would you pin me to a wall, would you beg or would you crawl?

post prom - dom ft. nice

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +8    
     
    .
    Avatar

    maybe in your eyes.

    Group
    Death Eater
    Posts
    402
    Spolliciometro
    +835

    Status
    Anonymous
    dominic cavendish
    seth cohen vibes
    Una nota.
    Ne seguì un’altra ancora, più alta, il ritmo sempre più ravvicinato.

    Alzò il viso dall’incavo del collo di lei solo dopo averle lasciato l’ennesimo bacio umido sulla pelle ancora impregnata del profumo che aveva indossato quella sera.
    L’ennesima nota aggiunta a quella sinfonia.
    Lo stesso profumo che l’aveva fatto girare verso la soglia del lago nero quella sera.
    Dischiuse le labbra sulle sue, ma non le cercò per baciarla, i loro nasi si sfiorarono.
    Lo stesso profumo che l’aveva fatto girare verso la soglia dell’infermeria quella notte, poco prima. Aveva teso i muscoli e si era distratto, stringendo senza volerlo un po’ troppo tra le dita la gamba dello studente che occupava il lettino; il ragazzino si era lamentato con un mugugno indistinto, ma Dominic non aveva lasciato la presa «questo è uno dei tuoi» aveva detto solo dopo aver fatto scivolare gli occhi più e più volte da un punto all’altro del vestito argento della serpeverde, ricercando le parti scoperte, immaginando cosa nascondessero le parti coperte: un serpeverde del primo o secondo anno che aveva bevuto troppo punch corretto ed era finito per slogarsi la caviglia scendendo le scale, niente di grave e niente che non potesse risolversi con del semplice, babbano, riposo.
    Lasciò che le mani di lei trovassero appiglio dove meglio credeva, esplorando prima la chioma bionda dell’infermiere, poi le spalle o la schiena.
    Aveva guardato la Hillcox allontanarsi lentamente dall’entrata e avvicinarsi alla sua figura, entrambi ormai poco interessati al povero studente ancora un po’ sbronzo e dolorante.
    «era. era uno dei miei»
    E poi la cabaletta finale, l’akmé, il momento in cui le corde dei violini vengono sfiorate per l’ultima volta in modo più deciso, in cui i fiati prendono un respiro più profondo per prolungare l’ultima nota, in cui la superficie dei piatti trema più a lungo, e il direttore alza la bacchetta, decretando la fine. Come un distico finale in poesia, quello era il momento separato da tutto il resto, ma senza il quale tutto l’insieme non aveva motivo di esistere: la spiegazione, la chiarezza, il meritato rilassamento e applauso finale.

    Era rimasto steso per un po’ sul corpo di Nice, con le labbra dischiuse a cercare ancora aria, gli occhi fissi sul viso di lei, e le dita della mano che indugiavano sopra la sua spalla, indecise se allungarsi verso i capelli castani in una spontanea effusione o meno. Esistevano due tipi differenti di uomini durante (e dopo) il sesso: quelli che ci tenevano a sfruttare quell’occasione per mettere in mostra la loro virilità e soccombere al machismo – spesso dimentichi che dall’altra parte del letto, auguratamente, ci fosse un altro corpo da soddisfare –, e quelli che approfittavano del momento di piacere (si suppone, e si spera) generale, per sfidare le convenzioni che li volevano tutti d’un pezzo, e si concedevano un momento di debolezza. In poche parole: chi si rivestiva, si dava una pacca sulla spalla, e andava a bere una birra con gli amici, e chi invece prediligeva le cosiddette coccole dopo il sesso. Esseri rari, quasi mitologici, non per forza con tutte le rotelle a posto, ma dotati, in fondo, solo di un gran cuore.
    Il Cavendish rientrava senza alcun dubbio nella seconda categoria. Per essere più specifici, se la seconda categoria avesse preso parte alle Olimpiadi, il Cavendish avrebbe potuto tranquillamente portare in alto la bandiera.
    Gli piaceva il sesso casuale, quello comodo e conveniente per entrambi, quello che non prevedeva chiacchierate imbarazzanti su instagram il giorno dopo o peggio ancora un secondo appuntamento obbligato, però non era mai stato troppo bravo nella pratica che aveva guadagnato, tra i poeti urbani, l’appellativo di “una botta e via”. Le quattro regole fondamentali della pratica, dettate dal famoso Sphere Thenstop erano molto semplici:
    1) entro
    2) spacco
    3) esco
    4) ciao
    nulla di troppo complesso, e Dominic non aveva mai avuto particolari problemi a seguire i primi due punti, ma erano gli ultimi due a metterlo spesso in tensione. Per lo stesso motivo per cui quando andava al Lilum non riusciva a guardare le ballerine con la stessa bramosia (ma anche solo guardare) degli altri presenti, non riusciva neanche a condividere così tanto di se stesso con un’altra persona e poi restare in silenzio, indossare di nuovo i pantaloni, e lanciare un bacio nel vuoto prima di richiudersi la porta alle sue spalle – perlomeno, non da sobrio. Accettava quando a scegliere questa modalità fosse l’altra persona, nel suo caso ragazze (fino a quel momento, ma in futuro mai dire mai???), non si faceva problemi quando era lui quello a esser lasciato nel letto a guardare l’altra rivestirsi e salutato con un semplice cenno del capo, ma non era mai riuscito a fare lo stesso, un po’ troppo sottone, troppo preoccupato a non voler cadere in quella facile oggettificazione dell’altra persona. A voler essere del tutto sinceri, aveva più volte toccato l’opposto inverso, e non sarebbe stata di certo una novità sentire uscire dalle sue labbra un azzardatissimo “ti amo” in quei momenti.
    Been there, done that.
    Eppure quella volta fermò le sue dita giusto a qualche centimetro di distanza dalla guancia di Nice, le labbra non andarono a chiudere quell’ouverture con un ultimo bacio, ma con un sospiro si alzò dal corpo della ragazza e prese posto accanto a lei sul materasso, e non disse niente. Mentalmente aveva ripercorso gli eventi di un anno prima più e più volte, conscio che fosse l’unica possibilità di rivivere quella notte, si era ritrovato a torturarsi le labbra con i denti in un gesto automatico quando gli era era capitato di incontrare la serpeverde per i corridoi del castello, nel tentativo di ritrovarsi magicamente il suo sapore sulle labbra, e si era sentito terribilmente in colpa per questo; quando era venuto finalmente a conoscenza della verità – evidentemente una delle tante che fino a quel momento gli era stata tenuta nascosta – aveva provato prima di tutto confusione (ma a quella, ormai, era abituato) e rabbia, ma subito dopo sollievo, e fino a quel momento aveva pensato spesso a quello che era successo tra di loro, e aveva sperato altrettante volte che capitasse di nuovo. Nice, d’altra parte, da quel momento si era divertita a giocare con lui con sguardi che l’infermiere giurava non fossero affatto frutto della sua immaginazione, piegandosi a raccogliere qualcosa da terra, anche qui poteva giurarlo, appena lui si trovava nei paraggi, facendosi trovare in infermeria (dopo averla evitata per praticamente un intero anno!) a parlare con Amalie di guarda caso di nuovi completini intimi (dai, le ragazze parlano di queste cose .): lei era diventata il gatto che si pulisce i baffi e affila gli artigli, lui, ovviamente, il topo che viene preso per la coda, lasciato scappare e poi ripreso, in un loop infinito che lo avrebbe sempre visto vittima sacrificale. E Dominic lo sapeva bene che ai gatti non piaceva essere toccati quando non esplicitamente richiesto, quindi rimase fermo e in silenzio e si limitò a guardarla, con la paura di rovinare quel momento che aveva tanto atteso.
    «dovevi parlarmi?»
    Gli sembrò di essere stato colto con le mani nel sacco a fare qualcosa di estremamente stupido e imbarazzante, quindi spostò lo sguardo con uno scatto del viso e sentì le sue guance scaldarsi e prendere colore, ma si affidò alla penombra della stanza per nascondere il rossore.
    «cosa?»
    «mi hai fatto venire in infermeria perché al prom mi hai detto che dovevi parlarmi»
    «ehm» did I, was I sober? quella poteva o non poteva essere stata una scusa come un’altra per prolungare la loro conversazione ed eventualmente finire in quel modo, è vero, ma in realtà Dominic aveva veramente intenzione di parlare con la Hillcox: aveva bisogno di farle tante domande lasciate senza risposta, chiederle le più semplici informazioni sul suo futuro passato, sfogarsi, anche, magari in modalità più salutari e meno drammatiche della plateale sbronza condita con lacrime che l’aveva visto protagonista al Lilum.
    Quindi sì, diciamo che ci sarebbe stato il tempo per le parole, quelle serie, ma per quel momento si erano concessi un intermezzo musicale e a lui andava bene così.
    «sì, l’ho detto» confermò schiarendosi la voce e intanto tirandosi su a sedere e poggiando la schiena alla testiera del letto, lasciando il lenzuolo a coprirgli dalla vita in giù. Con lo sguardo fece il giro completo della stanza – l’alloggio degli infermieri, chissà se quella sera spettava a lui o aveva smammato Dakota da qualche altra parte senza porsi troppo problemi – immersa quasi totalmente nel buio, notò la sua camicia lasciata stropicciata sul pavimento, il vestito di lei riposto con cura sulla sedia per evitare che si rovinasse, il disordine e le cianfrusaglie appartenenti a l’uno o l’altro infermiere lasciate un po’ in giro, e nel frattempo si fece pensieroso e si incupì leggermente. La verità è che Dominic non era davvero pronto ad affrontare quell’argomento, né con Nice, né con Chelsey, con Hunter, con Svetlana da ubriaco e no, non era riuscito neanche a fissare veramente un appuntamento con Amalie o Narah, non sapeva neanche se poteva farlo o c’era qualche strana legge intergalattica che regolamentava il multiverso che glielo impediva.
    Tornò a posare gli occhi sulla mora accanto a lui e piegò le labbra in un morbido sorriso, poi si strinse nelle spalle. «ma quindi… tu e il Kane…?» #priorità. Forse non era la prima cosa che aveva intenzione di chiederle ma questo non significava che non gli interessasse. «sì cioè… era solo il tuo accompagnatore o… qualcos’altro…?» e sì che erano appena stati a letto insieme, ma che ne sapeva lui, magari le piacevano le relazioni aperte o non era una grande fan della monogamia. «non è un po’» como se dice «ragazzino per te?» ma nulla di personale, Kiel, big fan.
    not a nurse 2nite
    comfortably numb?
    I spent
    all night
    Stuck on the
    puzzle
     
