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Costas x Arturo

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    «Puoi evitare di morire, per favore? PUOI EVITARE DI STUZZICARLA, SOPRATTUTTO??????» questa era l'ultima cosa che ricordava Costas prima di perdere i sensi. Sapeva che sarebbe stato difficile vincere ma aveva sperato solo di essere l'ultimo a cadere in battaglia, invece era stato il primo. IL PRIMO! che disonore per un Motherfucka perdere e farlo per primo era stato oltraggioso sopra di ogni altra cosa. Avrebbe voluto dimenticare ma sarebbe stato difficile, perchè ogni sconfitta lo faceva rodere per settimane, sperava almeno che la sua squadra fosse andata avanti. A proposito di team, si ricordò di Arturo col corpo di Jordan, era vivo? «Arturo?» la testa pulsava come un dopo sbornia e lui non non era solito ubriacarsi, specialmente per una lezione. Aveva molti difetti ma non avrebbe mai bevuto prima di una sfida perchè ci teneva ad essere il meglio ma se il fato lo trasformava in un altra persona e questa era un pg di lele Twat doveva aspettarsi di non vincere, anche se questo non voleva comunque dire che non gli rodeva da morire la sconfitta. Quanto odiava perdere, era quasi peggio che un rifiuto da parte di Arturo, anche se pure quello bruciava parecchio; quel ragazzo non riusciva a capire quanto fosse serio nei suoi riguardi. Serio nel volerlo limonare e portare a letto, non esistevano altre parole per poter spiegare il suo modo d'agire, voleva davvero avere la possibilità di spassarsela con lui e non una volta come poteva sembrare, aveva voglia davvero di frequentarlo. Sbagliava le basi, lo sappiamo tutti, ma voglio ricordare che il serpeverde aveva comunque solo sedici anni e non pensava col cervello quando si trattava di corteggiamento, non sapeva neanche cosa volesse dire e se aggiungiamo che il compagno di casata non era così facile da conquistare rendeva tutto molto squallido.
    Il punto comunque era che doveva essere lui che Batte. Forte. Sempre. e non il contrario, non doveva essere lui quello preso a bastonate e soprattutto quello che perdeva, al primo colpo, come una pera cotta. Non andava assolutamente bene, ma non riusciva neanche ad essere deluso dalla situazione dato che doveva ancora capire quanto fosse messo male. Sentiva dolore ovunque, stava morendo. Ma dov'era? non era stato lasciato a terra, calpestato e non era finito nella fossa comune della Queen. Grazie Barrow.
    Non era neanche al dormitorio, quindi «Dove cazzo sono?» aprì gli occhi e solo in quel momento si rese conto di essere in infermeria. Ovviamente. «Il linguaggio» disse probabilmente Dakota. Costas sospirò, alzò leggermente la testa per vedere chi ci fosse lì con lui; avrebbe voluto sperare di essere il solo della propria squadra, ma era così poco sportivo che in realtà sarebbe stato contento se nei letti accanto al suo ci fossero stati sia il finto Jordan che la finta Thor.
    «ci rinuncio» girava così forte la testa che dovette richiudere gli occhi e sperare che tutta quella luce prima o poi sparisse o che tutto quel dolore prima poi smettesse di esistere. Magari avevano vinto e i due compagni erano a festeggiare, meglio per loro. Lui era a pezzi, non letteralmente ma nell'orgoglio e faceva comunque male.

    Batte. Forte. Sempre.
    Twat
    (Costas Motherfucka)
     
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    Chissà perché si era aspettato che quella disastrosa avventura finisse diversamente.
    Era scritto nelle stelle che il tutto si sarebbe concluso con lui in infermeria; fin qui non c'era niente di strano, dopotutto, dov'era la novità? Qualsiasi bookmaker avrebbe quotato la sua vittoria con delle cifre impensabili, facendo gola anche al più accanito degli scommettitori, ma i più attenti si sarebbero accorti del tranello a chilometri e chilometri di distanza. Se è troppo bello per essere vero, probabilmente non lo è; se la vittoria sembra possibile, la sconfitta si dimostra poi certa.
    Non che non ci fosse abituato, Arturo, ma...
    Per quanto tutti si fossero congratulati con lui al termine della sfida, nonostante tutti i bRavISsImO!1!1!! e i pollici alti che aveva visto indirizzati verso la sua persona mentre veniva accompagnato dai guaritori, non poteva non sentire quella familiare sensazione di fallimento che lo accompagnava da più o meno diciotto anni. Non ci aveva creduto davvero, ma era rimasto vivo contro ogni pronostico e aveva perso solo perché Willow Beckham aveva un'innegabile aura spaventosa che influenzava pure la tecnologia a quanto pare #cosa Di certo, Jordan l'influsso negativo di Will lo aveva percepito, assestandogli quella bastonata sulle gambe, sigillata poi dal machete della Corvonero. Aveva fatto dannatamente male e lo spagnolo poteva giurare di aver sentito pure qualche spaventoso crack provenire dai propri arti inferiori, ma aveva lasciato che il peso della sconfitta, dello stress e il dolore lo portassero ad abbracciare il pavimento dell'arena, arrendendosi all'inevitabilità della cosa: non poteva continuare.
    Avevano perso.
    Scusate ragazzi, un pensiero rivolto ai compagni già portati via, un pensiero colmo di delusione mentre vedeva Barrow proclamare vincitori Jordan e Willow, e informarli che avrebbero proseguito la scalata verso il milione la vetta del torneo. Qualcuno lo stava aiutando ad alzarsi, una delle gambe era decisamente messa male, ma lui non riusciva a staccare gli occhi di dosso da Willow col machete, domandandosi quanti altri compagni avrebbe abbattuto indossando la sua faccia. Era un vero e proprio incubo.

    «Sto bene» quando inizi a ripeterlo giorno dopo giorno, inizi a fingere sempre meglio al punto da riuscire a nascondere il dolore lancinante dietro un sorriso praticato abbastanza da risultare quasi sincero. «Davvero, sto bene!» Ciò che dice.
    Dai, lasciatemi andare a vedere come sta lui, ciò che pensa.
    Ma a quanto pareva dovevano prima assicurarsi che la gamba stesse davvero bene (spoiler: no) e Arturo non se la sentiva di fare una scenata davanti a tutti.
    Lasciò dunque che qualcuno lo medicasse, mentre con lo sguardo perlustrava la zona. C'era Barry – quello vero – che sembrava più preoccupato per la reazione della sua patata che non dal fatto di aver perso la sfida; c'erano Mac e Fitz (Mac e Joni?) che bisbigliavano tra loro cose che Turo non sentiva; c'erano guaritori indaffarati e gente che spizzava le sfide dalla finestra. Nulla di tutto quello lo interessava abbastanza, però.

    «Arturo?» Trasalì Arturo, o Jordan nell'aspetto, che dir si voglia, sentendo la voce di Twat chiamarlo. Nulla togliere allo special, ma non era la stessa cosa.
    Aveva fissato la figura priva di sensi del biondo per gli ultimi quindici minuti, forse attendendo il momento in cui l'effetto della polisucco fosse finalmente svanito; forse aspettando che Costas aprisse gli occhi; forse aspettando proprio quel momento, sentire il suo nome provenire dalle labbra del compagno. Non lo sapeva nemmeno lui cosa stesse davvero aspettando, ma voleva essere lì quando sarebbe accaduto.
    Ma, poiché era un Arturo a prescindere dalle sembianze momentanee, era stato beccato impreparato.
    L'istinto di guardarsi intorno fu più forte di ogni altra cosa, e il serpeverde allungò il collo per assicurarsi che nessuno stesse origliando una conversazione privata. (Siete tutte ciatelle, sappiatelo). Poi Costas tornò silenzioso, e lui lasciò fuoriuscire il fiato che non si era accorto di aver trattenuto. «Sono il Capitano, è mio dovere controllare stia bene.» Era quella la scusa che si era ripetuto silenziosamente, come un mantra, pronto a rivenderla a chiunque avesse fatto domande o allusioni; era solo il suo dovere di Capitano.
    Era al capezzale di Costas perché era preoccupato – lo avrebbe fatto anche per Sersha... ma dubitava sarebbe servito, con la bionda. O che avrebbe particolarmente apprezzato, per quel che valeva.
    Si massaggiò il collo, stanco e messo alla prova dagli eventi della mattinata, ma deciso a rimanere lì il più a lungo possibile.
    Vedere Costas venir abbattuto con quella facilità allarmante era stato terribile per il capitano, ma preso dal trambusto della sfida non aveva capito quanto fino a che non l'aveva visto svenuto in infermeria. Ma si poteva finire in quelle condizioni per un fottuto duello tra studenti? *Nathan, nella stanza e sempre più sconcertato, in babbi's voice* assolutamente no.
    Dai cazzone svegliati che devo farti la ramanzina per i tuoi hobby discutibili.
    E per esserti fatto mettere ko al primo colpo.
    E per aver toccato il mio culo anche se non era tecnicamente il mio.
    E per avermi spinto a partecipare, pur senza esserne consapevole.
    E perché mi hai fatto rimettere in discussione
    tutto di me.
    E perché ormai non posso più nasconderlo.

