[oblinder] xviii. the moon

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    Magari la lettera, quella che ti è arrivata anonima la sera prima, non l'hai neanche aperta. Forse neanche vista, se non intenzionalmente ignorata. Oppure l'hai vista, ed hai pensato fosse lo scherzo di un amico, di uno sconosciuto annoiato, del vicino di casa a cui hai accidentalmente dato fuoco alle rose del giardino - insomma.
    Potresti non averci dato peso. O l'hai fatto, ed hai passato gran parte della notte a chiedere aiuti e suggerimenti alle persone di cui ti fidi, a cercare su internet, a rigirarti nel letto provando a dormire (o peggio, o meglio: a non, dormire).
    Insomma. Non importa la considerazione che tu abbia avuto della pesante busta lilla, e non importa quante precauzioni o meno tu abbia preso in merito.
    Vai a dormire nel letto della tua camera, sotto le tue coperte, circondato da un mondo che conosci ed odi ed ami a seconda dei giorni.
    Il dove apri gli occhi il giorno seguente, però, è un mistero.

    Dev'essere stato l'odore, a svegliarti. Un olezzo tutt'altro che piacevole, un misto di bruciato e polvere che ti fa arricciare il naso. Ti massaggi le palpebre abbassate, rannicchiandoti su te stesso quando senti l'aria farsi pungente...qualcuno ha aperto una finestra?
    Socchiudi le palpebre: no, decisamente nessuno ha aperto una finestra. Non sei nella tua stanza.
    E nulla di quello che vedi, è come lo ricordi.
    Le strade piene di macerie. I palazzi crollati per intero od a metà. Una luce bianca, innaturale, a illuminare il tutto come si trovasse in un limbo fra alba e tramonto perenne.
    E le persone. Le persone...non ci sono.
    Così come i rumori.
    Non riesci a sentire niente.
    Ha tutto l'aria di vecchio ed usurato, di consumato e spaccato - di morto.
    Non c'è nulla di vivo, da quelle parti, e l'idea che offre è che non vi sia nulla di vivente da molto tempo. Ti rendi conto di non essere solo, però: c'è qualcuno, con te. Forse sta dormendo; forse è morto. Probabilmente non è morto.
    Abbassi lo sguardo. Un chiodo tiene impigliato al suolo un pezzo di carta, e quella che sembra essere una carta dei tarocchi: the moon. Sul foglio, ci sono solo sei parole - e mai avresti pensato che sei parole potessero pesare così tanto.
    Eppure lo fanno.
    Non è possibile leggere nei sogni.


    Ci sono altri tre foglietti, uno indirizzato ad entrambi, ed uno per ciascuno di voi.
    (insieme) cerca altri superstiti.

    (cinnamon)recitare la propria poesia preferita

    (weeknd_23) il desiderio più grande che vorrebbe esprimere

    Frugandovi nelle tasche, potete trovare una Penna (*cinnamon*) e un bomboletta spry (weeknd_23).
    Ah, quasi dimenticavo: la magia non funziona.