    .
  2.     +4    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Neutral
    Posts
    902
    Spolliciometro
    +1,051

    Status
    Anonymous
    berenice hillcox
    #unveiled
    «nice tocca a te aiuto ciao?»
    Le labbra rosse si distesero in un sorriso quasi affettuoso rivolto al compagno di scuola e re del ballo scolastico: chi l'avrebbe mai detto? Stando alle sue parole, Mac era il primo a non crederci. Nice, invece... beh, doveva ammettere che come partner non era male e dopotutto si era affezionata a lui nel corso di quell'anno e mezzo, s'era affezionata al suo disagio e al suo imbarazzo, alle bolidate con cui aveva steso Costas - «vorrei tanto che zio Piz sapesse!» -, al suo essere così Mckenzie e, per questo, così unico. Avrebbe voluto dargli qualche ultimo consiglio prima di andarsene, dopotutto il lavoro di zia Nice non finiva mai, ma in quel momento si limitò ad osservarlo con uno sguardo pieno di calore, decidendo infine di porre fine alle sue pene ed intervenire al suo posto. Lo fece con scioltezza, prese parola dopo aver gettato un'occhiata ai compagni di fronte a loro: erano amici e colleghi oppure mere conoscenze di cui la serpeverde – «ancora per qualche ora solamente», pensò – ricordava i nomi per qualche gossip giunto alle sue orecchie. Si domandò se le sarebbero mancati, una volta uscita di lì, ma in cuor suo conosceva già la risposta: no. Sarebbe stata troppo impegnata a realizzare ogni suo progetto, ad aspirare sempre al massimo, per poter sentire la mancanza di qualcuno: il capitolo Hogwarts si era finalmente concluso per lei, c'aveva messo due vite per vedere il suo nome accanto alla scritta diplomata ma ce l'aveva fatta. Mancava solo l'ultimo grande passo, certo, ma era praticamente con un piede fuori dai cancelli del castello.
    Aveva fatto tutto quello che voleva fare: aveva finto per un po' di essere ancora una diciassettenne e come tale s'era goduta – per quanto possibile – quell'ultimo anno; un altro punto della sua lista di cose da fare che poteva esser depennato.
    Sorrise, e finalmente ringraziò i suoi compagni per averla votata, deliziandoli un'ultima volta della sua sfavillante personalità – uh uh, certo. «E ora, fatemi fare un ballo con Hale prima che svenga!» Lanciò un'occhiata al suo re, pallido persino sotto la vernice bianca. Gli sistemò appena la corona sui capelli, e gli sorrise. «Lo so, ma ti ringrazio comunque.» Accettava sempre un complimento, lei. «Mi auguro per te che lo sia davvero.» C'era una velatissima minaccia dietro il sorriso sempre più largo, e sempre più divertito , della Hillcox mentre accettava la mano di Mac e iniziava a ballare con lui. «E Mac...?» lo costrinse a guardarla negli occhi, nonostante lo sguardo grigio dell'altro cercasse in continuazione di evadere a qualsiasi cosa, di posarsi mai troppo a lungo su niente e nessuno. Nice gli strinse il mento tra le dita e gli disse, in un tono così basso tanto da giungere solo a lui, «non scusarti. Mai. Né per quello che sei né per quello che non sei. E poi,» gli mollò un pizzicotto sulle guance, tentazione irresistibile – di cui si pentì poco dopo, studiando le dita leggermente sporche di vernice bianca -«stai andando alla grande.» Mac, essendo Mac, non le avrebbe probabilmente creduto ma per una rara volta nella vita, Nice Hillcox era sincera.

    «questo è uno dei tuoi»
    «Era. Era uno dei miei.» Prima che Mac lo facesse diventare un dipinto di Pollock. Eppure, strano ma vero, in piedi sulla porta dell'infermeria non era quella la sua priorità. Annullò la distanza tra i loro corpi con dei passi lenti e calcolati, senza curarsi del ragazzino ubriaco e con la caviglia slogata: aveva scelto la notte sbagliata per farsi male, Nice era stata molto chiara a riguardo. “Se vi succede qualcosa, c'è tanta foresta nera dove morire” magari non con così tante parole ma il succo era quello. Senza troppi complimenti, aveva fatto indugiare lo sguardo su Dominic, invitandolo, con un cenno del capo, a compiere una scelta: rimanere lì ad accudire il bambinetto o farle strada e avere la possibilità di studiare più da vicino le fattezze dell'abito e se fosse stato abbastanza bravo da riuscirci, avrebbe persino potuto toglierlo.
    Una scelta che non era affatto una scelta, e lo sapevano entrambi.
    Tutto quello era inevitabile.
    E così diverso dalla volta precedente.

    Ogni movimento, ogni sospiro, ogni carezza non aveva nulla a che vedere con quanto accaduto in passato: non c'era l'avventatezza che l'aveva spinta a compiere quel gesto, a gennaio, né l'irruenza nata da un bicchiere di troppo; era un desiderio diverso, meno disperato ma non per questo meno folle. E, soprattutto, non erano più due sconosciuti destinati a non vedersi mai più. Quello cambiava le carte in tavola più di ogni altra cosa.
    A gennaio, Nice aveva cercato in quel sorriso dolce il fantasma di un Heathcliff che non aveva mai davvero conosciuto e che, scioccamente, pensava di poter avere; quella notte, invece, Nice accarezzava i capelli di Dominic, baciava le labbra di Dominic, percorreva con le dita ogni centimetro di pelle scoperta di Dominic e non poteva chiedere altro. Non voleva chiedere altro.
    La notava solo ora, la delicatezza con cui lui sapeva prendersi cura di lei e dei sui bisogni, l'accortezza con cui compiva ogni gesto, l'attenzione che dava ad ogni sua richiesta inespressa. E al contempo, la necessità con cui la stringeva a sé e faceva aderire i loro corpi, stanchi e sudati, ma appagati. I baci a fior di labbra, o sulla pelle scoperta, le mani a scendere lungo le loro forme, e poi di nuovo su, come se volessero scoprire segreti ancora nascosti; le unghie a graffiare la pelle pallida della schiena del Cavendish e i denti a stringere le labbra rosse nel tentativo di smorzare un grido.
    Avrebbe quasi potuto prenderci gusto.