    Continuava a fissarlo, la posizione scomoda dovuta alla gamba stesa sulla sedia di fronte a lui, il gomito sul bracciolo di quella dove era invece seduto, la testa pigramente abbandonata sul palmo aperto di quest'ultima.
    E perché non sei te stesso in questo momento.
    Unfair, dopotutto nemmeno lui era davvero Arturo, e non per colpa loro. Se da una parte era più semplice, in quel modo, dall'altra si sentiva (ancora? Sempre.) in imbarazzo per Jordan: perché l'effetto non svaniva ancora?! Dammit!
    «Dove cazzo sono?»
    «Ling-» Lo sguardo chiaro del finto Jordan saettò in direzione di Dakota, un minuscolo sorriso compiaciuto a sollevare appena un angolo della bocca. Poi, non senza l'ennesimo sospiro, tornò a concentrarsi sulla figura sdraiata di fronte a sé. Che strano aspettarsi di vedere Costas e trovarsi Twat, pur sapendolo già. «Ringrazia di essere solo in infermeria.» Il tono leggermente piccato avrebbe voluto (dovuto) risparmiarselo, ma non ci poteva fare nulla: gli aveva fatto prendere un colpo. «Che ne pensi di trovarti un altro hobby?» Diamine che scomoda, quella posizione! Piegò un po' il capo per guardare meglio il compagno. «Uno che possibilmente non ci faccia ammazzare entrambi. Tipo il découpage? Drama Club? Magia domestica? Il fottuto coro???» Insomma, di opzioni Hogwarts ne offriva tante, perché fossilizzarsi su quelle ad alto rischio di mortalità? Hihihi
    Uno in cui io possa seguirti senza finire con le stampelle, tipo.
    Ma non aveva il coraggio di ammettere quell'ultima cosa ad alta voce. Voleva conoscere meglio Costas, certo, ed era disposto a farsi prendere a legnate pur di farlo, ma non aveva ancora accumulato abbastanza coraggio da renderlo partecipe della cosa, coraggio per ammetterlo. Si sforzò di strappare un sorriso alle labbra carnose di Jo, picchiettandosi l'imbracatura che gli teneva ferma la gamba andando ad un ritmo che c'era solo nella sua testa. Era tornato in silenzio, pensieroso.
    C'era un po' troppo silenzio, in effetti.
    Alzò lo sguardo verde (dai bro di che colore hai gli occhi? Blu? Verdi? Dicci.) su quello che apparteneva a Twat, rendendosi conto che l'altro aveva serrato nuovamente il suo. Forse era stanco e doveva lasciarlo in pace? Magari doveva andarsene – o meglio, chiedere ad Amalie di aiutarlo a rimettersi in piedi e tentare di trascinarsi verso la sala comune in qualche modo – ma.... non voleva. «Ho perso.» Ammise a voce bassissima, torturando i bordi della maglia della divisa. «Ci ho provato a vincere ma -» tua sorella è una cazzo di bestia, «- duellare non fa per me.» Sperava di evitare la fatidica domanda “e allora perché l'hai fatto”, e poter procedere verso l'ennesimo argomento privo di importanza ma che, quanto meno, gli dava una scusa per rimanere. «Però Mac è stato abbattuto da una Nice volante.» O così gli avevano detto, lui era impegnato a morire nella sua, di sfida, per poter pensare agli altri. Ma Nice era amica di Costas, no? Magari quell'immagine lo avrebbe fatto sorridere. «Dicono sia stato epico.» Aggiunse con un sorriso forzato, per infondere un po' di colore alle sue parole. Dai Costas, fai il Costas, così possiamo tirare un sospiro da queste parti.
    «...come ti senti?»
     
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    «Ringrazia di essere solo in infermeria.» sapeva chi fosse anche se non era la sua voce, ma sapeva che il ragazzo al suo fianco, con la gamba probabilmente rotta era Arturo. Sbuffò senza però rispondergli, non voleva essere bacchettato, non se lo meritava dopo aver preso quella bastonata ed essere lì sul quel lettino. «Che ne pensi di trovarti un altro hobby?» alla fine dovette posare gli occhi sul compagno che chiaramente non era ancora lui. Ma quanto tempo ci avrebbe messo il polisucco per smettere di funzionare? SI era stufato di essere twat e soprattutto era stanco di non poter ammirare Arturo, quello vero mentre si faceva brontolare. «Uno che possibilmente non ci faccia ammazzare entrambi. Tipo il découpage? Drama Club? Magia domestica? Il fottuto coro???» aveva appena detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa con lui, come una coppia? Forse no ma così aveva intenso e gli si gonfiò il petto per la felicità perchè questo voleva dire che aveva una possibilità, forse.
    « Noi» disse calcando su quella parola « non faremo il ricamo perchè non vuoi farti male» avrebbe anche ammiccato se solo avesse avuto il suo bellissimo viso da Motherfucka, ma era giusto fargli capire che aveva assolutamente captato quel noi e non voleva in nessun modo far finta di niente.
    Chiuse gli occhi di nuovo e rimase in silenzio ancora per qualche minuto, beandosi però della presenza del compagno; era contento che fosse lì con lui e non perchè significava che avevano perso, ma perchè nonostante tutto aveva deciso di andare a trovarlo. Sapeva che avrebbe usato la scusa che era il capitano e che doveva controllare, ma era su di una sedia, evidentemente scomodo, non poteva essere solo bravo capitano.
    «Ho perso. Ci ho provato a vincere ma duellare non fa per me.»
    «Gli faremo il culo al quidditch» provò a consolare Arturo, che evidentemente sembrava deluso per averlo deluso?! Non era chiaro, ma di certo non era dispiaciuto che avessero perso loro come squadra - anche - ma gli rodeva soprattutto che fosse stato abbattuto come un uccello.
    «Però Mac è stato abbattuto da una Nice volante.»
    «prevedibile, per fortuna che non ero io. Già il fatto che di essere stato preso a bastonate da » aspetta ma chi era il finto Arturo? Non aveva neanche avuto il tempo per capirlo. «Ma chi era? Anzi non voglio saperlo» poggiò di nuovo la testa sul cuscino o forse non si era mai mosso, era ancora confuso. Guardò il soffitto, poi notò quanto il finto Jordan fosse scomodo su quella sedia.
    «...come ti senti?»
    «Io sto a pezzi ma vedo che anche tu non stai messo bene...» se fosse stato se stesso, avrebbe guardato con gli occhi maliziosi Turo per quello che poi disse «stai scomodo su quella sedia, perchè non vieni accanto a me, ho bisogno di coccole magari avesse avuto la sua faccia, avrebbe fatto gli occhi da cucciolo.

    Batte. Forte. Sempre.
    Twat
    (Costas Motherfucka)
     
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    Per un attimo il verde-argento ebbe il sospetto che Costas si fosse riaddormentato, il respiro regolare del minore a muovere piano la gabbia toracica, su, giù, su, giù, su. Giù. Quel movimento – e la gamba fuori uso che metteva un dannato freno alla sua mobilità – lo fermò dall'improvviso bisogno di mettergli uno specchio sotto il naso per assicurarsi che stesse respirando davvero. Paranoico, uh? Ebbene sì. Potete tranquillamente aggiungerlo alla (lunga) lista di difetti dell'Hendrickson.
    Ma quell'attimo fu abbastanza per farlo tornare a riflettere: Arturo non parlava molto, certamente non di cose serie, ma pensava tantissimo. Forse anche troppo. E in quel momento gli ingranaggi del suo cervello stavano formulando pensieri che, se non altro, avevano un senso. In particolar modo, osservando il viso del norvegese, Arturo si rese conto di quanto sciocca fosse stata la sua prima reazione a tutta quella faccenda della polisucco: vedere Costas palpeggiare qualcuno solo perché aveva le sue sembianze, lo aveva mandato in tilt. 'Quindi è semplicemente una questione di attrazione fisica, niente di più.' si era ritrovato a pensare, la lancia stretta al petto con entrambe le mani; forse sarebbe stato più semplice accettare quella verità per evitare di compiere un passo dal quale non sarebbe più potuto tornare indietro - ma quella era solo la sua codardia a parlare. Lo aveva punto sul vivo la possibilità che Costas non lo riconoscesse se privo della fratta corvina, degli occhi azzurri o del sorriso impacciato; ma d'altronde, potevano dire di conoscersi abbastanza bene da avere altro su cui basarsi?
    Nel caso di Turo, la risposta era no: non aveva mai svelato sulla sua vita fuori dal castello, non si era mai confidato con il concasato né gli aveva mai rivelato cose di sé o inerenti alla sua famiglia. Tutto ciò che sapeva di lui, Costas lo aveva rubato con il tempo, frequentandolo sul campo, a lezione e nei dormitori. Lo stesso discorso valeva al contrario ed era, in buona sostanza, ciò che aveva spinto Arturo a quella follia che si era rivelata il club dei duellanti. Se già da qualche tempo aveva capito di avere un debole per Costas, quanto meno a livello fisico, voleva essere certo che la cosa valesse sotto qualsiasi punto di vista. Non faceva mai nulla a metà, Arturo Maria, né con leggerezza, e non avrebbe di certo rischiato di rovinare i già precari rapporti con i suoi genitori solo per una botta e via. Se doveva dannarsi l'anima, letteralmente, voleva esser certo che ne valesse la pena.
    Ma guardare il Motherfucka in un corpo non suo gli aveva fatto desiderare con ardore che gli effetti sparissero il più velocemente possibile, perché per quanto il carattere potesse definire una persona, Costas era anche il sorriso sornione che gli rivolgeva quando faceva una battuta molesta, lo sguardo verde e penetrante che gli posava addosso durante gli allenamenti (e negli spogliatoi), le espressioni di chi non promette nulla di buono.
    Rivoleva indietro quel Costas, e alla svelta.
    E voleva tornare ad essere se stesso.
    E voleva che Willow la smettesse di uccidere gente random, sorridendo da psicopatica con la sua dannata faccia.

