priorità, raga — dopo tutto, gli aveva già perdonato un sacco di cazzate, cosa vuoi che sia una in più.


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    hadaway

    Aveva rovinato tutto? Aveva rotto quella piccola, fragile bolla ch’erano riusciti a costruire da zero, mattone per mattone, dopo anni di cemento vulnerabile e scivoloso? Aggrottò lievemente le sopracciglia, stringendo le labbra fra loro per impedirsi di dire qualcosa di stupido, e futile, come “stavo scherzando”; come “non voglio farlo davvero”.
    Lo voleva. Ne aveva bisogno, un pensiero costante che l’aveva accompagnata dal giorno in cui si era svegliata in una vasca del Paiolo Magico. Una necessità che aveva ignorato per sopravvivenza, perché sapeva che quella Lydia non sarebbe riuscita a sopportarla – troppo delicata, ancora creta morbida fra le dita di un destino ironico e infausto. Un prurito fastidioso che, anziché sparire, nel tempo si era intensificato, divenendo quasi insostenibile alla morte di Cole Baudelaire – senza Jay al proprio fianco, l’unico che avrebbe potuto comprendere la lacuna; senza Arci, che avrebbe compreso tutto il resto – ed una fitta oramai perpetua da quando Cash e Tupp erano apparsi nella sua vita. Aveva paura? Sempre. Ne era terrorizzata, come avrebbe potuto non esserlo: tolti i sentimentalismi da chi sono stata, cosa ho fatto, rimaneva la variabile pragmatica della pericolosità di recuperare un’intera vita di memorie. Gli incantesimi mentali non erano qualcosa di semplice in nessun caso, ma in quello in particolare, sembrava esserci una cicatrice di fondo mai rimarginata – che poteva tornare a suo favore, o fare l’esatto contrario.
    Quella Lydia, però, era… sicura di volerci provare. A tentativi ed errori, perché di certezze non ne esistevano, ma voleva provarci - per poter piangere un fratello, per sentire il dolore dell’abbandono e la gioia del ritrovamento. Annie Baudelaire era una parte di sé che aveva ignorato troppo a lungo.
    E temeva che sarebbe cambiata; che non sarebbe più stata Lydia, quella a guardarla allo specchio. Non era… diamine, non era certa di come funzionassero quel genere di cose, non ne aveva mai letto alcuna testimonianza, ma per la prima volta da quasi dieci anni, sentiva di avere fede. Che non si sarebbe persa. Che sarebbe rimasta Lydia, ma con i frammenti di sé smarriti nella traduzione. «davvero?» Quello era il momento adatto per fare un passo indietro, se avesse voluto.
    Ma non se lo sarebbe permesso. «davvero.» confermò, cercando qualcosa - cosa - negli occhi color miele di Jay a cui aggrapparsi – a cui fare ritorno. «io -» «non -» morse le labbra, invitandolo con un cenno a parlare per primo. «mi spaventa a morte» Quasi, quasi, rise anche lei, ma quel che uscì dalle labbra dischiuse fu più un sospiro rauco che una vera e propria risata. Lo strinse a sé, forse più del dovuto e potuto, sperando che la presenza concreta di Jay bastasse a tappare ogni via di fuga del proprio errante cuore. Lo sentiva contro le costole, a riverberare su ogni osso della colonna vertebrale, sulla lingua e le dita. Anche a me, non servì dirlo. «ma sono con te» Un fiato che non s’era resa conto di aver trattenuto, sgusciò involontario come un singhiozzo, alleggerendo il peso sulle spalle. Aveva dubitato che sarebbe stato dalla sua parte…? Forse, in parte - e non l’avrebbe biasimato. C’era la storia di entrambi, nella memoria di Annie. C’era il legame che li aveva fatti perdere, certo, ma anche trovare: non sarebbero più stati Jay-e-Lydia gli smemorati.
    Avrebbe ricordato anche per lui.
    Ma era troppo egoista per non chiederglielo.
    Resistette quando il telecineta cercò di allontanarsi, forse per darsi un contegno o forse perchè le andava, premendo le dita sulle sue spalle.
    Freme, ho scritto spalle, non rovinare il momento. Ti vedo.