    E poi, il silenzio rotto solo dai loro respiri ancora pesanti, il peso di Dom su di lei che non era per nulla un peso, quanto più un'ancora.
    Socchiuse appena gli occhi nel sentirlo allontanarsi appena, il fantasma della carezza ancora lì sulla sua pelle accaldata, le labbra di lui un ricordo dolce sulle sue: socchiuse gli occhi perché sollevata dal silenzio, e da quella scelta. Non era brava, la Hillcox, a rimanere: solitamente raccoglieva le sue cose prima che l'altro avesse l'impressione che volesse rimanere per un secondo giro o, peggio ancora, per due chiacchiere. Senza eccessivi complimenti, in qualsiasi altra occasione, avrebbe levato le tende in fretta e a mai più rivederci: era ciò che le suggeriva una vocina nella sua testa. L'hai già fatto una volta, puoi farlo di nuovo. Poteva salutare Dominic, tornare al suo dormitorio, e comportarsi come una Nice qualunque.
    Ma non voleva farlo.
    D'altra parte, però, non sapeva nemmeno come rimanere ferma lì, il corpo nudo parzialmente coperto dal lenzuolo che si era attorcigliato attorno a loro nel frattempo: ogni muscolo smaniava per muoversi, andarsene, fuggire – ma qualcosa la fece rimanere. Non si domandò cosa; non le sarebbe piaciuta la risposta.
    Nice non era fatta per le cose dolci, per le coccole dopo il sesso, per le parole tenere bisbigliate a fior di labbra: e Dom se le meritava. Per esser stato così paziente, per esser stato bravo e al suo posto per diciotto lunghissimi mesi – diciotto lunghi mesi mesi di provocazioni e gonne troppo corte e sguardi sfacciati e un continuo giocare al gatto e al topo. Non l'aveva odiata per avergli tenuto un segreto – che non stava a lei rivelare – o per avergli mentito sulla sua età; per Morgana! Non l'aveva detestata neppure per avergli fatto credere tutto quel tempo che fosse andato a letto con una minorenne. Dominic si meritava di meglio. Ma lei era egoista e aveva voluto concedersi ancora una volta di cedere a quella tentazione, fosse anche per l'ultima volta. Doveva farlo; e lo voleva fare ora che tra loro non c'erano più (grandi) segreti.
    Portò lo sguardo su Dominic, domandandosi distrattamente a cosa stesse pensando, e lo trovò ad osservarla di rimando. Si sentì presa alla sprovvista e cercò di mascherare quel disagio con la prima cosa che le venne in mente: «dovevi parlarmi?» La reazione dell'altro non fu dissimile dal quella di Nice - sorpreso, colto con le mani in pasta - ma il Cavendish non era abbastanza bravo a mascherare le proprie emozioni, al contrario suo. «Mi hai fatto venire in infermeria perché al ballo hai detto che dovevi parlarmi.» Ciò che non volle ammettere, a nessuno dei due, era il fatto che aveva preso quelle parole come la scusa perfetta: non che avesse bisogno di una per presentarsi in infermeria da lui con quel vestito mozzafiato e mettere alla prova l'ultimo briciolo di autocontrollo che gli era rimasto (la serpeverde aveva vinto anche quella battaglia, btw) ma aveva sicuramente colto al volto l'opportunità.
    E ora la utilizzava come scappatoia per tirarsi fuori da una situazione che non sapeva come gestire; forse parlando avrebbe trovato il coraggio di fare qualcosa, tornare in sé e fuggire o lasciarsi andare di nuovo e fare tris - tre era il numero perfetto, no?
    Come poteva sapere che quella di “doverle parlare” era solo una scusa anche per lui? Avrebbe dovuto immaginarlo, certo, ma era stata troppo presa dal cercare lei stessa un pretesto che non c'aveva prestato troppa attenzione. E dunque, attese: cosa doveva dirle di tanto urgente?
    Si mise comoda, le ginocchia strette al petto e il lenzuolo – o quel che rimaneva libero, comunque – a coprire le forme generose solo per non distrarre l'infermiere più del necessario. Non ricambiò il sorriso di Dominic, non perché fosse gelida e senza cuore, ma perché temeva di sapere dove sarebbero andati a finire con quel discorso.
    Ora che aveva ceduto, ora che finalmente lei aveva mostrato una parte di sé più onesta e vulnerabile, il Cavendish le avrebbe detto quanto in realtà ce l'avesse con lei per i segreti trattenuti, per le bugie e per aver giocato con lui. Perché Nice Hillcox non credeva nel lieto fine, nelle cose belle, e soprattutto non credeva nella felicità – poiché quando capitava che fosse veramente felice, succedeva sempre qualcosa di terribile subito dopo.
    E quella notte era arrivata a tanto così dal toccare il cielo: era pronta alla batosta che ne sarebbe derivata. Non era pessimista, solo molto (molto.) realista.
    Perciò dovette impiegare un secondo più del necessario per registrare e comprendere la domanda di Dom e ciò che essa implicava. «Ma quindi… tu e il Kane…?» «Io... e Kane?»Per Morgana, non intende quello che penso che intenda, vero?«sì cioè… era solo il tuo accompagnatore o… qualcos’altro…?» Rimase in silenzio, la bocca leggermente dischiusa in un'espressione incredula. “Sei un'idiota, Cavendish”, fu un pensiero automatico il suo, così come automatico fu il gesto di portare due dita a stringere il ponte nasale con l'aria di chi non può farcela. “Però sei abbastanza carino e discretamente bravo a letto, quindi ti perdono.” Onesta.
    «Certo, non lo sapevi?» Aprì gli occhi per incontrare lo sguardo di Dom, stando ben attenta a non lasciar trapelare alcuna emozione. «Finito con te mi vedrò con lui -» Kiel era un gran bel ragazzo, doveva ammetterlo, ma la sola idea di – no, non ce la faceva nemmeno a pensarci. Continuò comunque con la sua bugia. «Non è così piccolo, comunque. E poi il toy boy va di moda.» certo, Nice era una che le mode le lanciava, non le seguiva, ma a mali estremi...
    Sistemò dietro l'orecchio una ciocca di capelli sfuggita all'acconciatura – o quel che rimaneva di essa – e rimase in silenzio per alcuni istanti, il tempo necessario per far sì che l'infermiere metabolizzasse la notizia.
    Poi, senza cerimonie, gli mollò uno schiaffetto sull'addome – cercando di non farsi distrarre dalla tartaruga di Dom, basta non palpare troppo e non far cadere lo sguardo dai Nice puoi farcela. «Sei un -» non voleva insultarlo e rovinare il momento, anche se un po' se lo meritava: era di quello che voleva parlare? Quasi preferiva l'alternativa, almeno avrebbe avuto senso! «Non c'è niente tra me e Kiel. Ma per chi mi hai presa?!» Incrociò le braccia al petto, offesa. Okay, era una Cox e in quanto tale provocativa in ogni suo gesto, ma non era sua mamma (e per tutte le Jimmy Choo, non era suo zio), non la dava a destra e sinistra! Dovevano chiedere concessione regale o non gliela dava mai, cit.
    «Hai finito con le scemenze? Vuoi dirmi di cosa dovevi parlarmi davvero
    Voleva sentirglielo dire, voleva avere ragione e darsi della stupida per essersi esposta così tanto: era ancora lì, seduta accanto a lui, nuda, completamente priva di qualsiasi difesa, che combatteva l'istinto di fuggire.
    Perché suo malgrado, desiderava allo stesso tempo che per una volta tanto le cose potessero essere facili e basta.
    E con Dominic le sembravano sempre un po' più semplici.
    not a student
    queen of spades
    And if I get burned,
    at least we were
    electrified


    sks ne ho approfittato visto che non avevo mai postato l'uscita dal prom NICE REGINETTA VI RINGRAZIA TUTTI SMACKSMACK
     
    .
  3.     +2    
     
    .
    Avatar

    maybe in your eyes.