    Arrossì lievemente a quel noi sottolineato con un po' troppa veemenza: era stato davvero così sgamabile? #sì Ma non disse nulla, limitandosi a sorridere e roteare gli occhi al cielo, contento che l'altro non potesse vederlo perché impegnato a riposare i propri. Però imparare a ricamare non era male come idea, dai poi potevano scambiare idee e consigli con drama llama e imparare anche loro a fare ricami di deliziosi avocados sulle magliette!!! Ma capiva che non c'era paragone tra ricami su stoffa e il prendere a bastonate i tuoi compagni (infatti la prima attività era un sakko più rilassante!!!!!)
    A quel «gli faremo il culo al quidditch» Costas doveva crederci molto, lo sapeva quanto importante fosse per lui quello sport, ma il maggiore non poté non sentirsi lievemente in colpa per ben due motivi: uno) lo stava dicendo chiaramente per non fargli pesare troppo la delusione di aver perso; due) non era così sicuro di aver tirato su la squadra in maniera decente, e come aveva detto ad Ethan tempo prima, sentiva di non riuscire a dare loro quello di cui necessitavano sul campo. Aveva un sacco di dubbi, al riguardo, ma indovinate un po'? Non ne faceva parola con anima viva. Portò le labbra a stirarsi in una imitazione di sorriso, practice makes perfect, e lui ne aveva fatta così tanta da convincere ormai chiunque. «Sono certo che sarà così.» Oppure no, e falliremo perché a quanto pare è la cosa che faccio meglio, scusa. «L'idea di prendere a bastonate dei bolidi impazziti ti gasa proprio tanto, eh?» Batte. Forte. Sempre.
    Arricciò il naso con fare divertito nel sentire quel «prevedibile» e non aggiunse nulla; il rapporto tra Costas e Nice era abbastanza strano e particolare che probabilmente la cheerleader gli avrebbe perdonato quella sorta di insulto molto velato, per farglielo poi scontare in qualche altro modo. Chi era Arturo per tentare di capirli? Ma non ebbe comunque modo di replicare, colpito troppo vicino casa dal resto della frase. Si ritrasse involontariamente, l'Hendrickson, come se improvvisamente conscio del fatto che una volta riacquistate le proprie sembianze, l'altro gli avrebbe riservato uno sguardo pieno di ira per avergli assestato una botta così forte in grado di stenderlo per svariati minuti. Improvvisamente, i panni di Jordan non gli stavano più così stretti. «Io... mi dispiace.»
    “Smettila di scusarti sempre!” “Oh, okay scusa!” “...”
    Era più o meno così che andava ogni volta, per lui. Ma in quel caso era davvero mortificato, per qualcosa che non aveva neppure fatto lui in prima persona. O forse sì, dipendeva dai punti di vista. Aveva smesso di giocare con i fili della divisa ed era passato direttamente a torturare le proprie mani; in quel modo poteva rifuggire il bisogno di passarsele sulla faccia e tentare nuovamente di soffocarsi da solo. Com'era difficile funzionare da persona normale!
    Visto che Costas non voleva saperlo, Arturo non glielo disse che era stata Willow l'artefice della loro disfatta. Doveva dirgli, invece, che il finto Gideon era in realtà Jordan e che avevano preso il tacito accordo di finire la partita come Katniss e Peeta alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games, prima che Jo lo prendesse a bastonate e lo spedisse in infermeria? Magari no, infondo Arturo non ce l'aveva nemmeno con lui!!! Almeno avevano messo fine a quella tortura. Quiiiiiindi..... che diiiire..... dai Arturo, dì qualcosa, qualsiasi cosa, di solito le cose frivole e sciocche sono la tua specialità!!
    Ma non aveva null'altro da dire che andasse bene in quella location, se non quel come stai? che gli sembrava fin troppo stupido: come vuoi che stia, mh? Allettato e con il mal di testa più atroce del mondo (aw Bang, tutto il papà #cos). Non poteva che stare 'na ciofeca.
    «Io sto a pezzi ma vedo che anche tu non stai messo bene...» «Oh, wow. Accidenti grazie, eh» una risata, forse la prima sincera da quando aveva messo piede in infermeria, dal primissimo sto bene!!! giuro!!! pronunciato con un sorriso. Sapeva che Costas si riferiva alla gamba, ma doveva fare qualcosa per alleggerire il mood o sarebbe imploso. «Okay che Jordan non ha il mio fascino ispanico o la mia sorprendente avvenenza, ma...» sorprendente perché inesistente. Lasciò appositamente la frase sospesa, non aveva davvero un modo per concluderla, in realtà. Non era neppure certo che la sua battuta fosse riuscita a dovere.
    «hhh»
    perché non vieni accanto a me, ho bisogno di coccole
    E menomale che Jordan era abituato ai colori accesi della sua divisa, perché in quel momento Arturo lo shentiva che le sue gote si erano imporporate, assumendo la stessa tonalità del rosso Grifondoro. Era abituato a frasi del genere, non c'era giorno che passasse senza che Costas gliene riservasse una simile, ma era la prima volta che Arturo sentiva il bisogno di accettare la proposta.
    E probabilmente, se fossero stati da soli, se l'infermeria non fosse stata così piena, se avessero avuto il loro aspetto, se Arturo non avesse avuto una gamba rotta che gli rendeva difficile qualsiasi motivmento, lo avrebbe fatto.
    Ma non erano soli, in infermeria c'era davvero troppa gente, loro erano ancora Twat e Jordan (e rumors e gossip erano nati per molto meno, non avrebbe mai mai M A I fatto una cosa del genere al suo amico) e Arturo aveva davvero una gamba bloccata.
    Quindi optò per l'unica cosa che potesse fare: impanicarsi e blaterare senza senso rimanere in silenzio e abbassare lo sguardo.
    «noncredosiailcaso» in silenzio, ma solo fino a un certo punto a quanto pare. Non credo sia il caso, dunque.
    Ma vorrei che lo fosse.
     