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    «Naraaaaaah
    Oh mamma mia. Quanto sapeva essere insistente sua sorella, quando si intestardiva su qualcosa??? Non finiva mai di stupirsene!! (spoiler: era un tratto che avevano in comune, ma con lei non lo avrebbe mai ammesso o non avrebbe potuto punzecchiarla per questo) «Lalala non ti sento.» Ridacchiò sotto i baffi, mentre ignorava platealmente Jess nella speranza che si rassegnasse all’inevitabile – no, non le avrebbe fatto leggere la misteriosa lettera che Citra aveva provato a distruggere nella sua stanza a New Hovel – peste, era davvero una peste. «Non inizierò a fare ipotesi complottiste e pressarti per avere informazioni, LO GIURO!!!»
    . Si era praticamente descritta in una frase e avrebbe dovuto crederle???? Canticchiò un «non ti credooo» sottovoce, afferrando le spalle di un maglioncino arancione dall’espositore e sollevandolo di fronte a sé. «Uh guarda, questo ti starebbe benissimo, perché non vai in camerino e lo provi???» Che poi – oltre al fatto che le sarebbe stato d’inkanto perché a sua sorella stava bene tutto, ma proprio tutto tutto – era una maniera raffinata ed elegante per chiederle “torniamo a fare shopping facendo finta che quella lettera non esista”. Quella che teneva in borsa e non aveva ancora aperto, convinta fosse un errore da spedire al destinatario giusto o che semplicemente fosse uno scherzo. Da quando ne aveva fatto parola a Jess la sua vita (serena) era finita: “CHE C’E’ SCRITTO PASSAMELA CHI TE L’HA MANDATA STAI INSIEME A QUALCUNO CHI E’ CHI E’ LO SAI CHE DOMANI E’ SAN VALENTINO NO???????????”
    E veramente, Narah amava sua sorella tanto tanto tantissimo, ma dopo le risate era arrivata l’esasperazione. Si stava convincendo sempre più che: «Non vedo l’ora di constatare che meraviglia saresti con quel maglioncino, vai vai.» Con tanto di kuoricino nel tono che non è possibile descrivere ma c’era(??), la spinse delicatamente verso la tenda di un camerino, facendo finta la ragazza non stesse protestando a gran voce.

    Non ci voleva un genio per comprendere che qualcosa non andava, men che meno per Narah che di sensazioni e intuito ci viveva: l’odore nell’aria era troppo acre, mancava il peso della kathelvete contro il proprio fianco e, seppur in dormiveglia, non avrebbe mai potuto confondere il pavimento con un materasso. Aprì le palpebre con un mugolio confuso, e dovette stropicciarseli a causa della vista tutta appannata. «Citra?» Nessun miagolio lamentoso perché le mettesse le crocchette nella ciotola, come invece la micia faceva ogni singola mattina. Spalancò lo sguardo spaesato, i capelli scuri e arruffati di fronte agli occhi.
    Oh mio dio. Si mise seduta di scatto, spostando i ricci all’indietro con un gesto impacciato e sonnolento. Come… cosa… come ci era finita lì?? Dovunque si girasse vedeva solo una landa tappezzata di macerie, edifici crollati, e quello che la spaventò era che in cielo non c’era… niente. Quasi fosse un pezzo di terreno sospeso nel tempo e nello spazio. Per qualche motivo, quel dettaglio la scioccò più di tutto il resto- ma non quanto mettere a fuoco una figura sdraiata a terra. Il cuore le si fermò nel petto per quello che le sembrò un interminabile secondo, e prese poi a battere con vigore. Okay, doveva stare calma. Controllare se stava bene. Aveva sì intravisto delle specie di fogli fissati sul terreno, ma in quel momento non poteva importargliene di meno: gattonò verso quel corpo, sperando con tutta se stessa che stesse dormendo come stava facendo lei. Lo scosse delicatamente, guardandosi attorno per monitorare eventuali pericoli prima di studiare nuovamente la persona sotto di sé. «Stai bene? Di- dimmi qualcosa, per favore,» mormorò, il respiro accelerato dall’apprensione di avere a che fare con una persona ferita e non poterla aiutare.