    Group
    Death Eater
    Posts
    402
    Spolliciometro
    +835

    Status
    Anonymous
    dominic cavendish
    seth cohen vibes
    Crescendo, a Dominic era sempre sembrato che gli mancassero quegli importanti insegnamenti che la vita ti regala con la forza dell’esperienza, quelli che ti salvano nelle situazioni più scomode e che ti rendono l’esistenza meno difficile e imbarazzante. Tipo i più basilari come fare pipì nei bagni pubblici senza far sentire il rumore della pipì, come farsi passare una sbronza epica, come aprire una bottiglia di birra con l’accendino; tutti traguardi, questi ultimi, che l’ex corvonero era riuscito a tagliare, ma ce n’erano altri, quelli che richiedevano più coraggio e più intraprendenza, più carattere, che erano la mancanza che forse soffriva più di tutte, quel je ne sais quois che manca a una melodia per diventare una canzone o a un disegno per meritare di essere incorniciato e appeso al muro. Aveva sempre combattuto quel senso di incompletezza con sarcasmo e autoironia, accettando e talvolta abbracciando l’imbarazzo e il disagio che certe situazioni potevano provocargli, ma non permettendogli comunque di frenarlo completamente. Ad esempio, Dominic non aveva mai imparato come rispondere a tono alle offese, ma aveva ovviato alla cosa iniziando a scrivere su un quadernino tutte le migliori risposte possibili a una vasta gamma di insulti – lavorare in una scuola piena zeppa di ragazzini fonte inesauribile di insulti nuovi di zecca ogni giorno era stato molto d’aiuto nella sua ricerca –, o qual era il segreto per fare colpo sulle ragazze, eppure ci provava lo stesso, qualche volta gli andava male – il più delle volte – e qualche volta gli andava bene, come consolare una persona che sta male, ma aveva imparato comunque che rimanere in silenzio poteva aiutare e che la sua semplice compagnia poteva essere consolatoria per qualcuno, e non aveva mai imparato neanche a intraprendere e affrontare un discorso difficile o importante, ma aveva sviluppato dei solidi meccanismi difensivi con cui tentava di mascherare eccitazione o delusione per una situazione.
    Mostrarsi ansioso, in attesa di una risposta che potesse decidere il destino della sua serata, era l’ultima delle cose che voleva: era stato lontano dalla serpeverde per quasi un anno, ma l’aveva osservata abbastanza bene da lontano e aveva indagato con più o meno discrezione,da capire che non sarebbe stata affatto una buona idea caricarla con quella aspettativa, non se alla fine della fiera il suo obbiettivo era quello di trattenerla lì con lui. Quindi gonfiò impercettibilmente il petto in un profondo respiro e cercò di sostenere lo sguardo di Nice, ma si rese conto che incontrare i suoi occhi in quel momento non era così facile come qualche istante fa, quando era stato semplice, istintivo, ed era stato innegabilmente piacevole vederla cercare il suo sguardo tra un bacio e l’altro e poi socchiudere le palpebre; in quel momento, per quanto strano potesse suonare, si sentiva estremamente più vulnerabile. Abbassò quindi gli occhi, preferendo concentrarsi sul movimento delle lenzuola che ora coprivano solo parte dei loro corpi, ma le labbra erano ancora piegate all’insù, in un sorriso tranquillo che tradiva la sua delusione.
    «Finito con te mi vedrò con lui -»
    E non aveva mai imparato neanche a comprendere l’ironia altrui, Dominic, a riconoscere quelle sfumature della voce che potevano variare il livello di veridicità di un enunciato, e a sua discolpa per di più Nice era incredibilmente brava a mascherare il tutto. Alzò finalmente lo sguardo e si passò la lingua tra le labbra, prendendosi un attimo di tempo per elaborare il lutto decidere la miglior reazione da avere, poi annuì. «sì… va di moda!!» il toy boy «ne parlavano in qualche scorso numero di polgy, no?» e se si fosse reso conto di aver praticamente ammesso di leggere la famosa rivista di gossip rimarrà un mistero visto che fu investito da un generale imbarazzo che lo fece arrossire nuovamente sulle guance – e ancora una volta ringraziò la luce soffusa in cui erano immersi per nascondersi. «Paris Hilton aveva anche detto che era più divertente perché i giovani erano più» gesticolò in modo vago con le mani, boccheggiava alla ricerca del termine adatto «più… vigorosi e performanti e…» e chiaramente il Cavendish non aveva mai imparato a stare zitto quando si sentiva nervoso, iniziava a straparlare nel tentativo di migliorare la sua posizione ma alla fine finiva solo per cadere sempre più in basso; e come ogni volta, anche in quella situazione se ne rese conto troppo troppo tardi, le guance accaldate e arrossate, e concluse con sospiro di rassegnazione: «…quindi è comprensibile, fai… bene…» le pause tra una parola e l’altra purtroppo tradivano la sua incertezza, ma non era neanche quella la cosa peggiore: la confessione che Nice avesse interesse – solo o non solo sessuale non lo sapeva – anche con Kiel o chi altri, quella era la cosa peggiore.
    Dominic non aveva alcun tipo di aspettativa, e comunque non credeva di poterne avere, di conseguenza non poteva pretendere in alcun modo di avere una sorta di esclusiva, non quando in realtà non sapeva neanche se ci fosse veramente qualcosa su cui costruire aspettative, pretese, o promesse, tutti ingredienti che servivano per creare una relazione; perché in effetti Dominic e Nice non avevano una relazione, non avevano nulla a cui aggrapparsi per poter giustificare una simile reazione, eppure l’infermiere ci rimase comunque male. Fece finta di nulla, ma in fondo si rese conto di aver sperato fino alla fine che per lei significasse qualcosa di più, non solo quella notte ma tutta la loro storia (nel senso strettissimo di cronologia di eventi) nell’insieme: la casualità del loro incontro a scuola subito dopo la notte passata insieme poteva essere considerata destino, l’attesa e la pazienza di un anno, che nel bene o nel male avevano osservato entrambi, poteva essere perseveranza, la curiosità con cui si erano cercati con lo sguardo in più occasioni si poteva chiamare anche desiderio, ma forse aveva semplicemente un animo troppo romantico dove invece la serpeverde ne aveva uno più realista e quindi per lei erano semplicemente casualità, attesa, e curiosità. Si diede mentalmente dello stupido per aver preso coscienza solo in quel momento di quel piccolo dettaglio, ma cercò di apparire cool a riguardo, anche se l’unico cool che sentiva internamente era quello di cool cool cool cool cool cool no doubt no doubt no doubt no doubt.
    Il flusso degli epiteti poco carini che stava rivolgendo a sé stesso e dei suoi pensieri fu fortunatamente interrotto dallo schiaffo sull’addome «Sei un -» coglione? Stupido? Bambino? Qualsiasi cosa fosse la serpeverde doveva dimostrare molta creatività perché il Cavendish aveva già pensato a rivolgersi gli insulti più fantasiosi nella sua testa, e li aveva passati in rassegna quasi tutti.
    Tuttavia, se la prima reazione fu quella di mimare una smorfia di (lieve) dolore per il colpo ricevuto, quella immediatamente successiva fu di scoppiare a ridere in modo spontaneo perché qualsiasi fosse la motivazione, qualsiasi fosse l’insulto taciuto, un po’ sapeva di meritarlo. Di riflesso raccolse la mano con cui lei l’aveva colpito tra le sue dita, ma non l’allontanò, come probabilmente si aspettava, né si vendicò colpendola a sua volta, giocò semplicemente con le dita tra le sue un po’ distrattamente, mentre sembrò rinvigorire improvvisamente, piegando le labbra in un largo e spontaneo sorriso.
    «Non c'è niente tra me e Kiel. Ma per chi mi hai presa?!»
    First reaction: «ah»
    Percorse con la punta dell’indice il dorso della sua mano, poi annuì lentamente col capo «meno male, sono più felice». Tra le altre cose, a quanto pare non aveva mai imparato neanche a pensare prima di parlare. Si rese conto solo dopo qualche attimo di quello che aveva detto e lasciò andare la mano di Nice di scatto, quasi lanciandola via. Non voleva essere rude, ma era stato un riflesso di terrore. «cioè non felice» come prima, cercò invano di migliorare la sua posizione e di chiarire quello che aveva lasciato nel cono d’ombra. «no cioè sì molto felice» oh boi «moderatamente felice» you’re doing amazing sweetie. Non aveva motivo di essere felice di quella notizia, Dominic. Non avevano mai parlato (punto.) di un loro interesse reciproco, era solo una storia di una (due) notte, no? La notte prima che lei arrivasse al castello e quella prima che lo lasciasse definitivamente, il cerchio si era chiuso, si erano tolti lo sfizio, ed era tutto finito, che lui lo volesse o meno.
    Nice voleva così.
    O meglio, credeva che Nice volesse così, ma in realtà non aveva assolutamente idea di cosa volesse l’ormai ex serpeverde.
    «cioè… se vuoi che io sia felice» rieccolo che cominciava «o che non sia felice è uguale. Cioè non uguale uguale, solo-» gesticolò balbettando qualche tentativo di continuare, poi si strinse nelle spalle «se ti fa piacere che io ne sia felice, allora ne sono felice, sennò…» si passò la mano dietro il collo; che fatica la vita da disadattato «posso anche non essere felice, come preferisci» fu la triste conclusione di quel vaneggiamento in cui l’infermiere aveva provato a dare dimostrazione della sua più intima natura di sottone e zerbino e ad ammettere che tanto, alla fine, il vero potereTM tra i due era nelle mani della vigilante.
    «ti interessa così tanto» quello di cui doveva parlarle veramente. Che fosse stata una scusa o meno per attirarla nella sua malvagissima e studiatissima trappola, c’erano cose di cui avrebbe voluto davvero parlare. Posò nuovamente lo sguardo sul suo viso, poi fece scivolare gli occhi lungo le sue spalle e i centimetri di pelle lasciati scoperti dal lenzuolo, poi lasciò il capo all’indietro contro la testiera del letto. Non voleva parlare in quel momento, eppure quella sembrava l’unica cosa che la interessasse e che le impedisse di rivestirsi e uscire da quella stanza, allora decise di approfittarne e tentare di dilatare quel lasso di tempo prima che lei andasse via, e quindi sorrise e scosse la testa, con aria vagamente divertita. «se vuoi saperlo davvero devi indovinarlo» piegò le labbra all’ingiù, pensieroso «facciamo il gioco delle 20 domande, se indovini te lo dico, altrimenti non lo saprai mai» gli sembrò un giusto compromesso da proporle, quindi allungò la mano verso di lei e con un sopracciglio alzato e aria di sfida attese che la stringesse – o che rifiutasse e lo mandasse a quel paese, ma accettò con leggerezza anche quella prospettiva. Aveva già immaginato che dopo aver soddisfatto il suo capriccio Nice sarebbe andata via, quindi aveva solo da guadagnare, e avrebbe considerato un risultato soddisfacente anche ricevere un dito medio, e una vittoria importante, invece, guadagnare semplicemente qualche minuto in più.
    Un attimo ancora per stamparsi la sua immagina nella mente. Dopo tutto, se non si fossero visti mai più, quella sarebbe stata l'unica cosa a rimanergli di lei.
    not a nurse 2nite
    comfortably numb?
    I spent
    all night
    Stuck on the
    puzzle
     
    .
  4.     +3    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Neutral
    Posts
    902
    Spolliciometro
    +1,051