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    La comunicazione. Il problema tra i due era da sempre stata il non saper comunicare; era successo in futuro tra Bang e River e stava succedendo di nuovo tra Twat e Jordan. NO, ASPETTA! Erano Costas e Arturo. Se il primo pensava poco e parlava tanto, troppo non nascondendo l'interesse per Arturo, quest'ultimo al contrario parlava poco e pensava tanto, troppo. «Io... mi dispiace.» Appunto, quel suo mi dispiace era la conseguenza di tutte le sue mille paranoie, anche in quella stanza con sembianze diverse poteva sentire gli ingranaggi muoversi impazziti nella testa del compagno. Avrebbe voluto afferrargli il volto, baciarlo per poter porre fine ai suoi tormenti interiori e così far smetter agli ingranaggi di girare. Ma non era Bang, non era libero come voleva far credere e il ragazzo accanto non era chiaramente River. Il suo Arturo aveva bisogno di un diverso approccio, non che avesse capito quale fosse quello giusto ma sapeva che fino a quel momento stava sbagliando.
    « Per cosa ti stai scusando?» disse alla fine guardando il ragazzo che si torturava le mani, era chiaramente Arturo, con quel suo modo di fare, impossibile non vederlo dentro il corpo del grifondoro, poteva persino immaginarsi gli occhi azzurri tristi e il rossore sul suo volto.
    « Non è colpa tua se il finto te mi ha steso, forse non dovevo toccargli il culo.» poi rise perchè sapevano entrambi che lo avrebbe fatto comunque, provocare il capitano gli riusciva così bene e in automatico che non poteva trattenersi dal farlo. Come poteva trattenersi dal chiedergli di andare sul letto con lui, per abbracciarlo e coccolarsi, sapeva che non avrebbe mai accettato. «noncredosiailcaso» Era Arturo e in infermeria c'erano troppe persone che avrebbero parlato per potersi lasciare andare. Inoltre in quel momento nessuno dei due aveva il proprio corpo e non voleva abbracciare davvero Jordan, anche se il ragazzo non era per niente brutto, e lui era Twat. Non era un problema se gli altri avessero visto e avessero creato del gossip, il fatto era che Arturo non avrebbe potuto godersi della sue morbidissime labbra e lui non avrebbe potuto tastare il suo magnifico culo. «Arturo» allungò una mano quasi a volerlo afferrare per obbligarlo ad alzarsi e raggiungerlo ma si fermò e gli sorrise «lo sapevo, ma ci dovevo provare» come sempre, ma non aveva la forza per insistere o prenderlo di peso per trascinarlo contro la sua volontà in quel lettino solo per avere un pò di sollievo. Però non smise di osservarlo mentre si torturava ancora le mani e chissà forse era pure arrossito. Gli piaceva da matti quando s'imbarazzava ed era un peccato che non avesse parlato in spagnolo e soprattutto che non fosse ancora tornato il vero Arturo, aveva il bisogno di perdersi nei suoi occhi e di metterlo in imbarazzo con quel gesto. Calò il silenzio ancora una volta, dato che Costas decise di chiudere gli occhi e sperare che quella tortura finisse. Gli piaceva duellare come il quidditch ma quando si ritrovava con quel mal di testa o peggio qualche arto rotto non era così piacevole. Avrebbe voluto dormire, ma questo avrebbe portato Arturo ad andarsene e lui non voleva che ciò avvenisse. Così tornò alla carica perchè lui era un Motherfucka e non era un tipo che si arrendeva al primo o al decimo no, rischiava la molestia lo sapeva ma era certo che il capitano era sul punto di cedere. O forse no. Ogni tanto ripensava alla cotta del latino nei confronti di Heather e magari poteva smettere di insistere, ma la speranza era l'ultima a morire. Poi fu un secondo , gli sembrò di rivedere gli occhi azzurri del compagno. Forse stava finendo l'effetto del polisucco. «se fossimo da soli, mi faresti compagnia?»
    Batte. Forte. Sempre.
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    «Per cosa ti stai scusando?»
    Ah, gran bella domanda. Quanto tempo hai, Costas? Perché potrebbe volerci un bel po'. Ma, dopotutto, non è che avesse fretta di andare da qualche parte il ragazzo, botta in testa e tutto il resto. E Arturo avrebbe potuto semplicemente confessare ciò che lo turbava - una delle cose che lo turbavano, in realtà – ma temeva che una volta aperto bocca, non sarebbe più riuscito a fermarsi e non voleva riversare troppe cose sul compagno, non in quella sede, non in quella situazione. Era un altro aspetto del suo carattere su cui Arturo stava lavorando, ma era un pessimo studente, qualsiasi fosse l'ambito in oggetto; non aveva ancora capito come aprirsi senza dire troppo, come essere onesto ma non pesante. Era veramente sottile la linea tra il dimmi cosa ti turba e la condivisione eccessiva, e non era certo di essere in grado di rispettarla. Tra i due eccessi, Arturo, preferiva di gran lunga il silenzio.
    Quindi lasciò cadere la domanda con una scrollata di spalle, mentre il compagno di stanza continuava a parlare. Grazie, per l'aver scelto di parlare al posto suo. Quando parlava troppo, e quando invece non sapeva nemmeno come spiegare il silenzio assordante che aveva dentro. Sorrise – no, rise a quell'ultima considerazione di Costas, perché lo sapeva lui e lo sapevano entrambi che «no, lo avresti fatto comunque» gli angoli di una bocca poco familiare ancora piegati verso l'alto, un'espressione serena e, wow, sincera. Persino lo sguardo chiaro era meno cupo, meno triste, meno angosciato. Erano le piccole cose a contare veramente tanto per il Serpeverde, e quella quotidianità che poteva compartire con Costas era preziosissima ai suoi occhi.
    Rimasero a bearsi di quella risata pacata e timida per qualche secondo, prima di tornare inevitabilmente su sentieri più impervi, ma in qualche modo, consueti; una sorta di parete da scalare ripetute volte, percorsa così frequentemente da permettere allo spagnolo di sapere già in anticipo dove mettere i piedi per non franare. E così, con la pratica, riuscì ad evitare il contatto, ritraendosi velocemente contro lo schienale rigido della poltrona, non senza riservare l'occhiata più mortificata che riuscisse a disegnare sul volto dell'americano. «Lo sapevo, ma ci dovevo provare»
    Si sentì così in colpa per aver reagito d'istinto, lasciando che ancora una volta (sempre) il suo bagaglio personale e familiare agisse per lui. Spinse a fatica un respiro tra i denti, passandosi una mano tra i capelli. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma riuscì solo ad aprire e chiudere la bocca un paio di volte prima di rinunciarci definitivamente. Cosa poteva dirgli che già non sapesse? Forse avrebbe dovuto essere onesto e aprire un vaso di Pandora che non sarebbe più riuscito a chiudere, perché il Motherfucka non era l'unico con una situazione familiare... complicata. Ma non voleva farlo, non in quel momento.
    Morse leggermente il labbro inferiore, prima di rivolgere uno sguardo al cielo – in una preghiera verso l'Altissimo, o una supplica al fondatore di Grifondoro, affinché infondesse su quell'impostore per qualche ora, un po' del loro coraggio?
    Stando a quanto sarebbe successo l'istante dopo, la seconda.
    Forse la botta in testa l'aveva rincoglionito tramortito per bene, perché Costas non sembrava ostinato come al solito; al contrario, gli sembrava persino rassegnato. Ma forse era solo la stanchezza. Sentiva che era il suo turno di fare qualcosa – qualcosa che non gli facesse sentire il bisogno di schizzare via dalla sedia a gambe levate per l'imbarazzo. Poteva farcela a non finire in autocombustione per una (1) volta nella vita.
    A fatica, riuscì dunque a far strusciare la sedia sul pavimento di pietra, per avvicinarla un poco al letto del compagno, accompagnando il tutto con saltelli del sedere per facilitare la cosa (senza riuscirci). Aveva cercato di essere il più smooth possibile, ma stando allo screEeEeEetch di ferro contro pietra, non doveva esserci riuscito.
    Però, quanto meno, era un po' più vicino a lui.
    «hola» appena un sussurro, un sorriso impacciato e uno sguardo pieno di scuse - per non essere in grado di accettare le cose senza ricorrere come prima soluzione alla fuga istantanea, per aver perso un sacco di tempo, perché pensava troppo, per essere così... Arturo.
    Lo lasciò chiudere gli occhi nuovamente, era forse un sorriso compiaciuto quello sulle labbra dell'altro? Voleva ben sperare, qualcuno qui stava decisamente facendo dei passoni da gigante (#okay)!!! Sindrome della crocerossina? #sì
    Non si era mai reputato una persona egoista, Arturo Maria, ma in quel momento un po' ci si sentiva: avrebbe potuto allontanarsi e lasciare che il battitore si riposasse – Merlino solo sapeva quanto ne avesse bisogno – e approfittarne per farsi un pisolino anche lui... ma non voleva.
    Temeva, in cuor suo, che una volta varcata la soglia dell'infermeria, sarebbe tornato ad essere il Turo codardo e represso che era stato per mesi; non voleva farlo, non voleva vanificare tutto quanto solo perché aveva paura. Eppure non voleva nemmeno rischiare di testare quell'ipotesi: avesse potuto, avrebbe vissuto in quel momento all'infinito.
    Possibilmente con le proprie sembianze, certo.
    Perso nei propri pensieri, andò ad appiattire alcune grinze del lenzuolo immacolato, un gesto consueto che ripeteva spessissimo, quando sovrappensiero. Una gesto che lo portò pericolosamente vicino alle mani di Twat - no, di Costas. Avrebbe potuto allungare il mignolo e lo avrebbe sfiorato.
    Poteva farlo?
    Non ne era certo, ma una cosa la sapeva: voleva farlo.
    Guardò ancora una volta il viso dell'altro, gli occhi ancora serrati, senza rendersi conto di star pian piano riassumendo la propria identità (dai facciamo che è passato già un sakko da quando Costas è finito in infermeria e tra riffa e raffa è passato !! tempo !! questa cosa mistica.) ma non poté non notare la chioma ossigenata di Twat ritrarsi e scurirsi.
    E lo stava ancora guardando, per non perdersi nemmeno un momento di quella trasformazione al rovescio, quando Costas riaprì gli occhi – uno color ghiaccio, tipico del norvegese, l'altro verde come piaceva a lui - per destabilizzarlo con un'altra domanda.
    «se fossimo da soli, mi faresti compagnia?»
    E a quel punto, lo fece.
    Allungò appena il braccio, un gesto calmo e contenuto, quasi impercettibile, fino a che i polpastrelli non arrivarono a sfiorare il dorso della mano del concasato, leggeri e impacciati. Aveva studiato la situazione, Arturo, e da quella posizione le persone che potessero notare quel gesto erano poche – e tutte indaffarate.
    Avrebbe potuto esporsi, se solo avesse voluto.
    Se solo avesse avuto il coraggio.
    Ma per il momento quel tocco delicato era il massimo che potesse concedersi.
    Non aveva ancora risposto alla domanda, impegnato a contemplare il resto, perciò lo fece dopo svariati minuti di silenzio pregno di cose non dette. Lo fece alzando gli occhi – i suoi occhi – verso il Motherfucka. «»
    Merlino, quanto era difficile essere onesti.
     
