do you belive in (life after love) ghosts?

[ stephen + diana (+libera)]

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    «Umano, dove stiamo andando?» «A farti castrare. Torna dentro.» con un movimento della non così tanto composto che poteva appartenere alle movenze del Gallagher, il serpeverde fece tornare il gatto all’interno della tracolla che si portava dietro; gli interessava che ci fossero una trentina di gradi fuori? Assolutamente no, dopotutto i gatti avevano più vite della sua. Nonostante la fine della scuola fosse giunta alle porte, così come la formalità di quelle camicie abbottonate fino al collo e della cravatta stretta come un cappio, aveva memoria di estati più fresche, Stephen Gallagher, quelle spese in una terra natia che si era lasciato alle spalle già da anni, quelle che non sapevano poi così tanto di umidità attaccata alla pelle ma più di una gentile brezza che ti accarezzava i capelli; in parole povere, quelle estati che non sembravano la prova generale del bruciare all’inferno, dopotutto ne avrebbe avuto di tempo per farlo una volta lasciare le cuoia.
    Non che gli dispiacesse, aveva sempre collegato l’inizio dell’estate inglese con il ritorno a casa; ed alla fine, ritornare dai Gallagher, era sempre stata come una boccata d’aria. Adorava Hogwarts, adorava tutto di quella scuola (forse anche le torture e le lezioni potenzialmente mortali #kinky), eppure ritornare al nido, tra i movimenti rassicuranti della propria famiglia, è sempre stato confortante. Uno spazio suo che raramente diventava pesante, nonostante tutto.
    Era stato un periodo difficile, quello. “Periodo”. Non sapeva nemmeno se fosse corretto, definirlo così, se considerare quei mesi, se non gli ultimi due anni, solo come un manto di nuvole passeggere che presto si sarebbero spostate, mostrando un cielo limpido. Ma Stephen Gallagher era un gen z, e in quanto tale, iniziava a credere di no, che anche lì dietro tutto si fosse ingrigito, spento in qualche modo, crepato in più punti. Eppure, andava bene così. Ormai era fatta. Boom. Caput. Bang bang. Stava iniziando a capire come fossero i momenti quelli che importavano, attimi che per quanto brevi si innalzavano sopra ogni cosa e che gli ricordavano che, sebbene la voglia di perire con la faccia premuta contro il cuscino fosse normale per i ragazzi della sua età che vendevano la propria anima su wish, quel caso che si accaniva giorno dopo giorno, poteva ancora esserci qualcosa. O almeno, ci stava davvero lavorando. Aveva ancora tanto da risolvere da provare prima di arrendersi completamente alla vita. Poteva ancora aggiustare tutto, doveva solo prima capire come e capirsi.
    Riprese a camminare, sfilando dalla tasca posteriori dei pantaloni un vecchio orologio da taschino che gli era stato regalato da sua nonna, controllando di non essere in ritardo. Non gli piaceva farsi aspettare e di solito usciva con un immenso anticipo, l’ansia di non presentarsi in tempo era molto più grande di quella di aspettare per un’ora abbondante l’altra persona, ma quel pomeriggio si era illuso di conoscere quel castello meglio di quanto facesse. Aveva sbagliato strada, palesemente colpa delle scale a cui piaceva cambiare, rendendosene conto solo dopo buoni dieci minuti di marcia e solo dopo aver sentito Mephisto agitarsi fin troppo dentro quella sacca: «anche la tua anima finirà sbattuta così, lo sai?» mmh sexy, i guess?
    «Scusami, sono in ritardo.» quelle parole vennero pronunciate con una certa lentezza da parte del Gallagher, proprio per non far spaventare la donna seduta di spalle in uno dei cortili posteriori del castello; ma chi era? Di certo Stephen Gallagher non era attratto dalle milf, quindi non si parlava di un appuntamento romantico. Era il fantasma di una donna anziana, forse sulla settantina, che il serpeverde aveva incontrato all’incirca un anno e mezzo prima, appena dopo il misfatto alchemico che lo aveva coinvolto. «Ti piace?» le si avvicinò, anche lì con estrema lentezza, come se avesse paura di vederla fluttuare via se solo avesse fatto un passo sbagliato, porgendole un gomitolo di lana di un rosso acceso che aveva recuperato ad Hogsmade, «Mi avevi detto che eri brava con i ferri.» e lei sembrò davvero apprezzare, inclinando il capo per poi innalzare le labbra in un sorriso, accentuando quelle rughe evidenti nonostante la trasparenza. Già, Stephen Gallagher preferiva decisamente la compagnia dei fantasmi a quella dei vivi, sapevano essere molto più… saggi? O almeno, forse era il suo modo di cercare di capirli, per prepararsi al peggio.