    Status
    Anonymous
    berenice hillcox
    #unveiled
    Il tempo era abbastanza strano, riusciva a scorrere troppo lentamente oppure troppo velocemente, non sembrava conoscere mezze misure; quei quasi due anni ad Hogwarts, ad esempio, erano volati, passati in un batter d'occhio, tanto che a Nice sembrava solo il giorno prima che, sicura di sé e della propria volontà di conseguire i M.A.G.O., varcava i cancelli del castello in una fredda mattina di inizio Gennaio.
    Eppure, il tempo quella sera, con Dominic, sembrava scorrere ad un centesimo della velocità con cui l'aveva portata fino al diploma, tanto da apparire quasi fermo -- in stallo, come se entrambi vivessero nella bolla temporale generata dalla magia di un cronocineta: esistevano solo loro, in quella stanza dell'infermeria, e nient'altro. Che, lo so, poteva sembrare diabeticamente romantico se solo non ci fosse stata Nice come protagonista di quel quadretto: chiunque altro avrebbe trovato il lato rosa e tenero della situazione, mentre lei si sentiva... in trappola. Voleva scappare ma allo stesso tempo le lenzuola la tenevano saldamente ancorata al letto, senza darle modo di poter fuggire: era brava, di solito, a uscire dalle questioni complicate senza nemmeno mostrarsi affaticata o provata.
    Ma non era quello il caso.
    Aveva deciso di dare a Dominic una seconda possibilità -- e si conosceva abbastanza bene da sapere che gliene avrebbe date anche di terze, quarte, centesime. Poteva mentire a tutti, in primis a se stessa, ma la verità è che sarebbe tornata dal Cavendish altre cento volte, fino a che lui l'avesse voluta.
    E anche dopo, probabilmente, perché era orgogliosa, certo, e piuttosto che mostrarsi appiccicosa si sarebbe tagliata le mani, ma non riusciva nemmeno ad accettare un “no”.
    Eeeee stava già pensando ai mille modi in cui avrebbe potuto rovinare tutto quello perché, a quanto pareva, Nice Cox-Hill, al secolo Hillcox, non sapeva tenersi le belle e buone cose. Non era nel suo DNA.
    Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da qualche parola sconclusionata captata qua e là: avrebbe mentito dicendo che aveva seguito perfettamente il filo logico – ammesso che ce ne fosse uno – del discorso di Dom, perciò si limitò a storcere il nasino, rifilando all'uomo un'espressione per niente sconvolta da quanto appena udito. Ma certo che Dom leggesse PolgyGirl -- chi non lo faceva, in quella scuola? O nell'intera società, ad essere onesti: chiunque dicesse il contrario, mentiva. «Preferisco altri Hilton.» Un commento lasciato cadere con nonchalance, mentre tirava le ginocchia, e le coperte, al petto, poggiando poi le braccia conserte su queste e il mento sulle braccia. Gli occhi azzurri non persero di vista nemmeno un secondo l'infermiere, e Nice si godette finalmente ogni singolo gesto vago e a disagio, ogni parola balbettata, ogni sguardo di panik lanciato nella sua direzione o, al contrario, ovunque tranne che lì: era quasi divertente, perciò si concesse di piegare un angolo della bocca leggermente verso l'alto, piegando un po' il viso per nascondere l'espressione divertita. Il fatto che Dominic stesse straparlando era un chiaro segno di quanto agitato (e possibilmente a disagio) si sentisse: beh, colpa sua per aver ipotizzato... certe cose. Che scemo (but in a fond and loving way). Un sopracciglio svettò, però, nell'udire una frase ben precisa. «Ah, dunque faccio bene ad andare a letto con altre persone?» Il tono era serio, né piccato né risentito: sperava di procurare un altro po' di disagio nel biondo, così, per divertimento. Tuttavia, non riuscì a mantenere quel gioco a lungo perché l'idea di passare per una ragazza dai facili costumi non era così allettante; lo informò dunque che tra lei e Kiel non c'era assolutamente nulla (e per ovvie ragioni .) (ma quello lo tenne per sé) e poi gli rifilò l'espressione più seccata che riuscisse a trovare nel suo repertorio -- che si ammorbidì quando lui le prese la mano tra le sue.
    «meno male, sono più felice» Era... un commento così particolare. Era felice che non se la facesse con Kiel? O sollevato dall'idea che non fosse, dopotutto, una puttanella? Lo osservò annuire e tracciare il dorso della sua mano con un polpastrello, il tocco delicato e gentile -- ed erano ancora troppo vicini e troppo nudi per evitare che i suoi pensieri virassero immediatamente verso altre immagini, gesti compiuti solo pochi minuti prima -- minuti che, come già detto, sembravano ore. Che strano, il tempo.
    Stava per liberare la propria mano dalla presa del Cavendish, per tentare di darsi un certo contegno, quando questi la lasciò andare di scatto e a lei sfuggì un «rude.» involontario.
    Oh, ricominciava.
    «cioè non felice» «ah no?»
    «no cioè sì molto felice» «sì?»
    «moderatamente felice» «...»
    «cioè… se vuoi che io sia felice» «dom.»
    «o che non sia felice è uguale. Cioè non uguale uguale, solo-» «dominic.» e il punto, amici miei, si sentì perfettamente nel tono secco della serpeverde.
    Lo osservò, in silenzio, per un tempo decisamente più lungo del dovuto -- un po' una punizione riservata all'infermiere per aver, come al solito, parlato troppo. «Puoi respirare, era uno scherzo.» Prima o poi avrebbe imparato che Dom non era la persona giusta a cui rifilare tiri del genere, ma non era quello il giorno. «Puoi essere felice.» Gli diede il suo benestare, con tanto di pacca sulla spalla. «Ma...» a me renderebbe felice che tu ammettessi di non essere felice, quando non lo sei «rimani un cretino.» Certe cose non poteva dirle. Non voleva. Era già abbastanza sconvolgente per lei sentirsi... così, doveva mantenere un minimo di dignità.
    «ti interessa così tanto» Si lasciò cadere contro la spalliera del letto, con leggerezza, quasi quell'argomento non la interessasse poi così tanto. Bugia. «Mi interessa... moderatamente Lo prese in giro.
    E lui sembrò fare altrettanto con lei. «Sei serio?» Dall'aria di sfida e dalla mano tesa sembrava proprio di sì. «Sei serio Non era più una domanda. «Per Morgana....» sbuffò via una mezza risata poco divertita, ma nella sua testa sentiva la voce del cugino canzonarla con un “codarda”-- perciò allungò la propria e strinse quella di Dom, salvo poi dover ammettere – almeno a se stessa – che non aveva la minima idea di quali fossero le regole di quel gioco. Perciò, riappropriandosi della propria mano e sistemando un ciuffo castano dietro l'orecchio, lasciò cadere un «ripassiamo le regole, giusto per essere sicuri che nessuno dei due imbrogli.»
    Cavolo, voleva sapere quello che Dominic aveva da dirle ed era disposta ad accettare una sfida pur di venirne a conoscenza. Se ne sarebbe pentita? Ah, quasi sicuramente ; ma giocare era sempre divertente.
    not a student
    queen of spades
    And if I get burned,
    at least we were
    electrified
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    maybe in your eyes.

    Group
    Death Eater
    Posts
    402
    Spolliciometro
    +835

    Status
    Anonymous
    dominic cavendish
    seth cohen vibes
    Aveva lasciato andare la mano di Nice con un gesto incontrollato. L’aveva quasi gettata sul materasso come se fosse la prova di uno sbaglio, di una decisione affrettata e sconsiderata, come se non gli interessasse.
    Ovviamente, bastava conoscere solo un po’ il Cavendish per sapere che non era accaduto nulla di tutto quello; nessuno sbaglio, nessuna fretta nel giungere a considerazioni, e un interesse affatto nascosto, anzi, l’avevano spinto a raccogliere le dita della serpeverde tra le sue e giocarci distrattamente.
    Aveva aspettato quella notte per molto tempo, e pare quasi scontato dire che aveva a lungo fantasticato su come sarebbe stata: cosa avrebbe fatto, cosa avrebbe detto, se l’avrebbe conquistata subito o se avrebbe dovuto giocare con qualche battuta più spinta. Insomma, nei suoi sogni a occhi aperti Dominic si era sempre immaginato come un essere funzionale, pieno di iniziativa, e che riusciva ad apprezzare le cose per la loro semplicità. Ma la realtà, chiaramente, era tutt’altra, e l’infermiere non aveva fatto proprio niente se non aspettare la Hillcox; quella sera come per tutto l’anno.
    Sì, certamente aveva fatto il suo umile lavoro, ci mancherebbe; ma in quello era bravo, non c’era bisogno di pensare, e anzi usare troppo il cervello in quei casi sarebbe stato inconcludente e dannoso. Era una delle poche occasioni in cui poteva lasciarsi andare e farsi trasportare dalle sensazioni del momento, dal cuore, e dai sentimenti, qualora ci fossero sentimenti – e con Nice c’erano sentimenti?
    Mh, ottima domanda, la ignoreremo.
    Dominic aveva lasciato la mano di Nice come si lascia istintivamente cadere un piatto che è stato troppo tempo vicino alla fiamma e si frantuma in mille pezzi.
    Ecco, Dominic voleva evitare di frantumare tutto in mille pezzi, ma aveva ancora problemi a stabilire cosa comprendesse quel tutto. Razionalmente sapeva che da parte della Hillcox non ci fosse niente, che lui fosse per lei solo un momento in cui poteva ricordarsi chi era veramente – Nice, una ventiduenne, e non la studentessa di diciassette anni che fingeva di essere –, e che quindi quella mano non avrebbe dovuto prenderla, che si era lasciato andare, che aveva confuso la realtà con l’immaginazione.
    Perché nelle sue fantasticherie si tenevano quella mano con naturalezza, restavano lì senza domandarsi se fosse giusto o sbagliato, non avevano paura di ridere di qualcosa di banale; ma Dominic era così: trovava romantico fermarsi in autogrill dopo un viaggio di sette ore, gli piaceva soffermarsi sui più piccoli dettagli, teneva a mente ogni insignificante particolare, e per lui era innaturale quella distanza tra di loro dopo il calore e la vicinanza di prima.
    Lei, invece… eh. Pur avendola osservata per quasi un anno il Cavendish sentiva di non conoscerla affatto; poteva dire con ferma certezza quante fossero le pieghe della gonna della sua divisa (l’aveva guardata accuratamente, sì), o descrivere la sfumatura dei suoi occhi, e arrivati a quel punto poteva indicare ad occhi chiusi dove fosse il suo tatuaggio, ma non avrebbe mai saputo dire se quello sguardo che gli lanciava da fuori l’infermeria fosse di scherno, di disgusto, di desiderio, o se quella risata che gli rivolgeva era veramente divertita o lo stesse prendendo in giro. Figuriamoci se riuscisse a capire se le sue carezze le facessero piacere o meno.
    Eppure Dominic le capiva le ragazze – o così gli piaceva pensare. Aveva sempre saputo (a parte quando era stato rifiutato .) quando era il momento di fare gli occhi dolci, di allungare una mano, di dare un bacio in più; quindi quella cosa, Nice… ah, lo faceva impazzire, lo costringeva a pensare (troppo), e sforzare troppo il cricetino nella sua testa non aveva mai portato a nulla di buono.
    «non volevo» lasciare la tua mano, iniziare a straparlare, arrossire così tanto – ma le gote dell’infermiere avevano iniziato a colorirsi ben prima che la serpeverde gli facesse notare la mancanza di delicatezza nel suo gesto, quando aveva iniziato a balbettare in modo sconclusionato sull’essere o meno felice. Eh dannazione no, non aveva imparato proprio niente dagli insegnamenti dei maestri; non a caso il film si chiamava Chiedimi se sono felice e non Ti dico spontaneamente se sono felice o no, ma lo faccio in modo caotico perché ho paura che tu ti prenderai gioco di me e andrai via.
    «volevo dire…» ma qualsiasi cosa avesse intenzione di dire morì lì, sulle sue labbra, perché rimase immobile e sotto lo sguardo silente e punitivo della mora, trattenendo il respiro come un detenuto che aspetta la sua condanna.
    Eccoci, ci siamo.
    Ma tornò a respirare, e quando lo fece si lasciò andare a una risatina bassa e divertita; poi annuì lentamente e fece spallucce.
    Era un cretino.
    «poteva andarmi peggio» le concesse, piegando l’angolo delle labbra all’insù in un sorriso morbido «potevi- decidere di andartene via -darmi del coglione, o deficiente, o imbecille…» avoja quanti ce ne stavano di insulti che si sarebbe meritato, Nice era stata stranamente gentile. «cretino lo accetto» fortunatamente aveva abbastanza senso dell’umorismo da riuscire a fare autoironia anche nella situazione in cui si era ficcato – non molto gratificante per lui, se qualcuno non l’avesse ancora capito.
    Non sapeva dire con esattezza quale fosse stato il momento in cui aveva iniziato a farlo, ma quello di cui era certo era che avesse mandato tutto a rotoli. Parlando troppo, o prendendole la mano, o forse lasciandola: era indubbiamente stata colpa sua.
    Avrebbe voluto chiederle scusa per averlo fatto, per essere in quel modo, provare a spiegarle cosa succedeva nella sua testa in quei momenti e sperare provasse un po’ di pena, ma il briciolo di raziocinio – e dignità – che gli era rimasto lo frenò.
    E se anche ci avesse provato, non ci sarebbe comunque riuscito.
    Sembrava rapito, e a quel punto la testa si era svuotata di tutto il chaos, rimase semplicemente in silenzio e guardò Nice.
    Forse fu la plateale superficialità con cui si lasciò andare contro la spalliera, il modo in cui mosse le lenzuola per coprirsi ancora un po’, o forse il suo profumo che gli pizzicava le narici; fatto sta che il Cavendish dovette affidarsi ancora una volta alla penombra della stanza per nascondere il suo rossore, mordersi leggermente l’interno del labbro inferiore e poggiare la testa alla spalliera del letto.
    Non era normale per un ventiquattrenne, una persona adulta e matura, sentirsi ancora in quel modo. Non era accettabile.
    Sì, con Nice c’erano sentimenti.
    Lasciò la testa contro la spalliera, poi annuì in una risata, e girò il viso per guardarla di nuovo. «oh, è semplice» iniziò dopo che con la stretta di mano avevano sancito l’inizio dei giochi «devi fare una domanda, di qualsiasi tipo, per scoprire qual è la cosa che volevo dirti; se alla fine delle venti domande non indovini, vinco io» easy peasy no? non c’erano vere e proprie regole, forse l’unica regola era quella di non poter chiedere direttamente cosa voleva dirle al prom, ma il biondo era biondo di nome e di fatto, e non sentì il bisogno di specificarlo, quindi…
    «tipo non so “hai bevuto tanto stasera?”, cose così» le fornì un gentilmente anche un esempio da cui partire «e comunque sì, assaggiare tre bicchieri del punch di euge e will è bastato a mettermi k.o.» ammise con un sospiro divertito, ma subito dopo la guardò con fare decisamente più serio «ma non dirlo a nessuno, ero in orario lavorativo»
    not a nurse 2nite
    comfortably numb?
    I spent
    all night
    Stuck on the
    puzzle
     