    (Dang, l’ho rovinato io.)
    «mi amerai comunque anche se dovessi scoprire che sono stato uno stronzo, vero?» Prese la mano con cui le aveva spostato una ciocca di capelli, portandola davanti alle labbra per sospirarvi un fiato caldo. «sei ancora uno stronzo» dubitava che qualunque cosa avesse fatto Freddie, potesse essere peggiore dello sparire per due anni in una città fantasma della California cento anni prima. «eppure.» baciò delicatamente il palmo, offrendo un debole sorriso. Attese una manciata di secondi, il tempo di controllare battito, pensieri, e bambini troppo vivaci che guizzavano fra le loro gambe ridendo come fosse stato il passatempo migliore del mondo, prima di continuare. «so che ti chiedo tanto» Un atto di fede doppio, perché lei avrebbe ricordato loro, e lui avrebbe potuto non riconoscerla affatto. Umettò le labbra, lasciando la mano di Jay per recuperare un poco di spazio necessario a (non far pensare ai genitori che si stessero appartando. Mio Dio… fatevi una vita) pensare senza complicazioni. «e non voglio che tu ti senta in dovere di fare lo stesso» cercò lo sguardo di lui, sopracciglia arcuate. «o ti senta in colpa per non volerlo affatto» perché, conoscendo l’animo oskuro di Jay, la seconda era più probabile. «d’altronde lo faccio per me, non per noi» un tentativo di alleggerire l’atmosfera, con quella affettuosa pacca sulla spalla, nel sottolineare quanto loro non fossero nulla nel grande piano celestiale – nonostante, ovviamente, non fosse così - ? Certo, anche.
    Ma non del tutto.
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    era una fortuna che il contegno tra i due riuscisse a mantenerlo almeno Lydia: jay non più molto sicuro di esserne in grado, non con le sue labbra a premergli sul palmo della mano ed un sorriso a nascere dal nulla contro la pelle «sei ancora uno stronzo» come darle torto. per quante cazzate avesse fatto come Jayson Matthews, qualcosa dentro gli suggeriva che Frederick ne avesse fatte altrettante; un pensiero che gli bloccava il respiro nella gabbia della trachea, a volte togliendogli il sonno finché non rimaneva altro che rigirarsi inquieto tra le lenzuola e fissare ombre troppo scure su un soffitto troppo bianco «sto cercando di migliorare.. niente rapimenti in due anni e non ho nemmeno il microchip»
    se l'era appena mandata?
    se l'era appena mandata.
    accettò a malincuore lo spazio innaturale tra di loro, quando Lydia fece un passo indietro, andando istintivamente a cercare i bambini con lo sguardo; esisteva davvero un modo per ricordare la prima volta che li aveva sentiti muoversi e tirare calci? un modo per ricordare la sensazione di stupore e meraviglia per qualcosa che aveva contribuito a creare, proprio lui che nella vita non aveva fatto altro se non distruggere? «non credo di volere» disse, dopo qualche istante di silenzio, nella voce una nota stonata che la fece incrinare appena. non ebbe bisogno di sforzarsi, il telecineta, per riportare le iridi caramello su di lei — se c'era una cosa di cui Jay non aveva paura, non più, era che Lydia gli guardasse dentro e vedesse la vergogna, i sensi di colpa. quelli se li sarebbe portati dietro per sempre, come un peso sulle spalle che grazie alla presenza della rossa diventava ogni giorno un po più sopportabile.
    più umano.
    «penso-» scosse improvvisamente la testa, interrompendosi. penso? davvero si trattava solo di un'ipotesi? «no, sono sicuro che voi siate l'unica cosa bella nella vita di Frederick Hamilton» aveva le sue fonti, il venticinquenne: prima di tutto, l'istinto. essere portati per natura a vedere sempre tutto nero e aspettarsi il peggio aveva di buono che raramente si rimaneva delusi per qualcosa, e jayson aveva imparato a non farsi illusioni nell'istante stesso in cui aveva aperto gli occhi in un letto di ospedale e l'uomo che gli stava puntando negli occhi una piccola luce non era stato in grado di dirgli quale fosse il suo nome; non ne aveva uno, all'epoca.