    Championxiii
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    Boo!
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    La vita di Diana era stata stravolta e ci stava mettendo molto ad abituarsi, dal suo punto di vista era un misto tra un sogno e incubo. Era in una scuola di stregoneria, in un castello, con dei poteri magici che non sapeva usare e, da quanto aveva capito, non era come gli altri: la maggior parte aveva bisogno delle bacchette per usare gli incantesimi mentre lei... no, e anche i membri della sua casata non ne avevano bisogno.
    Già, casata, era pazzesco che gli studenti fossero raggruppati in case e lei era finita nei "Vega" invece che in "Altair", non sapeva cosa cambiasse di preciso fra le due. L'uniforme che indossava era diversa dalle case tradizionali ed era uguale anche per gli Altair, mentre la spilletta invece era unica.
    Perché poi loro l'avevano viola? Bella domanda ma non era importante al momento. Cioè sì, era curiosa di sapere, ma voleva anche imparare un po' di più su quel posto, come funzionavano le lezioni, eventuali esami, magari sapere che fine avevano fatto i suoi genitori, come non perdersi in quel castello... Diana stava vagando per i grandi corridoi di Hogwarts senza una meta precisa, taccuino e penna alla mano in caso incontrasse qualcuno, ad ogni passo girava lo sguardo per poter guardare i quadri, le statue e le varie porte e aule alle quali capitava vicino. Il suo ingresso a scuola è stato decisamente improvvisato, era stata buttata nel ballo di fine anno con sua grandissima vergogna, un ragazzo l'aveva pure avvicinata ma non era riuscita a far conoscenza visto che le mancava un quadernino - perché ovviamente nessuno sapeva il linguaggio dei segni, figurati - e quindi si concluse con un nulla di fatto. Poi sono iniziate anche le vacanze estive e molti studenti andavano via per poi tornare qui quando riprendeva l'anno scolastico.
    A pensarci adesso, a mente fredda, Diana non aveva più una casa a cui tornare se non quel castello, fortunatamente potevi rimanere quanto volevi o sarebbe stato un piccolissimo problema, ma ora era lì che vagava sperduta.
    Era sia elettrizzata che spaventata dal futuro che le si stava parando davanti, e trovava decisamente scoraggiante il fatto che avesse i suoi classici problemi di comunicazione. Però c'era una cosa particolare da quando l'avevano portata lì, era stata in grado di emettere alcuni suoni! Non erano lontanamente delle parole e ogni volta che ci provava era come se qualcosa le grattasse la gola, le faceva un sacco male, quindi decise nel non esagerare.
    Magari prima o poi sarebbe riuscita davvero a parlare, chissà.
    A furia di pensare Diana dimenticò di guardarsi in giro mentre camminava, fortunatamente non c'era nessuno con cui scontrarsi, ma i pieni la portarono ad uscire dal castello per finire nei cortili... posteriori, forse. Non lo sapeva, a malapena ricordava come tornare nel suo dormitorio figurati se si ricordava degli ambienti esterni, però l'aria era bella fresca nonostante l'estate. Forse era perché era pomeriggio, e fu solo quando sentì una voce che Diana scese dalle nuvole per tornare nel mondo terreno.
    C'era un ragazzo che parlava con nessuno, apparentemente. La ragazza aguzzò gli occhi e corrugò la fronte, incuriosita, e appena fece qualche passo verso di lui scorse finalmente la figura con cui stava parlando.
    Una donna. Trasparente. Diana spalancò gli occhi e fu come se si gelasse sul posto, le cadde perfino il taccuino che aveva in mano, si riprese qualche secondo dopo scuotendo la testa: non c'era niente di cui aver paura, tra le mille stranezze che aveva visto lì parlare coi fantasmi non era questa grande cosa.
    Giusto?
    Si chinò per raccogliere quel taccuino ed iniziò subito a scrivere delle scuse per la sua sorpresa.
    "Ciao.
    Scusate, non volevo essere maleducata. Sono appena arrivata in questa scuola. Mi chiamo Diana, piacere di conoscervi."
    una volta inchiostrate quelle parole sul taccuino, Diana volse verso quello strano duo la parte dove aveva scritto in modo che potessero leggere.
    Bel modo per fare amicizia.
     
