extra: corvonero vs tassorosso

«è uno scherzo»
Non era uno scherzo. Il sorriso nervoso di McKenzie vacillò, ed il Corvonero dovette deglutire un paio di volte per essere certo che la voce non avrebbe tremato quanto il ghigno sulle labbra. «stai al gioco» lo disse scherzoso, lo disse ridendo, ma c'era una vena supplichevole nel tono basso del battitore. Una distinta preghiera a stare al gioco, nelle iridi argento che rivolse a Joni Peetzah. La Tassorosso lo guardò, lo studió, rimbalzando dal suo viso al foglio teso nella sua direzione con un'espressione scettica e non impressionata. Mac dondoló sui talloni giocherellando nervosamente con le maniche della camicia, i denti a torturare l'interno della guancia. «non ce n'è bisogno» Rispose la rossa corrugando le sopracciglia, sembrando stupita di dover dare voce a quella che per lei fosse un'ovvietà.
Non la era. E non era vero - non completamente, almeno. Forse non ce n'era bisogno per lei, e non ce n'era bisogno per la Livy da cui aveva già ricevuto una firma ed un cauto abbraccio, ma ne aveva bisogno lui. Era da egoisti, lo sapeva. Era stupido, e patetico, e superfluo, ma perlomeno era coerente: McKenzie era egoista, stupido, patetico e superfluo. Fra le altre cose. «non ti costa niente» tentò di mantenere un tono leggero, e per un istante pensò perfino di avercela fatta. Poi Joni alzò gli occhi dalla pergamena, e McKenzie sentí crollare ogni parvenza di plastica normalità che si era appiccicato addosso. «per favore» bisbigliò, abbassando lo sguardo sui propri piedi, concentrandosi su delicati respiri per non iperventilare. Non poteva interpretare l'espressione della Peetzah, ma immaginava avesse qualcosa a che fare con come siamo arrivati a questo? Una domanda che si era posto anche lui mesi prima, e che talvolta ancora lo svegliava da incubi scuri e stropicciati; come erano arrivati a quello? L'aveva raggiunto in quel bagno, sull'orlo di un attacco di panico; gli aveva dato un modo per esistere e resistere a se stesso, un quaderno pieno di parole e scarabocchi e strofe stonate. Sarebbe stato riduttivo dire che fossero amici, ma non perché fossero qualcosa di più: era la base, il nodo a legarli, ad essere diverso. Una sorta di...debito. Di pressione. Una fiducia che in pochi potevano vantare nella vita di McKenzie Leighton Hale.
«per favore.» ribadí, sforzandosi per incrociarne lo sguardo.
Non voleva perderla. E sembrava un discorso stupido, ma lo era davvero? Perché ci aveva provato, e ci provava, e c'erano giorni in cui ci riusciva, ma non riusciva a scrollarsi del tutto la sensazione che Turo e Costas non lo sopportassero. Era sciocco? Si. Razionalmente, fottuto razionalmente, lo sapeva, ma c'era una... una cazzo di (gomma. ancora e sempre) voce che sussurrava malevola all'orecchio quanto tutti lo odiassero e quanto non meritasse di essere lì e quanto non fosse il suo posto e quanto e quanto e quanto e quanto.
Joni lo squadró ancora qualche istante, forse trovando quel che cercava o forse non trovando nulla affatto, ma alla fine prese la penna e firmò il documento redatto dall'Hale quello stesso pomeriggio: Io, Pepper Joni Peetzah, dichiaro di non odiare Mckenzie Leighton Hale, e che rimarremo amici.
Espirò sollevato, un sorriso sincero sulle labbra - un sorriso che poté quasi giurare di vedere riflesso, seppur trattenuto, sulla bocca della Peetzah, anche se immaginava fosse più ironico che onesto. «ora guardami però, Mac: dobbiamo parlare» e così fu.

«sono kariko»
McKenzie, diciott'anni, battitore corvonero, che aveva appena vomitato l'anima ed ora lasciava che l'armadietto reggesse il suo peso perché le gambe non avevano alcuna intenzione di farlo: «speriamo non troppo» sfiorò il tatuaggio della saetta dietro l'orecchio, indicando poi il cielo con un mezzo sorriso. Avevano fatto Il Rito™, ma c'erano cose che trascendevano perfino il potere metafisico di Willow Beckham: la sfortuna di Gideon, era una di quelle.
Come l'ansia di Mac, l'incapacità di Joey di capire il sarcasmo, far sorridere Kiel senza aggiungere nell'equazione la frase "oggi Dylan non c'è", e la vena omicida di Will stessa. Si ritagliò una parte di lucidità mentale per guardarli, tutti loro. Per studiarli e ammirarli e respirarli, conscio che potesse essere l'ultima partita giocata insieme. L'ultimo momento in cui si sarebbe sentito così, con un cuore concreto nel petto e fiato nei polmoni: nel posto giusto, al momento giusto.
Il Mac giusto.
Fuori da quegli spogliatoi, sarebbe stato odiato e osannato in egual misura. Avrebbe smesso di essere Mac, e sarebbe diventato un mezzo. Uno strumento. Per la gente seduta sugli spalti, sarebbe stato una maledizione: per quanto volessero vedere i Corvonero vincere, nessuno di loro voleva vedere le Tassorosso sanguinare. Avrebbero tifato per i cacciatori, per Gideon e Joey, ma lui? Lui era il cattivo della storia.
In qualunque modo fosse andata.
E se sulla scopa non avrebbe avuto tempo di pensarci, in quel momento decise che non volesse, pensarci: voleva godersi quell'istante, quella squadra, l'amarezza dell'anno prima e la speranza del trionfo. Voleva dare a Joey la coppa che meritava (cit) e lasciare un esempio in quel di Hogwarts.
Un'eredità.
Il gioco pulito. Il gioco di squadra. Le gite con i compagni per creare un legame che andasse oltre i meccanismi dei passaggi in partita.
Che provare, funzionasse.
Che tutti meritassero una possibilità.
«comunque vada?» bisbigliò con voce roca, cercando lo sguardo dei compagni.

Ok.
Ok.
Ok.
This is a mckenzie hale hate account (mi sembrava giusto ricordarlo).
«ok» si erano fatti una promessa, e sapeva l'avrebbero mantenuta: si fidava di Joni.
E così, espirando e sorridendo un po' isterico, strinse la mazza con entrambe le mani e colpì il bolide indirizzandolo sulla Capitana. «ti voglio bene» sussurrò.
A Gideon o a Joni? entrambi.