    in secondo luogo, c'erano le testimonianze.
    poca roba, a voler ben guardare
    — una lettera scritta dalla sorella scomparsa (ciao charmion per me sei esistita mi serve da bg tvb) e le cazzate che gli aveva raccontato gemes quando finalmente aveva deciso di vuotare il sacco, solo per farsi odiare un po di più «te l'ho mai detto che quella merda di mio fratello è scappato di casa quando avevo quattro anni e non è mai più tornato a prendermi?» lo disse piano, con un'ombra di sorriso a marcare le labbra sottili, incapace di nascondere del tutto l'affetto istintivo che provava nei confronti dell'hamilton, nonostante tutto «mi ha lasciato solo a vivere con un padre e una madre che non mi volevano. è questo quello che so, ed è questo quello che ricorderei» le parole di charmion si fermavano lì, alla scomparsa di Frederick un giorno di giugno, a soli dodici anni dopo averne passati sei a prendere botte e mostrare i denti con una caparbietà che jay a posteriori proprio non riusciva a spiegarsi: lo aveva fatto per gemes? ma che, davero???? i successivi cinque trascorsi in orfanotrofio gli erano ancora sconosciuti, e andava decisamente bene così.
    non riusciva a ricordare di averglielo mai raccontato, a Lydia, perché il suo modo di essere e vivere era quello da sempre: compartimenti stagni — forse era semplicemente arrivato il momento giusto «vi ho ritrovati, tutti quanti.. le parti più importanti della mia vita» si lasciò sfuggire un sospiro, intrecciando nuovamente le dita a quelle di Lydia, e fanculo a cosa potessero pensare gli altri genitori «ok, persino gemes. ma non dirgli che te l'ho detto» sarebbe stata davvero una tragedia «sono con te, per qualunque cosa. aiutarti, amarti, starti vicino, crescere quei due teppisti» indicò tupp e cash con un cenno del capo, avvertendo per l'ennesima volta il cuore esibirsi in una piccola capriola: oplà «non ho bisogno d'altro» e no, non stava mentendo: aveva il ricordo del loro primo incontro (in sala torture, bellissimo), del primo bacio, della prima cazzata (capodanno, everyone?), della prima volta in cui era stato sicuro di essere innamorato; cazzo, conservava persino ricordi decenti di suoi fratello, cosa che il buon vecchio Freddie non avrebbe potuto sostenere con altrettanta sicurezza «spero solo che una volta recuperati i tuoi ricordi tu non scopra di preferire i biondi con gli occhi azzurri» si passò la mano libera tra i capelli scuri facendo swiiissshh, giusto un attimo prima di venire investito ad altezza reni da una Tupperware scarmigliata e paonazza.
    un'espressione che portava tempesta.
    «quell'insopportabile di Billy Corman non vuole lasciare in pace Cash» lo guardava proprio dritto dritto negli occhi, ora, sebbene dal basso verso l'alto; non era proprio di sfida, non esattamente, ma quasi — un test, forse, perché era ciò che facevano tutti i bambini, soprattutto quelli che tenevano la parola papà sulla punta della lingua senza ancora trovare il giusto equilibrio per usarla «puoi fare qualcosa?» tipo il tuo dovere di padre. jay spostò lo sguardo dalla figlia a Lydia, che se non fosse per il colore dei capelli sarebbero state due gocce d'acqua (e ancora non aveva visto Harper.), inarcando un sopracciglio nel tentativo di non ridere «posso?» poco poco, senza esagerare: magari poteva fargli calare i pantaloni davanti a tutti e renderlo lo zimbello del compleanno, ma è solo un'ipotesi (le altre due le lasciamo per tempi peggiori)


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    hadaway