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    eeeeeeh, non c'era proprio niente da fare ─ spendere i soldi di morley le dava sempre grandi soddisfazioni. e non si trattava nemmeno della solita paghetta scrausa con cui il fratello la teneva a bada da bambina, una specie di quit pro quo in cambio del suo silenzio: more si dimenticava di chiamare la madre per farle gli auguri di compleanno? joni si inventava una scusa teatrale e riceveva in cambio qualche galeone; rompeva il vaso preferito di mamma mostrandole come acchiappare un pluffa? joni raccontava di essere scivolata, con un singolo lacrimone gigante pronto a strabordare sulla guancia, e morley le allungava altri soldi.
    ma per il suo compleanno, quei sedici anni che nessuno vorrebbe compiere nella vita e soprattutto non joni peetzah («awww, sweet sixteen!!! 16anni e incinta!! SIXTEEN CANDLES!!» «dylan please dont») il fratello le aveva passato sottobanco una busta da lettere gonfia e pesantissima, tenuta insieme con lo scotch, guardandosi intorno in modo losco quasi stesse vendendole della droga «non spenderli tutti insieme» le aveva sussurrato, ricevendo come risposta un sopracciglio inarcato e la classica espressione deadpan con cui la minore dei peetzah esprimeva le sue emozioni nella maggior parte delle situazioni «e certo, come no» si vedeva che non aveva una Dylan Kane da mantenere, suo fratello. tant'è che gli sghei erano svaniti in un lampo, tra il giro di hamburger con patatine e coca cola che joni aveva offerto alle red furies e lo shopping compulsivo dal quale la ragazzina era uscita provata ma felice: comprava vestiti due volte l'anno, joni peetzah, quindi lo faceva forte.
    «non sento più i piedi. segnatevelo, prima di sei mesi non voglio più vedere un negozio di abbigliamento» e quella era più o meno l'ultima cosa che la tassorosso ricordava, un attimo prima di lasciarsi cadere a peso morto sul proprio letto perché da 'chiudo un attimo gli occhi Thor svegliami prima di andare a cena' a 'ci siamo dimenticate di joni diciamole che sono le 19' il passo è davvero troppo breve.

    a svegliarla di soprassalto, il cuore stretto nella gola e un sapore ferroso sulla punta della lingua, fu un rumore sordo, gorgogliante, fin troppo udibile nel silenzio spettrale che la circondava. avete quei video di neonati che scoppiano a piangere quando starnutiscono? stessa cosa, ma nel caso di joni si trattava delle proteste violente di uno stomaco vuoto da troppe ore ─ e chissà che non avesse spaventato anche narah, a quel punto. «quelle. bestie. » gli occhi ancora chiusi, la neo sedicenne strinse le gambe al petto avvolta nel cappotto di lana con cui si era addormentata la sera prima (il coma era subentrato prima ancora di potersi cambiare) e quel movimento meccanico le risultò tanto innaturale da costringerla a svegliarsi del tutto: aveva appena strusciato le ginocchia contro qualcosa di duro. e aguzzo. e freddo.
    solo quando sentì la mano stringere una spalla le palpebre le si sollevarono di scatto, il respiro trattenuto nei polmoni e dita della mancina chiuse a pugno; probabile che se la bloodworth non avesse parlato un istante dopo facendosi riconoscere, le cose sarebbero andate in modo molto diverso. un po come quella volta che Val era andato a svegliarla durante il riposino pomeridiano e si era beccato una centra in piena faccia (#babbi) ─ nothing personal. «cosa-» cercò di schiarirsi la gola, secca per la polvere respirata e per le troppe ore di sonno senza bere un goccio d'acqua, osservando narah dal basso mentre lentamente si metteva a sedere «cosa è successo? » e aridaje con il brontolio dello stomaco vuoto nel silenzio più totale «non ho cenato» quando riuscì finalmente ad alzarsi, le iridi grigio azzurre di joni inquadrarono meglio la sua compagna di sventure, constatando almeno all'apparenza che stesse bene.
    e perché non doveva stare bene? joni stava bene: a parte la fame, un po di irrigidimento muscolare e della sana confusione da viaggio multidimensionale in un mondo post apocalittico si sentiva un bijoux «non sei ferita, vero?» lacerazioni, segni di denti, sangue sangue sangue e artigli e «se è un sogno devo ricordarmi di scriverlo sul diario, a mac piacerà» o magari potevano scriverlo insieme, a quattro mani, visto che ancora una volta si trovavano nella stessa caccapupú. tastandosi nelle tasche la peetzah trovò solamente una bomboletta spray (ma come cavolo ci era finita???) e nessuna traccia di quello che ci aveva messo il giorno prima, ultimi spiccioli rimasti compresi «come regalo di compleanno non c'è male... pure lo scippo» the disrespect «quelli cosa sono?» chiese un attimo dopo, indicando a narah i foglietti inchiodati nel terreno, sentendosi improvvisamente più sveglia, vigile, forse persino un tantinello in allarme: se al posto della ragazza avesse trovato, che ne so, un Giuliano, quello sarebbe stato il momento ideale per sfogare le proprie preoccupazioni pestandogli i 30cm di piede.
    cosa che evidentemente non poteva fare con la special.
    «qui c'è scritto.. cerca altri superstiti» urca «sono quasi certa di aver visto un film con la stessa trama» e le porse il bigliettino così che potesse leggerlo anche lei, insieme a quello personaleil desiderio piu grande che vorresti esprimere: una tragedia.