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    Lo sguardo si era irrimediabilmente abbassato, un gesto che gli capitava spesso di compiere, automatico, quando cercava di raccattare nella mente un discorso sensato e rapido, nella speranza di impedire a se stesso di accartocciarsi fra timidezza e altro. Era ancora difficile lasciar andare certe piccolezze, quei gesti che negli anni l'avevano accompagnato, scivolando fin sotto pelle, e annidandosi ora in qualcosa che era vicino alla naturalezza, ma che ancora vi si allontanava inesorabile. Sapeva, in fondo, di mantenere un aspetto che tradiva un innocenza forse ancora troppo acerba, ma che in qualche modo aveva imparato, sopratutto in quei mesi, fosse in realtà un tratto che andava preservato e non distrutto. Eppure, le parole morirono sulla lingua quando incontrò il volto della ragazza che fece il suo ingresso, restando con le labbra schiuse e il respiro ancora a metà, mentre le iridi cerulee saettarono da un lato all’altro di quel blocco note, leggendone le parole scritte.
    «Oh figurati, non sei stata maleducata!» scosse appena la testa, quasi incantato, assorto nei suoi pensieri e nella pseudo conversazione che stava avendo con lo spirito, scrutandolo ancora per qualche istante e sorridendo, forse un po’ forzatamente, solo alla sua affermazione: «Piacere mio! Io sono Stephen Gallagher. E lei è...» e si voltò, notando come la donna alle proprie spalle sparì, lasciandolo in una situazione sociale alquanto fuori dal comune - anche se per il serpeverde, tutte le interazioni sociali erano bizzarre. «Penso sia solo timida, non prenderla sul personale…. ma — » momento di riflessione, stava parlando al vento o la ragazza poteva sentirlo? «Tu…senti?» gesticolare con le mani era il solo modo per accompagnare quelle parole, mentre lasciò la presa sulle bretelle della tracolla, facendo scivolare le braccia lungo i fianchi mentre lo guardava, cercando di cogliere quello che le orecchie non potevano fare. Lasciò che anche il proprio corpo si rilassasse, sedendosi sulla panchina in pietra lì posizionata - in altre occasioni sarebbe semplicemente scappato via, puntando ad un sorriso di circostanza.
    «Hai detto che sei nuova, vero?» detto…era il verbo giusto per essere politicamente corretti? «Da dove vieni? Come ti trovi? Qual è il tuo piatto preferito? Pokémon o Digimon?»

    SONO MOLTO DI CORSA INFATTI SONO IN MAXXHINA MA NON VUIDO IO, PROMETTO SI MODIFICARE
     
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2 replies since 10/8/2021, 18:30   155 views
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