    Non sapeva esattamente come sentirsi, dopo anni passati ad ignorare quella volontà, ad averla infine espressa ad alta voce. Sentiva il cuore pulsare nelle tempie, le mani improvvisamente fredde fra quelle di Jay. Si sentiva… stupida, anche se non avrebbe saputo dire perché – aver aspettato troppo? Perché fosse un desiderio infantile? perchè fosse inutile? - e smarrita, ma in fondo a quella coperta di incertezze e timori, poteva quasi (quasi) affermare di essere determinata. Sicura, come raramente lo era mai stata nella sua vita, di quello che volesse. «non credo di volere» L’aveva immaginato, e negli occhi chiari di Lydia non c’era altro che comprensione verso la decisione del telecineta. Perchè avrebbe dovuto? Avevano una vita stabile, sicura, costruita dal nulla e diventata il meglio che la Hadaway potesse desiderare. Era certa che se anche non fosse riuscita nel proprio intento, avrebbe vissuto felice. Era il senso di colpa, quello a macerare sulla lingua di Lydia. La storia di Freddie, non era la stessa di Annie: Annie Baudelaire non aveva mai avuto qualcosa da cui scappare, solo da capire. Era solo una ragazzina viziata incastrata in una prigione che le era sempre stata troppo stretta, testarda nel voler passare fra le sbarre ed allo stesso tempo trovare un proprio posto all’interno della cella in cui sentirsi completa ed accettata. «vi ho ritrovati, tutti quanti.. le parti più importanti della mia vita» ed anche per Lydia era lo stesso, giusto? Aveva trovato anche più di quanto Annie avesse: una famiglia che non aveva timore di amarla sotto la luce del sole, qualcuno che avesse bisogno di lei quanto lei di loro. Aveva trovato Arci; Nathaniel aveva trovato lei.
    Ma. «cole» si schiarì la voce, drizzando le spalle e puntando lo sguardo ovunque eccetto che su Jay. Non si vergognava di lui, mai, ma voleva mantenere un tono di voce più stabile di quanto non si sentisse in quel momento, e sapeva che se ne avesse incrociato le iridi cioccolato, non sarebbe stata in grado di mantenerlo. Aprì la bocca per elaborare il pensiero, ma la richiuse. C’era molto poco che potesse aggiungere a quel Cole - ed un po’ troppo.
    Non sapeva che genere di fratello fosse stato per lei. Se l’avesse odiata, se avessero litigato, se si fossero ignorati, ma non meritava … non meritava di essere dimenticato, non quando non potevano più costruirsi altri ricordi. Scosse il capo, decidendo di non continuare la frase, perché andava a toccare una parte ancora troppo fragile perché Lydia fosse pronta a toccarla a mani nude senza temere di mandarla in frantumi. «non sono più quella ragazzina» soffiò solo, incerta su come mettere a parole il garbuglio in gola. Poteva correggere gli errori di Annie; poteva riavvicinarsi ad Akelei, capire dove avessero sbagliato, e cercare di costruire qualcosa di semi funzionale – una loro assurda, ed impensabile, piccola famiglia. Arci ci provava, e ci riusciva alla grande, ma da solo non poteva tenere incollati tutti i fili. Si meritava che Lydia facesse quello sforzo.
    Se lo meritavano tutti.
    «spero solo che una volta recuperati i tuoi ricordi tu non scopra di preferire i biondi con gli occhi azzurri» Una risata alleggerì il peso sulle spalle dell’assistente di controllo, gli occhi chiusi e le dita premute sulle palpebre abbassate. «sarai il primo a saperlo» Si sporse per dargli un morbido bacio sulla guancia, esprimendo così la tenerezza che difficilmente riusciva a mostrare a parole. Abbassò lo sguardo sul piccolo tornado dagli occhi nocciola che emanava onde di furia a dieci metri di distanza, stringendo le labbra fra loro per non ridere – sarebbe stato poco carino non dare alle emozioni di Tupp la stessa importanza ed intensità che avevano per lei, per quanto ridicola fosse agli occhi di un adulto. Era pur sempre la (!!) mamma – e rimbalzò uno sguardo solidale su Jay.
    «posso?»
    Gli diede l’unica risposta che potesse dargli. Guardò Tupp, non il Matthews, nel rispondergli. «devi» e capì, all’espressione di pura gioia e trionfo sul volto della figlia, che avrebbe fatto qualunque cosa per avere quel sorriso ancora ed ancora.
    Anche abbassare i pantaloni di tutti i genitori presenti con le proprie mani.

    Fine
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