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    «quelle. bestie.»
    Nah, an intellectual: non ce l’aveva con lei vero?? Sbatté le lunga ciglia scure, perplessa ma immensamente sollevata che la piccola peetzah avesse parlato. «Chi…?» O forse stava solo borbottando tra sé e sé e non ce l’aveva con lei – ipotesi rafforzata dalla reazione spaventata che ebbe subito dopo. Narah poteva decisamente capirla, e rimase a controllarla in silenzio da capo a piedi come meglio le permise il cappottino che la rossa indossava – in un’occasione diversa le avrebbe fatto i complimenti perché la trovava un sacco carina e graziosa, ma ormai era risaputo che aveva il cuore di mamma e un debole per chiunque. «cosa è successo?» Sospirò, senza nascondere il dispiacere mentre alzava e abbassava le spalle. «Io… non ne ho idea, Joni.» Fece per aggiungere qualcosa, ma fu interrotta da un raw raw. Di stomaco, ovviamente, non di altro!! Alzò le sopracciglia, e si lasciò sfuggire una risatina intenerita. «Non hai cenato?? Se vuoi ho- vediamo che cos’ho.» Si tastò le tasche del pigiama, avvertendo al tatto una penna e poi una superficie sferica e liscia che si rivelò una caramella. Si illuminò, spostando lo sguardo sulla tassa. «Se vuoi è tua!»
    Magari il problema fosse stata solo la fame, però! Si morse di nuovo l’interno guancia, sentendo la mancanza dell’oggettino antistress da mordicchiare che le avevano regalato a Natale. Non voleva agitare troppo Joni, doveva comportarsi da adulta!! (adulta chi.) «Temo proprio non sia un sogno.» L’incognita in cui erano immerse le faceva aggrovigliare il petto in un misto di apprensione e confusione. E siccome un compleanno era un compleanno, reputò D’OBBLIGO soffermarsi sulla cosa: «OOOW, il tuo compleanno??» Ma come crescevano in fretta, non ce la poteva fare. Si guardò intorno per una seconda volta, mettendosi in piedi e pulendosi i pantaloni del pigiama per sfogare la tensione. Distruzione, distruzione, distruzione, il nulla assoluto. Si azzardò a ricercare qualche contatto mentale, ma proprio quando il suo potere poteva tornare utile, scoprì che non funzionava. «Non riesco a usare la telepatia,» constatò piano – e questo era parecchio strano. Non le era mai capitato.
    Di gran lunga più utile si rivelò Joni, che le segnalò di aver trovato qualcosa. La ascoltò attentamente, leggendo poi le poche righe del messaggio destinato a lei. «E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica.» Tacque, scioccamente speranzosa, ma non accadde niente. Tornò a concentrarsi sulla ragazza, che doveva – appunto – averla presa per pazza, e avvertì un principio di rossore. «Scusa, è la poesia. Speravo…» aggiustasse qualcosa?? Eh, e invece nada. «Cercare superstiti, cercare superstiti…» sondò le macerie, iniziando ad avvicinarvisi. «Non ci rimane che piangere cercare. Cosa c’è sull’altro foglio?» Alleggerire la conversazione poteva essere utile – dubitava che in ogni caso avrebbero abbassato la guardia, perciò pareva un ottimo diversivo.

    p. joni peetzah / joined the chat /
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    Edited by butterfly‚ - 16/2/2021, 22:51
     