    .
  6.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Neutral
    Posts
    902
    Spolliciometro
    +1,051

    Status
    Anonymous
    berenice hillcox
    #unveiled
    «poteva andarmi peggio» Non ebbe bisogno di annuire a quell'affermazione, la Hillcox, poiché il suo sguardo era già di per sé eloquente e sembrava voler dire: «sono stata magnanima, ricorda questo giorno perché non ne capiteranno molti altri» quindi si limitò a stringere le labbra e piegare un angolo leggermente verso l'alto, mentre Dom continuava a parlare. «potevi- decidere di andartene via -» mai che approfittasse dell'occasione per sorprenderla, una volta tanto, e stare zitto: scenario che la ragazza avrebbe preferito in quel momento, piuttosto che dover affrontare quella verità intrinseca di quelle parole.
    Sì, avrebbe potuto decidere di andare via.
    Avrebbe dovuto decidere di andare via.
    E invece era ancora lì, nuda e senza protezione alcuna, sprovvista persino di un'armatura che, dopo una notte folle ma piacevole in cui aveva lasciato che le attenzioni del Cavendish la spogliassero anche di quella, stava lentamente rimettendo in ordine, al proprio posto. Più corrazzata di prima. Non si mosse, non accennò alla minima reazione, come se le parole dell'infermiere le fossero scivolate addosso senza generare in lei alcuna preoccupazione ma, in cuor suo, sapeva di averci pensato – pensato molto – a quel finale; persino in quel momento, la schiena casualmente abbandonata contro la spalliera e le ginocchia tirate al petto, ci stava pensando. Fuggire da situazioni come quella era una delle sue specialità, qualcosa che aveva affinato con gli anni e con la pratica; non rimaneva mai abbastanza a lungo da poter dare modo agli altri di aspettarsi qualcosa in più, qualcosa di diverso da ciò che Nice poteva (o voleva) offrire loro. Non rimaneva mai abbastanza a lungo da rischiare di affezionarsi.
    Con Dominic, invece, aveva fallito e, a tratti, deluso se stessa. Dov'era la sua spavalderia, il suo egoismo? Dov'erano finiti la caparbietà, l'istinto di conservazione, la filosofia del “no strings attached” che tanto sciorinava a suo cugino?! Probabilmente li aveva persi insieme al vestito argentato e un pizzico di amor proprio.
    Avrebbe dovuto iniziare a fuggire molto tempo prima, subito dopo il loro incontro casuale nei cortili della scuola; quella mattina di gennaio, raccogliendo i propri libri, Nice avrebbe dovuto raccogliere anche il coraggio necessario per troncare definitivamente una cosa ancora non nata e ricordare al biondo ciò che la notte prima era stata: l'avventura di una notte e niente più.
    E invece no: era rimasta, aveva partecipato a quel gioco del gatto e del topo e l'aveva fatto divertendosi; purtroppo, si rendeva conto in quel momento, aveva perso già da tempo la sua occasione per fuggire e ormai c'era dentro con tutte le Jimmy Choo – eppure avrebbe di gran lunga preferito continuare a mentire a se stessa e convincersi che c'era ancora tempo, che poteva ancora farlo. Perché era più facile ammettere che quello fosse solo un gioco, solo l'ennesima conquista, e ora che aveva portato a casa anche quella vittoria poteva finalmente allontanarsi. D'altronde, arrivata l'alba, avrebbe smesso di essere una studentessa: la loro bolla era destinata a scoppiare entro poche ore. Era il lato proibito di quella relazione a settare il mood, infondo, no?
    (Avrebbe scoperto, mesi dopo, che no, quello era solo un bonus, ma in realtà c'era molto di più.)
    Eppure --
    Eppure l'unica cosa che Nice fece, in quel frangente, fu stringere le braccia intorno alle ginocchia coperte dal lenzuolo e posare il mento sui polsi, osservando un Dominic sempre più perso nei propri; si ritrovò a sorridere, suo malgrado, ma morse il labbro con una certa urgenza, per non scoppiare del tutto a ridere. Chissà se era così che ci si sentiva ad essere ubriachi, a non essere in controllo dei propri muscoli, a sorridere involontariamente come una scolaretta alle prese con la prima cotta -- non voleva saperlo, lei sempre così rigida e impostata. Tossì, per nascondere l'espressione e qualsiasi altro cenno potesse conseguirne, preferendo concentrarsi su quel nuovo gioco.
    «devi fare una domanda, di qualsiasi tipo, per scoprire qual è la cosa che volevo dirti; se alla fine delle venti domande non indovini, vinco io» «okay» non sembrava particolarmente complicato, e le regole erano abbastanza esigue e vaghe da darle un certo margine di manovra per vincere nonostante fosse la sua prima volta. D'altronde, perdere non le piaceva affatto. «una qualsiasi domanda, quindi?» le dita a giocare distrattamente con un lembo del lenzuolo, mentre fissava Dom con aria attenta: c'era ovviamente una domanda che avrebbe voluto fare subito ma... non sarebbe stato poi troppo semplice, vincere così? Persino lei che amava i loopholes e raggirare il sistema lo trovava sin troppo..... banale. Avrebbe tenuto quella domanda come riserva, infondo Dom non aveva specificato quale genere di domande non era ammesso -- ed era troppo tardi per cambiare le regole, ora
    Non riuscì a trattenere uno sbuffo a quel «assaggiare tre bicchieri del punch di euge e will è bastato a mettermi k.o.» come se non lo sapesse la roba che quei due utilizzavano per "fortificare gli studenti e prepararli alle avversità della vita" o qualcosa del genere. Roteò gli occhi, prima di posarli di nuovo sulla figura abbandonata accanto a lei: c'era una naturalezza in quella situazione che la spaventava -- e non poco. Ma aveva un gioco da vincere, no?
    «ma non dirlo a nessuno, ero in orario lavorativo» «mh, il mio silenzio ha un prezzo, Dominic, dovresti saperlo» si portò un dito alle labbra, nel tipico gesto di Aria Montgomery qualcuno che mima uni shhh, «ti farò sapere quale» avrebbe potuto permetterselo? Chissà, chissà.
    Quanto al gioco... «dunque, vediamo. Eri presente al momento dell'incoronazione?»
    C'entrava qualcosa con ciò che doveva dirle? Quasi certamente: no, ma non le sarebbe dispiaciuto sentirsi elogiare di nuovo, infondo era la Reginetta in carica da qualche ora -- e ne andava fiera.
    Alzò l'indice per tenere il conto delle domande, un luccichio di sfida negli occhi azzurri e un brivido a percorrerle la schiena nuda: poteva quasi (quasi!) convincersi che fosse solo un gioco e niente più.
    Ripetendoselo ancora e ancora e ancora avrebbe finito col crederci.
    not a student
    queen of spades
    And if I get burned,
    at least we were
    electrified


    zia per la prima volta nella vita non ho riletto, stasera va così, la infp virgo che è in me si sta già triggerando ma è andata così
     
    .
  7.     +1    
     
    .
    Avatar

    maybe in your eyes.