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    Costas non era una persona romantica, si poteva aver notato, non prestava mai molta attenzione alle cose e probabilmente la sua schiettezza e sfrontatezza poteva farlo persino apparire frivolo e con un solo pensiero nella testa: i culi. o il sesso. Aveva entrambi nella sua testa chiaramente, ma non era totalmente stupido e quando si trattava di Arturo aveva imparato a prendere da lui quello che più poteva; la maggior parte delle volte erano dei rifiuti e rimproveri, ma era bello anche così il loro rapporto: il maggiore era razionale, tranquillo e Costas il pepe della situazione ma con la voglia di pace che solo il suo compagno poteva dargli. Avevano anche trascorso momenti insieme dove avevano tranquillamente parlato, non succedeva spesso a dire il vero, ma erano quei momenti che avevano alimentato la voglia del moro a continuare con il latino perchè il loro rapporto era fatto da piccoli attimi e ciò che stava succedendo era uno di quelli che sarebbero rimasti ben impressi nella sua mente. Arturo finalmente stava facendo un passo verso di lui, letteralmente. Prima si avvicinò con la sedia e questo fece già sorridere il più piccolo, capendo che non se ne sarebbe andato via. Non disse niente al riguardo e non si mosse quando con un delicato tocco prese ad accarezzargli il dorso della mano. Si limitò a guardarlo negli occhi tornati finalmente al loro colore naturale, come piacevano a lui. Arturo era un cervo in quel momento, un bellissimo cervo spaventato e attirato dai fari della macchina, era pericoloso ma si avvicinava lentamente e qualsiasi mossa improvvisa lo avrebbe fatto scappare ma questo Costas non lo avrebbe mai permesso perchè non voleva che smettesse di accarezzarlo.
    «sì» Avrebbe voluto abbracciarlo, prenderlo di peso e portarlo in camera, fiondarsi sul letto e fare sesso tenerlo stretto fino a quando quel mal di testa - ma anche dopo - non fosse passato. Solo loro due. Aveva fatto molti sogni erotici che riguardavano solo loro due, chissà se un giorno sarebbero diventati una realtà, ora iniziava a crederci davvero.
    Gli sorrise, finalmente col proprio volto, ritrovando quello dell'amico; poteva di nuovo vedere il rossore nel volto del ragazzo e le labbra torturate che avrebbe volentieri baciato per dargli sollievo - ad entrambi .
    «Ben tornato» disse ammirando il capitano. Alzò la mano libera per poterlo accarezzare, ma di nuovo ebbe la sensazione che solo un movimento l'avrebbe fatto chiudere a riccio. Nice più volte gli aveva detto che doveva cambiare approccio, forse ora era arrivato il momento di farlo e non esagerare. Così abbassò di nuovo il braccio e si guardò intorno, era davvero affollata l'infermeria e fece per alzarsi. «e ora andiamocene.» cioè aveva appena detto che avrebbe dormito con lui, dovevano assolutamente andarsene via di lì. Anche se aveva forti capogiri e Arturo una gamba rotta, lo avrebbe preso di peso pur di andarsene. Fermatelo!
    Batte. Forte. Sempre.
    Twat
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    arturo maria hendrickson
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    I don't even know myself at all; I thought I'd be happy by now, but the more I try to push it I realize: I gotta let go of control and let it happen.
    Non c'era più modo di tornare indietro e rimangiarsi ciò che aveva detto.
    Certo, poteva sempre negare di averlo detto e farlo passare come un'allucinazione del minore; o ancora, motivarlo con un «credevo saresti mOrTo» molto sentito e una mano sul cuore; oppure imbrogliare tutti e nascondersi dietro un aspetto non suo.
    Ma non poteva.
    Non voleva.
    Per quanto lo spaventasse tutta quell'onesta, gli faceva ancora più paura l'idea di tornare a chiudersi in se stesso: era qualcosa che faceva fin troppo spesso, un vizio che non riusciva a togliersi, forse perché aveva sempre saputo in cuor suo di non poter essere onesto con le persone per paura di deluderle, ancora prima di capire come le avrebbe deluse. Quel timore irrazionale era innato in lui, la paura di non essere abbastanza e l'inadeguatezza che sentiva nelle ossa erano tutte sensazioni con cui aveva imparato a convivere; era più facile fingere di non dargli peso e comportarsi da frivolo ingenuo e sciocco, piuttosto che affrontarle di petto. Nessuno lo conosceva davvero, nessuno sapeva quanto profondo potesse essere Arturo Maria Hendrickson, o la vasta gamma di emozioni che vivevano in lui, emozioni che non erano solo l'apparente serenità e spensieratezza che faceva vedere quotidianamente o il terrore puro che spesso usciva (a lezione) nelle situazioni più complicate.
    Temeva di non essere in grado di mantenere quell'onestà che aveva appena mostrato nei confronti di Costas, ma voleva provarci.
    Per lui, per loro, l'avrebbe fatto.
    Questo non significava che si sentisse pronto a convidere quella nozione con tutta Hogwarts e dintorni, però.
    La sincerità la doveva a Costas (e in parte a se stesso) e a nessun altro. Voleva che fosse chiaro anche per il concasato, ma non sapeva come dirlo senza finire con il sentirsi, per la seconda volta in pochi minuti, terribilmente egoista.
    Era chiaro che Costas ci stesse provando ad andargli incontro, e ad Arturo piaceva pensare che fosse anche in parte merito della conversazione avuta su Twitter, dove lo aveva trattato forse un po' troppo bruscamente ma che era servita, a lui in primis, come punto di svolta. Aveva chiesto all'amico - perché era quello che aveva cercato di essere per e con lui - di non creare imbarazzo per il bene della squadra, ma anche solo scrivere quelle poche righe lo aveva fatto sentire un disonesto senza eguali. Sapeva benissimo di star mentendo sapendo di mentire già a quel tempo, ma se non altro gli aveva fatto aprire ulteriormente gli occhi.
    E da lì era partita quella voglia di conoscerlo meglio, di accettare di bere una Burrobirra con Costas, che però lo spagnolo aveva sempre rimandato per mancanza di coraggio; e la voglia di fare qualcosa con lui che gli facesse scoprire un po' di più chi era davvero Costas Motherfucka. In quel disastroso frangente del Club dei Duellanti aveva solo capito che era un folle suicida che pur di palpare il suo culo si sarebbe fatto schiattare a suon di machetate, ma potevano continuare a provare!! Arturo era disposto a provarci ancora!!! Lo era veramente!! Solo che... Con i suoi tempi, con i suoi modi. Poteva scendere a compromessi per sentirsi meno egoista e per muovere anche lui qualche passo in direzione di Costas - ma era ancora ben lontano anche solo dal pensiero di poter accettare di andare in giro mano nella mano. C'erano cose personali che doveva affrontare, prima di poterlo sventolare al mondo intero, e aveva bisogno di farlo con i tempi giusti. Sapeva, razionalmente, che a nessuno sarebbe fregato un fico secco della cosa perché Hogwarts era diventata un sacco lgbtq+ friendly negli ultimi anni, e nessuno dei suoi conoscenti avrebbe davvero storto il naso alla cosa (anzi, in molti avrebbero rivolto gli occhi al cielo sussurrando un finalmente) ma Turo aveva visto fin troppi parenti e amici venir letteralmente allontanati perché accusati di aver peccato agli occhi dell'Altissimo per poter lasciar correre la cosa con nonchalance. E lui stesso era cresciuto sentendosi ripetere mille e mille volte quanto fossero sbagliati determinati atteggiamenti. Doveva quindi trovare il coraggio di accettarsi, in primis, e poi di parlare con i suoi genitori; non voleva che venissero a saperlo da voci di corridoio (o peggio ancora, da Polgy Girl) prima che lui potesse avere l'occasione di sedersi a tavolino con loro e spiegargli la situazione. Doveva muoversi con cautela, in un campo minato che avrebbe potuto esplodere sotto i suoi piedi al primo passo falso.
    Si fece coraggio, quindi, e facendo una lieve pressione sulla mano del minore lo invitò a voltarsi nella sua direzione. «Ben tornato» Un accenno di sorriso su quello che, ipotizzò Arturo, era tornato ad essere il suo viso. Gli effetti della pozione su Costas erano ancora visibili, seppur lievi, e le sembianze di Twat stavano quasi del tutto sparendo per lasciar posto ai tratti familiari del battitore. Era ora. Ci mise qualche minuto di troppo a mollare la presa sulla mano di Costas, e trattenne il respiro nel vedere quella libera avvicinarsi in direzione della sua faccia, ma si constrinse a non muoversi. L'aria si liberò finalmente dalla costrizione solo quando il minore sembrò ripensarci e ritrasse la mano; era orgoglioso di sé per non aver reagito d'istinto, ma era anche grato a Costas per non averlo messo in condizione di sentirsi a disagio davanti a tutta quella gente. Che, tra parentesi, era aumentata con l'avvicinarsi della fine del torneo - dai canon che a questo punto siano già quasi alla fine ueppa è passato un sacco di tempo chissa chi è arrivato.
    Ma tornando a noi.
    Si accorse di aver morso l'interno della guancia solo sentendo il sapore metallico del sangue sulla lingua; a quel punto mollò la presa con i denti, ma anche con la mano. Ora che era tornato se stesso sentiva il doppio degli sguardi addosso - anche se erano solo nella sua testa. Nessuno faceva davvero a lui come sempre. A loro.
    E, per le mutande di Merlino, avrebbe voluto anche lui concentrarsi solo ed esclusivamente sul momento ma proprio non ce la faceva a non pensare a tutto il resto, l'Hendrickson. Come si spegneva il cervello?
    Incanalò un po' (molta) aria nei polmoni, poi la lasciò uscire tutta insieme, in un sospirone. Un po' la situazione, un po' Costas che faceva il Costas, Turo sentì improvvisamente la stanchezza invadere il suo corpo. Mise una mano sulla spalla dell'altro e fece pressione, sporgendosi in avanti col busto. «Dove vuoi andare?» Dai, lui non si reggeva in piedi e l'altro aveva le vertigini, a malapena sarebbero arrivati alla porta. «Scommetto che non sai dirmi quante sono» e gli schiaffò davanti tre dita, agitandole un po' per confondergli le idee, un sorriso beffardo a piegare leggermente gli angoli della bocca. L'idea di andarsene dall'infermeria non gli dispiaceva, in tutta onestà, voleva il suo comodo letto e avrebbe pagato oro per andare finalmente a morire sotto le coperte, ma la prospettiva che Costas si aspettasse che tenesse fede alle sue parole lo paralizzava un po'. Lo avrebbe voluto fare, davvero, ma tra il dire e il fare in questo caso c'era tutta la parte in cui Arturo doveva AgireTM e lo spaventava la sola idea. «A meno che non arrivi qualcuno in condizioni più gravi - ay Dios mío speriamo di no -, o finiscano i letti disponibili, rimarrai qui un altro po'» inarcò entrambe le sopracciglia, per fargli capire che non sarebbe andato da nessuna parte nell'immediato.
    «Ma se vuoi...» sapeva cosa voleva dire ma non sapeva come farlo, perciò optò per dirottare verso qualcos'altro, «posso farti un resoconto di quanto successo mentre tu recitavi la parte di Aurora. Mh, vediamo...» si picchiettò un dito sotto al mento, cercando di ricordare qualcosa degno di nota che aveva sentito raccontare o sbirciato dalla finestra, «ho sentito che Gid si è arreso ma poi ci ha ripensato -» been there, done that, #arteon4life «- e a quanto pare tu hai abbracciato Sunday.» Lo disse con un cipiglio malizioso dipinto sul volto, Arturo, ben sapendo quanto al compagno non fosse andato giù la storia del prom - sfrontata, da parte sua, una reazione del genere visto e considerato che si era portato Aidan appresso, quella sera, ma insomma.........
    «Peccato non sia riuscito a vedere la scena.»
    E poi avrebbe proseguito a raccontare altre varie ed eventuali, tutte le cose accadute nei duelli fino a quel momento, pur di tenere il Motherfucka impegnato e sul quel dannato letto. Solo alla fine del racconto avrebbe infine aggiunto: «se... se sei stanco ti lascio dormire» il /qui su questa brandina e non farti venire strane idee/ era sottinteso. «Anzi, dovresti proprio riposare. Stiles potrebbe uccidermi nello scoprire che ti sto impedendo di chiudere gli occhi con questi racconti scemi che potrei fare in qualsiasi altro momento e invece sto facendo adesso perché -» Chiuse di scatto la bocca, dopo aver parlato velocemente e fin troppo. «Dicevo.» Dietrofront. «Dovresti riposare ma se vuoi...» le parole incastrate in gola, si schiarì la voce per tentare di farle uscire. «Se vuoi rimango qui fino a che non mi cacciano.» Non voleva davvero andarsene, ma voleva pure che Costas riuscisse a riposarsi a dovere; stava scomodo, si, e non avrebbe di certo arrancato fino al letto del compagno né tantomeno si sarebbe accoccolato a lui, preferiva di gran lunga il torcicollo in quel momento, ma se era la compagnia che Costas voleva, Arturo sarebbe rimasto molto volentieri.
     