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    «Io… non ne ho idea, Joni.»
    e joni annuí, greve, perché in fondo non si era aspettata una risposta diversa. narah bloodworth era una ragazza intelligente e sveglia, ma quel genere di situazioni andavano oltre alle capacità personali di ciascuno; se come lei si era semplicemente addormentata in un posto e svegliata in un altro, senza alcun riferimento geografico o temporale, qualunque domanda finiva per diventare retorica «credi che c'entri qualcosa con-» già solo il pensiero la spingeva a far roteare gli occhi così tanto nelle orbite da rischiare di diventare cieca «san valentino?» l'aveva vista quella busta lilla che l'aspettava sul suo letto quand'era tornata nei dormitori, ma era stata ferrea nell'ignorarla: giravano troppe storie, leggende metropolitane, sull'oblinder, e forse per un istante si era auto convinta che lasciando la lettera abbandonata sotto il letto quell'incubo avrebbe balzato lei ─ evidentemente si sbagliava.
    Joni Peetzah era come Primrose Everdeen, così sfigata da partecipare alla sua prima mietitura e venire estratta subito, a brucio, senza nemmeno il brivido dell'attesa.
    prima ancora della sua teoria, narah sentì il brontolio dello stomaco vuoto della minore, e quando le offrì la caramella joni non poté fare a meno di diventare un po' più soft; era più facile sciogliere la tensione perenne nei muscoli quando si trovava in compagnia di un'altra ragazza (a parte Dylan che non permette di rilassarsi a nessuno.), smettere per un istante di essere pronta allo scontro. non aveva niente a che fare con una scelta sentimentale, una questione alla quale joni non pensava minimamente, quanto alla mera convivenza con altri esseri umani: i ragazzi, nella stragrande maggioranza, cercavano sempre di provocarla in qualche modo, di scavare dove vedevano uno spazio aperto ed il nervo scoperto al di sotto ─ non volevano una joni soft, ma solo botte sui denti per potersi fingere shock basiti e accusarla di mostrarsi fredda, incostante, poco carina.
    ovvero tutto ciò che la tassorosso aspirava ad essere.
    «OOOW, il tuo compleanno??» annuí stringendosi nelle spalle, come se la questione la riguardasse solo molto alla lontana, cosa che in effetti rappresentava la realtà: non si sentiva diversa, joni, solo perché agli anni già passati sulla Terra se ne era aggiunto un altro; averne 16 non le faceva finire la scuola in anticipo, o entrare in una squadra di professionisti, o assumere chissà quale indipendenza economica e sociale. rimaneva comunque una ragazzina, ne più ne meno. ogni tanto, osservando Dylan di sottecchi mentre l'amica piroettava su se stessa da una parte all'altra della sala comune eccitata all'idea di compiere i fatidici (ma perché poi, succedeva qualcosa di speciale? a parte essere rapiti dagli organizzatori dell'oblinder), si ritrovava ad invidiarne la gioviale iperattività ─ ma durava poco, come la fiammella di un accendino. poi le veniva il mal di testa e ringraziava il cielo di essere un'acida boomer grumpy cat destinata a morire zitella e felice in solitudine «ogni tanto mi tocca» una volta l'anno, senza scampo.
    quando narah se ne uscì declamando una poesia di punto in bianco, joni le rivolse uno sguardo interrogativo succhiando avidamente la caramella che la compagna le aveva regalato, i lembi del cappotto nuovo stretti al petto; e prima che potesse chiederle se andava tutto bene (magari aveva preso un colpo in testa, chissà), nah si affrettò a tranquillizzarla anche senza poterle leggere nel pensiero «Scusa, è la poesia. Speravo…» aaahh, i foglietti «Non ci rimane che cercare. Cosa c’è sull’altro foglio?» essendo avanzata di qualche passo rispetto alla telepate, joni fece dietrofront e le tornò accanto, mostrandole la carta dei tarocchi «la Luna.. questa al momento mi sembra poco utile» gliela mise tra le mani, evitando accuratamente di osservarne il disegno in rilievo. c'era qualcosa, una specie di elettricità statica a solleticare i polpastrelli quando la toccava, che sapeva troppo di personale ─ paura, dubbio, nostalgia, chiusura.
    ma comm' ti permetti scuss.
    «qui invece c'è scritto 'non è possibile leggere nei sogni'. illuminante» con un sospiro le tese anche quel foglio, tenendo il terzo bigliettino per sé: non era ancora pronta per rivelare a narah quale fosse il suo segreto più grande, soprattutto perché non era certa di averne uno (rob ha bisogno di pensarci, siamo indecise) «proviamo a guardare di là? quella palazzina sembra ancora in buono stato, magari qualcuno si è nascosto li» si, e se poi i sopravvissuti erano funghi umanoidi affamati di carne umana? un problema alla volta