    Group
    Death Eater
    Posts
    402
    Spolliciometro
    +835

    Status
    Anonymous
    dominic cavendish
    seth cohen vibes
    Dominic giocava spesso a poker, e nonostante l'aspetto da figlio di papà viziato desse quasi sempre l’impressione che fosse lì come l'ennesimo babbacchione in qualità di vittima sacrificale pronto a perdere l'orologio, la macchina e anche la dignità, solitamente lasciava tutti a bocca aperta, perché, strano a dirsi, era davvero bravo. Sapeva starsene seduto con aria impassibile e senza fare movimenti sospetti, sapeva quando fosse il momento giusto per un bluff, quando era quello giusto per ritirarsi, e quando invece conveniva continuare a giocare, far scoprire gli avversari, mostrarsi indeciso a ogni mano, insinuare il dubbio, e solo alla fine svelare le sue mosse. E di solito nessuno si aspettava che fossero mosse vincenti; aver accumulato negli anni la fama di “imbranato” e “stupido”, e più in generale quella di inadatto alla vita, non era stata una strategia consapevole e studiata, ma in quei momenti la ringraziava e l’abbracciava perché gli permetteva di contare sull’effetto sorpresa. Nessuno avrebbe mai sospettato che il Cavendish potesse battere qualcun altro in un gioco di astuzia e intelligenza (e anche molta fortuna, ma non amava pensarla in quei termini), ma la verità è che Dominic non era stupido, non sempre: la sua era un’intelligenza selettiva e situazionale; il vero problema era che le situazioni in cui si applicava la sua intelligenza erano veramente scarse e perlopiù inutili – poker, quidditch, comparazione di offerte sui migliori prodotti per la barba, suonare la chitarra, e poche altre situazioni che solo qualche volta comprendevano la sua professione da infermiere. E ovviamente, tra questa ristretta selezione non rientravano affatto le situazioni come quelle in cui si trovava in quel momento, che prevedevano il confronto con una ragazza – e non una ragazza qualsiasi, dannazione, con Nice – e in cui doveva dimostrare di essere un bravo giocatore.
    A sua discolpa ci aveva provato. Si era convinto di poter gestire quella situazione come se fosse seduto al tavolo da poker o del blackjack, impassibile e con le idee chiare su cosa fare con le sue carte, ma era stato chiaro fin da subito che la natura e l’istinto del giocatore d’azzardo l’avessero abbandonato prima dell’inizio di quella conversazione; e allora era andato in panico, l’espressione era diventata tormentata, aveva iniziato a seguire i pensieri e aveva avuto paura che Nice lo lasciasse tra le lenzuola con tante domande ma soprattutto con un grande rimpianto da gestire, e aveva subito calato il jolly. E ora che aveva lasciato il comando del gioco nelle mani di Nice e aveva dalla sua parte solo l’istinto del Cavendish tonto e babbacchiotto, era disorientato e non sapeva cosa farsene delle carte che gli rimanevano.
    Affondò piano i denti nel labbro inferiore e accennò una risata divertita distogliendo solo per un attimo lo sguardo dal viso della ormai ex studentessa «oh non preoccuparti, lo so che non sei affatto economica» una convinzione che si era fatta largo in quell’anno a furia di osservare la serpeverde nei corridoi e distorcere informazioni in modo più o meno velato, che sarebbe poi maturata in certezza di lì a pochi mesi «avevo già messo in conto di dover pagare profumatamente per il tuo silenzio, ho iniziato a risparmiare tempo fa» concluse con una risata, anche se a pensarci bene all’infermiere era davvero costato caro il silenzio della Hillcox: non solo, in primo luogo, gli era stato rubato il suo set da barba il giorno in cui si erano incontrati e quindi aveva perso un fottio di soldi, ma aveva rischiato un infarto quando l’aveva rivista a scuola ed era abbastanza sicuro che in quel momento il suo organismo avesse gettato le basi per una futura cardiopatia, aveva perso la lucidità, la dignità, aveva perso tempo, e aveva anche perso qualche diottria a furia di aguzzare la vista per spiarla da lontano – quindi, era già costata un bel po’ al Cavendish e forse era lui che avrebbe meritato un risarcimento. Ma sapete cosa? non ironicamente, il suo risarcimento era poter stare lì insieme a lei – that’s is, that’s who Dominicca is, un fucking sottone che trovava un lusso starsene accanto a una esseti-ronza che l’aveva ignorato per l’intero anno scolastico e gli aveva anche mentito. E vi dirò di più, non solo si stava beando di quel momento, ma si stava anche limitando tantissimo, perché se fosse stato per lui invece di percorrere la curva della sua schiena scoperta con gli occhi l’avrebbe fatto con il tocco delicato e leggero delle dita, e poi le avrebbe accarezzato i capelli, e poi avrebbero parlato del nulla tra una carezza e l’altra, e tra un bacio e l’altro sulla sua pelle le avrebbe fatto qualche confessione (di cui probabilmente si sarebbe pentito dopo due nanosecondi), e poi altre stucchevoli diabeticherie; e invece si stava trattenendo con immenso sforzo perché le dita stringevano un lembo del lenzuolo per non avventurarsi in gesti che non sapeva se avessero o meno allontanato la serpeverde, e le labbra erano serrate in un sorriso tirato, il capo poggiato alla testiera del letto, e una precisa distanza di sicurezza tra i loro corpi per evitare qualsiasi tipo di tentazione.
    Non era forse l’espressione imperturbabile che indossava durante le partite di poker, ma era quanto di più simile potesse permettersi in quel momento.
    Nice, dal canto suo, era una giocatrice tanto esperta e forse molto più furba del ragazzo, e sebbene non sapesse neanche di essere in gioco, era vicina a metterlo k.o.
    «dunque, vediamo. Eri presente al momento dell'incoronazione?»
    Rise divertito per qualche motivo poi lanciò quasi automaticamente uno sguardo al vestito argento della ragazza delicatamente posato sulla scrivania e la corona proprio lì accanto, e il sorriso improvvisamente si rabbuiò. L’incoronazione della Hillcox a reginetta era stata indubbiamente più che meritata, ma sarebbe stata anche l’ultima a cui avrebbe preso parte visto che avrebbe dovuto lasciare la scuola di lì a qualche ora. In quella prospettiva, giochi e giochetti vari non gli sembravano più una buona strategia per tenerla ancora un po’ in quella stanza, quanto piuttosto una plateale perdita di tempo; avrebbe voluto farlo, ma non poteva – non sapeva – fermare il tempo in quella stanza. Prima o poi sarebbe arrivata l’ora per Nice di alzarsi e prendere l’Hogwarts express per lasciare definitivamente la scuola, e poteva decidere di sfruttare quel tempo a giocare per vedere chi avrebbe vinto quella sfida, chi avrebbe indossato la maschera più impassibile e avrebbe bluffato meglio, oppure… (no, non il secondo round. Unless??)
    Sospirò pesantemente e non rispose alla domanda, distogliendo lo sguardo e facendo per scendere dal letto. Le diede quindi le spalle, regalandole la visione della schiena muscolosa ancora un po’ arrossata, e si scoprì del lenzuolo, abbassandosi anche sul pavimento per recuperare i suoi vestiti. «è vero, stasera volevo parlarti» tornò al discorso iniziale con tono più basso e più incerto, concentrandosi sui suoi vestiti e continuando a non guardarla – perché certe cose erano più facili da dire senza sentire lo sguardo dell’altro addosso «volevo… volevo chiederti perché» fu difficile iniziare a parlare, ma chiuse gli occhi e si costrinse a continuare, con il respiro un po’ pesante e voce tremante «perché mi avessi mentito all’inizio, e perché hai continuato a farlo per un anno, perché non mi hai detto la verità subito, e perché se sapevi di, di Heath-, sì insomma di me, perché... perché non mi hai detto niente, e perché ti sei avvicinata a me…» tentò di lanciare un’occhiata oltre la spalla, almeno per assicurarsi che la serpeverde fosse ancora lì e non si fosse smaterializzata appena aveva iniziato a parlare – cosa che avrebbe capito, comunque – ma erano ancora avvolti nella penombra e gli fu impossibile stabilirlo, quindi continuò semplicemente a parlare, approfittando di quel boost di coraggio momentaneo «e se lo- se mi conoscevi, e conoscevi… mio padre, se tu lo sapevi… e poi perché sei tornata, e…» aveva tante domande da farle Dominic, tante cose di cui avrebbe voluto parlarle, ma le lasciò cadere con un sospiro, mentre prendeva tempo e iniziava a rivestirsi. Lanciò davvero un’occhiata da sopra la spalla stavolta, e cercò il suo sguardo, poi si lasciò andare a una debole risata imbarazzata «e… poi sei stata incoronata, ed eri bellissima, e allora ho dimenticato qualsiasi cosa ti dovessi dire» ammise sincero e con una punta di imbarazzo che gli colorò le guance; si alzò dal letto, si chiuse i pantaloni (si era rivestito per darsi un certo contegno dai, sarebbe stato un po’ imbarazzante fare quello che doveva fare da nudo) e poi raccolse la sua camicia da terra, ma non la indossò «e allora avrei voluto chiederti un ballo, ma non potevo, e comunque Mac è stato molto più bravo di quanto sarei mai potuto essere io» parlava molto lentamente, sentendo le parole nella sua bocca pesanti come macigni, e allo stesso il cuore battergli a un ritmo spaventosamente alto; fece il giro del letto e si posizionò in piedi al fianco di Nice, guardandola dall’alto. «ma ora siamo da soli» prese un grosso respiro e le allungò prima la mano che reggeva la camicia, poi la destra libera, in attesa, nella speranza, che gliela prendesse «quindi, vuoi ballare con me?»
    Aveva foldato tutto, carte scoperte, ma allo stesso tempo aveva fatto all-in, e stava a Nice decretare se avesse fatto la mossa giusta o solo un’enorme cazzata.
    not a nurse 2nite
    comfortably numb?
    I spent
    all night
    Stuck on the
    puzzle
     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Neutral
    Posts
    902
    Spolliciometro
    +1,051