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    L'atmosfera era rovinata, forse doveva rimanere fermo immobile per non spaventare Arturo ma era stato più forte di lui alzarsi e provare ad andarsene, non voleva più stare lì se poteva starsene col compagno in un letto nel dormitorio.
    «Dove vuoi andare?» Arturo però non sembrava dello stesso avviso, ovviamente, lo fermò e lo fece sdraiare di nuovo.
    «Scommetto che non sai dirmi quante sono» prese a muovere la mano velocemente che anche senza un mal di testa non sarebbe riuscito a vedere bene. «Arturito» Lo bloccò facendola abbassare e accarezzandola prima di lasciarla.
    «A meno che non arrivi qualcuno in condizioni più gravi - ay Dios mío speriamo di no -, o finiscano i letti disponibili, rimarrai qui un altro po'»
    «Sappi che anche se non sarà oggi, presto o tardi dormirai con me.» disse serio, perchè aveva capito che il moro stava cercando di trattenerlo lì solo per non fare quel passo, ma l'avevo detto e Costas non se lo sarebbe mai dimenticato. Il dado era tratto.
    Si sdraiò di nuovo anche se avrebbe voluto davvero andarsene da lì e morire nel proprio letto, con o senza il capitano anche se era troppo tardi e i pensieri erano andati oltre al semplice abbraccio, avrebbe voluto molto di più e se avesse dormito ora, avrebbe senza alcun dubbio fatto un sogno erotico, per non dire proprio porno.
    «Ma se vuoi....posso farti un resoconto di quanto successo mentre tu recitavi la parte di Aurora. Mh, vediamo...» si mise su di un fianco, per poterlo guardare mentre iniziava a parlare, parlare e ancora parlare. Spesso capitava che i due finissero con il maggiore che diventava prolisso e che lo tramortisse a suon di parole ma lo lasciava fare. Intanto lo ammirava, faceva pensieri sconci su di loro e lo si poteva capire perchè si passava spesso la lingua sulle labbra. «- e a quanto pare tu hai abbracciato Sunday.»
    «cosa ho fatto?.» Era confuso ma poi sorrise malizioso
    «pensavo di averci fatto qualcosa di più» anche se gli rodeva che lui fosse riuscito a portare Arturo al ballo, alla fine un giro con il De Thirteenth lo avrebbe fatto volentieri. «e poi?» lo invitò a continuare anche se sapeva che avrebbe proseguito il suo racconto sul torneo anche senza chiederglielo; era così impanicato da trovarlo tremendamente adorabile. Avrebbe volentieri preso a baciarlo mentre questo provava a fare un discorso sensato e normale. Lo trovava eccitante e glielo avrebbe anche detto ma non riusciva a trovare il momento giusto. Con lui in realtà non lo sarebbe mia stato davvero.
    «Se vuoi rimango qui fino a che non mi cacciano.» sorrise sornione e si sporse dal letto per avvicinarsi al volto del maggiore, probabilmente già pronto a scappare, nonostante la gamba rotta, da quello che stava per fare. «perchè non metti un letto vicino al mio? Io ho bisogno di dormire e tu hai una gamba rotta, ti farebbe bene del riposo, accanto a me» era vicino al suo volto ma non abbastanza e gli fece cenno di avvicinarsi leggermente di più.
    «o magari se mi dai un bacio sulla bua mi passa prima il dolore» glielo sussurrò, così che solo lui potesse sentirlo e imbarazzarsi in piena libertà o quasi, dato che non erano soli, probabilmente lo avrebbe spinto via e lo avrebbe maldetto in spagnolo. Non vedeva l'ora, quando parlava in spagnolo andava in estasi.