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    Ebbene, Joni le aveva appena dato quell’input di cui aveva bisogno per unire almeno qualche puntino di quella storia: San Valentino. Al suggerimento, la telepate si era impietrita per un istante, mentre la sua mente recuperava spezzoni di memorie che avvaloravano l’ipotesi della Peetzah. I gossip che aveva letto sui giornali sull’oblinder – non era davvero avvezza ai pettegolezzi, la Bloodworth, ma da quando era stata tirocinante giornalista le era venuta la curiosità di leggere tutte le riviste possibili –, il fatto che quell’anno non ci fosse stato nessun evento pubblico cui iscriversi – si sbagliava o in effetti non avevano distribuito volantini?? – e, ultimo ma non per importanza, la busta lilla di cui aveva parlato il giorno prima con Jess. Aveva semplicemente ipotizzato che avessero sbagliato mittente ma, a questo punto, non si sentiva più così sicura. «… Sì. Non mi sembra affatto strano, ora che mi ci fai pensare.» Lo sguardo scuro a puntare di nuovo la ragazza davanti a lei, adesso, era maggiormente consapevole e in un certo senso sollevato. A un evento simile nessuno avrebbe spinto delle persone a farsi male sul serio, o almeno la Bloodworth lo sperava; inoltre si sentiva responsabile per Joni, non solo perché lavorava nella scuola in cui l’altra studiava, non solo perché tra le due era – teoricamente – l’adulta, ma per l’istinto di protezione che provava verso la maggior parte delle persone. Aveva la stessa età dei suoi bimbi sperduti!!!
    Sì, ora che poteva prospettare un finale innocuo si sentiva più leggera. Aveva sorriso quando l’altra aveva accettato la caramella – «È il mio gusto preferito!» –, e ridacchiato alla risposta sagace sul suo compleanno. «Vero, ogni tanto tocca a tutti.» Joni le stava davvero simpatica, trovava che le persone un po’ sulle loro fossero interessanti da conoscere!! Aveva recitato la sua “poesia” preferita, Nah, nella vana speranza che questo avrebbe dato loro un aiuto o un bonus, un po’ come… nei giochi, se vogliamo?? Ma la sua supposizione si era rivelata errata, ed erano ancora lì, con nient’altro che dei frammenti di carta tra le mani. Pensò che rivedere i foglietti avrebbero potuto dar loro una mano, eppure ritrovandosi in mano la Luna non le fece scattare alcuna intuizione. Ironico, dato che quella carta simboleggiava anche l’intuizione: era una ragazza acculturata e curiosa, la Bloodworth, conosceva i tarocchi!! Ed era assurdo che avessero trovato proprio la Luna, tra tutte la carta che più pareva parlare di Narah. «Non ho idea di come ci potrebbe aiutare,» sospirò infine, senza lasciarsi andare al senso di sconfitta che iniziava ad avvertire. Atteggiamento positivo!!! «qui invece c’è scritto 'non è possibile leggere nei sogni'. illuminante» Storse appena le labbra, guardando la ragazzina. «Un modo elegante per suggerirci che questo non è un sogno. Hai mai provato a leggere un libro o guardare l’orologio in un sogno? Ogni volta sarà diverso.» Inforandom non richieste e che sicuramente Joni sapeva già? .
    Si schiarì la voce, annuendo alle parole della tassorosso. «Sì, andiamo!» Avrebbero incontrato qualcun altro?? Da una parte Narah lo sperava, anche solo nella probabilità che sapessero dar loro qualche informazione in più. «Tu avevi altri piani per San Valentino??» domandò alla compagna, nella maniera più discreta possibile per non sembrare una ficcanaso. Non voleva davvero invadere la sua privacy, però chiacchierare le avrebbe aiutate a… passare il tempo, magari! E a rincuorarla un po’, perché nonostante non fosse assolutamente capace di socializzare con scioltezza, la compagnia le piaceva. «Se ti va di dirmelo, certo! Nessuna pressione.» Giammai, sarebbe stato da maleducata! Anzi, maleducatissima!!1!