    Status
    Anonymous
    berenice hillcox
    #unveiled
    Al sospiro di Dom, Nice capì: il gioco, appena iniziato, era già finito.
    Oppure, cosa ancora più probabile, non c'era mai stato nessun gioco.
    Assottigliò lo sguardo azzurro, osservando Dominic muoversi nel letto fino a darle le spalle, e notò i graffi procurati dalle sue unghie curate, fare ancora bella mostra di sé: era così on point, perché Nice Hillcox non era qualcuno che potevi dimenticare in fretta, e lasciava un segno destinato a rimanere a lungo – in tutti i sensi. In una qualsiasi altra situazione, l'orgogliole avrebbe fatto gonfiare il petto e distendere le labbra in un sorriso consapevole e soddisfatto, ma non quella notte. Realizzò, invece, con un senso di immotivata tristezza, che quei segni superficiali sarebbero sfumati lentamente, prima o poi, portando via con loro quanto successo quella notte – una metafora abbastanza poetica, ma soprattutto precisa, poiché Nice non poteva permettersi altro, e Dominic ancora non lo sapeva. Forse, in cuor suo, lo sospettava, ma era... beh, Dominic, e quindi romantico e un pizzico ingenuo: e Nice temeva che avrebbe cercato in quella relazione qualcosa di più, qualcosa di diverso, qualcosa di serio – tutte ipotesi che terrorizzavano la ormai ex Serpeverde.
    Cose che, invece, lui meritava.
    Abbassò leggermente il viso, distogliendo lo sguardo dalla schiena muscolosa del Cavendish, e passando ad osservare invece un punto imprecisato del materasso; già lo sentiva che quello che sarebbe successo dopo avrebbe fatto pendere in modo definitivo l'ago della bilancia “RESTARE / FUGGIRE” da una parte piuttosto che dall'altra. E si ritrovò, a sua volta, a sospirare silenziosamente. In tutta onestà... non voleva far scoppiare quella bolla di pace che li aveva cullati nelle ultime ore. Eppure sarebbe successo.
    «volevo… volevo chiederti perché»
    Ecco, appunto.
    Era il momento giusto per darsela a gambe, e filare via prima di altre domande potenzialmente scomode; era difficile trovare qualcosa di più scomodo di un perché, ma considerando che si trattava di Dominic, Nice era certa ci sarebbe riuscito anche senza volerlo, semplicemente aprendo la bocca e lasciando fuoriuscire qualsiasi pensiero affollasse la sua mente in quel preciso istante. Lo imitò, la cheerleader, sgusciando fuori dalle lenzuola e recuperando la biancheria – perché per affrontare certe conversazioni (o smaterializzarsi via di lì) occorreva quanto meno indossare le mutande e il- no, solo le mutande, a quanto pare, perché sotto la sua strepitosa creazione non aveva avuto bisogno di indossare un reggiseno.
    Dall'altra parte del letto, intanto, il fiume di domande continuava, imperterrito. Tutte domande lecite, tra l'altro, alle quali una persona diversa avrebbe probabilmente risposto.
    No, anzi! Con una persona diversa da Nice, Dominic non avrebbe nemmeno avuto il problema di doverle formulare, certe domande.
    Sbuffò e tornò a sedersi, coprendo di nuovo le forme generose con un lembo del lenzuolo.
    Voleva ancora fuggire, e una parte di sé la stava implorando di farlo subito, ora che Dominic non guardava, e prima che potesse chiedere altro – ma non ci riuscì. Rimase seduta al suo posto, la schiena rivolta in direzione dell'altro, e lo lasciò finire, pensando a tutti i modi in cui avrebbe potuto rispondere senza rispondere davvero. Era brava nelle tecniche evasive e nel rigirare le conversazioni a suo favore, lo faceva quotidianamente, e l'aveva fatto numerose volte anche con l'infermiere stesso; ma in quel momento gli sembrava sbagliato. Scorretto.
    In quel momento, Nice, preferiva il silenzio.
    Il tono di Dom la costrinse, suo malgrado, a voltarsi appena per osservarlo. «e se lo- se mi conoscevi, e conoscevi… mio padre, se tu lo sapevi… e poi perché sei tornata, e…» Fu in quel momento che i loro sguardi si incrociarono nuovamente e Nice realizzò che no, non avrebbe risposto; non poteva rispondere, non-- non voleva rispondere. Non ancora. Non quella notte – e forse mai. Glielo doveva, sapeva che Dominic meritasse molto più di quanto lei gli aveva concesso fino a quel momento ma... non era pronta.
    Potevano rimanere una storiella leggera e senza troppe aspettative e pretese ancora per un po', no!? Perché rovinare tutto?
    Rimase a guardarlo, il viso privo di espressione e gli occhi incollati alla figura del ragazzo che ora, lentamente, si avvicinava a lei. «ma ora siamo da soli» Respirò insieme a lui, ancora una volta in simbiosi pur senza volerlo, e fece scivolare lo sguardo sulla camicia offerta. Sarebbe stato di certo più comoda di quel lenzuolo – e le avrebbe permesso di ballare liberamente con lui, come da richiesta.
    Dopo infiniti istanti di silenzio, risalì lentamente con lo sguardo incontrando a metà strada quello di Dominic, e finalmente si alzò in piedi; le mani saldamente strette attorno al lenzuolo che aveva portato con sé, sul viso la più indecifrabile delle espressioni.
    «Non posso.» Cosa, di preciso, non poteva? Un sacco di cose; con lui – per lui – Nice aveva già scardinato alcuni dei punti fondamentali su cui aveva basato la sua intera esistenza, e non sapeva ancora come sentirsi a riguardo. Un po' voleva odiarlo per la facilità con cui l'aveva smossa e i modi discreti con cui si era insinuato nella sua vita, capovolgendola; e un po' era segretamente contenta di aver vissuto con lui quell'avventura.
    Perché era stata un'avventura, vero?
    Era il massimo che lei potesse offrire.
    Distolse lo sguardo, cercando la bacchetta abbandonata chissà dove insieme alla borsetta argentata – doveva recuperare le sue cose e fuggire, prima di dire o fare qualsiasi altra cosa.
    Senza guardarlo, superò Dominic e raccolse il catalizzatore, utilizzandolo poi velocemente per fissare parte del lenzuolo alla meno peggio sulla sua figura (non aveva tempo di infilare di nuovo l'abito) e solo alla fine trovò le parole per salutarlo.
    «Si è fatto tardi. Devo chiudere il baule, mettere vie le ultime cose, e--» decise di guardarlo, per dimostrare a se stessa che non stava fuggendo come una codarda: stava solo rivalutando le priorità. Perché Dominic era velocemente (e in maniera preoccupante) schizzato quasi in cima alla lista in un periodo veramente troppo breve e la cosa la spaventava.
    Raccolse il vestito, la borsetta e drizzò la schiena: non sarebbe stata una walk of shame fuori dall'infermeria, la sua. Sarebbe uscita a testa alta.
    «Grazie, -» per i complimenti, per il sesso,
    «magari-» lo rifacciamo di nuovo qualche volta, fuori da qui? «- ci vediamo domani mattina a colazione?» L'ultima consumata in Sala Grande della sua vita – ma non voleva pensarci, la Hillcox; infondo era felice di lasciarsi la scuola alle spalle una volta per tutte, no? Il suo obiettivo, i M.A.G.O., era da considerarsi praticamente conseguito e un altro punto della lista era stato spuntato.
    A Dominic, prima di girare le spalle e uscire dalla stanza, rivolse un ultimo sorriso e uno sguardo solo leggermente velato dall'emozione – poi si avviò in direzione della sala comune verde-argento senza guardarsi indietro.
    not a student
    queen of spades
    And if I get burned,
    at least we were
    electrified



    mannaggia mannaggia.
     
    .
7 replies since 21/7/2021, 01:45   372 views
  Share  
.
Top