    Batte. Forte. Sempre.
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    mehan, dall'altra parte della stanza:
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    si scusate, salutino random perché vi amiamo ♡

     
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    arturo maria hendrickson
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    Col senno di poi, avrebbe dovuto immaginarlo che una scena del genere in una infermeria strapiena non sarebbe davvero passata inosservata (ciao Mehan), ma in quel momento Arturo era strafatto di adrenalina e non riusciva ad avere una visione completa di ciò che stava accadendo, gli pareva allo stesso tempo un miraggio e la realtà. Nella bolla che si era creato, non c'erano infermieri curiosi, ex-tutor che stavano segnando tutto per fare rapporto (#cos), studenti già pronti a dire “te l'avevo detto” al compagno di turno... c'erano solo Arturo e Costas.
    E qualche paranoia, certo, ma quelle ci sarebbero sempre state.
    Non gli sfuggì la carezza del compagno quando afferrò la sua mano per abbassarla, ma lo lasciò fare: il contatto non lo bruciò come avrebbe immaginato potesse fare, né i suoi occhi percorsero in lungo e largo la stanza per accertarsi che nessuno avesse visto; era concentrato sul compagno di squadra, Arturo, e, nel suo solito auto sminuirsi, era davvero convito che nessuno stesse prestando attenzione alla cosa, troppo occupati con le ultime vittime di quello spietato duello. (“Turo si vede che non hai partecipato a quest....” cit. una donna molto saggia.)
    Ad ogni modo, quello che aveva detto lo aveva detto. Quello che aveva fatto lo aveva fatto. Forse il mental breakdown sarebbe arrivato più tardi, una volta venuta meno l'adrenalina e tutto, ma non sembrava essere quello il momento. Perciò no, non scansò la mano né la strattonò via per liberarla dalla presa di Costas, ma lasciò che l'altro la riaccompagnasse sul materasso e lì la lasciò, non sapendo bene cosa farci. In una situazione normale le avrebbe probabilmente messe in grembo – o sotto le cosce – pur di non fare qualcosa; mentre lì, seduto accanto al compagno, aveva solo voglia di allungarle ancora una volta e intrecciare le dita con le sue. Too much, too soon? Forse sì, ma Arturo era fatto così: un fiume (ah ah.) in piena, che scorreva placido e tranquillo per la sua strada ma se usciva agli argini era impossibile frenarlo. In quel caso gli argini erano la sua comfort zone e i suoi segreti; ora che li aveva ammessi al compagno, almeno in parte, non c'era verso di placarlo e sembrava intenzionato a fare ciò che per mesi aveva tentato – invano – di tenere nascosto e a bada. Un po' come le parole, che quando uscivano nervose e implacabili, finivano sempre con il metterlo in imbarazzo.
    In quel momento, se fossero stati soli, si sarebbe sicuramente spinto oltre.
    Una carezza di troppo, un bacio forse.
    Ma era ancora abbastanza lucido da riuscire a porsi quel freno che, altrimenti, gli avrebbe fatto rimpiangere ogni cosa. Non aveva mezze misure, Turo, non sapeva proprio dove fosse di casa la moderazione; da un eccesso, passava direttamente a quello opposto.
    Con la mano ancora sul materasso, dunque, prese a giocare con i fili della coperta mentre Costas riprendeva a fare il Costas (aveva mai smesso? Certo che no, nemmeno la botta in testa lo aveva placato davvero) e, alle sue parole, lo spagnolo alzò entrambe le sopracciglia, divertito. E un po' in imbarazzo, ovviamente. Era logico che Costas pensasse a QuelloTM come prima cosa, non sarebbe stato Costas Motherfucka, altrimenti; la loro primissima interazione era stata riguardo QuelloTM, ormai Arturo non si stupiva più. Il disagio che provava di solito, però, era solo un eco distante in quel momento: sentirsi più libero aveva i suoi pro, dunque. «Beeeh, se ci pensi -» e ci pensava, Costas, ci pensava eccome, quello era chiaro, «- dormiamo insieme tutte le notti.» Dito portato alla tempia, come quel famosissimo meme che tanto andava di moda su internet. Voleva essere una battuta, quella, ma una volta messa a voce non lo sembrava più così tanto. Si schiarì la voce, lo spagnolo, cercando di non andare in tilt per le sue stesse parole. «Intendevo.... cioè.... si insomma... stesso dormitorio? Stessa stanza...????» Oh, madonna santa.
    ANDANDO AVANTI.
    Avrebbe descritto ancora qualche altro avvenimento all'amico interrotto solo ogni tanto dai commenti di Costas. Tipo quello su Sunday. Che Arturo ignorò volutamente. Era liberissimo di dire e fare quello che voleva, Costas... almeno per il momento. Non poteva partire già in quarta con la gelosia, no? Checché ne dicesse quella strana morsa al centro del petto, la stessa che aveva avvertito al prom vedendolo arrivare col Gallagher.
    Andando avanti di nuovo, gli raccontò di come Nice – quella vera – era stata presa a bastonate da un finto Kiel Kane, di un Gideon improvvisamente BDSM che frustava la gente, e di Mac che era morto e risorto e tornato in arena più volte. Lo stesso Mac che «mi ha preso a bastonate nelle pelotas» non era andata proprio così, ma era un'approssimazione onesta di quanto gli avevano detto fosse accaduto. Non era stato il vero Mac a tirare la bastonata, né il vero Turo a riceverla (per fortuna), e poteva benissimo riderci su, ma: anime gemelle 'n par de palle.
    E altre cose, alcune viste dalla finestra, altre sentite dire, altre ancora giunte alle sue orecchie sotto forma di gridolini e ultrasuoni. «Insomma, tipiche cose da club dei duellanti..........credo» che ne sapeva lui di cosa fosse “tipico” da quelle parti, considerando che era la prima (ed ultima) volta che vi prendeva parte?

    Poi, quando non c'era più nulla da dire, quando capì di dover lasciar riposare Costas sebbene fosse riluttante all'idea di farlo, rimase in silenzio qualche istante prima di quel «Se vuoi rimango qui fino a che non mi cacciano.»
    Era serio, sarebbe rimasto - davvero. Nonostante tutto. Nonostante la vicinanza, adesso davvero esagerata, tra i loro volti.
    Trattenne il fiato, scuotendo impercettibilmente la testa per fare segno che no non si sarebbe mosso di un millimetro, anche se lo sguardo non poté non cadergli sulle labbra del minore, come tante altre volte prima di quel momento, volte in cui il Motherfucka era distratto, però, perché Arturo sapeva scegliere i momenti migliori per concedersi quelle spizzate, e ora invece... «o magari se mi dai un bacio sulla bua mi passa prima il dolore» Beh, quanto meno aveva avuto l'accortezza di sussurrare ed evitare di rendere partecipe il mondo intero della cosa. Deglutì a fatica, il moro, passandosi una mano sulla faccia per tentare di nascondere il rossore che, dal collo, era salito fino alle gote; la stessa mano poi la allungò verso il compagno e gliela mise sulla faccia, senza troppi complimenti, pronto a spingerlo nuovamente contro il cuscino. «Non-» pensarci nemmeno? Chiedermelo due volte? Eh, le domande erano davvero di tutti i tipi. «Non Finì così, Arturo, riappropriandosi della propria mano e incrociando le braccia al petto. Uno sguardo di sfida negli occhi azzurri, indirizzato al compagno; sfida a rimanere sul quel dannato lettino e riposarsi davvero, perché ne aveva bisogno. Ne avevano, entrambi. «¡Qué malo eres!» Un accenno di sorriso a piegare leggermente l'angolo destro della bocca verso l'alto, lo sguardo ad addolcirsi un poco mentre attendeva paziente che Costas chiudesse gli occhi. «Non costringermi a chiamare Stiles per qualche pozione soporifera.» Si abbandonò anche lui contro lo schienale della poltrona, le braccia ancora incrociate, per poi chiudere a sua volta gli occhi. I letti servivano agli altri (ciao Jane, ciao Julian, ciao Nice), e poi non aveva assolutamente voglia di muoversi da lì. «Non vado da nessuna parte.» Né in un senso - in nessun letto, men che meno il tuo, Costas - né in un altro - rimarrò qui.
     