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    solo osservando attentamente la palazzina bassa verso cui si stavano dirigendo, joni notò una prima, vaga somiglianza con un posto già visto; non che avesse frequentato spesso il Lilum, ma aveva buona memoria per i posti. o i volti delle persone, anche se le mancava la voglia di associarli ad un nome, nella maggior parte dei casi «Un modo elegante per suggerirci che questo non è un sogno. Hai mai provato a leggere un libro o guardare l’orologio in un sogno? Ogni volta sarà diverso.» diede un'occhiata a narah di sottecchi, la fronte leggermente corrugata ─ al contrario di quello che poteva pensare la bloodworth, joni faceva solo finta di sapere tutto «davvero? non ci ho mai fatto caso» e per qualche ragione sentiva di poter ammettere le proprie mancanze, in presenza della ragazza, conscia che lei non gliele avrebbe fatte notare. o forse si, insomma, non la conosceva così bene, ma nel caso sapeva già come reagire: chiudersi a riccio, pungere e pungere e pungere.
    «questo posto non ti ricorda qualcosa? ho come l'impressione di esserci già stata» «Tu avevi altri piani per San Valentino??» si erano appena parlate sopra, con tempismo perfetto, e per un istante la sedicenne credette di poter davvero fingere di non aver sentito ciò che narah le aveva chiesto; ma non aveva niente da nascondere, giusto? insomma, chissenefrega di San Valentino «a parte dormire, pranzare con i pancakes e rimanere con il pigiama tutto il giorno? no» dylan e Thor volevano organizzare una giornata for girls only invitando anche livy, con tanto di percorso relax da Amortentia, e anche se joni si era dimostrata restia ad accettare la loro proposta (come sempre, le veniva proprio automatico senza un vero motivo), in quel momento avrebbe volentieri fatto un cambio di location portandosi dietro anche la telepate «non è esattamente la mia "festa" preferita» concluse, mimando le virgolette in aria così che narah avesse già un'idea di quanto poco la peetzah tenesse in considerazione il 14 febbraio.
    tutta una cavolata, quella dell'anima gemella, buona solo a vendere scatole di cioccolatini a prezzi triplicati e far deprimere gli hopeless romantic ancora privi della loro metà.
    «a te piace? San Valentino dico» spostó le iridi cerulee dalla ragazza all'ingresso del locale fatiscente, la mancina a seguire il profilo del muro sgretolato dove, se quello era il luogo che pensava lei, un tempo si trovavano locandine e volantini. non aveva alcuna intenzione di chiedere a narah se avesse programmi per quella giornata in particolare, sebbene anche una come joni sapesse apprezzare del sano gossip: ne aveva sentite troppe, nei corridoi di Hogwarts, su lei e il McPherson e come fosse finita la loro storia, non le andava proprio di rigirare il dito nella piaga «a pensarci bene non mi piace nessuna festa» quasi sovrappensiero, tra sé e sé. non avrebbe nemmeno saputo spiegarsi perché, joni, se non il fatto che ogni festa equivaleva a rapportarsi con piú persone e lei già faticava con una alla volta.
    «sul mio bigliettino c'è scritto che dovrei dirti il mio desiderio più grande» diede una sbirciata oltre la porta divelta del locale, tenendo ora il braccio teso in avanti e la bomboletta spray nella mano destra, pronta ad accecare qualunque clicker fosse sgusciato fuori dalla penombra «ma la verità è che non ne ho idea. credi sia strano?»