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    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco

    Vorrei dire che Costas aveva notato il cambiamento in Arturo, che sapeva quanto quest'ultimo avesse combattuto con se stesso per accettare i sentimenti per il minore. Vorrei dire che il Motherfucka aveva capito quanto gli fosse costato al maggiore fare quel passo verso di lui, di aver notato quanto avesse voglia di lui e quanto questo allo stesso tempo lo facesse soffrire. Ma Costas non era così empatico e non aveva davvero capito quanto fossero importanti tutti quei piccoli gesti nei suoi confronti; però aveva sentito l'elettricità che c'era tra i due quando stavano così vicini, occhi negli occhi. Poteva leggere il fuoco in quegli occhi azzurri e sapeva di trasmettere la stessa cosa. Se solo avesse saputo che tutto quello avrebbe cambiato il mondo di entrambi ma soprattutto quello del latino forse avrebbe evitato di forzarlo in quel modo, ma era Costas e in quel momento pensava solo ad una cosa: non ve lo dico.
    Aveva voglia di Turo, in tutti i sensi, non aveva mai desiderato qualcuno come lui e anche se guardava altri culi era quello del latino che più era attratto; ma non era solo quello, con lui stava bene quando erano soli e aveva visto anche il suo lato spensierato fatto di battute e sorrisi. Costas sapeva che Arturo non era solo ansie e paure tanto da volere insistere con lui, aveva forse bisogno della sua persona per dargli quella pace che non aveva mai avuto davvero perchè quando stavano insieme era sereno, anzi lo erano entrambi nonostante le sue solite frasi ambigue ma ultimamente aveva preso a ridere con lui e tutto era diventato ben presto piacevole.
    «Beeeh, se ci pensi dormiamo insieme tutte le notti.»
    «sul serio?» avevano dormito insieme e non si era mai reso conto di averlo accanto? Stava per caso dicendo che i sogni erotici che aveva fatto forse erano state una realtà e non se ne era mai reso conto? «ero convinto di farmi solo delle semplici seghe» ma che volgare! scusatelo.
    «Intendevo.... cioè.... si insomma... stesso dormitorio? Stessa stanza...????» era davvero adorabile vederlo in difficoltà e arrossire per le sue stesse parole ambigue. Sapeva che non avrebbe voluto mettergli la battuta su di un piatto d'argento ma la frittata era stata fatta e lui non riusciva a perdere occasione per farglielo notare.
    « Arturito » gli sorrise per fissarlo negli occhi e poggiare la propria mano sulla sua, perchè al contrario del latino a lui non fregava assolutamente niente se gli altri avessero visto e poi erano abituati a vedere il Motherfucka che ci provava con lui.«respira» e lo fece.
    Continuarono a parlare del torneo ancora per qualche minuto fino a che Costas non sentì davvero il bisogno di chiudere gli occhi e Arturo sembrava essersene accorto ma non voleva andarsene e chiaramente non voleva neanche lui che se ne andasse, la sua presenza lo tranquillizzava. Avrebbe volentieri preso un bacio prima di dormire ma ovviamente il ragazzo non voleva saperne e lo rifiutò ancora una volta. Sentì ma anche vide la mano sul proprio volto spingerlo sul cuscino, non riuscì a non ridere e provò a morderla e leccarla ma la tolse così velocemente che rimase a bocca aperta mentre cercava di non eccitarsi per le parole in spagnolo. Lo faceva dannatamente apposta.
    «Non costringermi a chiamare Stiles per qualche pozione soporifera.»
    «e va bene, dormo»
    «Non vado da nessuna parte.» sapeva che era vero ma prima di poter davvero dormire doveva fare una cosa
    «io però devo chiederti una cosa» era molto serio e non avrebbe chiesto un bacio e nessuna battuta squallida, avrebbe fatto una semplice domanda che sapeva di dovere fare in quel momento o non avrebbe più avuto occasione di ricevere una risposta, soprattutto affermativa.
    «vieni con me a prendere una burrobirra?» era un appuntamento? Claro che si ma neanche lui lo sapeva davvero.

    Batte. Forte. Sempre.
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    arturo maria hendrickson
    todo lo que ves, es lo que soy; no me pidas más de lo que doy.
    I don't even know myself at all; I thought I'd be happy by now, but the more I try to push it I realize: I gotta let go of control and let it happen.
    Come rispondi ad un «ero convinto solo di farmi delle semplici seghe» quando sei un Arturo semplice, settato per default sulla modalità imbarazzo?
    Facile: aprendo e chiudendo la bocca a più riprese, boccheggiando in cerca di aria e parole con cui replicare - e fallendo in entrambi i casi. Senza mai dimenticarsi il pizzico di rossore sulle gote, perché why not, giusto?
    Costas era cosi... Costas che Arturo avrebbe dovuto immaginarsela una risposta del genere, dopotutto gliel'aveva servita su un piatto d'argento; eppure riuscì comunque ad imbarazzarsi, ancora, sentendo poi il bisogno di specificare cosa avesse voluto intendere con quella frase mal posta. Non serviva davvero, il compagno lo stava solo prendendo in giro perché, infondo, era un modo come un altro, il suo, per divertirsi, ma non sarebbe stato Arturo se non avesse quanto meno cercato di (scavarsi la fossa) peggiorare la situazione da solo.
    La faceva facile, Costas, con quel «respira» mentre lo fissava con gli occhi colmi di innegabile desiderio, la mano poggiata con delicatezza su quella del capitano in un gesto stracolmo di intenzioni che era impossibile non recepire.
    Respirare era davvero l'ultima cosa che Arturo sentiva di poter fare, in quel momento.
    Anche allargando i polmoni e sforzandosi di accomodarci dentro quanta più aria possibile, l'elettricità del momento glielo rendeva difficilissimo. Ancora una volta, non allontanò il ragazzo né ritrasse la mano, troppo indeciso su cosa fare, come farlo, per trovare la forza necessaria (o il coraggio, se per questo) per farlo davvero. O per farlo in tempo.
    Alla fine, in qualche modo, riuscirono ad andare avanti e Turo riportò la conversazione su argomenti più semplici, argomenti che sapeva come affrontare; una risata di qua, una battuta di la, e i due tornarono ben presto a quella che, notò con piacere il Serpeverde, era diventata ormai la loro quotidianità. Era una sensazione strana ma... familiare, piacevole.
    Un sorriso timido, seppur onesto, spinse leggermente verso l'alto gli angoli della sua bocca, e Arturo abbassò la testa per nascondere quel sorriso scemo che sentiva nascere sul volto. Non voleva passare per un adolescente stracotto, ma la verità era che, sotto sotto, lo era. Non aveva idea di quanto fossero seri, o profondi, o reali quei sentimenti che piano piano nascevano in lui, ma era sicuramente intenzionato a scoprirlo.

    Convincerlo a dormire era un modo come un altro, per il capitano, di sentirsi meno in colpa e meno combattuto; aveva bisogno di un attimo per tirare le somme, per rendersi conto di quello che era appena successo. Niente, avrebbe detto qualcuno; ma per lui era tantissimo. Con ancora le braccia conserte al petto, e la testa abbandonata all'indietro, rivolse un'ultima occhiata di sbieco al compagno.
    «e va bene, dormo»
    Mh, si era deciso quindi. E allora perché suonava come se ci fosse un “ma” in agguato, nelle sue parole? Beh, perché c'era. Riaprì dunque un solo occhio, appena richiusi tra l'altro, curioso di sapere con cosa lo avrebbe (sconvolto) sorpreso quella volta il compagno.
    «io però devo chiederti una cosa» «okay, dispara» era rischioso invitarlo a porre una domanda, lo sapeva bene, ma era anche curioso di sapere cosa volesse chiedergli; non era certo di avere una risposta (*choasbringer's voice* di domande ne ho quante ne vuoi) perché infondo non ne aveva mai, ma avrebbe provato a cercarne una.
    «vieni con me a prendere una burrobirra?»
    E invece, pensa un po', quella volta la risposta arrivò subito: che sensazione stranissima, mai provata prima, wow. «Sì.»
    Non c'era alcun bisogno di argomentare quella risposta affermativa, non quella volta; aveva già accettato una volta, la notte prima di San Valentino, pur non rendendosi conto, in quel momento, che l'altro lo stesse invitando ad uscire non solo come amici. Se lo sapeva ora? Beh, no, ma un po' ci sperava. Non si sarebbe azzardato a definirlo un appuntamento, ma una parte di lui, quella che forse aveva visto un po' troppe rom-com in diciotto anni di vita, un po' lo voleva.
    Una Burrobirra ai Tre Manici, però, era un buon compromesso: informale al punto giusto, ma anche abbastanza naturale come cosa per due compagni di scuola. Potevano uscire senza suscitare troppe occhiate curiose e, allo stesso tempo, Arturo poteva approfittarne per imparare a conoscerlo meglio. Potevano imparare a conoscersi meglio a vicenda; in quel momento, era tutto ciò che Arturo davvero desiderava.
    Dopo quelli che gli sembrarono anni, ma forse furono solo meri attimi, lasciò che un timido sorriso rinforzasse quel pronunciato d'un fiato; era serio, a riguardo, e quella volta pienamente cosciente della cosa. Non era una richiesta fatta via chat e, per tanto, fraintendibile; erano lì, occhi negli occhi, e non c'era nulla di equivocabile. «Ma solo se ora dormi
    E chiuse gli occhi anche lui, senza smettere di sorridere.
     
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