    narah bloodworth / joined the chat /
    gifs: joni + nah
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    NARAH J. BLOODWORTH
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    no act of kindness,
    no matter how small,
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    Proprio come Joni, avvicinandosi all’edificio fatiscente Narah riconobbe le caratteristiche di quello che era (stato) chiaramente il Lilum. Non poteva passare inosservato agli occhi della telepate, che fino a non molto tempo prima ci lavorava come ballerina, un posto che per lei aveva una valenza emotiva più grande di quanto fosse disposta ad ammettere. Non aveva mai rivelato a nessuno di quel suo “secondo” lavoro che aveva svolto dietro una maschera – tranne Jess, le sue grl pwr e Gideon – e non credeva che lo avrebbe confessato a qualcun altro tanto facilmente. Magari tra qualche anno sarebbe stata capace di parlarne ridendo, ma per adesso… no. Proprio no.
    Per cui, quando lei e Joni esordirono insieme coprendo una la domanda dell’altra, si passò una mano sul braccio un po’ a disagio, una risatina mentre tentava di rispondere nella maniera più neutra possibile: «Uh, be’, a me pare proprio il Lilum, sai?» Ansietta. Scrutò i dintorni, distogliendo lo sguardo scuro da quello cristallino della Peetzah – anche solo fisicamente si notava quanto fossero opposte, nell’atteggiamento, nei colori, forse anche nel vestiario, eppure Nah ci si stava trovando bene come… compagna di apocalisse?? Compagna di apocalisse, e pure di San Valentino!! Sorrise appena, divertita a quel pensiero. «a parte dormire, pranzare con i pancakes e rimanere con il pigiama tutto il giorno? No» … di abitudini non sembravano poi così opposte, comunque; il suo sguardo si illuminò di comprensione. «Ma dai, il mio stesso piano!! Un ottimo piano, tra l’altro, mia sorella mi ha insegnato a fare dei pancakes perfetti! Li adoro con la frutta e il gelato.» Va bene non fregava a nessuno O MAGARI INVECE SI’!!! L’amore per i pancakes accomunava tutti!!!
    Non aveva mai trascorso un San Valentino diverso da casa-pigiama-pizza, nemmeno con Gid; la loro storia era finita prima che il 14 febbraio potesse arrivare. Sospirò, con una stretta allo stomaco che tentò di scacciare. «Se mi piace??» Si ritrovò a riflettere. Joni le aveva fatto capire piuttosto bene che non ne aveva una grande considerazione, e lei? Si avventurò silenziosamente nella sala del Lilum ridotto in macerie, riconoscendo il pavimento sotto i propri piedi. «Se c’è amore dovrebbe essere tutto l’anno, non solo un giorno!!! Ma da una parte è una scusa per prendersi ventiquattro ore di relax e cioccolatini.»
    Lanciò un’occhiata a Joni, incuriosita dal fatto che non le piacesse alcuna festa. «Nemmeno Natale??? Io lo amo!» commentò, di sicuro non per imporre la propria idea bensì condividerla. Se la tassa non amava le feste, al contrario la Bloodworth le amava tutte. «Qui non vedo nessuno,» aggiunse piano, prima che la compagna le confessasse cosa c’era nel suo foglietto: ora, non la conosceva così bene, e non era mai andata da Stiles o da lei per una chiacchierata, eppure c’era qualcosa di quasi familiare nelle sue ultime parole. Forse la Narah del passato ci si rispecchiava fin troppo. La guardò apertamente, con uno sguardo delicato e colmo di comprensione che solo Nah sapeva avere. «Non credo sia strano. Credo sia presto - c’è chi sa qual è il suo più grande desiderio dall’infanzia, e c’è chi ci mette un po’ di più. Col tempo ti schiarirai le idee.» E, per la cronaca: non vedeva proprio nessun superstite.

    p. joni peetzah / joined the chat /
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